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INTERNI COPERTINA<br />

(oltre Mancino, adesso anche Napolitano<br />

e Violante), al centro vi sono gli “eroi”<br />

dei Fatti e delle Repubbliche: Oscar Luigi<br />

e Carlo Azeglio.<br />

Scalfaro (che nel 1995<br />

nominerà Zagrebelsky giudice<br />

dell’Alta corte) via Vincenzo<br />

Parisi e Mancino è un protagonista,<br />

Ciampi – da copione<br />

di governo tecnico – è trascinato<br />

dal Quirinale: ma ha<br />

comunque, al di là dell’incapacità<br />

di governo specifica,<br />

una colpa morale gravissima.<br />

Nei sette anni della sua presidenza<br />

della Repubblica verrà<br />

perseguitato, nel s<strong>il</strong>enzio<br />

quirinalizio, un parlamentare<br />

come Marcello Dell’Utri<br />

per accuse in realtà connesse<br />

all’esecutivo dell’ex governatore<br />

di Bankitalia.<br />

Questa situazione spiega<br />

l’afasia della sinistra (mentre<br />

quella relativa della destra è<br />

attribuib<strong>il</strong>e più a cause culturali). E rende<br />

ridicolo <strong>il</strong> “vogliamo tutta la verità”<br />

(slogan tipico del Pci quando voleva che<br />

non si insistesse su questioni su cui era<br />

meglio che tutta la verità non venisse<br />

fuori: vedi per esempio l’attentato a Giovanni<br />

Paolo II organizzato da Yuri Andropov)<br />

di un Ezio Mauro, che peraltro gravemente<br />

imbarazzato concede spazio a<br />

qualche garantismo. Infatti chiedere la<br />

“vera verità” sulle vicende palermitane<br />

significherebbe partire “almeno” da Scalfaro<br />

e Ciampi.<br />

I guasti della supplenza tecnica<br />

Fuor d’afasia c’è da riflettere sullo scombinamento<br />

dei poteri del 1992 (con innanzitutto<br />

l’esplosione della follia per <strong>il</strong> potere<br />

di certe toghe), sulla crisi di una Costituzione<br />

nata in un’altra conclusa epoca<br />

storica, su un certo eccesso d’influenza<br />

di ambienti americani divenuti protettori<br />

dell’ex Pci, sui guasti che combina a<br />

un sistema democratico (al di là di qualche<br />

preziosa soluzione di emergenza) un<br />

governo “tecnico”, sul deperimento del<br />

ruolo nazionale delle maggiori correnti<br />

politiche della Prima Repubblica, sulla<br />

debolezza che ha determinato per lo<br />

Stato una società inquadrata da un sistema<br />

di “partiti” invece che da “istituzioni<br />

democratiche”.<br />

Certo poi un qualche cedimento snasapattista<br />

potrebbe spingere a dire che<br />

certi zelanti debenedettiani messisi ora<br />

in azione – considerando l’idealismo e la<br />

moralità del loro “ingegnere-capo” – hanno<br />

anche qualche cinquecento m<strong>il</strong>ioni<br />

18 | 5 settembre 2012 | |<br />

L’ex presidente della Corte costituzionale<br />

Gustavo Zagrebelsky e <strong>il</strong> fondatore di<br />

Repubblica Eugenio Scalfari si sono azzuffati<br />

nei giorni scorsi sulle pagine del quotidiano,<br />

l’uno all’attacco, l’altro in difesa di Napolitano<br />

di ragioni specifiche per cercare di condizionare<br />

una “prossima” sentenza della<br />

Cassazione. Ma al di là di questa “snasatina”,<br />

<strong>il</strong> richiamo allo scenario storico, partendo<br />

dai “santi” rimossi della sinistra, ci<br />

spiega bene la portata della crisi dello Stato<br />

italiano.<br />

Il “caso” in sé – che qualche delirante<br />

cerca di gonfiare ancor di più collegandolo<br />

all’omicidio di Paolo Borsellino<br />

– nasce dall’incertezza che si determina<br />

in una democrazia con l’imposizione di<br />

esecutivi tecnici. Le conseguenze attuali<br />

del “caso” vanno naturalmente gestite<br />

hic et nunc limitando i guasti prodotti da<br />

magistrati usciti dai binari. Ma la lezione<br />

strutturale del “caso” parla della crisi dello<br />

Stato, di interi ambienti sociali privi di<br />

vero senso di appartenenza, di istituzioni<br />

(a partire da larghi settori della magistratura)<br />

divenute corpi separati dal sistema<br />

democratico, di elementi di grave disgregazione<br />

frutto sia della difesa di livelli<br />

oligarchici di potere interni sia di attivi<br />

sistemi di influenze internazionali.<br />

Per certi versi pare di vivere in una<br />

rinnovata Weimar: quella originale, straziata<br />

dalle ingiuste condizioni imposte<br />

ai tedeschi dopo la Prima guerra mondiale<br />

(una sorta di trattamento-Grecia<br />

dei giorni nostri), dall’inflazione, dalla<br />

disoccupazione e dal clima della guerra<br />

Il caso parla di ambienti sociali privi di senso<br />

di appartenenza, di corpi separati dal sistema<br />

democratico, di una grave disgregazione<br />

frutto della difesa di un potere oligarchico<br />

civ<strong>il</strong>e europea, mentre la nostra è naturalmente<br />

sorretta da magnifiche industrie<br />

piccole e medie, e da varie stampelle<br />

economico-istituzionali offerte da Stati<br />

Uniti e Unione Europea: <strong>il</strong> che ha consentito<br />

sia una violenza (sinora?) radicalmente<br />

minore, sia una durata più lunga.<br />

La Repubblica tedesca pre-hitleriana visse<br />

dal 1919 al 1933.<br />

Non tutte le vacche sono nere<br />

Certo lo squadrismo anti-Napolitano è<br />

cartaceo, non fisico. Il Fatto o <strong>il</strong> blog di<br />

Beppe Gr<strong>il</strong>lo non sono sicuramente le SA<br />

di Ernst Röhm, e c’è un’abissale differenza<br />

tra Zagrebelsky e Alfred Rosenberg.<br />

Eppure non si può essere certi che <strong>il</strong> ventre<br />

generatore dei mostri del Novecento<br />

non sia più fecondo. Se la disgregazione<br />

dello Stato diventa disgregazione generale<br />

della società, quel che accade dopo non<br />

è più prevedib<strong>il</strong>e.<br />

Ecco – mi si consenta una considerazione<br />

a margine delle questioni trattate –<br />

perché sarei prudente sulle “messe in soffitta”,<br />

sulle “denunce per tradimento”,<br />

sul “destra, sinistra, giustizialisti, garantisti<br />

sono tutti uguali” con annessi appellini<br />

mob<strong>il</strong>itanti: è sacrosanta una critica<br />

dura al berlusconismo, ma si è certi di<br />

potere resistere alle derive della disgregazione<br />

senza ut<strong>il</strong>izzare tutti i campi<br />

di forza disponib<strong>il</strong>i e rea-<br />

li piuttosto che affidarsi a<br />

iniziative che puzzano lontano<br />

un miglio di demagogia<br />

condita con nicchiette<br />

di influenza? n<br />

Foto: AP/LaPresse

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