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Gli italiani d'Egitto nella seconda guerra mondiale - anpie

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enziali,<br />

in cicloni impetuosi e distruttivi, sembrava che l’ira di Dio si<br />

abbattesse impietosa sugli uomini e sulle cose.<br />

Le poche cose belle che in quella scialba natura si facevano ammirare<br />

erano il cielo d’un intenso azzurro cobalto, l’alba rinfrescante, i tramonti<br />

<br />

<br />

sottile striscia di azzurro del Lago Amaro che ricordava l’esistenza, sul<br />

nostro pianeta, del mare. Su quella striscia di mare gli internati videro<br />

arrivare e ormeggiare - dopo l’8 settembre 1943 -le due corazzate italiane<br />

“Littorio” e la “Vittorio Veneto”, in attesa dell’amaro destino.<br />

<br />

- ma comunque molto aderente alla realtà e valida per la cronaca - che<br />

diceva, secondo radio-Roma, che il Governo italiano considerava gli internati<br />

civili in Egitto “combattenti di prima linea”.<br />

L’organizzazione<br />

Il campo di concentramento di Fayed era di tipo inglese, simile a tanti<br />

altri campi di prigionia per militari, sparsi in Africa.<br />

Si estendeva su un perimetro di oltre 8-10 chilometri, ospitava circa<br />

5500 internati ed era suddiviso in 21 sottocampi, chiamati dai militari<br />

inglesi “cages” (gabbie) e tenuti separati l’uno dall’altro da una larga<br />

<br />

accoglieva da 250 a 280 internati alloggiati in tende e tendoni di tipo militare,<br />

dotati d’un pagliericcio con durissimi guanciali cilindrici e d’ una<br />

specie di cesta a verghe vegetali spaziate, chiamate in arabo “hafas”,che<br />

da quelle parti usavano ordinariamente per l’allevamento dei polli.<br />

Ogni tenda aveva in comune un tavolo, una panca, una baci<strong>nella</strong> e un<br />

secchio. Ogni internato aveva in dotazione un piatto e una gavetta senza<br />

le posate.<br />

L’acqua da bere veniva conservata nelle gargolette di creta che le famiglie<br />

si premuravano di far pervenire insieme alle posate.<br />

<br />

legno. I servizi igienici erano scheletri di legno ricoperti di stuoie, attraverso<br />

le quali passavano folate di vento e di sabbia e traspariva lo scenario<br />

indecoroso dei buglioli pieni di mosche ronzanti, soprannominate<br />

giustamente “picchiatelli”.<br />

Al centro della grande tendopoli c’era il campo-visite in cui avvenivano<br />

gli emozionanti incontri e il distacco straziante, tra internati e con-<br />

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