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conti quello che succede in scena attraverso<br />

la riproposizione accurata di stralci<br />

delle interviste e delle registrazioni r<strong>il</strong>asciate<br />

da Ettore durante la sua vita. «Ecco<br />

la seconda coincidenza. Proprio mentre<br />

un mio amico sacerdote sognava che<br />

Ettore tornava a predicare, noi realizzavamo<br />

questa testimonianza. Grazie alla sua<br />

voce che racconta le scene, infatti, è come<br />

se tornasse in vita a predicare».<br />

«Io e i colleghi ce l’abbiamo fatta»<br />

Mentre suor Teresa racconta, Emanuele<br />

Fant, regista e coordinatore della compagnia,<br />

tra <strong>il</strong> trasporto di una trave e quello<br />

di una marionetta, trova <strong>il</strong> tempo di<br />

aggiungere: «Questo spettacolo non sarebbe<br />

mai riuscito se ognuno di noi non si<br />

fosse rivisto mentre muoveva<br />

le marionette, se quella<br />

storia non fosse anche la<br />

nostra storia». Si ferma, e<br />

approfondisce: «Io ho fatto<br />

<strong>il</strong> volontario con fratel<br />

Ettore per tanti sabati della<br />

mia vita. Non sono un<br />

consulente, questa è la mia<br />

storia. Se non fosse così<br />

non avrei potuto affrontare<br />

questa faticaccia».<br />

Che, scendendo nei dettagli,<br />

significa «affrontare le<br />

tante frag<strong>il</strong>ità dei poveri,<br />

anche solo diventare un<br />

gruppo è stata una conquista.<br />

Poi c’erano i problemi<br />

di memoria, di concentrazione,<br />

ogni tanto qualcuno<br />

scappava e bisognava andare<br />

a ritrovarlo, altri non si<br />

presentavano alle prove, altri ancora dovevano<br />

superare dei blocchi che alcune scene,<br />

chissà perché, formavano in loro. Ma<br />

siamo sempre ripartiti e ora sono colpito<br />

dalla loro professionalità».<br />

Perché io e «i miei colleghi», come<br />

ormai li chiama Viorel, romeno costretto<br />

sulla sedia a rotelle, «ce l’abbiamo fatta».<br />

Mentre spiega in un italiano stentato<br />

«la soddisfazione per quello che sono riuscito<br />

a fare» e «la bellezza del Meeting», le<br />

suore cercano inut<strong>il</strong>mente di fargli notare,<br />

indicando una tasca della giacchetta<br />

rigonfia, che non avrebbe dovuto raccogliere<br />

tutte quelle cicche di sigarette e<br />

mettersele in tasca. Il Meeting, infatti, per<br />

lui è anche un’ottima occasione per non<br />

ritrovarsi, tra tre mesi, a dire: «Non am de<br />

fumare». Inut<strong>il</strong>e insistere e ricordargli che<br />

aveva smesso, ma non è proprio <strong>il</strong> caso di<br />

badare a queste cose perché la coerenza<br />

morale non è certo <strong>il</strong> metro con cui si viene<br />

giudicati in casa Betania: «Questi ami-<br />

Sotto, <strong>il</strong> marocchino<br />

Abdul, <strong>il</strong> talento di<br />

Casa Betania, mentre<br />

si allena a manovrare<br />

fratel Ettore.<br />

I marionettisti<br />

non parlano: la voce<br />

del protagonista<br />

è originale, tratta<br />

da registrazioni e<br />

interviste r<strong>il</strong>asciate<br />

da Ettore nel corso<br />

della sua vita<br />

ci sono usciti da m<strong>il</strong>le storie diverse – continua<br />

suor Teresa – ed è stupefacente che<br />

ogni giorno siano più bravi a muovere le<br />

marionette. Fino a pochi giorni fa i f<strong>il</strong>i si<br />

intrecciavano ancora e invece, in queste<br />

due serate al Meeting, è stato <strong>il</strong> loro cuore,<br />

attraverso le mani e <strong>il</strong> legno, a muovere le<br />

marionette. Mi colpisce che cosa la fiducia,<br />

l’amore e <strong>il</strong> lavoro possono riuscire a<br />

fare su una persona». Tutto in Ettore dei<br />

poveri è una conquista: «Riuscire a muovere<br />

la testa del cane», quando in una <strong>il</strong> frate<br />

cam<strong>il</strong>liano lo accarezza, «perché si veda la<br />

tenerezza della scena e l’animale sembri<br />

vivo» racconta Vittoria. Oppure «riuscire a<br />

