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[PDF] Atti del convegno - Regione Emilia-Romagna

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Progetto WEST<br />

Seminari, meeting,<br />

ricerche, informazione<br />

e formazione<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong><br />

Assessorato Politiche Sociali.<br />

Immigrazione.<br />

Progetto Giovani.<br />

Cooperazione Internazionale.<br />

Direzione Generale Sanità<br />

e Politiche Sociali.<br />

Servizio Politiche<br />

per l’Accoglienza<br />

e l’Integrazione Sociale.<br />

European Regional<br />

Development Fund<br />

(E.R.D.F.)<br />

Partner <strong>del</strong> progetto<br />

<strong>Regione</strong> Lombardia<br />

<strong>Regione</strong> Veneto<br />

<strong>Regione</strong> Marche<br />

Provincia Autonoma di Trento<br />

Comune di Perugia<br />

Caritas di Udine<br />

Associazione On the Road<br />

di Martinsicuro (Teramo)<br />

Associazione Mountain<br />

Unlimited (Austria)<br />

Ministero <strong>del</strong> Lavoro e<br />

degli Affari Sociali<br />

<strong>del</strong>l’Albania<br />

<strong>Atti</strong> <strong>del</strong> <strong>convegno</strong><br />

Bologna, 26-27/11/2004


Progetto<br />

TUTTIFRUTTI Ravenna<br />

Stampa<br />

Grafiche Morandi Fusignano (Ra)<br />

maggio 2005


Prefazione<br />

La tratta di persone al fine <strong>del</strong> loro sfruttamento non è più, come noto, un fenomeno<br />

episodico, legato agli stravolgimenti che negli anni '90 hanno caratterizzato l'area balcanica:<br />

ci troviamo di fronte ad un fenomeno strutturale, che si ripercuote non solo sulle società<br />

<strong>del</strong>l'est Europa ma anche sul tessuto sociale, economico ed organizzativo <strong>del</strong>le nostre società,<br />

sulla percezione <strong>del</strong>l'altro, sui rapporti nelle comunità locali, sulle possibilità di convivenza tra<br />

le persone con differenti culture, religioni, abitudini e aspettative.<br />

Per questo motivo reputo strategica e lungimirante la decisione che venne assunta allorché,<br />

nell'ambito <strong>del</strong>la elaborazione <strong>del</strong> programma e <strong>del</strong> complemento di programma, venne<br />

inserita, per la sola area CADSES, la misura sociale 1.4 denominata "impatto spaziale<br />

<strong>del</strong>l'immigrazione", alla cui definizione ha contribuito proprio la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> .<br />

Si è trattato di un punto qualificante, fortemente voluto dal Ministero Italiano dei Lavori<br />

Pubblici, che, nel 2000 ha portato all'introduzione, in un programma comunitario orientato<br />

tendenzialmente sui temi <strong>del</strong>le infrastrutture, <strong>del</strong>le reti di trasporti, <strong>del</strong>la qualificazione<br />

urbana, di un tema di attenzione sociale che non trascura ma anzi vuole analizzare l'impatto<br />

che i flussi migratori hanno sui nostri territori.<br />

Grazie a questo la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> ha potuto elaborare, con la collaborazione di una<br />

partnership di assoluto rilievo di cui fanno parte Regioni, Enti Locali e Ong, il progetto W.E.S.T.<br />

che si caratterizza per l'attenzione al tema dei flussi e <strong>del</strong>le rotte <strong>del</strong>la tratta di donne dall'est<br />

Europa; tratta di persone che è senza dubbio fonte di quell'impatto territoriale che<br />

rappresenta il fulcro <strong>del</strong>la misura 1.4 sopradescritta.<br />

L'impegno che la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, nella sua veste di leader di progetto, e che tutti i<br />

partner si sono assunti, è sicuramente oneroso: se ne potrebbe parlare anche nei termini di<br />

una grande scommessa, quella di promuovere ricerche in ambiti per loro stessa natura difficili<br />

da raggiungere, legati come sono a fenomeni criminali o comunque “nascosti”, difficili da<br />

conoscere e contrastare. Il progetto W.E.S.T. ha visto nascere e rafforzarsi una forte<br />

collaborazione tra Regioni, Enti Locali, Ong; ha visto l'avvio di sperimentazioni e azioni pilota<br />

sulle accoglienze di frontiera, sugli interventi di comunità, sul lavoro con i clienti (altro<br />

versante <strong>del</strong> fenomeno prostitutivo), sulla tutela legale. Ha visto, infine, la realizzazione di<br />

percorsi formativi di alto livello per gli operatori <strong>del</strong> sociale e per gli operatori <strong>del</strong>le forze<br />

<strong>del</strong>l'ordine promuovendo, quale elemento di grande innovatività, anche percorsi di<br />

formazione congiunta, volti a fare dialogare mondi che spesso faticano a trovare linguaggi<br />

comuni seppure impegnati in azioni quanto meno complementari: la protezione e<br />

l'integrazione sociale <strong>del</strong>le persone vittime <strong>del</strong>la tratta.<br />

Vasco Errani<br />

Presidente <strong>del</strong>la Giunta Regionale <strong>del</strong>l'<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>


Premessa<br />

È storia presente la firma di una Costituzione Europea da parte di 25 paesi, quanti sono<br />

diventati dopo l'allargamento ad est di pochi mesi fa. Cambiamenti profondi che però non<br />

possono distogliere la nostra attenzione da ciò che non è cambiato affatto.<br />

Le condizioni economiche, sociali, culturali e politiche che dagli inizi degli anni '90 hanno<br />

prodotto il forte incremento nell'afflusso di donne dai paesi <strong>del</strong>l'est, sfruttate sessualmente<br />

da parte di spietate organizzazioni criminali, non sono oggi particolarmente cambiate.<br />

Assistiamo a quegli stessi squilibri, alla medesima povertà e mancanza di prospettive per il<br />

futuro in cui milioni di donne e di uomini continuano a vivere.<br />

Ieri forse prevalevano i rapimenti, l'inganno mentre oggi sono sempre più le donne che<br />

vengono nei nostri paesi sapendo di prostituirsi, talvolta con una sorta di contrattazione con le<br />

organizzazioni criminali, perché questo rappresenta un modo per fuggire da quella condizione<br />

di miseria, di incertezza per sé e per la propria famiglia. Ed ecco che il confine tra libertà e<br />

necessità si è fatto pressoché inafferrabile.<br />

Ciò che è cambiato, invece, sono le organizzazioni criminali che oggi, a fianco <strong>del</strong> traffico di<br />

droga e di armi, hanno preso il sopravvento anche sulla gestione dei flussi migratori e,<br />

all'interno di questo, sulla tratta. Le organizzazioni hanno imparato a cooperare, spesso anche<br />

tra etnie normalmente in guerra tra loro (kosovari, serbi, albanesi, macedoni), a dividersi il<br />

lavoro e le fasi <strong>del</strong> traffico, a cooperare, a sfruttare la transnazionalità, a “fare rete”.<br />

Questo impone agli Stati di accelerare per superare le differenze di impostazione giuridica,<br />

così come tracciato dalla decisione quadro <strong>del</strong> Consiglio <strong>del</strong> 19 luglio 2002 sulla lotta alla<br />

tratta degli esseri umani. Occorre armonizzare le disposizioni legislative e regolamentari,<br />

occorre sostenere e rafforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, occorre una<br />

impostazione comune su cosa si intende per tratta di esseri umani e sulle sanzioni penali che<br />

ne devono conseguire. Gli Stati si devono dotare urgentemente di questi strumenti e devono<br />

imparare, magari dalle organizzazioni criminali, a “fare rete”.<br />

Oltre a questo occorre lavorare parallelamente per rimuovere le cause <strong>del</strong> fenomeno, odioso,<br />

<strong>del</strong>la tratta: la povertà, la femminilizzazione <strong>del</strong>la povertà, la discriminazione contro le donne,<br />

la disoccupazione, il mancato accesso alle risorse economiche, sociali e di conoscenza fanno<br />

<strong>del</strong>le donne – e dei minori – le principali vittime. Occorre continuare ad investire quindi sulla<br />

cooperazione internazionale e occorre, sempre più, assumere una prospettiva di genere<br />

nell'elaborazione <strong>del</strong>le strategie e <strong>del</strong>le politiche di programmazione e di intervento <strong>del</strong><br />

prossimo futuro.<br />

L'impegno a contrastare la logica <strong>del</strong>lo sfruttamento e <strong>del</strong>l'abuso deve coinvolgere tutti,<br />

singoli cittadini, forze organizzate, pubbliche amministrazioni. Un impegno che la <strong>Regione</strong><br />

<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> porta avanti da anni attraverso il progetto regionale Oltre la Strada e che,<br />

proprio a partire da questa esperienza unica di lavoro di rete è sfociata nel progetto W.E.S.T.<br />

Un progetto complesso, articolato, talvolta “difficile” che però ha avuto tra le risorse più<br />

preziose una partnership qualificata ed estremamente determinata a realizzare tutte le azioni<br />

previste. È questa una direzione in cui la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> intende continuare ad<br />

operare e ad investire dando continuità alle indicazioni preziosissime che stanno emergendo<br />

da questo grande laboratorio che è rappresentato da W.E.S.T., di cui la presente ricerca è una<br />

testimonianza.<br />

Gianluca Borghi<br />

Assessore alle Politiche Sociali <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>


<strong>Atti</strong> <strong>del</strong> <strong>convegno</strong><br />

Indice<br />

Introduzione pag. 9<br />

1. Sessione FORMAZIONE<br />

Interventi di:<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

Pietro Basso<br />

Catia Boni<br />

pag. 13<br />

2. Sessione COMUNICAZIONE, COMUNITÀ LOCALI<br />

E RUOLO DEI MASS MEDIA<br />

Interventi di:<br />

Carla Trampini<br />

Claudio Renzetti<br />

Stefania Alunni<br />

Stefania Cavalaglio<br />

Vanna Ugolini<br />

Christiana Wei<strong>del</strong><br />

Birgit Wolf<br />

Lenka Nieblova<br />

Patrizia Di Berardino<br />

Luca Baldassarre<br />

pag. 41<br />

3. Sessione SERVIZI ALLA PERSONA E<br />

ACCOMPAGNAMENTO ALL'INCLUSIONE<br />

DELLE PERSONE VITTIME DEL TRAFFICKING:<br />

INNOVAZIONE E PROSPETTIVE”<br />

Interventi di:<br />

Annarita De Nardo<br />

Giulia Borgomaneri<br />

Stefania Scodanibbio<br />

Lara Carosi<br />

Cleto Corposanto<br />

Marco Bufo<br />

pag. 89<br />

4. Sessione PLENARIA pag. 141<br />

Interventi di:<br />

Andrea Stuppini<br />

Pietro Basso<br />

Christiana Wei<strong>del</strong><br />

Marco Bufo


Patrizia Farina<br />

Daniele Barbieri<br />

Enzo Ciconte<br />

Claudio Dona<strong>del</strong><br />

Giuseppe Magistrali<br />

Fabio Croccolo<br />

Vincenzo Macrì<br />

Monia Guarino<br />

Maria Grazia Giammarinaro<br />

Jürgen Nautz


Introduzione<br />

(ovvero un paio di coordinate per orientarsi)<br />

È certamente fisiologico che progetti lunghi e complessi in termini di articolazione,<br />

parternariato e vincoli procedurali, finiscano per caratterizzarsi, e<br />

per certi versi fondare la loro effettiva attuazione, sulla dinamicità e capacità<br />

di adattamento: un progetto scritto a metà 2002, partito formalmente a<br />

gennaio 2003 e concretamente nell'estate <strong>del</strong>lo stesso anno a causa dei<br />

ritardi procedurali non poteva infatti prescindere da aggiustamenti e adattamenti<br />

in corsa. A questo si aggiunga il tema di cui W.E.S.T. si occupa: il<br />

fenomeno <strong>del</strong>la tratta e <strong>del</strong>lo sfruttamento sessuale, <strong>del</strong>la prostituzione, che<br />

proprio per le sue caratteristiche e per gli attori che lo popolano si contraddistingue<br />

per la forte mutevolezza, per quel suo essere un qualcosa che sfugge<br />

e cambia rapidamente ogni volta che si pensa di averne afferrati i contorni.<br />

Come tutti i progetti anche W.E.S.T., nella sua elaborazione iniziale, è<br />

stato incasellato in aree di attività (6 in tutto, denominate workpackage) e<br />

azioni specifiche (formalmente 16,le milestone,che poi nella realtà sono oltre<br />

20 vista la sub-articolazione di molte di queste).Oggi possiamo dire che tutto<br />

è stato realizzato, che ogni partner ha apportato il suo contributo e che quindi<br />

le premesse (e le promesse) iniziali sono state rispettate. Durante il percorso<br />

però – per le ragioni sopra <strong>del</strong>ineate – sono stati trovati nuovi comuni denominatori<br />

che, pur mantenendo inalterata la struttura <strong>del</strong> progetto e la collocazione<br />

<strong>del</strong>le azioni nell'ambito dei pacchetti di lavoro iniziali, hanno<br />

permesso la realizzazione di una sorta di contaminazione reciproca tra azioni<br />

e partner,di una sorta di travaso di senso e di concordanza che ha avuto la sua<br />

“rappresentazione”nel corso <strong>del</strong>la Conferenza di approfondimento tenutasi a<br />

Bologna il 26 e 27 novembre 2004.Gli atti che seguono si riferiscono proprio<br />

a quell'evento.<br />

All'epoca ci trovavamo all'incirca a due terzi <strong>del</strong> percorso effettivo e molte<br />

azioni erano già abbondantemente avviate; alcune in via di conclusione. La<br />

struttura <strong>del</strong>la conferenza rivela come si sia trattato di un appuntamento finalizzato<br />

all'intreccio tra i partner, al confronto con la platea dei partecipanti<br />

(molto spazio è stato volutamente lasciato al dibattito, alle domande <strong>del</strong><br />

pubblico), al fare il punto sullo stato di attuazione <strong>del</strong> progetto e sul suo essere,<br />

al di là <strong>del</strong>l'articolazione formale, un corpo unico.<br />

Attraverso il confronto con il livello tecnico e scientifico dei partner si era<br />

infatti concordato una sorta di smontaggio e rimontaggio di W.E.S.T. in 4<br />

ambiti (ricerca, progetti sulla persona, comunicazione/sensibilizzazione, formazione)<br />

in grado di restituire e rappresentare i cambiamenti che si sono sviluppati<br />

naturalmente nel corso <strong>del</strong> progetto. L'iniziale formulazione che<br />

9


10<br />

vedeva cinque 1 pacchetti di lavoro (ricerche-interventi, azioni di sistema,<br />

azioni pilota, informazione/sensibilizzazione e formazione, azioni transnazionali)<br />

è stata oggetto non solo di una modificazione nominale di quelli che<br />

potremmo definire anche i “contenitori”, ma soprattutto di una diversa collocazione<br />

al loro interno <strong>del</strong>le specifiche attività. L'articolazione <strong>del</strong>la conferenza<br />

di approfondimento <strong>del</strong> 26 e 27 novembre 2004 rappresenta dunque<br />

anche il concretizzarsi di questa dinamicità <strong>del</strong> progetto.<br />

Nelle pagine che seguono potrete dunque ripercorrere, attraverso le sbobinature<br />

degli interventi 2 dei tre seminari tematici paralleli e <strong>del</strong>la sessione<br />

plenaria, le azioni realizzate nell'ambito <strong>del</strong> progetto W.E.S.T.; potrete però<br />

anche cogliere, al tempo stesso, il travaso di azioni da un contenitore all'altro,<br />

laddove cioè la sostanza <strong>del</strong>le attività ha trovato una più specifica collocazione<br />

“di senso”. È il caso <strong>del</strong>le azioni <strong>del</strong> Comune di Perugia (sperimentazione<br />

di un intervento di comunità, lavoro sulle rappresentazioni sociali dei<br />

cittadini) e di Mountain Unlimited (formazione dei formatori, attività con gli<br />

opinion leader, campagna di informazione) che hanno trovato un più fertile<br />

confronto con l'azione <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Marche legata alla realizzazione di una<br />

campagna di sensibilizzazione dei clienti e con il lavoro sui check point sociali<br />

(attività di informazione preventiva) attuato dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong><br />

in collaborazione con le Regioni Marche e Veneto, con l'Associazione On the<br />

Road nonché con la preziosa collaborazione <strong>del</strong>la Caritas di Udine.<br />

Stesso discorso può essere fatto con l'azione di sistema in carico alla<br />

<strong>Regione</strong> Lombardia per la costruzione di un osservatorio sulla tratta che ha<br />

trovato un terreno di scambio con l'ambito <strong>del</strong>le ricerche, anch'esse, a partire<br />

da punti di vista assai eterogenei, tese a fornire dati ed importanti elementi di<br />

conoscenza sul fenomeno.<br />

Altro nucleo tematico quello dei servizi alla persona. Una serie di sperimentazioni<br />

messe in atto dai partner che evidenziano la necessità di ripensare<br />

gli interventi sociali che devono uscire dall'autoreferenzialità e dall'illusione<br />

di bastare a se stessi iniziando a pensarsi in luoghi nuovi: il territorio, le<br />

comunità, le frontiere, gli snodi <strong>del</strong> passaggio <strong>del</strong>le persone trafficate, i nuovi<br />

ambiti <strong>del</strong>la prostituzione al chiuso.<br />

Le ultime annotazioni sull'attività di formazione 3 il cui seminario apre<br />

1 A questi cinque va aggiunto il sesto, quello relativo alle azioni di governo generale <strong>del</strong> progetto in carico alla <strong>Regione</strong><br />

<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> nella sua qualità di Leader Partner.<br />

2 Tutti gli interventi, dopo la deregistrazione, sono stati trasmessi ai relatori per la revisione. Per quanto riguarda gli<br />

interventi <strong>del</strong> pubblico è specificato il nominativo di chi parla solo nel caso in cui si è trattato di persone facenti parte <strong>del</strong>la<br />

partnership.<br />

3 In questo ambito le azioni sono state tre: corso di base per operatori sociali <strong>del</strong>la tratta organizzato dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<br />

<strong>Romagna</strong> (Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali); corso di base per operatori <strong>del</strong>la sicurezza urbana organizzato<br />

dalla <strong>Regione</strong> Veneto; corso di secondo livello per operatori sociali e operatori <strong>del</strong>la sicurezza (che avessero frequentato i<br />

rispettivi primi livelli) realizzato dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>/Servizio promozione e sviluppo <strong>del</strong>le politiche per la<br />

sicurezza e la polizia locale e affidato alla Scuola Regionale Specializzata di Polizia Locale di Modena.


questa pubblicazione: la presenza di un contenitore specifico è innanzitutto<br />

segno evidente <strong>del</strong>l'importanza assunta nel corso <strong>del</strong>lo svolgimento di<br />

W.E.S.T. <strong>del</strong>le azioni formative.Tra i fattori che hanno determinato questa<br />

sorta di crescita di visibilità e attenzione si evidenzia un intreccio di fattori così<br />

schematizzabili: attività d'aula basate su metodologie tese al coinvolgimento<br />

e alla crescita di protagonismo dei partecipanti, transnazionalità (ma anche<br />

transregionalità) e confronto diretto, in contesti diversi dalla pratica quotidiana<br />

e quindi fuori dalle “rigidità” dei ruoli, tra operatività e culture differenti:<br />

quella degli operatori sociali e quella degli operatori <strong>del</strong>la sicurezza<br />

provenienti dall'Albania, dall'Austria, da regioni e territori italiani spesso contrassegnati<br />

da marcate differenze, dal settore pubblico e da quello <strong>del</strong> privato<br />

sociale.<br />

Viviana Bussadori<br />

Coordinatrice W.E.S.T.<br />

11


Sessione FORMAZIONE<br />

Elvio Raffaello Martini [moderatore dei lavori <strong>del</strong>la sessione di formazione<br />

e responsabile scientifico <strong>del</strong> corso di formazione di base transnazionale per<br />

operatori sociali <strong>del</strong>la tratta curato dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>]<br />

Il mio compito oggi è introdurre il lavoro di questa sessione, facilitare<br />

questo incontro e,insieme al collega Pietro Basso, presentare i percorsi di formazione.<br />

Questo incontro risponde all’esigenza di restituire i percorsi di formazione che<br />

sono stati promossi dalla <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> e dalla <strong>Regione</strong> Veneto<br />

ed, in particolare, all’esigenza di creare un momento di scambio, di interazione<br />

tra i partecipanti coinvolti nei due processi formativi.<br />

Nel percorso dove io sono stato presente, ma da quello che mi ha riferito il<br />

professor Basso anche nell’altro corso, si è ripetutamente manifestata l’esigenza<br />

di scambio, di incontro tra operatori che con competenze diverse, con<br />

responsabilità diverse, si occupano comunque <strong>del</strong>le stesse problematiche.<br />

Quindi l’incontro di oggi ha anche questo significato: non solo esporre i due<br />

percorsi formativi, ma anche creare un momento di interazione e di scambio<br />

fra voi. A questo scopo serve anche la coccarda di colore diverso che vi<br />

abbiamo dato all’entrata e che sostituisce in maniera simbolica la divisa che<br />

oggi nessuno porta.<br />

Abbiamo pensato di condurre i lavori <strong>del</strong> pomeriggio in questo modo:<br />

