inedita energia Attilio Bertolucci - Eni
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Dei due l’artista più completo è Bruegel, cui è permessa una possibilità di riposi<br />
e distensioni (descrizioni di paesaggio) che a Bosch non è concessa. Ma entro i<br />
limiti, non angusti, della sua commedia fantastica, Maestro Geronimo è grande:<br />
lui, in fondo, l’unico vero surrealista della storia dell’arte, ma non tale per vacuità<br />
bensì per pregnante forza intellettuale. Guardate a questo strano “vascello”,<br />
dipinto circa nell’anno 1500, e ora al Louvre. Da notare, subito, la smania da cui<br />
è preso il bel campionario d’umanità meschina e goffa imbarcata nel barcherozzo<br />
che non si muoverà mai in contrasto con la pace della natura che sta nel fondo. C’è<br />
chi mangia e chi suona, chi s’arrampica per una magra cuccagna e chi sfinito, nudo<br />
come un verme, tenta dall’acqua scura di aggregarsi; e c’è, assai significativo, chi<br />
s’affaccia come per rimettere. Insomma, senza che se ne possa trarre un significato<br />
chiaro e razionale (ma come sarebbe possibile in tale materia?), riusciamo però a<br />
leggere nel suggestivo quadro di Bosch un’allegoria, una delle tante che un artista<br />
può concepire, della vita. Non tanti anni dopo un altro grande del Nord, William<br />
Shakespeare, non doveva parlare d’un “racconto privo di senso, pieno di rumore<br />
e di furia, recitato da un idiota”?<br />
Non vi pare che siamo molto vicini a Hieronymus Bosch?<br />
maggio 1961 ⎡ Cena in Emmaus<br />
Rembrandt<br />
Musée du Louvre - Parigi ⎦<br />
i<br />
Di tutti i grandi olandesi Rembrandt è quello che, pur conservando<br />
e anzi potenziando i caratteri precipui della scuola cui appartiene, meno, a<br />
prima vista, alla scuola stessa fa pensare. Così accade, mettiamo, di Michelangelo<br />
nei riguardi della tradizione fiorentina, senza la quale è inimmaginabile, ma che<br />
trascende in tal misura da non ricondurvici mai, se non dopo un esame lungo e<br />
particolareggiato, minuto. Nell’uno e nell’altro l’universalità, seppur nutrita di<br />
succhi originari, è preminente, e non è soltanto un raggiungimento ma un’aspirazione,<br />
un’esigenza ansiosa, continua, insaziabile.<br />
Rembrandt Van Rijn nasce nel 1606 e muore nel 1669, in pieno meriggio barocco,<br />
ma a differenza di Rubens che assume le grandiose e qualche volta un po’ vacue<br />
invenzioni formali provenienti dall’Italia per riempirle di carne e di sangue,<br />
insomma di natura, alla nordica, non si lascia troppo commuovere dalle novità. Se<br />
c’è un pittore che gli insegna qualcosa è Caravaggio, l’antibarocco, la cui ricerca<br />
luministica non è mai fine a se stessa, anzi sempre portata avanti in funzione drammatica:<br />
umana, troppo umana, per dirla con Nietzsche.<br />
Mentre la buona pittura olandese del suo tempo tende a specializzarsi, Rembrandt<br />
non ha nessuna intenzione di farsi buon ritrattista, o paesaggista, o internista, o<br />
naturamortista. Egli non si pone limiti di soggetti, passa dal religioso al profano,<br />
dal mitologico al quotidiano, dalla vicenda biblica alla scena di genere, superandone<br />
ogni volta i limiti in una resa che ha, nella sublimazione del naturale e dell’umano,<br />
un carattere universale assoluto. Parlavamo di Michelangelo: l’italiano, erede<br />
della classicità, idealizza l’uomo, lo deifica in un certo senso; Rembrandt, figlio<br />
del naturalismo nordico, umanizza sino ai limiti più simili la divinità, insomma<br />
compie l’operazione inversa. Per questo egli, nei tempi moderni, dal secolo scorso<br />
in qua, ha esercitato una suggestione (più che un’influenza) senza pari, e tanto<br />
sugli scrittori che sui pittori. I raggiungimenti più alti del Realismo e dell’Impressionismo,<br />
in letteratura e nelle arti figurative, quell’eroico, e spesso riuscito, tentativo<br />
di portare alla poesia le cose e gli uomini di tutti i giorni non hanno in tutta<br />
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