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ESTERI una nuova redenzione è possib<strong>il</strong>e<br />
Da qui<br />
non evade<br />
nessuno<br />
Nel Bras<strong>il</strong>e delle carceri peggiori del mondo, la<br />
storia degli Apac, penitenziari dove «entra l’uomo.<br />
Il reato resta fuori». Costano meno, si pranza con<br />
posate di metallo e nessuno tenta di scappare,<br />
«perché non si fugge da chi ti vuole bene»<br />
Il cellulare della polizia penitenziaria<br />
bras<strong>il</strong>iana si ferma davanti alla<br />
palazzina verniciata di fresco. A fatica<br />
per le catene ai piedi e le manette<br />
strette ai polsi quattro carcerati avvolti<br />
in accecanti uniformi arancioni scendono<br />
dal veicolo e si trascinano nella polvere<br />
rossa dello sterrato. Lo sguardo verso<br />
terra, come stab<strong>il</strong>isce <strong>il</strong> regolamento.<br />
Si dispongono in f<strong>il</strong>a dietro a una guardia<br />
col berretto blu calcato e la visiera che<br />
seminasconde <strong>il</strong> volto, mitra imbracciato.<br />
Bussa al portone. Apre un uomo in sandali<br />
e maglietta, un f<strong>il</strong>o di pancia e di baffi:<br />
un detenuto pure lui. Per un’inspiegab<strong>il</strong>e<br />
telepatia i quattro capiscono e sollevano<br />
la testa stupiti. «Buon giorno, chi siete,<br />
come vi chiamate?», chiede gent<strong>il</strong>mente<br />
l’uomo. L’agente risponde pronunciando<br />
un paio di numeri di articoli del codice<br />
penale. Il detenuto coi sandali sorride:<br />
«No, volevo sapere i loro nomi. Entrate. Vi<br />
aspettavamo. Per favore signora guardia<br />
liberi loro le mani e i piedi: c’è una doccia<br />
calda pronta per loro e poi devono provare<br />
vestiti della loro misura. Le uniformi<br />
ve le restituiamo». Poco dopo <strong>il</strong> gruppetto<br />
fa <strong>il</strong> suo ingresso all’interno della struttura,<br />
e sulla parete sopra agli ingressi delle<br />
tre sezioni in cui è organizzata (“regime<br />
segregato”, “regime semi-aperto”, “regime<br />
aperto”) i loro occhi incontrano una<br />
26 | 5 settembre 2012 | |<br />
grande scritta blu sul muro bianco: «Qui<br />
entra l’uomo. Il reato resta fuori».<br />
Tutte le settimane una scena come questa<br />
si ripete in uno dei 34 “Apac” del Minas<br />
Gerais. Gli Apac sono una forma alternativa<br />
di detenzione che in Bras<strong>il</strong>e esiste da<br />
ben quarant’anni. Quando la sigla è nata,<br />
all’interno di un’esperienza di pastorale<br />
carceraria, significava “Amando <strong>il</strong> prossimo<br />
amerai Cristo”. Quando poi l’esperienza<br />
si è trasformata in un ente no profit del<br />
privato sociale, ha cambiato di significato<br />
in un più preciso Associazione per la protezione<br />
e l’assistenza ai condannati. Infatti<br />
a gestire questi centri dove si praticano forme<br />
di detenzione ad alto contenuto rieducativo<br />
sono esperti e volontari del no profit.<br />
Il Minas Gerais, invece, è uno Stato della<br />
federazione bras<strong>il</strong>iana con 20 m<strong>il</strong>ioni<br />
di abitanti e 50 m<strong>il</strong>a detenuti, 2 m<strong>il</strong>a dei<br />
quali sono insediati negli Apac: è anche la<br />
regione del Bras<strong>il</strong>e dove <strong>il</strong> metodo registra<br />
oggi i maggiori successi, tanto che altri 20<br />
stati della federazione stanno aumentando<br />
<strong>il</strong> numero degli Apac sul loro territorio<br />
e ampliando quelli esistenti. Come nel<br />
Nel paese <strong>il</strong> tasso di recidiva è dell’80-90.<br />
Fra questi detenuti è solo del 12 per cento.<br />
In dieci anni sono evasi solo in nove,<br />
ma la metà di loro si è poi riconsegnato<br />
Gli Apac sono una forma<br />
alternativa di detenzione<br />
che in Bras<strong>il</strong>e esiste da ben<br />
quarant’anni. Qui sopra, un<br />
detenuto in abiti civ<strong>il</strong>i accoglie<br />
i nuovi arrivati (foto a destra)<br />
che ancora indossano<br />
le uniformi arancioni<br />
e hanno le manette ai polsi<br />
Minas Gerais è stato già fatto negli ultimi<br />
otto anni soprattutto per impulso del Procuratore<br />
Generale Tomaz de Aquino Resende.<br />
È l’uomo che ha voluto espandere <strong>il</strong><br />
“carcere dolce” per i condannati con sentenza<br />
passata in giudicato nonostante critiche,<br />
sospetti e scetticismo. Che giustifica<br />
così i suoi orientamenti di politica carceraria:<br />
«Il tasso di recidiva fra i detenuti rimessi<br />
in libertà dalle prigioni convenzionali è<br />
dell’80-90 per cento, e si trat-<br />
ta quasi sempre di reati più<br />
gravi di quello commesso<br />
la prima volta che sono stati<br />
imprigionati; fra i detenuti<br />
degli Apac, una volta defi-