- una fase iniziale nella quale ripercorriamo per grandi tappe i due percorsi<br />

formativi, in maniera da poter raccontare che cosa si è fatto e permettere<br />

così una condivisione dei due percorsi;<br />

- successivamente vorremmo creare un momento informale,credo che anche<br />

questa sistemazione <strong>del</strong>l’aula ci possa facilitare 1 , per favorire uno scambio<br />

tra di voi, per favorire l’incontro fra le forze <strong>del</strong>l’ordine, il personale <strong>del</strong>la<br />

polizia locale e gli operatori sociali sul percorso formativo nel quale siete<br />

stati coinvolti e, se possibile, attraverso la discussione e il confronto sottolineare<br />

aspetti che in un percorso e nell’altro possono essersi rivelati interessanti<br />

e utili.<br />

Concluderemo questa parte sulla formazione con la dottoressa Catia Boni <strong>del</strong>la<br />

Scuola di Polizia Regionale di Modena, che è incaricata di gestire il percorso di<br />

formazione integrato di II livello. Catia Boni presenterà il corso, al quale già<br />

molti di voi hanno espresso il desiderio di partecipare. Quindi verranno date<br />

alcune indicazioni ed informazioni per accedere al percorso formativo.<br />

1 Si riferisce alla struttura “a gradoni”scelta volutamente per questo seminario tematico.<br />

13


14<br />

Infine, a conclusione <strong>del</strong>la giornata, verranno consegnati gli attestati alle<br />

persone che hanno partecipato ai percorsi di formazione.<br />

Pietro Basso [relatore <strong>del</strong>la sessione e responsabile scientifico <strong>del</strong> corso transnazionale<br />

di base per operatori <strong>del</strong>la sicurezza realizzato dalla <strong>Regione</strong> Veneto]<br />

Buonasera. Nel nostro corso di formazione il fenomeno <strong>del</strong>la tratta <strong>del</strong>le<br />

donne da avviare alla prostituzione lo abbiamo esaminato innanzitutto come<br />

un fenomeno sociale nelle sue radici internazionali e locali. In secondo luogo,<br />

lo abbiamo esaminato come un fenomeno contro cui agire, contro cui collegare,<br />

unire un insieme di forze per ottenere dei risultati efficaci. Come<br />

fenomeno sociale lo abbiamo ricollegato al più ampio fenomeno <strong>del</strong>le<br />

migrazioni internazionali, pur sapendo che questo fenomeno ne rappresenta<br />

solo un modesto aspetto. Abbiamo voluto inquadrare il fenomeno tratta nel<br />

fenomeno più generale <strong>del</strong>le migrazioni, per contrastare una logica che<br />

ancora oggi è molto presente nella rappresentazione pubblica dei fenomeni<br />

migratori, che io definirei emergenziale, e abbiamo, anche in modo molto<br />

chiaro e spero molto semplice, spiegato il carattere strutturale, permanente,<br />

di lungo periodo <strong>del</strong>le migrazioni internazionali. Queste migrazioni sono, fondamentalmente,<br />

migrazioni forzate: non si emigra mai in libera, spontanea e<br />

allegra volontà. Emigrare costa sempre, in termini materiali, spirituali,<br />

affettivi. È un’esperienza comunque dura. Doppiamente dura e doppiamente<br />

coatta è l’esperienza <strong>del</strong>le donne oggetto, vittime di tratta. Per passare dal<br />

fenomeno complessivo <strong>del</strong>le migrazioni internazionali al fenomeno specifico,<br />

limitato sebbene in espansione, <strong>del</strong>le donne trattate da avviare alla prostituzione<br />

abbiamo considerato due anelli di congiunzione: il primo è dato dalle<br />

migrazioni femminili, il secondo dalle migrazioni dall’est Europa.<br />

Abbiamo svolto un ragionamento d’insieme, un ragionamento panoramico<br />

sulle caratteristiche <strong>del</strong>le migrazioni femminili e sulle caratteristiche <strong>del</strong>le<br />

migrazioni dall’est.Mancava un ulteriore anello di collegamento costituito,mi<br />

riferisco qui alla situazione internazionale, dalle grandi organizzazioni criminali.<br />

Per evitare che si pensi che questo fenomeno internazionale è dovuto<br />

semplicemente a singoli protettori, a singoli sfruttatori o a singoli schiavizzatori,<br />

abbiamo ragionato su quella che è oggi la dimensione reale <strong>del</strong>la criminalità<br />

organizzata, e con pochi dati essenziali abbiamo spiegato che costituisce<br />

il primo settore, complessivamente inteso, <strong>del</strong>l’economia mondiale,<br />

con un fatturato complessivo superiore all’industria <strong>del</strong> petrolio, a quella <strong>del</strong>l’elettronica<br />

o a quella automobilistica. Nel volere, e dovere, agire contro un<br />

fenomeno specifico come questo, bisogna tenere presente questo insieme di<br />

forze e di processi, non certo per attenuare la volontà e le possibilità <strong>del</strong>l’azione<br />

di contrasto, ma al contrario per spiegare quali sono le condizioni<br />

necessarie per svolgere un’efficace azione di contrasto; abbiamo, cioè,


fondato la necessità di un’azione combinata, preventiva e repressiva, sociale<br />

e di sicurezza, esattamente nella natura stessa di questo fenomeno. Non<br />

l’abbiamo presentata, questa che viene chiamata azione di rete, necessità di<br />

combinazione organica di forze, come qualcosa che discende da principi<br />

deontologici o di buona funzionalità <strong>del</strong>l’amministrazione pubblica; c’è evidentemente<br />

anche questo, ma abbiamo cercato di spiegare il perché essa sia<br />

indispensabile di fronte ad un fenomeno che ha queste radici e vede protagoniste<br />

<strong>del</strong>le forze organizzate di ampia portata, con dietro di sé, disgraziatamente,<br />

una disuguaglianza di sviluppo che di continuo alimenta processi<br />

migratori su larga scala.<br />

Abbiamo puntato, già sin dalla prima parte <strong>del</strong> nostro lavoro di formazione,<br />

sulla necessità di un certo tipo di azione di contrasto. Siamo poi passati ad<br />

indagare un po’ più nel dettaglio il tipo di relazione esistente tra la donna<br />

vittima di tratta e i soggetti organizzatori, sfruttatori <strong>del</strong>la tratta, ed abbiamo<br />

naturalmente indagato sia gli aspetti criminali in senso letterale,sia gli aspetti<br />

relazionali, perché dall’inizio alla fine <strong>del</strong> nostro ragionamento abbiamo<br />

messo al centro <strong>del</strong>la riflessione e <strong>del</strong>l’intervento la donna vittima di tratta: il<br />

soggetto primo <strong>del</strong>l’analisi e <strong>del</strong>la risposta nell’ottica da noi suggerita,<br />

discussa, condivisa, compartecipata. Ci siamo occupati <strong>del</strong>la legislazione<br />

internazionale, <strong>del</strong>la legislazione interna e dei diversi poteri ed organi <strong>del</strong>lo<br />

Stato che vengono abitualmente coinvolti in questa vicenda, e lo abbiamo<br />

fatto chiamando in causa i differenti protagonisti di questa azione.I primi protagonisti<br />

erano presenti nel corso,e cioè gli stessi operatori <strong>del</strong>la sicurezza; ne<br />

abbiamo chiamati altri <strong>del</strong>le diverse forze che intervengono in questo campo,<br />

dalla Magistratura fino all’Arma dei Carabinieri, dalla Polizia alle organizzazioni<br />

<strong>del</strong> Volontariato, perché ci è sembrato ovvio coinvolgere in questa<br />

riflessione i protagonisti dei due bracci <strong>del</strong>l’intervento: quello repressivo e<br />

quello recuperativo. In questo contesto, per certi versi ovvio, ci siamo sforzati<br />

di ragionare anche su dei momenti specifici su cui si è aperto il dibattito, ad<br />

esempio sull’applicazione <strong>del</strong>lo strumento <strong>del</strong>la retata, quali ne siano le conseguenze<br />

e gli effetti, o sull’applicazione <strong>del</strong>l’art. 18 come possibilità e<br />

strumento di azione.<br />

In questa esperienza formativa, che è stata, direi, molto vivace, nonostante i<br />

problemi legati ai turni di lavoro di alcuni dei partecipanti al corso, abbiamo<br />

messo in moto fin dall’inizio un processo di confronto, di compartecipazione<br />

dei corsisti che si è intersecato con l’apporto didattico,anche attraverso lezioni<br />

frontali, di chi ha studiato a fondo determinati fenomeni. In questo modo è<br />

stato sollecitata, nei corsiti, una rielaborazione <strong>del</strong>la propria esperienza nel<br />

senso di andare al di là <strong>del</strong>la propria esperienza particolare di città, di corpo e<br />

di nazione. A questo in particolare è servito, all’interno <strong>del</strong> corso, lo stage<br />

rivolto a persone impegnate quotidianamente e intensamente sul campo;<br />

15


16<br />

uno stage che i corsisti hanno svolto con la finalità di migliorare le proprie<br />

capacità operative facendo tesoro anche <strong>del</strong>l’ampliamento <strong>del</strong>le conoscenze<br />

reso possibile dalla partecipazione al corso; un lavoro guidato nelle sue caratteristiche<br />

generali, ma lasciato fondamentalmente alla gestione diretta di<br />

ciascun partecipante, in cui rielaborare l’esperienza ritornando ad analizzare<br />

il proprio territorio d’intervento e a ragionare su come su questo territorio,<br />

vedendo nel particolare l’universale, si manifesta il fenomeno-tratta <strong>del</strong>le<br />

donne <strong>del</strong>l’est, come si trasforma e come si è cercato di contrastarlo. Il<br />

materiale, le relazioni di stage, sono risultate di particolare interesse ed ora si<br />

tratterà in parte di riordinare questo materiale, poiché crediamo possa essere<br />

già ora, nella sua natura ancora grezza ma non troppo, pubblicato e messo a<br />

disposizione <strong>del</strong> futuro corso.<br />

Se ho dimenticato qualcosa, lo possiamo recuperare nella discussione. Mi<br />

sento in una parte piuttosto impropria, nel senso che i soggetti protagonisti di<br />

questo corso siamo stati certamente noi che lo abbiamo programmato, ma,<br />

almeno nella stessa proporzione,i corsisti che lo hanno frequentato e animato.<br />

Direi che abbiamo pari titoli, se proprio vogliamo parlare in giuridichese, per<br />

ragionare sul senso e anche sui risultati provvisori di questo corso. Probabilmente,uno<br />

dei risultati più interessanti di questo corso è stata la richiesta di<br />

partecipare tutti al secondo livello <strong>del</strong> processo di formazione insito nel<br />

progetto W.E.S.T. Una richiesta che è legata alla aspettativa che sta maturando<br />

e che si è andata chiarendo nel tempo, di potere intersecare, intrecciare, combinare<br />

le forze degli operatori sociali e degli operatori <strong>del</strong>la sicurezza per<br />

ottenere un risultato più efficace. Da questo punto di vista mi sembra di dover<br />

dire solo un’ultima cosa,e cioè che è emersa,sia dal corso che dal dibattito che<br />

collateralmente si è sviluppato adesso, l’esigenza di intervenire presto contro<br />

questo fenomeno,cioè di non consentire,per quanto è possibile,che nelle varie<br />

situazioni locali esso si radichi, perché questo fenomeno sfigura le vittime, e<br />

quando le vittime di questo fenomeno sono profondamente sfigurate,la riconquista<br />

<strong>del</strong>la loro energia, <strong>del</strong>la loro passione di vivere e <strong>del</strong>le loro migliori<br />

qualità ad una vita sociale sana, è molto complicato.<br />

Credo quindi che il messaggio complessivo,la spinta che è venuta dalla nostra<br />

riflessione d’insieme è: non solo combiniamo le forze, ma combiniamole per<br />

un’azione che si sposti il più possibile risalendo alle fasi iniziali di questo<br />

processo per disattivarlo il prima possibile. Direi che ci siamo trovati di fronte<br />

alla constatazione che disgraziatamente esso sembra ampliarsi, però<br />

abbiamo anche rilevato che si sta ampliando e rafforzando la coscienza di<br />

doverlo contrastare. In questo senso io ritengo che possiamo parlare <strong>del</strong>l’avvio<br />

di Progetto W.E.S.T, per quello che ho potuto vedere, come di un<br />

segnale positivo di volere effettivamente agire con energia contro questo<br />

fenomeno.


Elvio Raffaello Martini<br />

Il mio compito è presentare il corso realizzato con gli operatori sociali e lo<br />

farò descrivendo solo alcuni aspetti di carattere organizzativo e metodologico,<br />

lasciando poi alle persone che hanno partecipato,nella seconda fase dei lavori<br />

di oggi, il compito di dire la loro esperienza e le loro riflessioni.<br />

Anche noi abbiamo fatto un percorso di formazione di 100 ore in aula e di 60<br />

ore di project work. Sono state coinvolte nel percorso formativo 50 persone<br />

provenenti da realtà diverse – dall’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, dal Veneto, dalla Lombardia,<br />

dalle Marche, dall’Abruzzo, dal Trentino Alto Adige, dal Friuli Venezia<br />

Giulia e dall’Umbria. Sono stati presenti inoltre i rappresentanti dei due<br />

partner stranieri, l’Austria e l’Albania.<br />

La frequenza è stata costantemente molto elevata, anche se il corso è stato<br />

molto impegnativo,si è trattato infatti di quattro moduli di tre giornate ed uno<br />

di quattro giornate.<br />

Il percorso aveva come obiettivo quello di fornire strumenti utili a progettare<br />

azioni tendenti a contrastare il fenomeno <strong>del</strong>la tratta e <strong>del</strong>lo sfruttamento<br />

sessuale a persone che erano impegnate in questo tipo di lavoro.<br />

Fin dall’inizio abbiamo ritenuto importante valorizzare le competenze e le<br />

esperienze che le persone avevano già maturato in contesti diversi.Per questa<br />

ragione abbiamo impostato il percorso formativo basandolo poco sulle lezioni<br />

frontali e molto su un confronto attivo per raccogliere, utilizzare e valorizzare<br />

le competenze <strong>del</strong>le persone. Abbiamo pertanto utilizzato una metodologia<br />

basata sulla ricerca-azione partecipata, alternando costantemente momenti<br />

di piccolo gruppo e momenti di plenaria. Abbiamo creato occasioni per la<br />

valorizzazione dei project work e per lo scambio di esperienze. Nel corso<br />

abbiamo parlato anche noi <strong>del</strong>la tratta, sottolineando che è un fenomeno in<br />

rapida trasformazione, per cui se è importante descriverlo oggi, assai più<br />

importante appare avere strumenti e chiavi di lettura per poterlo leggere nel<br />

suo trasformarsi. Abbiamo poi passato in rassegna le normative adottate da<br />

alcuni paesi europei per contrastare questo fenomeno.<br />

Poi siamo passati alla progettualità. Queste conoscenze per noi erano<br />

importanti, però quello che interessava era accrescere le possibilità <strong>del</strong>le<br />

persone di realizzare interventi, azioni e progetti per contrastare questo<br />

fenomeno.<br />

Un intero modulo, tra l’altro il più lungo, è stato dedicato a mettere a fuoco il<br />

passaggio dal problema al progetto. Anche in questa occasione abbiamo<br />

trovato riconfermato che progetti di questa natura possono essere sviluppati<br />

unicamente se si lavora in rete.<br />

Per questa ragione abbiamo dedicato un intero modulo alla filosofia <strong>del</strong><br />

lavoro di rete,e ci siamo occupati in modo particolare <strong>del</strong>la collaborazione che<br />

è possibile realizzare tra i diversi attori che su un territorio, con competenze<br />

17


18<br />

diverse, responsabilità diverse, strumenti diversi, agiscono per contrastare<br />

questo preoccupante fenomeno. Abbiamo lavorato molto sul tema <strong>del</strong>la collaborazione<br />

e <strong>del</strong>la rete. Ed è stato proprio in questa occasione che gli operatori<br />

sociali hanno espresso chiaramente l’esigenza di avere dei momenti di<br />

contatto, di comunicazione, di confronto e di scambio con gli operatori <strong>del</strong>la<br />

sicurezza.<br />

Sono state peraltro raccontate esperienze significative di collaborazione con<br />

le forze <strong>del</strong>l’ordine,ma sono stati riportati anche problemi di comunicazione.<br />

Infine abbiamo preso visione di alcuni progetti realizzati dai partner <strong>del</strong><br />

progetto W.E.S.T., come esempi possibili di buone prassi di lavoro di rete.<br />

Attraverso il project work, i corsisti hanno trasportato sul loro territorio la problematica<br />

<strong>del</strong>la quale ci si occupava in aula. Hanno così provato ad affrontare<br />

il problema <strong>del</strong>la tratta nel loro contesto di appartenenza ed hanno cercato di<br />

fare un’analisi di questo fenomeno calato nella dimensione locale. Hanno<br />

provato ad identificare nei diversi territori i soggetti che attualmente<br />

agiscono, fanno degli interventi o che potrebbero eventualmente farli, e<br />

hanno anche ipotizzato un intervento da realizzare nel proprio territorio<br />

insieme agli altri attori <strong>del</strong>la rete.<br />

Questo è un po’il percorso che abbiamo fatto.<br />

Nella gestione <strong>del</strong>l’attività didattica abbiamo scelto di utilizzare una metodologia<br />

attiva, con poche lezioni frontali e il contributo di docenti esperti di<br />

contenuto in ciascuno dei cinque moduli è stato calibrato e volutamente<br />

limitato. La parte prevalente <strong>del</strong> lavoro è stata fatta dai partecipanti stessi.<br />

La presenza nel gruppo di partecipanti stranieri che non conoscevano l’italiano<br />

è stata ad un tempo un problema e una risorsa. La possibilità di<br />

attivare un gruppo in inglese ha risolto il problema e ci ha messo in condizione<br />

di riflettere sui problemi di comunicazione. L’organizzazione che ci<br />

siamo dati e il costante impiego <strong>del</strong>la metodologia attiva ha permesso un<br />

elevato livello di partecipazione e di coinvolgimento. Percorsi di formazione<br />

come questo non si costruiscono perché ci sono bravi docenti (anche se i bravi<br />

docenti sono una parte importante) ma si costruiscono quando c’è un’elevata<br />

partecipazione, quando c’è una motivazione molto forte, quando c’è un buon<br />

clima tra le persone, quando c’è comprensione <strong>del</strong> senso di quello che si sta<br />

dicendo e facendo. E questo è ciò che è successo. Queste più o meno le cose<br />

che io volevo dirvi per il percorso di formazione per gli operatori sociali.<br />

Poiché siete presenti, i partecipanti ai due percorsi di formazione sommariamente<br />

descritti, la parola a voi perché possiate confrontarvi sulla base<br />

<strong>del</strong>la vostra esperienza.


Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Quello che mi preme sottolineare è che solo 50 persone fra noi potranno<br />

seguire il prossimo percorso. Questo crea un enorme problema, lo dico con<br />

tutta sincerità,perché ognuno di noi è fortemente motivato a proseguire nella<br />

formazione. Io parlo per le forze <strong>del</strong>l’ordine che hanno visto il percorso come<br />

stimolo per affrontare il loro lavoro in un’altra maniera, analizzando il<br />

fenomeno anche sotto il profilo <strong>del</strong>le cause. Sinceramente, le riflessioni che<br />

facevo prima non sono certamente quelle che faccio oggi... Se poi dobbiamo<br />

lavorare in simbiosi, mi chiedo perché alcuni di noi non possano avere possibilità<br />

di accesso alla formazione.<br />

Io vengo da una realtà come quella di Rimini dove c’è stato un momento in<br />

cui il fenomeno era gravissimo. A Rimini venivano sulle passeggiate solo per<br />

andare a vedere la varietà di donne che c’erano in strada. Oggi è vero che il<br />

fenomeno ha assunto sicuramente altre dimensioni, non ci sono più, come<br />

prima, donne in strada. Ma, comunque, il problema esiste lo stesso.<br />

Con questo corso ho imparato a conoscere il problema,a cercare strategie per<br />

aiutare le donne con le quali entro in contatto, a trovare percorsi per aiutarle.<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

Io proporrei di discutere la questione che lei segnala subito dopo l’attività<br />

che vi presento.<br />

Come avete visto, vi abbiamo dato <strong>del</strong>le coccarde di colore diverso, oro e<br />

argento. È stato un gentile pensiero di Francesca. 2 Ora dovreste cercare<br />

qualcuno che ha la coccarda <strong>del</strong> colore diverso dal vostro, qualcuno che non<br />

conoscete, con cui avete la possibilità di scambiarvi informazioni per un<br />

quarto d’ora, venti minuti, stando seduti dove siete o andando dove volete.<br />

So che questa attività destabilizza un po’, ma risponde al vostro desiderio di<br />

scambio. Quando poi ci ritroveremo tutti insieme in questa aula potremo raccontarci<br />

le domande che vi siete fatti e le informazioni che avete avuto. Utilizziamo<br />

questa attività come se fosse una indagine in tempo reale fra noi.<br />

Elvio Raffaello Martini [riprende i lavori dopo la pausa/confronto a coppie]<br />

Ho visto che c’è stata una qualche difficoltà iniziale a creare l’occasione di<br />

incontro fra i presenti.Non è partito immediatamente la scambio.Ho visto che<br />

si sono create pochissime coppie. Qualcuno è rimasto fuori. Probabilmente al<br />

di là <strong>del</strong>la motivazione e <strong>del</strong>l’interesse, forse c’è bisogno di più tempo e di<br />

contatti in luoghi meno artificiali. Però ho osservato che alla fine avete<br />

cominciato a parlare.<br />

Vorremmo ora provare a raccogliere da voi osservazioni,riflessioni e,se avete<br />

2 Francesca Fabi, tutor <strong>del</strong> corso di primo livello per operatori sociali.<br />

19


20<br />

voglia, potremmo mettere in comune non solo l’esperienza <strong>del</strong> percorso formativo,<br />

ma anche ciò che vi siete detti nel colloquio: domande che vi siete<br />

fatti, e risposte che avete registrato. Abbiamo un’ ora di tempo per discutere<br />

in maniera libera <strong>del</strong>le cose e per portare la propria esperienza e le proprie<br />

riflessioni. Chi vuole cominciare?<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Io mi chiamo G. Ho parlato con S., lei fa parte <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine di<br />

Rimini, direi polizia municipale. Io, devo essere sincero, sono uno dei pochi<br />

qua,forse l’unico operatore sociale,che ha fatto parte <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine.<br />

Adesso non ne faccio più parte da tanti anni, ma sono stato formato come<br />

sott’ufficiale dei Carabinieri e di conseguenza credo di far parte anch’io <strong>del</strong>le<br />

forze <strong>del</strong>l’ordine come struttura mentale. Da secoli ormai vivo fuori da<br />

questo sistema e devo ammettere che la mia fiducia verso le forze <strong>del</strong>l’ordine,<br />

dal punto di vista di avvicinamento alle problematiche sociali, è<br />

vicino allo zero, in quanto l’esperienza che ho maturato in questi anni<br />

diciamo che non è stata sempre molto positiva. Eccezionalmente è andata<br />

bene, ma è l’eccezione che conferma la regola. Inizialmente ho visto questo<br />

tipo di corso per gli operatori <strong>del</strong>la sicurezza come uno dei tanti modi per gli<br />

operatori, guardate che sono molto sincero, per prendere la trasferta. Mi<br />

sono reso conto, invece, parlando con altre persone – <strong>del</strong> nostro osservatorio<br />

veneto sulla prostituzione – che questo non è stato e che la partecipazione<br />

degli operatori <strong>del</strong>la sicurezza è stata veramente una partecipazione attiva e<br />

funzionale. Parlando con lei ne ho avuto l’ennesima conferma, perché mi ha<br />

detto che il corso non ha risvegliato, piuttosto ha accresciuto il desiderio di<br />

vivere il sociale in maniera più vera, più sentita, utilizzando quei mezzi che la<br />

struttura pubblica ha; mezzi che noi, che veniamo da un settore privato no<br />

profit o <strong>del</strong> volontariato, non abbiamo. Io ringrazio per quello che mi ha<br />

detto. Mi piace, sono contento, spero che anche gli altri abbiano avuto la<br />

stessa idea... se fosse così vi dico grazie... abbiamo bisogno di gente come<br />

voi nelle strutture pubbliche, per lavorare insieme e probabilmente anche<br />

per risvegliare, come ho detto, tutti quelli che, invece, non lo fanno. Spesso<br />

la struttura pubblica non ragiona in termini di collaborazione sociale, per cui<br />

ben venga la continuazione di questi incontri per confrontarci e per<br />

cominciare a modificare qualche cosa. Io credo che sia veramente<br />

importante. Ripeto però, e scusatemi se lo ripeto, che ho paura che questa<br />

mentalità, che voi dimostrate di avere, non sia molto diffusa... almeno nelle<br />

mie zone, credetemi, non lo è.<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

Qualche operatore <strong>del</strong>la sicurezza vuole replicare? Vuole farlo lei?


Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Noi abbiamo appreso cose che non conoscevamo o che soltanto alcuni<br />

di noi conoscevano. Ci sono i colleghi di Modena che è da anni che fanno<br />

questo tipo di lavoro. Inoltre, non si tratta di un’esperienza fatta solo dalle<br />

polizie municipali. Anche i colleghi <strong>del</strong>la Polizia di Stato e dei Carabinieri, in<br />

cui abbiamo percepito un’importante voglia di sociale, hanno fatto queste<br />

esperienze.Noi operatori <strong>del</strong>la sicurezza siamo divisi. Le polizie in Italia sono<br />

sette, quindi, un’enormità: Carabinieri, Polizia, più tutta una lunga serie. Noi<br />

siamo l’ultimo anello <strong>del</strong>la catena: le polizie locali. Noi siamo sempre stati<br />

più vicini al sociale degli altri,però abbiamo avuto dei colleghi di Padova che<br />

hanno partecipato intensamente al corso. Erano sempre presenti e siamo<br />

diventati amici di queste persone. Il corso ha messo in evidenza che anche<br />

tra Polizia e Carabinieri c’è un risveglio verso il sociale, cioè ci sono <strong>del</strong>le<br />

persone impegnate prima socialmente che professionalmente e penso che<br />

sia diffuso. È strano che trentaquattro persone, che si sono incontrate nel<br />

corso, abbiano questo intendimento sociale. Probabilmente si tratta di un<br />

qualcosa che ormai è diffuso tra le forze di polizia, compresi i Carabinieri e la<br />

Polizia di Stato.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Volevo aggiungere una cosa. Io mi sono confrontata con G. Quello che mi<br />

ha piacevolmente sorpresa è che parlando di alcune esperienze è rimasto<br />

colpito, ha manifestato il suo apprezzamento. Al che io ho detto: guarda che è<br />

normale! Quando si verificano certi fatti, forse diventiamo più sensibili di un<br />

operatore sociale. Quando hai a che fare tutti i giorni con determinate<br />

situazioni – spesso di una certa gravità – con persone senza scrupoli, trovarsi<br />

di fronte ad una persona che, invece, ha una sofferenza, un passato pesante,<br />

ci coinvolge maggiormente, siamo più pronti ad aiutare. In noi prevale sicuramente<br />

l’aspetto umano, tanto che certe confidenze che ci vengono fatte e<br />

che potrebbero essere usate contro di loro, a volte ce le teniamo per noi.<br />

Anche se non potremmo, lo facciamo.<br />

Come dicevo prima, riuscire a capire perché queste cose avvengono ci aiuta<br />

ad essere più sensibili. A tal proposito, Pietro Basso è stato bravissimo a trasmetterci<br />

l’attenzione verso il sociale... è vero che in noi c’era già “qualcosa”,<br />

ma non c’era la base culturale. Questo è un aspetto sul quale ci siamo confrontati.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Sono stato ad ascoltare proprio adesso alcuni colleghi con la coccarda<br />

d’oro (operatori sociali) e ho fatto un pensiero.Molto brevemente: ci sono <strong>del</strong>le<br />

realtà che su questo argomento, cioè il contrasto allo smuggling e al traf-<br />

21


22<br />

ficking, sono particolarmente avanzate. Abbiamo, infatti, Comuni che hanno<br />

una Polizia municipale molto attrezzata. Credo di non dire nulla di nuovo<br />

dicendo che Modena, io sono di Padova, è avanti non uno, ma dieci passi. Però<br />

ho notato che le stesse situazioni esistono anche nei corpi di Polizia <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Pare impossibile che all’interno di uno stesso contesto e di un’unità nazionale<br />

vi siano <strong>del</strong>le realtà, anche vicine, che attivano trattamenti diversi. Mi stupisce<br />

soprattutto la diversità di trattamento fra questura e questura, fra squadra<br />

mobile e squadra mobile. Ho un’esperienza molto vicina <strong>del</strong>la Polizia municipale,<br />

per vent’anni sono stato un funzionario <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>la Grazia e nel<br />

momento in cui me ne sono andato ero il Cancelliere Capo <strong>del</strong>la Procura.<br />

Quindi, voglio dire, che qualche esperienza di forza di polizia forse l’ho.<br />

Tuttavia continuo a stupirmi per le differenze di trattamento. Credo che<br />

sarebbe veramente opportuno che ci fossero dei protocolli comuni, quantomeno<br />

minimi.Poi,è chiaro che le cose le fanno gli uomini e come tali le conducono<br />

a seconda <strong>del</strong>la loro umanità, <strong>del</strong>la loro capacità, <strong>del</strong>la loro interpretazione<br />

<strong>del</strong> problema. Mi pare impossibile che non ci siano dei protocolli d’intervento<br />

a cui uniformarsi. Le leggi bene o male su questi argomenti le conosciamo<br />

un po’ tutti, ma servono dei protocolli. Credo veramente che a questi<br />

incontri dovrebbero, qualche volta, partecipare anche i vertici ministeriali e i<br />

responsabili. Mi pare francamente riduttivo che, nel 2004, non riusciamo, in<br />

una nazione che si picca di essere parte integrante <strong>del</strong>la Unione Europea, ad<br />

avere comportamenti che siano univoci nel territorio nazionale. Grazie,<br />

scusate <strong>del</strong>la lunghezza.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Volevo collegarmi a quello che diceva lui prima,sono convinto anch’io che<br />

sarebbe giusto e logico che ci fossero dei protocolli operativi ben <strong>del</strong>ineati. In<br />

realtà qualcosa c’è; noi, per esempio, in <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, abbiamo un<br />

accordo Stato-<strong>Regione</strong> che prevede una serie di misure che dovrebbero<br />

favorire l’integrazione tra le varie forze di polizia. Ci sono protocolli e ci sono<br />

accordi, ma in realtà le cose funzionano solo se le persone, insieme, decidono<br />

di voler lavorare in una certa maniera. Si parla tanto di Modena, Modena è<br />

una realtà dove quattro figure, ossia la Polizia municipale, la Squadra Mobile,<br />

i Servizi sociali <strong>del</strong> Comune e il cosiddetto terzo settore hanno deciso di incominciare<br />

a lavorare insieme e di risolvere un primo grosso problema: quello<br />

di non conoscersi.Il grosso handicap che si ha quando si parla di servizi di rete<br />

e di collaborazione è che quando non si conosce il mandato istituzionale <strong>del</strong>l’altro,<br />

il perché l’altro deve lavorare in una certa maniera e adottare certe<br />

procedure, fino a che punto può arrivare l’altro etc., la collaborazione non ci<br />

può essere. Nel momento in cui c’è questa chiarezza, io sono convinto che si<br />

possano superare tutte le difficoltà anche quelle di tipo istituzionale. Infatti,


quando non hai una norma che ti appoggia se lavori in strada, l’idea ti viene<br />

comunque e trovi anche i modi di superare i cavilli.<br />

Adesso passerei la parola a coloro che hanno l’altra coccarda.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Voleva in primo luogo dire che lui ha partecipato al corso di Padova, testimoniare<br />

<strong>del</strong>la bontà <strong>del</strong> corso e dire, infine, quanto abbia trovato utile<br />

lavorare fianco a fianco con altri rappresentanti <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine, ma<br />

anche con assistenti sociali. Lui spera anche che vi possiate ritrovare tutti e di<br />

incontrarvi tutti insieme per un seminario a Salisburgo, in occasione dei mercatini<br />

natalizi. [traduzione interprete]<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

C’era un invito a sentire anche gli operatori <strong>del</strong> sociale, che numericamente<br />

sono tanti.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Intanto volevo rassicurare tutti gli operatori sociali che sono qui, siamo<br />

meno di venticinque se ho contato bene, quindi parteciperemo tutti quanti al<br />

corso di formazione. È stato bello potersi incontrare e confrontarsi con le<br />

persone che vivono questa problematica. Noi che viviamo sulla via <strong>Emilia</strong> ci<br />

siamo raccontati degli aneddoti, ci siamo detti: “ma sai quella ragazza che era<br />

lì, la sono andata a prendere io, te l’ho mandata io”,“Ma dai?!”. Quindi cose<br />

che in realtà prima non si conoscevano, anche se lavoriamo un po’tutti quanti<br />

su quelle strade. A volte il rischio è proprio quello di incrociarsi, ma di non<br />

incontrarsi mai.Quando facevo l’unità di strada,ad esempio,mi è capitato più<br />

volte di rimanere perplesso di fronte ad alcune situazioni. Ho incrociato, per<br />

esempio, pattuglie che mi dicevano: “sai l’altra sera abbiamo incontrato una<br />

ragazza, l’avevano picchiata ma non sappiamo chi chiamare in queste<br />

occasioni”. Oppure quella volta che mi hanno chiamato dall’aeroporto<br />

dicendomi che c’era una ragazza che stava seduta lì da due giorni e che voleva<br />

tornare in Nigeria. Ho chiesto se la potevano trattenere per un paio d’ore...<br />

Sono andato sul posto, dopo un paio d’ore, ho chiesto dov’era la ragazza... mi<br />

hanno risposto che era andata via.<br />

Per questo è importante proprio capire i reciproci ruoli e ringrazio, quindi, chi<br />

ha avuto l’idea di unire questi due corsi di formazione. Penso davvero che sia<br />

importante per noi che lavoriamo in questo campo. Grazie.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

So che molti mi stanno guardando, e si chiedono parlerà o non parlerà e<br />

io parlo. Io parlo perché un operatore sociale ha parlato <strong>del</strong>la Nigeria, perché<br />

23


24<br />

io sono nigeriana. Prima di tutto vorrei sapere se qua c’è una persona o <strong>del</strong>la<br />

Polizia municipale o dei Carabinieri o così via <strong>del</strong>le Marche, perché io sono<br />

stata mandata dalla <strong>Regione</strong> Marche, essendo Presidente <strong>del</strong>l’associazione<br />

Donna Sub-Sahariana, a livello nazionale. Porto, inoltre, il messaggio dei<br />

membri <strong>del</strong>la mia Associazione. I membri, che sono di varie nazionalità<br />

africane, hanno chiesto se farete qualche cosa anche per il sud <strong>del</strong> mondo o<br />

solamente per l’est. Io non posso dare a loro una risposta. Siccome quando si<br />

cominciano ad elencare le prostitute si dice subito “nigeriane”, mentre non<br />

sento mai dire “croate”, aspettiamo una risposta.<br />

Un’altra cosa è questa,sentendo uno di Modena che si dice contento di essere<br />

tutti insieme, che si aspetta che sia una cosa in uso a livello nazionale. Mi<br />

dispiace, ma io sono convinta che non ci sarà mai, perché con il federalismo<br />

non ci si riuscirà mai, perché si vede un Comune adoperarsi in un modo, il<br />

Comune vicino fare in un altro modo ancora. Come si riuscirà con il federalismo<br />

ad arrivare a questo... ma si spera! Poi la parte bella, che volevo<br />

restituire al professore che ci ha fatto il corso [quello per operatori sociali], è<br />

che la <strong>Regione</strong> Marche ha l’intenzione di ascoltare un po’le donne immigrate,<br />

proprio le donne. Ha chiesto a noi <strong>del</strong>l’associazione ACAPS, di coordinare le<br />

attività che riguardano le donne immigrate e tra queste il progetto, il progettino,<br />

che abbiamo fatto per il corso. Il progetto l’abbiamo intitolato l’Eco,<br />

Eco helps. L’abbiamo pensato per affrontare una questione, perché abbiamo<br />

visto che tra unità di strada e l’art. 18, c’è un vuoto. Che vuoto c’è? La parte<br />

etnica,la parte psicologica.La parte etnica riguarda la questione che le donne<br />

africane non vengono mai usate per lavorare, se non raramente, permanentemente<br />

dentro l’unità di strada.Vengono interpellate una volta ogni tanto<br />

perché c’è una ragazza che non parla la lingua. Vogliamo svolgere l’attività<br />

intermediaria per aiutare l’unità di strada, per cominciare a trattare l’argomento<br />

– partendo dai villaggi nostri – nelle scuole,nelle chiese,nei mercati<br />

e per essere cittadini attivi sulla questione. Questa è una piccola parte, non è<br />

l’unica cosa che vogliamo fare. Questo è quello che volevo dirvi. Grazie.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

A me fa piacere veramente incontrarci tutti insieme e ragionare insieme.<br />

Capisco e percepisco la vostra disponibilità,come mi auguro voi percepiate la<br />

nostra, non c’è nessuna prevenzione, anzi, c’è il desiderio di conoscervi e di<br />

lavorare insieme, però vorrei che mi spiegaste una cosa. Un vostro collega<br />

giustamente ha detto “come mai ci sono differenze così notevoli fra questura<br />

e questura”. Il responsabile <strong>del</strong>la Polizia che era a Rimini e che ha determinato,<br />

insieme a tutta la struttura sociale, la pulizia <strong>del</strong>la prostituzione da<br />

Rimini andando via da Rimini è andato a Pordenone. Perché non ha fatto lo<br />

stesso lì? Perché a Pordenone non è successo quello che è successo a Rimini?


Questo non significa che lì non ci siano le stesse strutture sociali, perché in<br />

effetti ci sono. Quindi vuol dire che c’è un problema a monte. Io lavoro nella<br />

provincia di Treviso,non sono ancora riuscito a farmi dare un articolo 18,mai.<br />

Le persone le teniamo in modo totalmente volontaristico,non ci sono affidate<br />

attraverso l’art.18 e,quindi,le teniamo senza contributi da parte <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Vengono mantenute dalla Caritas, di cui qui c’è un’esponente. Riesco a<br />

lavorare abbastanza bene con l’Arma dei Carabinieri di Conegliano, perché<br />

sono un ex carabiniere, di conseguenza con loro riesco ad avere dei rapporti<br />

personali. Li conosco, con qualcuno ho fatto il corso assieme e allora<br />

lavoriamo insieme, ma non perché sono carabinieri, ma perché sono amici e<br />

perché sono esseri umani come siete voi che, pur appartenendo ad una forza<br />

<strong>del</strong>l’ordine, portate avanti prima l’umanità e dopo la divisa. Ma io sono<br />

stanco di trovare le divise sulla strada.Vi ripeto, non vi offendete, non voglio<br />

fare la parte <strong>del</strong> bravo,perché anche nelle strutture private,laiche,non profit,<br />

ci sono <strong>del</strong>le cose che non vanno e non parlo davvero perché penso di appartenere<br />

ad una categoria migliore.Vorrei davvero che ci mettessimo insieme,<br />

perché insieme possiamo anche dire qualche cosa a quelle persone che permettono<br />

che un questore a Rimini faccia una cosa e quando va a Pordenone<br />

non la faccia più, e possiamo cominciare davvero a impostare un lavoro<br />

insieme tra di noi, in maniera paritetica, senza arroganza reciproca, ma nell’interesse<br />

collettivo.Credo che sia possibile,per cui sarebbe molto bello continuare<br />

a stare insieme, ma non dimentichiamoci che di sopra, da qualche<br />

parte, c’è qualche cosa o qualcuno che non permette queste cose. Non lo so<br />

perché, ma è così, non siamo qui per parlare di partiti e di politica, me ne<br />

guardo bene,ma di fatto c’è un qualche cosa che impedisce a un questore che<br />

ha fatto un lavoro a Rimini in un determinato modo, di fare lo stesso tipo di<br />

lavoro in un’altra realtà provinciale. Credo che il vero problema sia questo e<br />

credo che noi dobbiamo cominciare a dare qualche risposta.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Volevo solo dire che il Questore che ha fatto bene a Rimini,forse,non l’ha<br />

fatto solo per merito suo, l’ha fatto per merito di un insieme di cose, cioè la<br />

risultante è sempre un insieme di forze che spingono da una parte o dall’altra.<br />

A Rimini si sono create le condizioni per cui c’è un Oreste Benzi, c’è la Polizia<br />

municipale che ha fatto tanto. I primi a fare le sanzioni per i clienti <strong>del</strong>le prostitute<br />

siamo stati noi,è stato il nostro dirigente a fare quell’ordinanza.Quindi<br />

quello che ha fatto quel Questore a Rimini è stata la risultante di una serie di<br />

spinte che arrivavano da una parte o dall’altra, dalla Polizia municipale, dal<br />

Sindaco, eccetera. Probabilmente dove è stato trasferito, a Pordenone, non<br />

c’erano le forze che convergevano in quella direzione, <strong>del</strong> resto questo è...<br />

[qui l’Operatore viene interrotto]<br />

25


26<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

[ A Rimini] C’era un altro fattore,c’era la volontà di debellare il fenomeno<br />

perché l’allarme sociale era altissimo. Noi avevamo tutti i giorni segnalazioni,<br />

denunce su questi fatti, per cui diciamo che la parte politica ha messo in moto<br />

il meccanismo. C’è stata proprio una volontà politica, espressa, aperta e<br />

popolare che ha anche “costretto”tutti ad agire. Molto probabilmente questa<br />

simbiosi non si è verificata a Pordenone.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Mi chiamo... vivo a Ponte Taro a Parma, abbiamo avuto l’opportunità di<br />

fare uscire quattro ragazze dalla strada. Il problema è che abbiamo avuto<br />

soltanto un percorso... Questo perché a Parma, tra l’associazione le forze <strong>del</strong>l’ordine<br />

o la Questura c’è sempre stata una barriera. Noi in diversi casi<br />

avremmo potuto fare di più, perché gli interlocutori diretti per le persone che<br />

vengono da determinate regioni siamo noi,perché all’inizio si rivolgono a noi<br />

per dire io voglio uscire dalla prostituzione o voglio uscire dalla tratta o dal<br />

maltrattamento. Non vanno direttamente dalla Polizia o da qualsiasi altra<br />

parte, ma vengono direttamente dalle sorelle o dai fratelli di provenienza<br />

dalla stessa zona, per cui se noi, che siamo qua da tanto tempo, potessimo<br />

avere una via diretta con la Questura o con la Polizia o con la Polizia municipale,<br />

questo aumenterebbe il numero <strong>del</strong>le persone che possono uscire<br />

dalla schiavitù sessuale. Quindi noi chiediamo soltanto una sorta di collaborazione<br />

con le autorità per potere trainare <strong>del</strong>le persone che hanno il desiderio<br />

di uscire da questa strada. Grazie.<br />

Pietro Basso<br />

Intervengo solo su due punti su cui mi sono sentito sollecitato da ciò che<br />

avete detto. Il primo che non abbiamo, forse io stesso non ho richiamato, è la<br />

questione dei clienti, perché in generale si tende a tacere che la domanda di<br />

prostituzione nasce dalla nostra società, e questo elemento non è così<br />

secondario,perché l’efficacia <strong>del</strong>l’intervento di contrasto è legata anche ad un<br />

processo, che per esempio localmente a Rimini si è determinato, di reazione<br />

più ampia di settori <strong>del</strong>la popolazione contro questo tipo di situazione; non<br />

solo perché dava fastidio, ma perché è un processo di degrado, di degrado<br />

<strong>del</strong>la vita di queste persone, di sfruttamento, di schiavitù, di sfiguramento di<br />

queste persone, ma anche di degrado <strong>del</strong>la vita sociale complessiva. Ed è<br />

importante, a questo proposito, se le comunità locali sono convinte, come<br />

molti sono convinti, che la malattia viene da fuori, oppure se si riescono a<br />

guardarsi con realismo allo specchio e a vedere che c’è una parte preponderante<br />