far ballare la Madonna nella scena finale,<br />

senza farle piegare le ginocchia», aggiun-<br />

Forse Viorel non avrebbe dovuto inf<strong>il</strong>arsi tutte<br />

quelle cicche di sigarette in tasca. Ma tutto in<br />

Ettore dei poveri è una conquista. Anche far<br />

ballare Maria senza piegarla sulle ginocchia<br />

poveri e provvidenza PRIMALINEA<br />

IL socIoLogo E LA RIvoLuzIoNE dI doN gIussANI<br />

«Non siamo più una cosa che<br />

pensa ma un cuore che desidera»<br />

Affermare che la natura dell’uomo è data dal suo rapporto<br />

con l’infinito, implica la presenza di un desiderio incontenib<strong>il</strong>e,<br />

un desiderio che guarda lontano e che solo l’orizzonte gli consente<br />

di non soffocare, di non chinare <strong>il</strong> capo, sconfitto dai m<strong>il</strong>le<br />

condizionamenti, dalle m<strong>il</strong>le fatiche che nascono dal “mestiere di<br />

vivere”. Solo l’orizzonte è all’altezza della sua pretesa al vero, al<br />

giusto, al bene. Solo l’infinito, che la linea dell’orizzonte consente<br />

di cogliere, è l’unico confine accettab<strong>il</strong>e per un desiderio che si<br />

ribella ad ogni miseria. proprio come Giovanni pascoli che – lo<br />

ha ricordato davide rondoni in una presentazione struggente<br />

– insorge contro la morte dei suoi genitori scrivendo: «e io non<br />

voglio. non voglio che sian morti».<br />

Ma se così è, allora noi non siamo più “una cosa che pensa”,<br />

bensì “un cuore che desidera”. non si parte da una “cosa”, cioè<br />

da un intelletto, ma da un cuore; non si parte da un pensiero<br />

che elabora e sintetizza, critica e riduce <strong>il</strong> reale a leggi – meccaniche<br />

o meno, poco cambia – che ne assicurano movimento e<br />

trasformazioni. prima di questo, prima di ogni pensiero critico<br />

e di ogni pignola erudizione, c’è <strong>il</strong> desiderio, cioè la coscienza<br />

di una mancanza. Si parte da una ferita per qualcosa, o per<br />

qualcuno, che manca. perciò, come ha detto Giancarlo Cesana<br />

nell’incontro riminese sulle neuroscienze, «l’intelligere, <strong>il</strong> comprendere,<br />

è carico affettivamente; se non è carico affettivamente,<br />

non comprende, non si attacca, non capisce». don Giussani<br />

ha saputo cogliere questa domanda, per quanto confusa tra<br />

m<strong>il</strong>le riserve, per quanto sia stato costretto a spianarsi la strada<br />

tra le m<strong>il</strong>le panacee che dagli anni Cinquanta in poi, decennio<br />

dopo decennio, gli sbarravano la strada del dialogo con quanti<br />

continuavano e continuano a cercare. L’eco di questa rivoluzione<br />

copernicana, che dall’uomo che pensa passa all’uomo che<br />

desidera, attraversa tutto <strong>il</strong> meeting di rimini, sala per sala,<br />

conferenza per conferenza, alla ricerca del vero. Grazie.<br />

Salvatore Abbruzzese<br />

ge Vittorio, che mentre si trovava in riab<strong>il</strong>itazione<br />

all’ospedale, continuava ad allenarsi<br />

con le marionette. «Che poi ho capito<br />

perché succedeva, perché non alleggerivo<br />

la mano e così lei piegava le ginocchia.<br />

Invece ora riesco a farla stare in piedi e a<br />

muovere la sua testa a ritmo».<br />

E Abdul, <strong>il</strong> più bravo di tutti? «Lui<br />

non parla» ammette suor Teresa, «è troppo<br />

timido». Fratel Ettore, però, lo manovra<br />

benissimo. Tanto che i movimenti<br />

sembrano naturali, mentre la voce registrata<br />

del Servo di Dio parla, catturando<br />

l’attenzione di tutto <strong>il</strong> pubblico, che vede<br />

incarnato <strong>il</strong> titolo del Meeting, La natura<br />

dell’uomo è rapporto con l’infinito:<br />

«Ho lavato un povero per mezz’ora, ma<br />

continuava a sanguinare.<br />

Sono andato avanti per<br />

un’altra ora, finché non<br />

ha smesso. E poi ho sentito<br />

una voce che diceva:<br />

“Lo hai fatto a me”». n<br />

| | 5 settembre 2012 | 11

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