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Harriet Beecher Stowe La capanna dello zio Tom

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atten<strong>zio</strong>ne a formar lentamente e diligentemente alcune lettere copiandole<br />

da un esemplare, mentre il suo giovane maestro, Giorgio, giovinetto di<br />

tredici anni, vivace e intelligente, con tutto il sussiego di un pedagogo<br />

sorvegliava quell’eserci<strong>zio</strong> <strong>dello</strong> <strong>zio</strong>.<br />

— Così non va bene, <strong>zio</strong> <strong>Tom</strong>; non da quella parte! — diceva Giorgio<br />

vivamente a <strong>Tom</strong>, che si affannava di torcere al rovescio la coda di un g. —<br />

Non vedete, <strong>zio</strong>, che ne fate un q? —<br />

E qui Giorgio presa in mano la matita, tracciò quella lettera dell’alfabeto<br />

con tanta prestezza, che <strong>Tom</strong> ne rimase sbalordito.<br />

— Si fa proprio così? — disse <strong>Tom</strong>, guardando con maraviglia e<br />

rispetto il suo giovane maestro che moltiplicava rapidamente una quantità<br />

di g e di q perché gli servissero di esemplare.<br />

Indi, ripresa la matita nella mano inesperta, ricominciò con pazienza a<br />

copiare.<br />

— Oh, come i bianchi fanno bene tutte le cose! — disse la zia Cloe<br />

fermandosi mentre stava strofinando la padella con un pezzo di lardo<br />

infilzato sulla punta d’una forchetta. Poi, guardando con orgogliosa<br />

compiacenza il giovinetto, soggiungeva:— Come sa ben leggere e scrivere<br />

corrente! E chi crederebbe che la sera egli venga a ripeterci le sue le<strong>zio</strong>ni?<br />

Oh, è una stupenda cosa davvero!<br />

— Ma, zia Cloe, — disse Giorgio — io incomincio a sentire una<br />

maledetta fame. <strong>La</strong> torta che avete messa in forno deve essere ormai cotta.<br />

— Sì, fra pochi istanti, padroncino Giorgio, — riprese la zia Cloe,<br />

sollevando cautamente il coperchio per gettarvi un’occhiata. — Sì,<br />

colorisce bene, prende un aspetto magnifico. Oh, lasciate fare a me! L’altro<br />

giorno Sully voleva provarsi a, farne una; io glielo permisi, tanto per<br />

insegnarle. Ma presto dovetti scacciarla di cucina. Non posso veder<br />

sprecare tante cose buone. <strong>La</strong> torta era tutta gonfia da una parte; aveva<br />

forma di torta come la mia scarpa. Via, via! Tanto lo so: certe cose debbo<br />

farle da me. —<br />

E così dicendo, piena di dispregio per l’ignoranza di Sully, la zia Cloe<br />

sollevò il coperchio della teglia, e lasciò vedere una torta perfettamente<br />

cotta, di cui non si sarebbe vergognato il più abile pasticciere d’una grande<br />

città.<br />

Era questa la pietanza principale, e, vedutala proprio a tiro, la zia Cloe<br />

corse lietamente a metterla in tavola.<br />

— Suvvia, Pietro e Mosè, fatevi indietro, negrettini impertinenti;<br />

lasciatemi passare, lesti! Via di qua anche tu, Dolly; la mamma ti farà<br />

buscare qualche cosa. Ora, padroncino Giorgio, potreste sbarazzar la tavola<br />

dei vostri libri e prender posto accanto al mio vecchio. Io vi metterò<br />

innanzi le salsicce, e in un batter d’occhio avrete il piatto pieno di

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