<strong>del</strong>la malattia che viene da dentro,che viene dalla nostra vita sociale.<br />

Se non c’è questo tipo di reazione, è difficile, per non dire impossibile, con-


trastare efficacemente questo fenomeno; già contrastarlo è difficile in sé, ma,<br />

appunto, diventa difficilissimo, se non impossibile, se non c’è una piena consapevolezza<br />

che la nostra società disgraziatamente produce una domanda di<br />

prostituzione. Questa è una prima riflessione, ed io credo che anche nel corso<br />

ulteriore bisognerà non tacere su questo aspetto.<br />

Secondo aspetto: abbiamo discusso anche nel nostro corso circa la molteplicità<br />

<strong>del</strong>le risposte – è molto interessante e intelligente il riferimento al federalismo<br />

che potrebbe ancora di più rendere confuso il quadro <strong>del</strong>le risposte -,<br />

però io ho cercato di dire, in conclusione <strong>del</strong> nostro corso, che sia gli operatori<br />

<strong>del</strong>la polizia, dei vari corpi <strong>del</strong>la pubblica sicurezza, sia gli operatori sociali<br />

possono essere protagonisti in quanto cittadini, perché se è vero che hanno<br />

<strong>del</strong>le funzioni determinate, è altrettanto vero che in queste funzioni determinate<br />

possono portare un principio di iniziativa, se esiste un quadro sociale e<br />

un quadro istituzionale che glielo consente, e noi abbiamo verificato che tutto<br />

sommato questo quadro almeno formale di intervento esiste, possono<br />

riempire questo quadro istituzionale (se c’è anche una spinta sociale convergente)<br />

con <strong>del</strong>le proprie iniziative. Non è inevitabile attendere istruzioni<br />

univoche, che sarebbero ottime; è anche possibile che questo frastagliamento<br />

di risposte si rovesci in qualcosa di positivo,nella produzione di esempi positivi<br />

alla fine abbiamo quasi dovuto evitare che si portasse sugli altari Modena, nel<br />

senso che l’esempio positivo ha catalizzato molto. Si può fare, e io credo che,<br />

pur con questi limiti, la possibilità di fare sia legata moltissimo al non mettere<br />

a freno questa tensione che si è manifestata anche come cittadini.<br />

Sino a qualche tempo fa tutto era all’insegna <strong>del</strong> “riduciamo il danno”; io<br />

credo che la filosofia di, semplicemente, ridurre e contenere il danno, è una<br />

filosofia che si è scontrata con la realtà invece di un fenomeno in espansione.<br />

Allora,quello che io ho visto avvenire all’interno <strong>del</strong> nostro stesso corso,è una<br />

consapevolezza che bisogna fare qualcosa in più, anche come presa di<br />

coscienza, che l’idea di un mero contenimento è un’idea che viene superata<br />

dai fatti che vedono un processo in allargamento.<br />

Per reagire efficacemente (questa è l’ultima mia considerazione, ma non è<br />

l’ultima in ordine di importanza, tutt’altro!) io concordo che ci vuole una<br />

maggiore unità d’intenti anche con le popolazioni immigrate, perché esse<br />

stesse sono colpite da questo tipo di fenomeno, anzi sono le prime ad essere<br />

colpite, e questo coinvolgimento, sino ad ora, non c’è stato nella misura<br />

dovuta. Sappiamo bene che ci sono persone immigrate che sfruttano la prostituzione,<br />

ma se questo è vero, io direi che è dieci volte vero che ci sono larghissimi<br />

strati <strong>del</strong>le popolazioni immigrate che vorrebbero contribuire attivamente<br />

a contrastare questo fenomeno. Allora, se c’è un problema di interazione<br />

tra servizi sociali e forze di sicurezza, c’è anche un problema di interazione<br />

tra le popolazioni locali e le popolazioni immigrate. In questo senso<br />

27


28<br />

credo che dovremmo completare il quadro degli attori che devono intervenire<br />

in questo processo di contrasto,perché così lo rendiamo più forte; ecco quanto<br />

mi avete sollecitato a dire.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Sono T., sono la referente aziendale per l’USL di Rimini, <strong>del</strong> progetto che<br />

si occupa <strong>del</strong>le presa in carico di donne che usufruiscono dei percorsi art.18, e<br />

mi sono sentita un po’ chiamata in causa da questi interventi di G., al quale<br />

l’intervento di Pietro Basso ha dato un respiro molto ampio. Io non entro nel<br />

merito <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>le ordinanze che il Comune di Rimini ha adottato nel<br />

1998, se non erro, e che sono il frutto sicuramente <strong>del</strong> convergere di un<br />

pensiero comune dall’Amministrazione comunale e <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine e<br />

anche di un’associazione molto presente ed attiva, che a sua volta gestisce un<br />

territorio <strong>del</strong>la nostra provincia, nei percorsi art.18. L’enfasi sul fatto che la<br />

prostituzione in strada, sulle nostre strade, non sia così visibile mi fa un po’<br />

temere che perdiamo di vista la complessità <strong>del</strong> fenomeno. Sul nostro territorio<br />

il progetto <strong>del</strong>l’Ente pubblico, per il quale io lavoro, agisce comunque<br />

sul mandato dei venti Comuni che fanno parte <strong>del</strong>la nostra Azienda e che<br />

hanno <strong>del</strong>egato le competenze sociali all’Azienda. Dal ’97 ad oggi le prese in<br />

carico sono state in costante aumento. In questo momento abbiamo circa 50<br />

donne in carico,donne che hanno già ottenuto il permesso per l’art.18,donne<br />

che sono in attesa di ottenerlo,donne che seguono dei percorsi di integrazione<br />

sociale in struttura di accoglienza o come presa in carico di tipo territoriale.<br />

Questo mi fa dire che non dobbiamo abbassare la guardia, probabilmente il<br />

fenomeno è mutevole e quindi non ci dobbiamo sentire troppo confortati dal<br />

fatto che non le vediamo più, perché ci sono, continuano a segnalarcele la<br />

Polizia,i Carabinieri.Le donne arrivano anche spontaneamente perché,fortunatamente,il<br />

passa-parola funziona.G.sarà molto invidioso,ma noi abbiamo<br />

sempre i permessi per gli art.18, là dove ci sono le condizioni la Questura li<br />

rilascia, sia che le donne denuncino, sia che le donne non denuncino. Ma,<br />

comunque,se ci sono i requisiti,il percorso puramente sociale viene accettato,<br />

quindi non dobbiamo abbassare la guardia e consolarci <strong>del</strong> fatto che sono<br />

meno visibili, perché la strada si è molto trasformata. Lo ho anticipato prima,<br />

a Rimini il problema oggi è maggiore di allora, allora sapevamo dove andare<br />

a vedere, a cercare, oggi purtroppo non è più così, primo perché sicuramente<br />

si è sviluppata una prostituzione di un certo livello all’interno degli appartamenti.<br />

Ogni tanto sulla stampa il problema emerge . Ci sono dei locali dove<br />

adesso va di moda la lap dance... Recentemente c’è stato un intervento che<br />

ha toccato proprio questo fenomeno. Le prostitute sono all’interno degli<br />

appartamenti, nei locali. Quelle che sono su strada, sono poche, pochissime,<br />

sono diventate dei camaleonti, perché si vestono in maniera molto castigata


a volte siamo molto più provocanti noi.Sono con i jeans,in abito normale,anzi<br />

addirittura con capi di abbigliamento di donne perfettamente castigate,<br />

donne di casa, casalinghe, normali. Hai difficoltà a riconoscerle. A volte mi<br />

sono chiesta come mai, perché quella macchina si è fermata proprio in corrispondenza<br />

di quella donna che a me non pare una prostituta. Nella mia<br />

relazione di stage,ho detto,“strano,sulla strada non c’è più niente”.Però se io<br />

guardo i dati di Oltre la Strada, 3 non solo anche i dati raccolti attraverso una<br />

verifica con Don Benzi, con la Comunità Papa Giovanni, con la Montetauro,<br />

con quelli di San Clemente, vedo che le ragazze ci sono... Allora devo dire che<br />

noi stiamo peggio. È vero che sulla strada alla gente non piaceva, oggi la<br />

gente non si lamenta.Sui giornali esce l’articolo “ritornano le lucciole”quando<br />

ne vedono due in strada, però alla gente se sono negli appartamenti non<br />

importa,perché non creano allarme sociale,perché l’immagine <strong>del</strong>la città non<br />

viene rovinata, secondo loro, da queste donne. Questo è scandaloso. Io<br />

parlavo prima con il collega di Milano, dicevo che io, facendo parte di un’associazione<br />

nazionale, ho inserito in un progetto di formazione un pacchetto<br />

relativo alla tratta. La mia ambizione, come dicevo, è quella di sensibilizzare<br />

la categoria, perché se noi riusciamo a vedere questo fenomeno con degli<br />

occhi diversi, potremo anche esser di stimolo per le nostre amministrazioni.<br />

Noi abbiamo una buona autonomia nel nostro mestiere, cioè, se io decido di<br />

aiutare una persona lo posso fare in piena autonomia. Nessun nostro vertice<br />

ci dice “no, lì no, no assolutamente”. Siamo noi per primi a potere agire, però<br />

bisognerebbe, a livello nazionale, sensibilizzare le Regioni. Qui abbiamo<br />

l’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>,e noi fortunatamente siamo in <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>,abbiamo<br />

il Veneto, che hanno fatto questo progetto, ma le Pubbliche Amministrazioni<br />

non lo propongono, perché non sono state sensibilizzate al problema. Noi<br />

abbiamo iniziative dei singoli, che sono limitate a casi concreti, la nostra iniziativa<br />

deve essere invece appoggiata dall’Amministrazione e a sua volta stimolata<br />

dalla <strong>Regione</strong>, perché così quello che noi facciamo, che faccio perché<br />

sono venuta qui, un domani lo faranno tutti gli altri. Come dicevamo “sono<br />

finite le prostitute a Rimini?”, no sono solo sparite dalla strada. Si è fatto un<br />

bel lavoro all’epoca, ma adesso il problema è diventato il “dove le si va a<br />

prendere? Dove? Negli appartamenti? Come si fa?” È pericoloso adesso,<br />

adesso queste ragazze sono sole veramente, sono sole.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Io voglio riferirmi un attimo alle colleghe <strong>del</strong> sociale. Pietro Basso ha per<br />

3 Il progetto regionale Oltre la Strada è nato nel 1996 e mette in rete 12 soggetti pubblici (Comuni, Aziende Usl, Consorzi<br />

Sociali) che realizzano su tutto il territorio emiliano-romagnolo interventi di prevenzione sanitaria attraverso la riduzione <strong>del</strong><br />

danno e di lotta alla tratta. Per maggiori informazioni:<br />

http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/home/prostituzione.htm<br />

29


30<br />

un attimo evidenziato un problema, che è venuto il momento di toccare. Sia<br />

che siano in strada, sia che siano in appartamento abbiamo il problema <strong>del</strong><br />

cliente. Allora, io forse sono il meno deputato a parlare, perché mi riconosco<br />

una certa durezza d’interpretazione sull’argomento, e ne abbiamo già<br />

parlato al corso.Tuttavia, siccome qui ci sono i colleghi che si interessano <strong>del</strong><br />

sociale, io credo veramente che oltre ad una attività di recupero <strong>del</strong>le<br />

ragazze, <strong>del</strong>la loro sottrazione dalla tratta – scusatemi se sono molto netto,<br />

forse darò uno strappo – io credo che debba essere fatta un’opera di educazione<br />

nei confronti di questa gente. Diceva giustamente Basso, qui è una<br />

questione di domanda e offerta. Quello che mi ha distrutto da un punto di<br />

vista personale, lo devo dire con molta apertura, è che chi frequenta le prostitute<br />

non sono persone anziani ma giovani. Quando abbiamo fatto lo stage,<br />

abbiamo esaminato tutte le contravvenzioni erogate, circa milletrecento.<br />

Voglio dire che era un campione non eccelso, perché, ripeto, da noi l’ordinanza<br />

è durata solo tre anni. Io sono un tecnico, applico quello che mi<br />

danno, se me lo sottraggono, non lo applico più. Però, quello che mi ha<br />

veramente umiliato, come uomo e devo dire anche un po’ come padre,<br />

quando siamo andati a vedere , io e il collega B., è l’età. Abbiamo fatto una<br />

suddivisione per età dei contravventori,è stato in quel momento che ci siamo<br />

accorti che la parte preponderante dei contravventori aveva meno di venticinque<br />

anni. Signori è assolutamente sconvolgente. Allora io credo che, come<br />

si tenta di recuperare un’alcolista, io credo che si dovrebbe... cominciare a<br />

pensare di intervenire anche su queste persone. Usiamo l’idea di Don Benzi,<br />

usiamo un’idea diversa, usiamo il metodo svedese, usiamo un altro metodo.<br />

Pietro Basso mi ha aperto gli orizzonti, e devo dire che, in questi ultimi due<br />

mesi abbiamo fatto <strong>del</strong>le brillanti operazioni, grazie a quello che abbiamo<br />

imparato dal nostro corso, da quello che abbiamo appreso dai colleghi. Tutto<br />

ciò ci ha fatto raggiungere dei risultati brillanti. Quindi dico, perché non<br />

pensiamo di investire la nostra attenzione anche su questo elemento, un<br />

elemento preponderante <strong>del</strong>lo sviluppo di questa tragedia umana che è la<br />

prostituzione. Grazie.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Io ho una curiosità, proprio su questo elemento nuovo, che pare nuovo,<br />

anche se dubito che il dibattito sulla prevenzione sia iniziato adesso. Mi<br />

chiedo, visto che nella nostra aula formativa, quella degli operatori sociali,<br />

essendo un gruppo transnazionale, abbiamo testimoni da altre nazioni,<br />

nazioni in cui per altro la prostituzione è anche legale, mi chiedo possiamo<br />

imparare qualcosa da loro? Loro sanno se ci sia già un dibattito sulla prevenzione<br />

dal punto di vista <strong>del</strong> cliente? Possiamo imparare qualcosa da loro<br />

trans-culturalmente? Grazie.


Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

Il mio gruppo è già da tre anni che fa incontri nelle scuole, quarte e quinte<br />

superiori, per parlare proprio <strong>del</strong>la prostituzione. Si fa all’inizio un questionario<br />

di accesso per vedere cosa ne pensino, poi si fanno degli interventi,<br />

poi si fa un questionario in uscita. In tre anni che si fa questo intervento c’è<br />

stato un netto cambiamento, cioè i ragazzi di quarta ragionano in un modo,<br />

dopo due anni, due incontri, quatto incontri, quando escono danno risposte<br />

completamente diverse... In realtà, occorrerebbe investire in prevenzione, in<br />

educazione. Noi parliamo di tante cose e ci dimentichiamo che la prostituzione<br />

non è soltanto e semplicemente vendere il proprio corpo su una<br />

strada, ma è anche nei rapporti che ragazzi e ragazze hanno tra di loro.<br />

Quando parliamo di prostituzione, usiamo alcuni termini che non accetto<br />

come “extracomunitari”, perché se vivono con noi non sono extra, sono<br />

dentro, sono persone che hanno cultura diversa dalla nostra. Ci dimentichiamo<br />

che la prostituzione non è solo di questo tipo, ma è un fenomeno che<br />

riguarda anche i cittadini italiani.Sulla strada ci sono meno extracomunitarie,<br />

ma sono tornate le italiane per esempio e nei locali notturni ci sono molte<br />

ragazzine italiane. Quindi in realtà non è soltanto un problema di persone<br />

diverse che vengono qua, ma anche <strong>del</strong>la nostra vita, per cui ritengo proprio<br />

che la prevenzione, l’educazione dei nostri figli a una corretta sessualità e al<br />

rispetto <strong>del</strong>l’altro, sarebbe veramente fondamentale.<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

Io volevo uscire un attimo dal tema ma neanche tanto.Volevo tranquillizzarvi.<br />

Mi sembrava che ci si fosse preoccupati <strong>del</strong> fatto che si parli <strong>del</strong>le<br />

ragazze <strong>del</strong>l’est quando poi invece è drammaticamente attuale anche la prostituzione<br />

che viene dai paesi <strong>del</strong>la fascia centro-africana. Io credo che alla<br />

fine se riusciamo a trovare, come diceva Basso, una serie di buone modalità<br />

per lavorare, queste modalità possono essere applicate indifferentemente sia<br />

che ci troviamo ad affrontare un problema che riguardi la prostituzione<br />

africana, che quella proveniente dai paesi <strong>del</strong>l’est, ovviamente con <strong>del</strong>le<br />

accortezze. Per esempio in merito alla presenza nell’unità di strada di<br />

mediatrici culturali che rappresentino un po’ quella che è tutta la grande<br />

varietà di presenze che noi abbiamo nelle nostre strade. Non per richiamare<br />

sempre Modena, però noi a Modena abbiamo una mediatrice culturale<br />

nigeriana. Lo dico solo per tranquillizzarti. Nel mio ufficio, mentre sto<br />

parlando, la mia scrivania è occupata da due mediatrici nigeriane, di cui una<br />

di lingua ibo, che stanno lavorando con i nostri operatori proprio su questo<br />

problema. Ci sono anche loro adesso, i trafficanti parlano ibo generalmente<br />

perché è più difficile farsi capire se parli ibo. L’attenzione da parte di tutti<br />

credo che sia indifferentemente posta sulle persone, quindi sulle ragazzine,<br />

31


32<br />

soprattutto se minorenni, e credo che sia lontana da noi proprio l’idea di fare<br />

una cernita tra prostituzione che proviene da i paesi <strong>del</strong>l’est e la prostituzione<br />

che proviene da altre esperienze, da altre zone. La povera C. ti può dire che in<br />

quattro giorni le ho portato cinque ragazze minorenni in comunità, che non<br />

l’hanno fatta dormire per due notti, quattro di queste erano nigeriane. Quindi<br />

stai tranquilla che comunque non c’è nessuna volontà di discriminare.È ovvio<br />

che quando hai una fonte di finanziamento che ti indica la fascia di utenza lo<br />

utilizzi, poi però quello che impari lo puoi mettere a disposizione anche per<br />

altri tipi di esperienze.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

La signora austriaca aveva detto semplicemente che in Austria al<br />

momento non c’è nessun intervento programmato di prevenzione o di sensibilizzazione<br />

sui potenziali clienti e che, però, proprio stamattina si erano<br />

riuniti, anche con il collega, quindi sia i rappresentanti <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine<br />

che dei servizi sociali, proprio per dibattere una proposta specifica su azioni<br />

di sensibilizzazione però per il futuro, al momento in Austria non c’è niente.<br />

[Interprete]<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

È strano dire questa cosa, si fa sempre un po’ fatica a dirlo, soprattutto da<br />

parte di noi uomini, cioè c’è sempre questa finta distinzione tra il cliente,<br />

quindi il cattivo, e noi, in realtà, secondo me, la cosa che poi dico a tutti i<br />

ragazzi che escono in strada con me,con l’unità di strada,tutti gli uomini sono<br />

potenziali clienti, tutti, nessuno escluso. Riconoscere questo è il primo passo<br />

per riconoscere la possibilità di cadere ed anche però rafforzare dentro di noi<br />

la volontà invece di avere invece un atteggiamento diverso, poi c’è un fatto di<br />

responsabilità, che non è morale, cioè non riguarda il fatto <strong>del</strong>l’amore a<br />

pagamento, ma la responsabilità rispetto alla consapevolezza che, non voglio<br />

azzardare una cifra, ma almeno il novanta per cento <strong>del</strong>le ragazze che sono in<br />

strada, che sono nei night, nei club, sono sfruttate quantomeno, e molto<br />

spesso sono in uno stato di schiavitù. È di fronte a questo che ci deve essere la<br />

responsabilità,non tanto sul lato “morale”<strong>del</strong> sesso a pagamento,ma rispetto<br />

a questo, perché queste donne, queste ragazze, sono appunto portate qui da<br />

qualcuno che ci costruisce un business sopra, e quindi un po’ era questo che<br />

volevo rilevare, perché molto spesso invece si tende a dire “ammazziamoli”, a<br />

volte c’è il rischio di fare un suicidio.<br />

Operatore <strong>del</strong> sociale<br />

La signora austriaca aveva una domanda rivolta soprattutto alle forze <strong>del</strong>l’ordine<br />

italiane, cioè se esistono casi, perché in Austria esistono, di poliziotti


che decidono di chiudere un occhio, di non procedere contro <strong>del</strong>le prostitute,<br />

perché queste gli offrono i loro servizi sessuali e questa cosa dice lei è molto<br />

nota, è nota anche ad altri poliziotti, che però per una sorta di omertà professionale<br />

non dicono nulla. Allora voleva sapere se esistono casi <strong>del</strong> genere qui<br />

in Italia. Internamente si sa, ma non si dice. Qualcuno può dire qualcosa in<br />

merito?[Interprete]<br />

Operatore <strong>del</strong>la sicurezza<br />

La risposta è che posso confermare che durante il corso ne abbiamo<br />

parlato più di una volta, il cliente è di tutte le razze, naturalmente, noi<br />

abbiamo avuto come clienti, durante i nostri controlli a Rimini, tutte le<br />

categorie possibili,tutte le età possibili,quindi senza escludere colleghi nostri,<br />

senza escludere persone assolutamente insospettabili come persone<br />

religiose, di ogni razza, di ogni colore, di ogni età. Quindi, sicuramente, come<br />

ha detto l’amico, lì non dipende dal lavoro che uno fa, dipende dalla persona.<br />

Io ero intervenuto invece per dire che è evidente, che come ha detto M., tutti<br />

gli uomini sono dei potenziali clienti, si fa fatica a dire di no, come si potrebbe<br />

dire che tutti sono dei potenziali omicidi, come si potrebbe dire che tutti sono<br />

incapaci di circolare con l’auto. Allora che cosa fa, come è stato detto prima,<br />

la differenza tra una persona e un’altra, cioè due uomini, uno va con la prostituta,<br />

l’altro non ci va, cos’è che li differenzia? È proprio, probabilmente, il<br />

tipo di educazione che queste persone hanno avuto. Noi andando a fare educazione<br />

stradale nelle scuole abbiamo visto che si parla ogni giorno di<br />

incidenti stradali e si dice che l’utente italiano è uno dei peggiori utenti<br />

stradali <strong>del</strong> mondo,almeno diciamo d’Europa,non buttiamo giù <strong>del</strong> tutto.Che<br />

cosa lo differenzia dal cittadino inglese che quando vede il pedone mettere<br />

giù il piede dal marciapiede sulle strisce pedonali si ferma immediatamente,<br />

mentre il cittadino italiano lo travolge? La differenza è l’educazione che<br />

queste persone hanno avuto, la cultura in quel campo specifico, quindi<br />

torniamo nuovamente a dire quello che è stato detto prima, che se noi intervenissimo,<br />

sempre per quanto riguarda il cliente, intervenissimo prima, preventivamente<br />

nelle scuole, fin da ragazzi, probabilmente l’utente sarebbe<br />

migliore e sarebbe inferiore di numero rispetto a quello che abbiamo oggi.<br />

Un’ ultima cosa <strong>del</strong> mio intervento, volevo mettere il punto su un aspetto che<br />

ho potuto apprezzare durante e dopo il corso che abbiamo fatto a Padova, ha<br />

detto già il collega di Padova, prima, che ha avuto occasione di mettere in<br />

pratica cose imparate durante il corso, sia dai docenti, sia dai colleghi di altre<br />

città, e grazie a questo di mettere insieme operazioni che sono state buone. In<br />

effetti, uno degli aspetti importanti che oggi bisogna sviluppare, secondo me<br />

nella seconda fase, è proprio quello <strong>del</strong>la creazione di una rete operativa, e si<br />

è detto durante il corso, già tra organi di polizia questo è nato, grazie a questo<br />

33


34<br />

corso. È nato chiaramente a livello ancora abbastanza a macchia di leopardo,<br />

però noi che ci siamo conosciuti, che abbiamo cominciato a scambiarci<br />

opinioni, modalità operative, oggi ci teniamo in contatto durante il lavoro, è<br />

già successo che i colleghi, nel mio caso, ad esempio di Perugia, che erano al<br />

corso, hanno avuto bisogno di me a Rimini per portare avanti un’operazione.<br />

Quindi io credo che l’allargamento <strong>del</strong>la rete sia fondamentale, a livello<br />

regionale prima di tutto, ma anche interregionale, se non addirittura<br />

nazionale, e questa rete non deve essere, ecco perché parlo <strong>del</strong>la seconda<br />

parte, non deve essere limitata ai vari organi di polizia, ma quando io<br />

chiamerò, per ipotesi Perugia, o Modena, o Milano, saprò che avrò a che fare<br />

con il collega poliziotto, il quale avrà i suoi collegamenti coi propri servizi<br />

sociali. Noi eravamo abituati negli anni a ragionare solo come un organo di<br />

polizia, quindi a vedere la cosa solo dal nostro aspetto, oggi la cosa si sta<br />

allargando e credo che questa sia la strada giusta da percorrere per poter<br />

creare veramente un’azione di contrasto e di recupero efficace, non dico<br />

immediatamente, ma nel tempo su tutto il territorio nazionale, per lo meno<br />

nelle regioni che oggi manifestano questa esigenza, sperando che poi si<br />

allarghi a tutto il resto <strong>del</strong> paese.<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

Credo che dobbiamo avviarci alla conclusione di questo dibattito per<br />

passare la parola a Catia Boni che presenterà il percorso di secondo livello.<br />

Vorrei però fare due considerazioni.<br />

Innanzitutto volevo riconoscere la piacevolezza di questo dibattito e l’interesse<br />

che ha suscitato. Le persone hanno espresso le loro idee in un clima<br />

sereno e disteso. Credo che questo vada segnalato come aspetto positivo e<br />

come indicatore di un avanzamento nella direzione <strong>del</strong>la collaborazione che<br />

tutti auspichiamo.<br />

Però, vorrei anche mettere in guardia dal credere che tutto sia già stato fatto<br />

e che intendersi sia automatico. A tal proposito riprendo le ultime considerazioni<br />

che sono state fatte a proposito dei clienti.<br />

Credo che sarebbe bello se noi potessimo affermare in maniera così semplice<br />

e categorica che il male sono i clienti. Ma purtroppo il problema sta<br />

diventando un pochino più complicato, come dimostra la ricerca che è stata<br />

condotta sulla prostituzione invisibile. Come dicevate voi, la prostituzione di<br />

strada diventa sempre più invisibile, le donne spariscono dalla strada, quelle<br />

che rimangono sulla strada non si vestono più come una volta, al punto che<br />

non si sa più dove andarle a cercare; il contatto diretto che era possibile per i<br />

clienti, per l’opinione pubblica, quindi per i cittadini che poi protestavano, è<br />

diventato più difficile anche per le forze <strong>del</strong>l’ordine. Una <strong>del</strong>la ipotesi evidenziata<br />

anche dalla ricerca sulla prostituzione invisibile è che i clienti, se da


una parte rappresentano indubbiamente la domanda e di conseguenza alimentano<br />

questo tipo di mercato, oggi per certi aspetti rappresentano anche<br />

un canale di contatto che può permettere di scoprire le situazioni di sfruttamento,<br />

le situazioni di violenza, le situazioni di schiavitù.<br />

Ad un certo punto <strong>del</strong> nostro dibattito mi pare che ci sia stato uno scivolamento<br />

dal tema <strong>del</strong>la tratta e <strong>del</strong>la violenza, al tema <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Quando l’oggetto <strong>del</strong> nostro confronto non è più la tratta, lo sfruttamento, la<br />

violenza, ma diviene la prostituzione, emergono inevitabilmente le diverse<br />

opzioni personali con le quali occorre che noi ci confrontiamo. Emerge cioè la<br />

questione dei valori morali che è una questione di fondo nella collaborazione<br />

ma che va al di là <strong>del</strong>le appartenenze alle forze <strong>del</strong>l’ordine o agli operatori<br />

sociali. Su tali valori dobbiamo mantenere aperto un dibattito sereno,<br />

dobbiamo confrontarci e trovare <strong>del</strong>le intese, sapendo però che questa<br />

diversità non può essere eliminata. Nel percorso di formazione che ha<br />

coinvolto gli operatori sociali non ci siamo addentrati più di tanto sulle questioni<br />

valoriali,ma credo che anche il nostro dibattito abbia messo in evidenza<br />

che per contrastare la tratta (e la prostituzione) non è sufficiente l’applicazione<br />

sia pur rigorosa di una legge,perché è anche una questione di cultura.<br />

Io credo che assimilare il cliente <strong>del</strong>le prostitute al tossicodipendente, all’alcolista<br />

non sia corretto, anche se può in alcuni casi svilupparsi una vera<br />

dipendenza e si può sfociare anche nella patologia.<br />

Quando facciamo l’invito alla prevenzione <strong>del</strong>la prostituzione il tema vero<br />

diventa la convivenza, diventa l’educazione ai rapporti affettivi. Non<br />

preoccupa tanto il fatto che i giovani vadano con le prostitute, preoccupa<br />

piuttosto il fatto che cerchino risposte alle loro esigenze solo attraverso questa<br />

modalità. A questo punto la questione non riguarda più tanto la prostituzione<br />

quanto i rapporti sociali e la qualità <strong>del</strong>la convivenza.<br />

Per questa ragione coglierei l’invito che faceva Pietro Basso, di andare anche<br />

oltre i ruoli professionali che noi ricopriamo formalmente nella società e<br />

vederci nel ruolo di cittadini, di cittadini consapevoli, di cittadini responsabili,<br />

di cittadini che hanno in mente un progetto per il mondo nel quale vogliono<br />

vivere, e che questo progetto lo portano avanti in termini responsabili,<br />

attraverso il confronto anche con altri che hanno ulteriori progetti.<br />

Alla fine tutto questo richiama un’esigenza di coinvolgimento e di partecipazione<br />

di tante componenti: le comunità degli immigrati, i cittadini<br />

immigrati, le comunità locali, i cittadini residenti, ecc. Creare questo coinvolgimento<br />

e questa collaborazione, creare le condizioni affinché ciascun attore<br />

contribuisca per la propria parte è un lavoro. Il coinvolgimento e la collaborazione<br />

non sono scontati e non può regalarceli nessuno e non è dichiarandone<br />

la necessità che si promuovono. Per fare questo lavoro dobbiamo<br />

attrezzarci dobbiamo mettere in conto fatica e anche <strong>del</strong>usioni; possiamo<br />

35


36<br />

prendere come punto di riferimento gli esempi positivi, che ci sono, ma non<br />

possiamo pensare che il problema si risolva con il trasferimento di tecnologie<br />

da un contesto ad un altro, perché tutto questo riguarda la cultura di una<br />

comunità locale, costruita e alimentata dai soggetti locali e non può pertanto<br />

essere importata od esportata. Per riprendere un esempio, è evidente che il<br />

questore di Rimini quando va a Pordenone non può fare esattamente quello<br />

che ha fatto a Rimini.Queste sono cose che non può fare una persona da sola,<br />

anche se è il questore.<br />

Vi ringrazio tantissimo per il modo con cui voi avete partecipato a questo<br />

dibattito e mi auguro che ci siano altre possibilità di discutere insieme di<br />

queste cose.<br />

Catia Boni<br />

Rispetto al corso vi dirò solo alcune cose,perché la funzione principale che<br />

avevo oggi era quella di ascoltare; ascoltare quello che voi dicevate e ciò che<br />

emergeva dai due percorsi che avete fatto precedentemente in maniera<br />

separata. Avevamo preparato <strong>del</strong>le slides, che invece decido di non utilizzare<br />

perché renderebbero più freddo e formale un ambiente che invece mi sembra<br />

molto caldo, e quindi mi inserisco in questo, cambiando un po’quella che era<br />

stata la impostazione iniziale. Oggi doveva intervenire Liuba Del Carlo, che è<br />

la direttrice dalla Scuola Regionale di Polizia Locale, la quale non può essere<br />

presente a causa di un infortunio.<br />

La Scuola Regionale di Polizia Locale è l’ente formativo che ha avuto dal<br />

Servizio Sviluppo <strong>del</strong>le Politiche di Sicurezza Urbana <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<br />

<strong>Romagna</strong> l’incarico, l’onore e l’onere di organizzare il corso di formazione di<br />

secondo livello.Questo secondo corso tende a fare sintesi,a dare uno sviluppo<br />

ai contenuti e agli apprendimenti che sono stati oggetto dei due percorsi precedenti.<br />

Per questo il punto di partenza, e il primo obiettivo, sarà la valorizzazione<br />

<strong>del</strong>le competenze e dei saperi che già possedete, sia quelli maturati<br />

nel lavoro, sia quelli acquisiti e riordinati nei percorsi precedenti. Questo è il<br />

nostro primo obiettivo: valorizzare e rimettere insieme, per ridefinire un<br />

obiettivo comune,una metodologia comune,un linguaggio comune e,quindi,<br />

una progettualità comune, che ovviamente salvaguardi le specifiche competenze.<br />

Devo dire che le cose emerse oggi sono state estremamente interessanti,<br />

ricche, e gli spunti, anche di interlocuzione, sarebbero molti ma li<br />

rimandiamo al corso, durante il quale io vi accompagnerò. Il tema <strong>del</strong>la tratta<br />

<strong>del</strong>le persone a scopo di sfruttamento sessuale rientra a pieno titolo nell’ambito<br />

<strong>del</strong>le politiche integrate di sicurezza urbana, che costituiscono una<br />

parte <strong>del</strong>le competenze proprie <strong>del</strong>la Scuola Regionale di Polizia Locale.<br />

Pensare a politiche e strategie integrate significa proprio saper mettere<br />

insieme, saper connettere tutti gli attori, le risorse che sul territorio possono


appresentare un elemento utile e adeguato a quel territorio in un determinato<br />

momento. La scuola in questi ultimi due anni ha fatto alcune esperienze<br />

estremamente interessanti di formazione integrata non solo tra le forze<br />

di polizia, quindi polizia locale, Polizia di Stato e Carabinieri, ma anche tra le<br />

tre forze di Polizia e gli operatori sociali, su due temi in particolare che sono la<br />

comunicazione e la devianza giovanile. Devo dire che queste esperienze sono<br />

state importanti e hanno evidenziato quanto voi stessi avete già detto, ovvero<br />

come l’incontro, il conoscersi personalmente e non solamente attraverso il<br />

telefono,il sapere concretamente che cosa fa l’altro operatore è fondamentale<br />

ed è stato riconosciuto da tutti i partecipanti a questi percorsi formativi come<br />

l’unica strada per potere effettivamente lavorare insieme.Ne sono uscite <strong>del</strong>le<br />

esperienze molto positive, che hanno creato anche un clima caldo tra i partecipanti;<br />

quindi noi ci auguriamo che questo sia un obiettivo che riusciamo a<br />

raggiungere anche nel corso che andremo a fare insieme a voi.<br />

Rispetto alla domanda che veniva fatta all’inizio, era già stato fatto presente<br />

dalle due équipe responsabili dei corsi precedenti che ci sarebbe stato un<br />

grande interesse a proseguire nella formazione e quindi a partecipare al<br />

percorso di secondo livello. Questo è sicuramente un elemento positivo, considerando<br />

che si tratterà di un percorso che aumenta il livello <strong>del</strong>la complessità,<br />

perché dovrà mettere insieme professionalità e identità completamente<br />

diverse.Del resto un elevato livello di complessità è una caratteristica<br />

propria <strong>del</strong> tema e dei fenomeni di cui ci stiamo occupando, come hanno<br />

peraltro evidenziato anche i vostri interventi di oggi. Ci sono però dei vincoli,<br />

rispetto alla partecipazione al corso di secondo livello, e sono vincoli dati dall’impianto<br />

proprio <strong>del</strong> progetto, quindi quello che noi oggi possiamo fare è<br />

dire che accogliamo questa vostra richiesta, alla quale non possiamo però<br />

dare una risposta immediata, ma la porteremo in un contesto che è quello<br />

degli organismi preposti eventualmente a dare <strong>del</strong>le indicazioni precise.<br />

Noi vi possiamo dire oggi quali sono le condizioni per partecipare; come già<br />

detto, ipotizzando che ci potesse essere un elevato interesse abbiamo stabilito,<br />

insieme alla due équipe responsabili dei corsi precedenti, alcune condizioni,alcuni<br />

requisiti di selezione.Credo sia importante sottolineare come la<br />

scuola abbia lavorato alla progettazione <strong>del</strong> corso raccordandosi con i responsabili<br />

dei corsi di primo livello, soprattutto in relazione alla definizione di<br />

questi elementi, che non potevano non tenere conto <strong>del</strong>l’esperienza fatta e<br />

<strong>del</strong>la conoscenza dei partecipanti. Laddove ci dovesse essere un numero di<br />

domande che eccede i cinquanta posti disponibili, perché ad oggi noi non vi<br />

possiamo dire che potremo dare la possibilità di accedere al corso a più di cinquanta<br />

persone, faremo una graduatoria. I criteri individuati, come spesso<br />

succede,non soddisferanno tutti,hanno dei limiti,ma in una qualche maniera<br />

era necessario individuarli. Il primo criterio è quello <strong>del</strong>la partecipazione, cioè<br />

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38<br />

il numero di ore frequentate ai corsi precedenti; ognuno di voi sapeva che<br />

aveva un vincolo di partecipazione, cioè non poteva andare sotto una certa<br />

percentuale di ore frequentate. Il secondo criterio è quello <strong>del</strong>la disponibilità<br />

a frequentare completamente il corso,formulata per iscritto al momento <strong>del</strong>la<br />

presentazione <strong>del</strong>la domanda, o personale, qualora la persona venga a frequentare<br />

il corso a titolo personale, o da parte <strong>del</strong>l’ente inviante. Il terzo<br />

criterio è quello <strong>del</strong>la territorialità, secondo quanto già stabilito per l’accesso<br />

ai corsi precedenti, cioè una rappresentanza territoriale di tutti i partner. Per<br />

ultimo, laddove ci fossero <strong>del</strong>le condizioni di parità e sempre rispetto all’eccedenza<br />

dei cinquanta posti disponibili, verrà fatta una sorta di valutazione<br />

motivazionale a livello individuale, cosa di cui si faranno carico le équipe dei<br />

corsi precedenti, che sono quelle che vi conoscono.Voi riceverete, entro tempi<br />

brevi, una lettera, che vi permetterà di avere per iscritto tutte queste informazioni,<br />

vi verrà indicato il termine ultimo per la presentazione <strong>del</strong>la<br />

domanda, che se non vado errata è il 23 di dicembre, vi verrà indicata la data<br />

d’inizio <strong>del</strong> corso, che è il 24 febbraio.<br />

Il corso sarà articolato in tre moduli, per dieci giornate di otto ore ciascuna.<br />

Ogni modulo sarà di tre giornate consecutive, nei mesi di febbraio e marzo,<br />

mentre l’ultimo modulo di aprile sarà di quattro giornate.L’ultimo giorno sarà<br />

dedicato ad una sessione plenaria, dove verranno presentati i progetti elaborati<br />

dai corsisti, con le ipotesi di fattibilità e trasferibilità. Il luogo di svolgimento<br />

sarà a Modena, spesso la sede <strong>del</strong>la Scuola Regionale di Polizia<br />

Locale. Questo per rispondere alla parte più organizzativa <strong>del</strong>la domanda.<br />

Rispetto ai contenuti, diciamo che partiremo proprio da quelli che voi già<br />

portate, come detto i saperi e le competenze già posseduti, e l’attenzione<br />

principale sarà rivolta all’individuazione <strong>del</strong>le metodologie di lavoro<br />

integrate, adeguate ad elaborare una progettualità integrata. Per questo ci<br />

saranno poche lezioni teoriche e saranno privilegiati i lavori di gruppo che,<br />

partendo dall’analisi dei contenuti già affrontati, ovvero i temi propri <strong>del</strong>la<br />

tratta, lo sfruttamento, la prostituzione, andranno ad individuare <strong>del</strong>le metodologie<br />

precise, i cui presupposti saranno quelli <strong>del</strong> lavoro di rete, lavoro di<br />

comunità, sviluppo di comunità, mediazione, mediazione sociale e<br />

mediazione culturale, mediazione inter-culturale, gestione dei conflitti.<br />

Da queste basi dovrà scaturire una progettualità integrata: questo sarà l’obiettivo,<br />

ed è la scommessa <strong>del</strong> corso di secondo livello. Infatti, pur con alcuni<br />

punti di intersezione che nei contenuti avete affrontato nei due diversi corsi,<br />

questi erano rivolti a personale diciamo uniforme, ovvero tutti operatori <strong>del</strong>la<br />

sicurezza, tutti operatori sociali. Adesso la scommessa è mettere insieme i<br />

diversi attori,tenendo in considerazione anche il fatto che quando parliamo di<br />

forze di polizia e di operatori sociali non parliamo di due blocchi monolitici, e<br />

anche voi l’avete detto; le forze di polizia locale non hanno la stessa identità


e le stesse competenze istituzionali <strong>del</strong>le forze di polizia nazionale, così come<br />

gli operatori sociali, a seconda che vengano dal terzo settore piuttosto che dal<br />

servizio pubblico, non sono la stessa cosa. Diventa allora indispensabile tener<br />

conto di queste diversità, e questo sarà un elemento parte <strong>del</strong>la scommessa<br />

che andremo a mettere in campo nel corso di secondo livello. Un altro<br />

elemento centrale è costituito dal fatto che i protagonisti sarete ancora una<br />

volta principalmente voi, perché questa è la cosa importante, poiché si parte<br />

da competenze e saperi alti che hanno il compito adesso di imparare davvero<br />

non solo a parlarsi, ma a lavorare concretamente insieme, a fare dei progetti,<br />

ad individuare <strong>del</strong>le strategie comuni.<br />

Io non appartengo al mondo <strong>del</strong>la sicurezza, sono una sociologa, vengo da<br />

un’esperienza professionale in servizi che hanno strettamente a che fare con<br />

problemi legati alla sicurezza urbana; ho lavorato per tanti anni in un Sert, e<br />

successivamente in un servizio sanitario per cittadini stranieri, sono stata la<br />

referente per il Progetto Città Sicura <strong>del</strong>la mia amministrazione, ho lavorato<br />

all’implementazione <strong>del</strong> Progetto Prostituzione <strong>del</strong>la mia città, che è Parma.<br />

La ragione per cui collaboro, in qualità di consulente e docente per la Scuola<br />

Regionale di Polizia Locale, è proprio il riferimento alla possibilità di inserire<br />

nei programmi di formazione, quindi poi anche nell’individuazione <strong>del</strong>le<br />

strategie, strumenti diversi che hanno a che fare con una domanda di<br />

sicurezza che non è più legata solamente all’area <strong>del</strong> penale,ma si riferisce ad<br />

un’area molto più vasta, che molto spesso esula da quelli che sono comportamenti<br />

penalmente rilevanti.<br />

Elvio Raffaello Martini<br />

Non ci sono altre domande,è tutto a posto? Allora passiamo alla consegna<br />

degli attestati.Con Pietro Basso ci siamo messi d’accordo che lui consegna gli<br />

attestati agli operatori sociali, io consegno gli attestati agli operatori <strong>del</strong>la<br />

sicurezza.<br />

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Sessione COMUNICAZIONE<br />

Carla Trampini<br />

Buon pomeriggio a tutti. Sono Carla Trampini, qui accanto c’è Christiana<br />

Wei<strong>del</strong> che insieme a me condurrà la giornata di oggi.Da parte nostra un vivo<br />

ringraziamento a tutti quelli che sono qui per partecipare a questi lavori.<br />

Mi presento: lavoro nel Comune di Perugia, che presenterà una propria<br />

relazione tra gli interventi previsti per oggi, mentre Christiana Wei<strong>del</strong> viene<br />

dall’Austria e fa parte <strong>del</strong>l’associazione Mountain Unlimited. Come sentite io<br />

non sono una grande poliglotta.Vorrei,prima di iniziare ad affrontare il nostro<br />

tema, dire qualcosa sull’organizzazione <strong>del</strong>la giornata di lavoro.<br />

Intanto gli orari: il tempo che ci è stato assegnato è di 3 ore e mezzo, quindi,<br />

per dare modo a tutti quanti di poter presentare con il tempo dovuto i propri<br />

lavori, propongo di utilizzare tutte le 3 ore e mezzo e di scivolare alle 18 e 30,<br />

visto che l’orario di chiusura iniziale era previsto per le 18.<br />

Considerato che gli interventi <strong>del</strong>la giornata sono 6 proporrei di presentarne<br />

3 prima <strong>del</strong> coffee break e gli altri a seguire.Nella prima parte,di circa un’ora<br />

e mezza, pensavamo di conoscere e approfondire l’esperienza <strong>del</strong> comune di<br />

Perugia e di presentare le 3 relazioni ad essa collegate. Chiederei a tutti di<br />

stare in in 15-20 minuti,perché i tempi sono stretti e il loro rispetto consentirà<br />

ai presenti di intervenire lasciando anche una ventina di minuti per il<br />

dibattito. Al rientro dopo la pausa, sarà la volta <strong>del</strong>le esperienze <strong>del</strong>l’Austria,<br />

<strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Marche e <strong>del</strong>l’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>. Alla fine di tutti gli interventi<br />

Christiana Wei<strong>del</strong> farà una rapida sintesi degli elementi più significativi<br />

emersi, con l’obiettivo di restituirli l’indomani in plenaria.<br />

Non ci conosciamo tutti ma penso che tutti siate impegnati nel tema che andiamo<br />

ad affrontare oggi,in questo lavoro sociale che riguarda l’area <strong>del</strong>la prostituzione<br />

e <strong>del</strong>la tratta. In particolare oggi vorremmo affrontare il ruolo che, rispetto al<br />

fenomeno, rivestono la comunicazione, le comunità locali e i mass media.<br />

Abbiamo deciso di affrontare questo tema perché ci è sembrato essere poco<br />

considerato nel lavoro sociale, almeno fino a qualche anno fa. È invece molto<br />

interessante vedere che oggi è all’attenzione di tutti gli operatori sociali, e<br />

<strong>del</strong>le politiche sociali, e quindi lo esploreremo e navigheremo alla luce <strong>del</strong>le<br />

esperienze <strong>del</strong>le varie realtà locali e anche rispetto alle dimensioni che<br />

ognuno affronta nella propria operatività.<br />

Quindi lo vedrete affrontato per quanto riguarda il Comune di Perugia<br />

soprattutto rispetto alla dimensione <strong>del</strong>l’intervento di comunità. Le altre<br />

relazioni invece lo analizzeranno anche rispetto a questo ruolo importante e<br />

molto influente dei mass media, ed inoltre rispetto a gli interventi di natura<br />

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42<br />

più informativa, all’interno di una relazione più individuale con le persone.<br />

A questo punto, visti i tempi serrati, comincerei con la presentazione <strong>del</strong>le<br />

relazioni. Attorno al tavolo avete già individuato i relatori di questa prima<br />

parte. Accanto a me c’è Claudio Renzetti, che è consulente <strong>del</strong> Comune di<br />

Perugia e che comincerà ad affrontare il tema <strong>del</strong>l’intervento di comunità e<br />

ipotesi di strategie comunicative.<br />

Claudio Renzetti<br />

Buongiorno a tutti.<br />

Pensavo di poter utilizzare un supporto video ma qualcosa non funziona. In<br />

compenso ho scoperto che sul banchetto d’entrata c’è il testo <strong>del</strong>la mia<br />

relazione e quindi se avete voglia di seguirla con gli occhi mentre la espongo,<br />

forse farete meno fatica.<br />

La mia tesi è abbastanza semplice da sintetizzare. Proverò a riassumerla in<br />

due punti.<br />

Io credo che la comunicazione sociale non sia un fenomeno vettoriale, da me<br />

a te, cioè un fenomeno teso a colmare un vuoto di informazione su un certo<br />

argomento. La comunicazione sociale non si limita, ad esempio, a spiegare<br />

che cos’è l’articolo 18 o in che cosa consistono le pratiche di riduzione <strong>del</strong><br />

danno rivolte alle persone tossicodipendenti, piuttosto che alle prostitute o ai<br />

senza fissa dimora. Forse c’è anche questo, ma non basta.<br />

Io credo che la comunicazione sociale,se funziona,se è efficace,si caratterizza<br />

come un processo circolare e ricorsivo.Un processo che io chiamo “dialogico”,<br />

cioè un processo che mira a esplorare un fenomeno, a capire come trattarlo, e<br />

soprattutto a individuare obiettivi possibili.<br />

Perché questo avvenga, perché questo possa essere realizzato, noi abbiamo<br />

bisogno di cornici comunicative e relazionali, abbiamo bisogno di tempi<br />

adeguati e soprattutto di linguaggi appropriati.<br />

Questo è il mio primo punto che proverò a sviluppare più avanti.<br />

Secondo punto. Io credo che per fare comunicazione sociale sul tema <strong>del</strong>la<br />

prostituzione dobbiamo essere in grado di far ascoltare le voci dei protagonisti,<br />

anche se questi protagonisti esprimono esperienze, vissuti e visioni<br />

<strong>del</strong> mondo diverse e contrastanti. Anzi mi viene da dire che proprio per questo<br />

è importante far ascoltare le loro voci.<br />

Noi ci occupiamo di un fenomeno sicuramente complesso. Un fenomeno culturale,<br />

economico, sociologico, giuridico. Un fenomeno che non può essere<br />

ridotto ad una semplice formula o ad una sola immagine.<br />

Non dobbiamo quindi dimenticare che siamo di fronte ad una realtà proteiforme,<br />

quindi ad una scena che si modifica progressivamente. Ma questa<br />

realtà ha al suo centro migliaia di storie di vita.<br />

Karen Blixen diceva: “Essere una persona significa avere una storia da rac-


contare.” E questo lavoro ci porta ad incontrare storie che meritano di essere<br />

raccontate, ovvero persone a cui noi dobbiamo riconoscere il diritto di parola.<br />

Ecco, questa è l’essenza <strong>del</strong> mio punto di vista, <strong>del</strong>la tesi che proverò a<br />

esplorare, a illustrare: spero di riuscire a farlo in maniera convincente.<br />

Non so se ricordate la scritta che è comparsa a Ground Zero a 3 anni da quel<br />

terribile 11 settembre di New York: “We will never forget”, non vi dimenticheremo<br />

mai. Allora, come è possibile questo? Provate a pensarci: che cosa<br />

tiene viva la nostra memoria? Che cosa fa sì che la nostra attenzione verso le<br />

sorti umane non si abbassi ma resti sempre in qualche modo vigile? Io credo<br />

che noi misuriamo l’enormità <strong>del</strong>le tragedie umane non solo dal numero <strong>del</strong>le<br />

vittime, e dall’assurdità <strong>del</strong>le circostanze, ma dal fatto che erano persone con<br />

un nome, un indirizzo un volto.<br />

Agli occhi degli assassini le vittime cessano di essere degli individui. Cessano<br />

di essere <strong>del</strong>le persone con una propria soggettività e diventano solamente<br />

parte di un tutto anonimo, cioè di un’entità collettiva. Loro sono i rappresentanti<br />

di un’etnia o di un gruppo sociale da annientare, da negare, da<br />

distruggere.<br />

Ma noi che siamo in qualche modo spettatori attenti, cogliamo con un certo<br />

tremore il senso di quello che è avvenuto a New York come a Madrid, a Gerusalemme<br />

piuttosto che a Betslan,nel momento in cui qualcuno si alza per raccontarci<br />

storie di vita spezzate, progetti irrealizzati, biografie interrotte bruscamente:<br />

cioè mondi che si sbriciolano senza rimedio. È accaduto per<br />

Auschwitz, è accaduto in Cile, in Argentina e io temo che accadrà ancora.<br />

Questa è in qualche modo la lezione che ci ha offerto in maniera mirabile il<br />

film “Schindler’s List”. Spielberg ha saputo darci l’idea <strong>del</strong>lo sterminio con<br />

una pellicola in bianco e nero, ma qui e là ha inserito una macchia di colore.<br />

Era la bambina con il cappotto rosso. Come per dire: noi possiamo cogliere<br />

meglio la drammaticità di quell’evento se seguiamo la traiettoria di una<br />

piccola vita. Il naufragio non riguarda soltanto un insieme indistinto, un<br />

numero più o meno grande di persone, ma riguarda ogni singola persona.<br />

Ricordate la frase che chiudeva il film: “chi salva una vita salva il mondo<br />

intero”... perché ogni vita racchiude un mondo.<br />

Io credo che questo non soltanto è un espediente espressivo di chi fa cinema<br />

o letteratura, ma è il nostro modo di comunicare e di entrare in relazione con<br />

gli altri. È il nostro modo di creare legami, di suscitare interesse e partecipazione<br />

da parte degli altri. Noi offriamo al nostro prossimo frammenti di<br />

storie di vita. Mostriamo foto, video, cartoline, diari. Questa è la forma<br />

attraverso la quale, negli altri, cerchiamo di lasciare un segno, di suscitare<br />

comprensione o almeno interesse. Questo è il modo attraverso il quale cerchiamo<br />

di creare legami.<br />

In situazioni variabili,al bar,al telefono,nelle pause di lavoro,noi raccontiamo<br />

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le storie che ci rendono felici o che ci fanno soffrire,perché speriamo di trovare<br />

connessioni significative tra un episodio e l’altro. Ma non solo. Noi vogliamo<br />

scoprire in che modo le nostre storie sono intrecciate a quelle degli altri.<br />

Daniel Taylor usa un’espressione che dal mio punto di vista è bellissima. Lui<br />

dice: “Raccontiamo e ascoltiamo storie per rassicurarci,per essere certi di non<br />

essere rimasti soli in casa.”<br />

Quando Richard Sennett, che è uno dei sociologi viventi più intriganti, più<br />

fecondi, insieme a Edgar Morin, a Zygmunt Barman, quando Sennett vuole<br />

spiegarci le trasformazioni <strong>del</strong>la nostra società, quando scrive un saggio fondamentale<br />

che è appunto “L’uomo flessibile”, nel tentativo di analizzare i<br />

nuovi scenari <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong> lavoro, l’autore ci racconta la vita di un messicano<br />

immigrato a Chicago negli anni ’40, e ci parla <strong>del</strong>la sua famiglia e di<br />

suo figlio Rico, ormai diventato adulto negli anni ‘90.<br />

La distanza che separa queste biografie dà al lettore il senso degli accadimenti.<br />

In termine tecnico si chiama “sociologia narrativa”e dal mio punto di<br />

vista ha un impatto straordinario su chi legge sia sul piano emotivo che sul<br />

piano cognitivo.<br />

Fare un intervento di comunità significa perseguire un obbiettivo molto<br />

ambizioso. Significa far sì che i cittadini si sentano consapevoli <strong>del</strong>la loro condizione,<br />

e che si sentano responsabili dei cambiamenti che mettono in moto.<br />

I cambiamenti, per essere efficaci, devono funzionare come processi possibili<br />

e desiderabili. Per questo noi abbiamo bisogno di una buona dose di consapevolezza<br />

e di una buona dose di responsabilità.<br />

Questa è l’idea di una cittadinanza attiva, protagonista <strong>del</strong> proprio destino.<br />

Dunque non si può parlare di prostituzione, di sicurezza, di salute pubblica se<br />

non dando spazio alle voci che stanno dentro questi concetti.<br />

Io credo che i comportamenti e le categorie interpretative debbano essere<br />

rappresentati con le voci degli attori sociali: le voci di tutti, le voci <strong>del</strong>le prostitute,<br />

degli sfruttatori, dei giudici, dei mercanti, dei poliziotti, dei preti, dei<br />

cittadini comuni.<br />

Andiamo negli stessi posti ma non vediamo le stesse cose.<br />

Andiamo negli stessi posti e molte cose non vogliamo proprio vederle. Ecco<br />

perché dobbiamo confrontare sguardi diversi. Ecco perché dobbiamo moltiplicare<br />

la possibilità <strong>del</strong> nostro intendere, la possibilità <strong>del</strong> nostro sguardo.<br />

Io credo che qui non sia essenziale ragionare sulle tecniche espressive, ma sul<br />

senso che noi possiamo dare a questi processi comunicativi.<br />

Nel momento in cui cerchiamo di valorizzare i vissuti soggettivi,noi scopriamo<br />

almeno cinque cose.<br />

1. Che spesso le voci a cui diamo asilo, diritto di espressione, sono prigioniere<br />

di luoghi comuni, di aspettative improbabili, di inganni, di pregiudizi, di<br />

visioni parziali.


2. Scopriamo che quelle voci sono spesso dissonanti, che spesso confliggono<br />

in maniera aspra.<br />

3. Noi scopriamo che quel conflitto è ancora più complesso perché non<br />

riguarda tanto la voce <strong>del</strong> cliente e la voce <strong>del</strong>la prostituta o <strong>del</strong> poliziotto, ma<br />

è un conflitto dentro le singole voci. Il poliziotto può essere anche il cliente, e<br />

il cittadino moralista è anche proprietario di un appartamento che affitta al<br />

racket e dal quale ricava un reddito di 2000 euro al mese.<br />

4.Noi scopriamo che è importante saper riconoscere e accettare il dissidio ma<br />

che bisogna arrivare ad affondare la nostra convivenza su alcuni criteri etici<br />

condivisi.<br />

E infine che l’etica intesa come la lista di valori che orientano e governano la<br />

nostra esistenza, comporta un confronto instancabile, paziente. E in un confronto<br />

ci sono rinunce e conquiste da accettare.<br />

Che cosa succede quando realizziamo un progetto comunicativo così<br />

radicale, cioè un processo comunicativo che mira a individuare la radice dei<br />

fenomeni? Io credo che discutere con le persone, discutere con la comunità,<br />

sia una cosa diversa dal partecipare ad una riunione regolamentata da un<br />

rigido ordine <strong>del</strong> giorno e da un moderatore. E spesso nel corso <strong>del</strong>le nostre<br />

audizioni con cittadini comuni, abbiamo sentito l’urgenza di troppe cose<br />

taciute, il desiderio di tirar fuori tutto. Abbiamo avvertito l’assenza di interlocutori<br />

significativi con i quali ragionare <strong>del</strong>le fatiche o dei fantasmi <strong>del</strong>la<br />

nostra quotidianità.<br />

Però ricondurre questo confronto all’interno <strong>del</strong>la comunità a proposito di<br />

cambiamento, diventa per noi una sfida irrinunciabile. Quando noi ci<br />

assumiamo il compito di condurre questo confronto all’interno di una<br />

comunità, su ciò che viene percepito come indesiderabile, inatteso,<br />

spiazzante, scopriamo alcune verità. Cioè scopriamo che non possiamo<br />

adottare una logica binaria, dentro o fuori, bianco o nero, ma che dobbiamo<br />

appunto adottare una logica, scusate il bisticcio di parole, un criterio dialogico:<br />

dias logos, che significa appunto, discorso tra distanze massime, e<br />

questo implica il malinteso e anche il conflitto.<br />

La comunicazione sociale, da questo punto di vista è un processo trasformativo.<br />

Un fenomeno trasformativo che non si limita a registrare o a<br />

denunciare dei fenomeni, ma pone <strong>del</strong>le domande che hanno uno scopo<br />

migliorativo. Questo significa che nella comunicazione sociale non si chiede<br />

qual è la sicurezza che vogliamo, ma qual è la sicurezza possibile. Non<br />

chiediamo qual è l’armonia ideale all’interno di una comunità, ma come è<br />

possibile coniugare convivenza e diversità. Non chiede di risolvere definitivamente<br />

un problema,ma almeno di ridurne gli aspetti iatrogeni,perversi. Se<br />

accettiamo questi confini forse riusciamo a trovare un posto dignitoso alle<br />

emozioni e alle ragioni di ciascuno.<br />

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46<br />

E chi sono gli interlocutori privilegiati <strong>del</strong>la nostra comunicazione sociale?<br />

Cioè a chi ci rivolgiamo? Sicuramente alle istituzioni e alle agenzie che hanno<br />

il potere di influenzare il fenomeno prostituzione: la magistratura, la stampa,<br />

i media, le forze <strong>del</strong>l’ordine, i servizi sociali, il sistema educativo. Ma esiste<br />

un’altra variabile che è essenziale. Esiste un altro target, un altro destinatario<br />

irrinunciabile.<br />

Nel gioco terribile tra vittima e persecutore, cioè tra la prostituzione in condizione<br />

di schiavitù e il suo padrone, c’è sempre, comunque, uno spettatore.<br />

C’è sempre comunque un cittadino distratto, disimpegnato, inerte. Colui o<br />

colei che ripetono: “è il mestiere più vecchio <strong>del</strong> mondo”,“la prostituzione c’è<br />

sempre stata e continuerà ad esserci”,”se c’è una domanda non può mancare<br />

un’offerta”, dimenticando che nella stragrande maggioranza dei casi l’offerta<br />

non è libera, ma è un’offerta coatta.<br />

Generalmente quello che io chiamo “lo spettatore”, è una persona che non si<br />

lascia coinvolgere attivamente. È qualcuno che resta freddo, distante quando<br />

qualcun altro chiede aiuto. Lo spettatore mantiene uno sguardo opaco verso<br />

chi ha bisogno di assistenza e protezione.È l’atteggiamento di quel contadino<br />

polacco di Treblinka che con candore dice,quando qualcuno gli chiedeva: ”Ma<br />

scusi, lei non si accorgeva di quello che succedeva a poche centinaia di metri<br />

dal suo campo?”e lui dice: ”Se ti tagli un dito, io non sento niente.”<br />

Questa non è soltanto una prova di cinismo, ma è un’espressione autoassolutoria,<br />

cioè una forma di dissonanza cognitiva con cui noi dobbiamo fare i<br />

conti. È l’atteggiamento per esempio che registriamo spesso sui giornali.<br />

A Napoli, qualche settimana fa, in un cantiere edile dove si lavorava in nero,<br />

un giovane di 26 anni cade, si ferisce mortalmente, e gli altri suoi compagni<br />

scappano, temono per sé e non vogliono essere coinvolti.<br />

Lo spettatore per proteggersi da un coinvolgimento diventa miope nel cuore<br />

e nella mente. Ma lo spettatore, se smette di essere inerte, può influenzare le<br />

conseguenze di una situazione a rischio, accettando di mettersi in gioco. Cioè<br />

lo spettatore può trasformarsi in un cittadino attivo.<br />

Perché questo avvenga, perché questo sia possibile, lo spettatore deve essere<br />

aiutato a vedere e a sentire e inoltre non deve sentirsi solo. Cioè deve sentirsi<br />

in qualche modo approvato e gratificato per la sua azione di sostegno, e in<br />

qualche modo ha bisogno di sentirsi tutelato.<br />

Che cosa favorisce l’azione <strong>del</strong>lo spettatore? Che cosa favorisce il suo senso di<br />

responsabilità? In che modo lui diventa un soggetto solidale? Sicuramente ci<br />

sono alcune variabili: il fatto che lui abbia o non abbia ricevuto un’educazione<br />

appropriata. Cioè come a dire che nel suo iter educativo sia stato valorizzato<br />

l’altruismo o comunque valori morali di solidarietà verso gli altri. Il fatto che<br />

ci sia stato rispetto alla vittima un rapporto pregresso. L’idea che lo spettatore<br />

si rende conto di poter incidere concretamente in una situazione, cioè la con-


sapevolezza di poter disporre di una risorsa che influenza positivamente una<br />

situazione critica. Il sentirsi approvati. Una sensibilità morale alla prospettiva<br />

<strong>del</strong>l’altro, e questo io credo che sia la cosa più importante.<br />

Quando a Perlasca,che è il nostro Schindler italiano,colui che si è dato da fare<br />

per salvare la vita di centinaia di ebrei, chiesero: “Ma scusi, lei perché lo ha<br />

fatto?”, lui ha risposto: “Non avevo altra scelta: lei al mio posto cosa avrebbe<br />

fatto?”<br />

Allora, che cosa è successo? È successo che questo individuo è riuscito a percepire<br />

la situazione a partire dalla prospettiva <strong>del</strong>l’altro. Cioè ha visto la<br />

situazione dal punto di vista <strong>del</strong>l’altro.<br />

Far ascoltare le voci, interrogare le storie di vita, significa evidenziare la prospettiva<br />

<strong>del</strong>l’altro e creare le basi che favoriscono un contesto culturale,<br />

valoriale e etico nel quale si riconosce dignità alla vittima e le si va incontro.<br />

La banalità <strong>del</strong> bene, per mimare un’espressione di Hannah, quella che può<br />

portare lo spettatore ad esprimere una solidarietà attiva alle vittime <strong>del</strong>la<br />

tratta e <strong>del</strong>la prostituzione coatta, non è dovuta ad una specifica personalità,<br />

non è dovuta ad un carattere o a un’inclinazione personale. La banalità <strong>del</strong><br />

bene è l’esito di una combinazione tra relazioni e situazioni favorevoli, e in<br />

quanto tale, la banalità <strong>del</strong> bene è effimera, transitoria, instabile, variabile.<br />

Io credo che la comunicazione sociale lavori per ridurre il carattere aleatorio e<br />

transitorio di ogni gesto solidale. La comunicazione sociale lavora perché<br />

l’azione morale diventi una linea di condotta condivisa dalla comunità. Nel<br />

fare questo forse dobbiamo inventarci cose diverse, cose nuove.Trovare linguaggi<br />

assolutamente inediti, nuove strade, oppure percorsi insoliti, che<br />

strade non sono. Qualcuno dice: “Mi piace camminare, ma non seguo la<br />

strada. Perché nella sicurezza non c’è mistero, non c’è sorpresa, non c’è<br />

stupore.”<br />

Ultimo appunto.Io ho letto recentemente sui giornali che la Commissione Teologica<br />

internazionale su invito <strong>del</strong> Papa, vuole abolire il limbo. È una scelta<br />

teologica che personalmente non mi coinvolge ma che rispetto. Ma io credo<br />

che possa diventare un’operazione concettuale estremamente pericolosa. È<br />

come se cancellando quella parola, occultassimo meglio quello che nasconde.<br />

Nel mondo <strong>del</strong>l’aldilà, per i cattolici, il limbo connota quella zona limite nella<br />

quale vengono raccolte le anime dei bambini non battezzati, cioè le anime<br />

degli esclusi, di coloro che in qualche modo non hanno avuto l’opportunità<br />

di accedere alla verità e al Verbo divino. Nel mondo <strong>del</strong>l’aldiqua, il limbo è<br />

un non-luogo, inteso come spazio indefinito che accoglie persone senza<br />

identità precise, cioè soggetti invisibili che vivono una condizione quasi di<br />

sospensione.<br />

Tradotto nel linguaggio <strong>del</strong>la nostra contemporaneità, il limbo è quella condizione<br />

sociale che definisce milioni di persone senza terra e senza diritti.Sono<br />

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48<br />

i senza fissa dimora, i tossicodipendenti che vivono in strada, gli immigrati<br />

clandestini e le prostitute.<br />

Io credo che non si possa cancellare quella parola senza risolvere quelle condizioni,<br />

attraverso pratiche che siano liberatorie e inclusive. Questo è il<br />

principio elementare di chi fa comunicazione sociale.<br />

Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

Ringraziamo Claudio Renzetti per il prezioso intervento. A questo punto,<br />

dovendoci addentrare nella seconda relazione,lo ringraziamo anche perché ci<br />

ha accompagnati in questo nostro lavoro nel Comune di Perugia, evocando<br />

due temi, quelli che lui ha approfondito: il senso <strong>del</strong>la comunicazione sociale<br />

e il senso <strong>del</strong> lavoro di comunità, e come questi due aspetti interagiscono.<br />

Un tema difficile.Qui con noi c’è il nostro assessore <strong>del</strong> Comune di Perugia che<br />

ci ha accompagnato, ed è venuta ad ascoltare le esperienze che intorno a<br />

questo progetto si stanno muovendo. Il Comune di Perugia, essendo un ente<br />

locale,un’istituzione,ha affrontato,ha cercato di mettersi in gioco nel navigare<br />

questa nuova dimensione <strong>del</strong> lavoro sociale, per cominciarla a praticare.<br />

Tema complesso e molto difficile. Adesso spetta a Stefania Cavalaglio e<br />

Stefania Alunni, le due persone che quotidianamente portano avanti questo<br />

progetto nel nostro Comune, e che hanno scelto una parte <strong>del</strong>la nostra<br />

comunità cittadina, una circoscrizione, dove poter affrontare questo tema.<br />

Parleranno di come confrontarsi con i punti di vista <strong>del</strong>l’altro e come può<br />

essere possibile accettarli, comprenderli e cercare punti di incontro possibili,<br />

come diceva Claudio Renzetti. A loro quindi passo la parola e microfono.<br />

Stefania Alunni<br />

Buonasera,sono Stefania Alunni.Certo,intervenire dopo Claudio Renzetti<br />

è un compito arduo, anche perché vi richiameremo proprio sull’aspetto<br />

tecnico di questo progetto che io e Stefania abbiamo denominato “La città<br />

sono anch’io”.<br />

Quindi un intervento di comunità per la qualità <strong>del</strong>la vita e per la sicurezza<br />

possibile e desiderabile.<br />

L’obiettivo generale <strong>del</strong> nostro progetto è definire e sperimentare un mo<strong>del</strong>lo<br />

di intervento sulla comunità con la finalità di lavorare sulle rappresentazioni<br />

sociali attraverso l’osservazione, la mappatura <strong>del</strong>le risorse umane, anche<br />

<strong>del</strong>le risorse istituzionali <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong> privato sociale,e la mediazione dei<br />

conflitti.<br />

Chi sono i destinatari? Il Comune di Perugia è suddiviso in 12 circoscrizioni. Noi<br />

abbiamo calato il nostro intervento sulla terza circoscrizione che è una <strong>del</strong>le più<br />

popolose <strong>del</strong>la nostra città. Ci sono circa 27.000 abitanti. Abbiamo scelto


questo territorio perché fortemente interessato dal fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione<br />

di strada, ma anche di quella al chiuso. In considerazione di ciò<br />

l’abbiamo scelto proprio come unità territoriale di riferimento. Naturalmente i<br />

destinatari sono anche le persone che vi risiedono, le istituzioni presenti, le<br />

organizzazioni sociali che la animano e le realtà economiche che la sostengono.<br />

La comunità dunque, intesa nella sua dimensione economica, sociale e culturale,<br />

come unità territoriale, come un insieme sistemico e complementare.<br />

Siamo partiti da un’ipotesi: il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione, <strong>del</strong>la tratta e gli<br />

altri fenomeni ad essa collegata, agiscono sulle rappresentazioni sociali<br />

legate alla percezione <strong>del</strong>la sicurezza ed al senso di appartenenza ad una<br />

comunità. Quindi la prostituzione sicuramente collegata all’immigrazione<br />

clandestina, alla criminalità, che in qualche modo agiscono sulla percezione<br />

<strong>del</strong>la sicurezza, sul senso d’identità individuale e sul senso di appartenenza<br />

alla comunità e si trasformano in rappresentazioni sociali.<br />

La macrostruttura <strong>del</strong> progetto: siamo partiti proprio dalla progettazione esecutiva.<br />

Abbiamo presentato il progetto alle istituzioni coinvolte. Il 2 aprile<br />

abbiamo organizzato un evento pubblico nella nostra città. Abbiamo elaborato<br />

la mappatura <strong>del</strong>le rappresentazioni sociali,la mappatura <strong>del</strong>le risorse<br />

territoriali attraverso gli opinion leader, azioni formative rivolte agli opinion<br />

leader (attualmente siamo proprio in questa fase: stiamo facendo un corso<br />

informativo <strong>del</strong> quale poi vi parlerà Stefania), e quindi attiveremo laboratori<br />

con la comunità aventi la finalità di produrre una “carta di comunità per la<br />

qualità <strong>del</strong>la vita”. Inoltre produrremo, e abbiamo già prodotto, <strong>del</strong> materiale<br />

informativo.<br />

La progettazione esecutiva passa attraverso due momenti partecipativi: con<br />

le istituzioni, nello specifico l’ufficio <strong>del</strong>la cittadinanza (che è un servizio<br />

sociale <strong>del</strong> Comune di Perugia, costituito da un’équipe sociale), la circoscrizione<br />

e il centro di salute. E poi la comunità organizzata: i centri socio-culturali,<br />

i centri di aggregazione giovanile e le associazioni di volontariato.<br />

Le risorse umane: abbiamo uno staff di lavoro che è costituito da me, da<br />

Stefania e da Claudio Renzetti, insieme a 4 collaboratori che sono oggi anche<br />

loro presenti. Inoltre, come risorse umane fondamentali, ci sono gli attori<br />

chiave che appunto sono la terza circoscrizione, l’ufficio <strong>del</strong>la cittadinanza, le<br />

forze <strong>del</strong>l’ordine, la scuola, il centro di salute, il privato sociale e gli opinion<br />

leader: cittadini, commercianti, volontari, parrocchie, gruppi sportivi, quindi<br />

gruppi formali ed informali. Passo la parola a Stefania.<br />

Stefania Cavalaglio<br />

Il mio compito è quello di illustare le attività che abbiamo realizzato dal mese<br />

di gennaio fino ad ottobre di quest’anno, oltre alle ipotesi future di lavoro fino<br />

alla fine <strong>del</strong> progetto, cioè giugno 2005.<br />

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50<br />

Come vi ha precedentemente descritto Stefania Alunni, il progetto “La città<br />

sono anch’io”è stato presentato il 2 aprile 2004 con un evento pubblico che<br />

ha visto la partecipazione di amministratori, forze <strong>del</strong>l’ordine, magistrati,<br />

operatori sociali, singoli cittadini. Siamo poi entrati nella fase operativa <strong>del</strong><br />

progetto con la realizzazione <strong>del</strong>le “audizioni” con gli opinion leader <strong>del</strong> territorio<br />

<strong>del</strong>la terza circoscrizione. Non si è trattato di vere e proprie interviste,<br />

ma di colloqui intorno ad alcuni focus di discussione – sicurezza, immigrazione,<br />

prostituzione, compiti <strong>del</strong>le istituzioni e <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine – con<br />

le persone rappresentative, attori chiave <strong>del</strong>la comunità. Queste audizioni ci<br />

hanno offerto la misura <strong>del</strong>la consapevolezza circa la consistenza <strong>del</strong><br />

fenomeno prostituzione nel territorio da parte dei cittadini e le percezioni che<br />

essi hanno rispetto al senso di sicurezza.<br />

Abbiamo voluto soprattutto capire il tipo di richieste che i cittadini stessi<br />

potevano fare all’amministrazione comunale, o comunque che cosa<br />

avrebbero potuto fare di più, secondo il loro parere, le forze <strong>del</strong>l’ordine e le<br />

istituzioni che agiscono sul territorio.<br />

Sono stati realizzati anche focus group e gruppi di discussione. Il primo dei<br />

quali con i giornalisti <strong>del</strong>la stampa locale che hanno visto il coinvolgimento<br />

<strong>del</strong>la qui presente Vanna Ugolini <strong>del</strong> Messaggero e di altri che quotidianamente<br />

scrivono sulle cronache articoli sulla sicurezza, sull’immigrazione,<br />

sulla criminalità e sulla tratta. Abbiamo, infine, attivato dei gruppi di<br />

discussione con i giovani, con i commercianti dei quartieri <strong>del</strong>la terza circoscrizione<br />

e con gli amministratori di condominio.<br />

Terminata la fase di mappatura <strong>del</strong> territorio e <strong>del</strong>le rappresentazioni sociali<br />

intorno la tema prostituzione abbiamo realizzato nella giornata <strong>del</strong> 19 ottobre<br />

un incontro di restituzione dei risultati di questa prima fase di lavoro e in quella<br />

sede abbiamo presentato a tutte le persone coinvolte nella fase di mappatura<br />

un percorso in-formativo, iniziato il 29 ottobre 2004, attual-mente in corso e<br />

di cui vi spiegherò gli obiettivi e le modalità di organizzazione in seguito.<br />

Nel corso <strong>del</strong>la realizzazione <strong>del</strong>le attività <strong>del</strong>l’azione pilota “La città sono<br />

anch’io” stiamo mettendo a punto alcuni prodotti: un report <strong>del</strong>la rassegna<br />

stampa sui cui lo staff ha operato e che per noi rappresenta uno strumento<br />

interno di lavoro. Abbiamo cioè raccolto gli articoli comparsi nelle testate<br />

locali a partire dal gennaio 2004 fino ad oggi per compiere un’analisi di tutti<br />

gli articoli legati alla prostituzione, alla tratta, alla criminalità, alla sicurezza.<br />

Per noi questa raccolta rappresenta un primo panorama rispetto al modo in<br />

cui certi argomenti sono veicolati dai mezzi di comunicazione ed in quale<br />

misura incidono nelle rappresentazioni sociali riscontrate parallelamente<br />

nelle audizioni. Abbiamo poi prodotto il report <strong>del</strong>le 53 audizioni effettuate, i<br />

report dei gruppi di discussione, oltre ad una ricerca specifica con gli amministratori<br />

di condominio in quanto testimoni privilegiati <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la


prostituzione in appartamento. Abbiamo cercato, proprio per sondare il<br />

fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione invisibile, di contattarli e avere da loro un<br />

riscontro rispetto ad al fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione “sommersa” e presente<br />

in modo significativo nella nostra realtà. Sono stati realizzati alcuni materiali<br />

divulgativi e pubblicitari sul progetto, esplicativi degli obiettivi e <strong>del</strong>le attività<br />

di W.E.S.T. a livello nazionale che locale.<br />

Come vi ho accennato in questa fase stiamo realizzando il corso che noi non<br />

chiamiamo di formazione, ma di in-formazione, dal titolo “passeggiare tra i<br />

luoghi comuni”, perché di luoghi comuni si parla in questo percorso. Quello<br />

che a noi interessa in questa fase è coinvolgere attivamente opinion leader e<br />

attori locali per valorizzare il protagonismo <strong>del</strong>la comunità.Lo facciamo ripercorrendo<br />

i temi affrontati nelle audizioni. Scomponiamo e “giochiamo”con le<br />

voci, le opinioni, la rappresentazione dei singoli vissuti non solo rispetto al<br />

tema <strong>del</strong>la prostituzione e <strong>del</strong>la tratta, ma a quello <strong>del</strong> senso di identità e di<br />

appartenenza alla comunità.Vogliamo tentare di definire con la comunità<br />

stessa quelli che possono essere i problemi e i possibili rimedi, le soluzioni<br />

praticabili ed agibili dalla comunità stessa.<br />

Questo percorso formativo ha dei momenti di carattere informativo.I soggetti<br />

che vi partecipano,siano essi forze di polizia,Carabinieri,vigili,associazioni di<br />

volontariato, terzo settore si presentano agli altri e rappresentano la propria<br />

attività,la propria voce in modo collettivo.Parallelamente lavoriamo sulla formazione<br />

personale rispetto alla mediazione dei conflitti, all’approccio autobiografico,<br />

alla progettazione. Nel corso degli ultimi due incontri previsti per il<br />

10 e per il 17 dicembre metteremo in piedi un laboratorio di progettazione<br />

sociale. Il compito è: alla luce <strong>del</strong>le risorse che la stessa comunità possiede,<br />

quali azioni possiamo realizzare insieme per informare, sensibilizzare e<br />

attivare la comunità sul tema <strong>del</strong>la <strong>del</strong>la prostituzione coatta e <strong>del</strong>la tratta?<br />

Cosa può fare la comunità per la sicurezza?<br />

L’approccio utilizzato è quello <strong>del</strong>l’elaborazione strategica dal basso, che<br />

richiama una logica di lavoro utilizzata dall’amministrazione comunale,come<br />

ad esempio per la definizione <strong>del</strong> Piano Sociale di zona, messo a punto con la<br />

realizzazione di tavoli di co-progettazione.<br />

Con questa modalità lavoreremo poi sulla “Carta <strong>del</strong>la comunità per la qualità<br />

<strong>del</strong>la vita”.Grazie alla realizzazione futura <strong>del</strong>le azioni di comunità inviteremo<br />

gli stessi attori locali ed opinion leader a ragionare su alcuni valori condivisi e<br />

da loro stessi riconosciuti fondanti in senso di appartenenza alla stessa<br />

comunità. Gli stessi, riconoscendosi un proprio ruolo e legittimando il ruolo<br />

degli altri, diventano competenti, definiscono quelli che sono i problemi e poi<br />

elaborano <strong>del</strong>le soluzioni possibili e desiderabili per la stessa comunità. La<br />

comunità quindi trasforma i bisogni in domande e si dà <strong>del</strong>le risposte proprie.<br />

A partire da questo momento fino alla fine <strong>del</strong> progetto, produrremo poi un<br />

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52<br />

catalogo <strong>del</strong>le voci dei luoghi comuni. Potete immaginare quanto materiale,<br />

rispetto alla percezione che le persone hanno, possiamo aver raccolto. Ciò<br />

sarà per noi, come lo è stato fino ad ora, il materiale sul quale sviluppare le<br />

azioni future.<br />

Lavoreremo, ad esempio, su un laboratorio ed una rappresentazione teatrale<br />

che vedrà le persone coinvolte nel corso diventare attori. Realizzeremo poi<br />

altri eventi rivolti alla cittadinanza. Durante il laboratorio di progettazione le<br />

idee e le proposte praticabili che verranno da parte <strong>del</strong>la stessa comunità<br />

saranno poi realizzate e ci auguriamo anche successivamente al termine di<br />

conclusione <strong>del</strong> progetto W.E.S.T.<br />

Un obiettivo per noi non secondario è quello di creare uno strumento di lavoro<br />

e metterlo a disposizione di coloro che quotidianamente operano con la<br />

comunità, al di là <strong>del</strong> tema <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione e <strong>del</strong>la tratta.<br />

Carla Trampini<br />

Ringraziamo Stefania Cavalaglio e Stefania Alunni, anche per l’emozione<br />

con cui ci hanno raccontato la loro esperienza. Come appunto ci diceva prima<br />

Claudio Renzetti, voi capite in che ambito di intervento complesso di un<br />

processo di comunicazione, di un processo trasformativo, migliorativo <strong>del</strong>le<br />

relazioni, in che ambito di lavoro <strong>del</strong>icato e complesso si stanno “spericolando”,<br />

come dicono loro, le nostre operatrici sociali.<br />

Io sottolineerei un passaggio importante che è stato fatto nella relazione, che<br />

noi riteniamo un punto di forza: stiamo lavorando per passare dalla gestione<br />

<strong>del</strong>l’emergenza sociale, che ci coinvolge tutti in maniera forte e molto spesso<br />

caratterizza i nostri interventi, a quello <strong>del</strong>la progettazione <strong>del</strong>l’intervento<br />

sociale. E questo è un mo<strong>del</strong>lo sperimentale che sta in questo quadro più<br />

complessivo.<br />

Parlando di comunità locali, che noi intendiamo in questa dimensione territoriale,<br />

appunto una parte <strong>del</strong>la nostra città, la terza circoscrizione, come<br />

luogo di vita, come ambito di relazioni, come spazio privilegiato per la partecipazione<br />

sociale, appunto “Città anch’io”, abbiamo qui con noi oggi un<br />

testimone privilegiato di questo percorso. Un testimone importante, perché<br />

avendo partecipato a questo progetto pilota ci ha portato il contributo rispetto<br />

alla comunicazione nella dimensione dei mass media.<br />

È con noi Vanna Ugolini, giornalista <strong>del</strong> Messaggero <strong>del</strong>l’Umbria, a cui darei<br />

la parola per il suo intervento.<br />

Vanna Ugolini<br />

Buongiorno a tutti. Io sono una cronista di nera, mi occupo di questo<br />

argomento da 15 anni e ho sempre lavorato in redazioni locali. Ritengo che<br />

queste siano un osservatorio privilegiato rispetto alle grandi città, proprio


perché il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione non si può nascondere. Si vede e<br />

coinvolge direttamente la gente in tanti momenti <strong>del</strong>la giornata.<br />

Io credo che, ancora oggi, nonostante di prostituzione si parli con frequenza,<br />

questo problema sia molto sottovalutato, non solo dalle persone, ma anche<br />

dalle istituzioni, a tutti i livelli. Se questo comportamento può essere comprensibile<br />

da un lato, per una serie di motivi che cercherò di spiegarvi, dall’altro<br />

rappresenta un grosso ritardo che deve essere colmato molto in fretta<br />

se non ci si vuole trovare di fronte a un fenomeno incontrollabile,sia dal punto<br />

di vista <strong>del</strong>la criminalità, che <strong>del</strong> controllo <strong>del</strong> territorio <strong>del</strong>le nostre città.<br />

Ancora, se non vogliamo perdere quelle condizioni di vivibilità e di coesione<br />

sociale che, soprattutto in alcune province, ne fanno dei luoghi privilegiati in<br />

cui vivere con un alto livello di qualità <strong>del</strong>la vita. Ma soprattutto, anche da un<br />

punto di vista morale, se non vogliamo essere solo degli spettatori o addirittura<br />

dei complici di cambiamenti epocali che sono segnati da violenza nei<br />

confronti dei soggetti più deboli, cioè le donne e i bambini, e di discriminazione.<br />

Scrivere e fare comunicazione in questi tempi non è semplice, per<br />

tanti fattori legati anche al modo in cui si lavora oggi nei giornali, nelle televisioni.<br />

Ma anche perché dobbiamo essere testimoni di cambiamenti così<br />

grandi e scriverne giorno dopo giorno. Sono cambiamenti che io credo rappresentino<br />

un salto qualitativo rispetto a come la storia ha proceduto fina ad<br />

ora. Vi faccio alcuni esempi: in questo momento stanno studiando al mondo<br />

migliaia di ricercatori.<br />

Se noi facessimo la somma di questi ricercatori, scopriremmo che tutti quelli<br />

che studiano in questo momento, sono molti di più di quelli che hanno fatto<br />

ricerche, che hanno fatto scoperte dalla preistoria fino all’epoca industriale. E<br />

con che mezzi a disposizione. Inoltre la rivoluzione <strong>del</strong>le biotecnologie non<br />

rimarrà certo confinata solo in ambiti scientifici.Vi voglio citare una frase che<br />

ha detto un economista americano,Rifkin,che,secondo me,è illuminante: “In<br />

poco più di una generazione, il nostro concetto di vita e il significato <strong>del</strong>l’esistenza<br />

saranno radicalmente cambiati. Le vecchie e collaudate ipotesi sulla<br />

natura, compresa la natura umana, saranno completamente ripensate. Molte<br />

<strong>del</strong>le più arcaiche abitudini riguardanti la sessualità, la riproduzione, la<br />

nascita, la paternità e la maternità, potrebbero essere parzialmente abbandonate.<br />

Saranno ridefinite anche le idee di uguaglianza e democrazia al pari<br />

di nozioni come libero arbitrio e progresso. Probabilmente cambieranno<br />

anche il nostro senso di società e la coscienza di noi stessi, come già successe<br />

agli albori <strong>del</strong> Rinascimento e nell’Europa medievale di più di 700 anni fa.<br />

Siamo quindi testimoni di cambiamenti che riguarderanno anche i nostri<br />

rapporti e le nostre relazioni interpersonali e stiamo ogni giorno confrontandoci<br />

con un’altra rivoluzione epocale che è quella <strong>del</strong>le migrazioni.<br />

Migrazioni di persone che da una parte di mondo in cui la vita è in questo<br />

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54<br />

momento molto dura, molto difficile, arrivano nella parte di mondo con un<br />

livello di benessere molto più alto. Queste migrazioni però hanno <strong>del</strong>le caratteristiche<br />

diverse rispetto a quelle che avvenivano anche solo nel secolo<br />

scorso, e di cui anche noi italiani eravamo protagonisti. Al contrario <strong>del</strong>le<br />

vecchie migrazioni, oggi sono soprattutto le donne che migrano, che lasciano<br />

la propria casa e lasciano spesso dei figli piccoli, per spostarsi a cercare quel<br />

lavoro e quel benessere e che nel loro paese manca. I migranti poi non<br />

partono oggi con la speranza di conquistare un nuovo mondo, un territorio<br />

parzialmente inesplorato, in cui ci sono <strong>del</strong>le grosse possibilità di affermazione,<br />

ma sanno già che dovranno farsi spazio in una società ristretta, collaudata,<br />

rigida e molto spesso poco accogliente.<br />

Per tutto questo noi che lavoriamo nel settore <strong>del</strong>la comunicazione,dobbiamo<br />

fare molti sforzi per cercare di comunicare ogni giorno questi cambiamenti, al<br />

di là dei luoghi comuni. Dobbiamo quindi cercare un punto di vista nuovo<br />

prima di tutto per capire noi stessi e poi per far capire. Siamo di fronte a <strong>del</strong>le<br />

donne, e anche a dei bambini, che partono dalla loro terra dopo aver subito<br />

violenze di ogni genere, sia fisiche, sia psicologiche, in condizioni tali che,<br />

dopo decenni che non succedeva, anche i magistrati <strong>del</strong>la città in cui io vivo,<br />

Perugia, hanno ricominciato ad applicare il reato di riduzione in schiavitù. Ci<br />

sembra incredibile che questo possa succedere nella nostra epoca e che<br />

questo possa succedere nelle strade <strong>del</strong>la nostra città, ma è così. Io, però, ho<br />

riscontrato personalmente che la gente a questo fatto spesso non crede, o di<br />

questo fatto non si vuole rendere conto.<br />

Il mio lavoro come giornalista è stato anche quello di andare nelle scuole, di<br />

andare alle riunioni di quartiere assieme ad altri operatori. Questo negli anni,<br />

perché il cambiamento <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione a Perugia è un<br />

processo che noi, come giornale, abbiamo cominciato a seguire 5 o 6 anni fa.<br />

Siamo andati a parlare in mezzo alla gente e veramente ho riscontrato che<br />

c’era una chiusura mentale nei confronti di questo problema molto, molto<br />

forte. C’è stato allora un lavoro intenso, sia da parte nostra sia da parte degli<br />

operatori, <strong>del</strong>le forze di polizia per spiegare com’era, in realtà, la situazione,<br />

che eravamo di fronte ad una vera e propria tratta di donne ridotte in schiavitù<br />

e non più ad un mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento come quello che poteva<br />

esistere anche solo una decina di anni fa. Schiavitù è una parola forte ma voi<br />

come la chiamate una donna rubata dal suo paese, costretta a prostituirsi,<br />

privata di ogni diritto civile in un paese straniero di cui non sa nulla? Che non<br />

ha più il nome, perché le vengono sequestrati i documenti, cambia la propria<br />

identità, perde tutto, è in una situazione di totale dipendenza dai protettori o<br />

dalle organizzazioni e dal racket? E abbiamo cercato di non parlare di un<br />

fenomeno generale,ma provare a farlo scendere nella realtà.Quindi abbiamo<br />

cominciato a dire: come le chiamereste persone che perdono tutto, che non


hanno più riferimenti? Cosa pensereste se una vostra sorella, una vostra<br />

moglie, una vostra figlia al mattino vi dicesse: “vado a cercare lavoro in un<br />

altro paese”e di lei perdereste ogni traccia? Come vi sentireste se non aveste<br />

più la possibilità di rintracciarla,di sapere che cos’ha fatto? Pensate che vostra<br />

figlia, vostra sorella, vostra moglie, se n’è andata, sta in un paese lontano,<br />

l’avete persa, non avete più nessun legame con lei. È una cosa che è incredibile<br />

e io credo che proprio questo fenomeno così grande sia difficile da<br />

capire, sia difficile da credere che possa esistere una situazione <strong>del</strong> genere in<br />

un paese tutto sommato vicino al nostro.<br />

Quindi il primo lavoro che abbiamo fatto come comunicatori, è stato quello di<br />

dare una dimensione a questa tratta e di renderla più “familiare”, di far capire<br />

che le donne coinvolte erano persone come noi, solo che venivano da un altro<br />

paese, ma erano madri, erano figlie, erano sorelle come noi.<br />

È il discorso <strong>del</strong>le storie di vita che ha fatto Renzetti, comunque contestualizzato<br />

nella nostra città. La ragazza che sta nell’appartamento vicino a voi<br />

non è una prostituta che è contenta di fare quello che fa, ma è una ragazza<br />

rapita dalla sua famiglia e che è in una situazione di schiavitù rispetto al suo<br />

protettore.<br />

Vi assicuro che dopo 2 anni di riunioni e incontri nei quartieri, ancora si<br />

andava nelle scuole – e fu una cosa che mi colpì moltissimo – e gli stessi insegnanti<br />

<strong>del</strong>le scuole erano stupiti quando si parlava di questo. Quindi anche<br />

degli opinion leader, persone che avrebbero dovuto comunicare agli studenti<br />

come affrontare questo problema, non erano ancora informati, nonostante<br />

tutti i dibattiti, nonostante tutti gli articoli di giornale e i servizi degli altri<br />

mezzi di comunicazione.<br />

Comunicare,quindi vi ripeto,è molto difficile e,così,un secondo sforzo è stato<br />

quello di far vedere il problema da tanti punti di vista. Inizialmente a Perugia<br />

il problema <strong>del</strong>la prostituzione esplose, paradossalmente, per un problema di<br />

viabilità e di pulizia <strong>del</strong>le strade. Le prime proteste nei confronti <strong>del</strong>la<br />

presenza <strong>del</strong>le prostitute a Perugia, vennero dalle persone che abitavano nei<br />

quartieri dove questo fenomeno era massicciamente presente. Il problema<br />

era reale, tanto che io una sera uscii con le volanti <strong>del</strong>la squadra mobile e in<br />

una notte contai personalmente 350 ragazze giovanissime, e anche non giovanissime.<br />

Parlai con una signora colombiana che aveva una quarantina<br />

d’anni e 4 figli in Colombia da mantenere. Facendo un po’di calcoli con carabinieri<br />

e polizia,con cui all’epoca uscivo spesso la notte per monitorare questa<br />

situazione, calcolammo che un paio d’anni fa erano almeno 1000 le ragazze<br />

presenti a Perugia, non sempre le stesse, venivano cambiate, ma la quantità<br />

più o meno era questa, in una città che ha 120.000 abitanti, e calcolammo<br />

che c’erano più prostitute che medici di base. Era una presenza altissima.<br />

Ci siamo chiesti, sia noi come giornalisti, che le forze <strong>del</strong>l’ordine, il perché<br />

55


56<br />

<strong>del</strong>la presenza di tante prostitute a Perugia. Sicuramente perché Perugia è<br />

una città di un certo benessere, e quindi ci sono persone che possono<br />

spendere per andare con le prostitute e sicuramente perché Perugia è una<br />

città al centro <strong>del</strong>l’Italia, accessibile da tante strade, una città tutto sommato<br />

accogliente. Ma anche perché è abbastanza facile per chi organizza il traffico<br />

<strong>del</strong>le donne trovare una sistemazione logistica. Ad esempio, ci sono moltissimi<br />

appartamenti sfitti a Perugia. C’è molta possibilità di trovare in<br />

qualche modo una sistemazione. Ci sono <strong>del</strong>le persone disponibili ad accompagnare<br />

le ragazze dalla frontiera a Perugia. Per cui il nostro lavoro di comunicazione<br />

è stato anche quello di smascherare questo sottobosco che c’era e<br />

che c’è a Perugia, ma che comunque fino a qualche anno fa non emergeva.<br />

Ovviamente lo abbiamo fatto approfondendo i risultati investigativi <strong>del</strong>le<br />

forze <strong>del</strong>l’ordine e abbiamo cominciato a dire che non è vero che il denaro non<br />

ha odore. Il denaro molto spesso puzza, ha l’odore <strong>del</strong>la violenza e <strong>del</strong>l’orrore<br />

in cui queste ragazze vivono.<br />

Per cui se una città vuole essere civile, deve fare un passo indietro e deve<br />

rifiutare di guadagnare dalla violenza a cui queste donne sono sottoposte,<br />

perché in gran parte questo fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione è anche tollerato<br />

perché fa guadagnare: ci guadagna chi affitta gli appartamenti, chi trasporta<br />

queste ragazze, albergatori, ristoratori, eccetera, soggetti economici attorno a<br />

cui ruota la prostituzione.<br />

Ricordo che una volta rimasi molto colpita da un’intervista. Riuscii a parlare<br />

con un protettore. Non era direttamente un protettore <strong>del</strong>le ragazze, ma era<br />

una persona che affittava le case a queste ragazze e in qualche modo collaborava<br />

con i protettori. Fu arrestato e tramite il suo avvocato riuscii a parlargli:<br />

questa persona diceva che tutte queste ragazze erano consenzienti,che<br />

anzi erano fortunate perché guadagnavano un sacco di soldi, perché loro non<br />

pagavano le tasse. Lui anzi, sosteneva, era una vittima <strong>del</strong>la giustizia perché<br />

offriva loro un tetto, e che non avrebbero potuto avere attraverso i canali<br />

normali, perché erano clandestine. E mi ricordo questo gesto: lui prese<br />

qualcosa al bar, perché era in libertà, era lì con il suo avvocato, e pagò con<br />

monetine da 10 centesimi, perché oltre ad affittare le case alle prostitute, le<br />

affittava anche ai lavavetri, ecc... Questa persona si era assolutamente<br />

convinto di essere un benefattore di queste donne e di questi emarginati.<br />

Quindi comunicare il sociale vuol dire avere il coraggio di dire che bisogna<br />

fare un passo indietro e di abbattere certi luoghi comuni che sono ancora<br />

molto radicati. Come si può fare questo? Raccontando queste cose e anche<br />

facendole raccontare da alcuni attori sociali di una certa importanza.<br />

Ad esempio io, pochi giorni fa, ho intervistato un magistrato che conduceva le<br />

indagini su un omicidio, una sorta di vendetta, successa proprio a ridosso <strong>del</strong><br />

centro storico di Perugia, fra bande rivali albanesi. Due fratelli hanno tenuto


fermo un rappresentante <strong>del</strong>l’altra banda e con un coltello gli hanno aperto la<br />

pancia, uccidendolo sotto le finestre dei perugini, nel cuore <strong>del</strong>la città. L’analisi<br />

<strong>del</strong> magistrato su questo problema era sostanzialmente questa: bisogna<br />

non fare mai passi indietro nella legalità. Bisogna, anzi, alzare la soglia <strong>del</strong>la<br />

legalità. Bisogna non creare <strong>del</strong>le sacche in cui chi vuole vivere nell’illegalità,<br />

comunque, come si dice in gergo,“ci si aggiusta”. È molto importante, diceva<br />

il magistrato, comunicare alla gente queste cose e non fare più passi indietro<br />

perché altrimenti ci ritroveremo poi con una presenza radicata di criminalità<br />

da cui sarà difficile liberarci.<br />

Il Comune di Perugia ha fatto molte cose anche positive nei confronti <strong>del</strong>la<br />

lotta alla prostituzione, perché ad esempio è stato il primo, e credo forse<br />

ancora l’unico Comune, che si è costituito parte civile contro gli sfruttatori. E<br />

questo è stato un gesto certamente simbolico, ma anche molto concreto, di<br />

una presa di posizione molto ferma nei confronti <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la tratta. E<br />

anche questa cosa è stata comunicata in maniera abbastanza rilevante,<br />

perché l’abbiamo tenuta molto in considerazione come stampa. Quindi,<br />

comunicare oggi vuol dire far vedere questo problema da tanti punti di vista.<br />

Il nostro problema come comunicatori poi è stato un altro.È stato anche quello<br />

<strong>del</strong> linguaggio. Noi giornalisti, non solo abbiamo dovuto capire qual era il<br />

problema,non solo capire da quali punti di vista farlo vedere,ma anche capire<br />

come parlarne. Proprio in termini di parole. Probabilmente non ci siamo<br />

ancora riusciti. Comunque è stato un lavoro in cui abbiamo dovuto man mano<br />

trovare le parole giuste per dirlo. Per cui basta con “meretrici”, basta con “prostitute”,<br />

perché chiamarle così? È giusto chiamarle schiave, vittime. Abbiamo<br />

dovuto cambiare la titolazione, anche se non sempre ci siamo riusciti.<br />

C’è stato anche uno sforzo linguistico nel raccontare questo problema.E come<br />

chiamare chi sfrutta queste donne? Basta chiamarli “papponi”, basta<br />

chiamarli “protettori”. Chiamiamoli “criminali”, chiamiamoli “malavitosi”,<br />

parliamo di racket <strong>del</strong>lo sfruttamento. Smettiamo di parlare <strong>del</strong> “mestiere più<br />

antico <strong>del</strong> mondo”, che è una frase dietro cui si rifugiano tutti, con qualche<br />

risolino di comprensione. Smettiamo di essere comprensivi e chiamiamo le<br />

cose con le loro parole.Fare un lavoro sui termini non è facile.Bisogna trovare<br />

un equilibrio fra le necessità di fare un titolo comprensibile e comunicare un<br />

concetto. Però è un lavoro che sicuramente va fatto, e che sicuramente si sta<br />

cominciando a fare. Soprattutto bisogna far vedere quello che non si vede<br />

bene, cioè quello che è sotto tutti i nostri occhi ma noi non vediamo.<br />

Voglio citarvi un esempio, che è quello di un libro che ho letto poco tempo fa e<br />

che è anche un ottimo esempio di come fare comunicazione sociale. È un libro<br />

che fa capire che cosa vuol dire comunicare un problema sociale. Lo ha scritto<br />

un mio collega di Repubblica, si chiama Giovanni Maria Bellu. Il libro è “I<br />

fantasmi di Portopalo”. In questo libro Bellu ha parlato di 283 clandestini che<br />

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58<br />

morirono in un naufragio nelle acque davanti a Portopalo in Sicilia e che<br />

nessun per anni ha voluto vedere, fino a quando lui, con 15 milioni di spesa,<br />

quindi non certo con una grande quantità di denaro, non li è andati a<br />

riprendere con una telecamera subacquea e li ha fatti vedere a tutti, a tutte le<br />

persone che per 4 anni non hanno voluto vedere questa nave che era affondata<br />

di fronte alla Sicilia, carica di persone che sono morte. Non bastava che i<br />

pescatori raccogliessero i cadaveri dei morti.Quando i pescatori hanno portato<br />

un cadavere di una persona morta alla Capitaneria di porto, il problema non è<br />

stato il cadavere, chiedersi come mai era arrivato un cadavere nelle reti da<br />

pesca. Il problema è stato che non era previsto dalla burocrazia come trattare<br />

questa cosa. Per cui il risultato è stato che per 3 giorni questa barca è rimasta<br />

bloccata. Il marinaio aveva perso giorni di lavoro, non gli erano più state date<br />

per diversi giorni le concessioni per ritornare a pescare, e quindi, questa<br />

persona, anziché essere premiata, perché si era socialmente impegnato a sottoporre<br />

questo problema alle autorità, fu punito perché non si sapeva come<br />

risolvere questa cosa dal punto di vista burocratico. E cosa accadde, poi? Che<br />

tutti gli altri pescatori,quando ripescavano i cadaveri,li ributtavano a mare per<br />

non avere più problemi, non perdere più giorni di pesca e di lavoro. Finché ad<br />

un certo punto un pescatore,dopo 4 anni,mandò un documento di identità che<br />

aveva trovato nelle tasche di un cadavere al giornalista.<br />

Da lì il collega partì con l’inchiesta e con grandissima facilità, ripeto, con 15<br />

milioni di spesa, cioè l’affitto <strong>del</strong>la barca e <strong>del</strong>la telecamera subacquea, riuscì<br />

a trovare la barca <strong>del</strong> naufragio e i resti di queste 283 persone. Era una cosa<br />

che tutti vedevano, ma che nessuno voleva vedere.<br />

Attraverso una comunicazione sociale fatta nella maniera giusta, questa cosa<br />

è diventata visibile anche se poi i cadaveri non sono mai stati ripescati, non è<br />

mai stato fatto un funerale a queste persone, nonostante le richieste da parte<br />

dei parenti e l’appello di premi Nobel. In questo libro il giornalista fa un lavoro<br />

anche linguistico. Queste persone le chiama per esempio “migranti”, non li<br />

chiama “extracomunitari”, non li chiama “clandestini”, non li chiama<br />

“stranieri”. “Migranti” è una parola che rende bene la vastità <strong>del</strong> fenomeno e<br />

il loro spostarsi lento in questi barconi, quasi fossero uccelli migratori, più<br />

verso un destino che verso un luogo fisico.<br />

Allora, tornando alle donne che sono sulla strada, la cosa più semplice è<br />

chiamarle per quello che sono, cioè <strong>del</strong>le donne violate, <strong>del</strong>le donne vendute<br />

che arrivano dall’altra parte di un mondo dove la povertà rende forse una<br />

scelta inevitabile il piegare la testa a tutto questo.Trovare un linguaggio<br />

adeguato vuol dire anche far vedere un problema che tutti sanno che esiste<br />

ma che nessuno vuol vedere veramente. Però ci sono ancora altre difficoltà.<br />

Comunicare deriva dalle parole latine cum più munus, che vuol dire rendere<br />

partecipi agli altri <strong>del</strong> proprio patrimonio. E non è facile per molti attori <strong>del</strong>


sistema <strong>del</strong>la comunicazione, per tante persone che devono far arrivare la<br />

comunicazione ai giornali,farsi capire e mettere il proprio patrimonio a disposizione<br />

degli altri.<br />

Il linguaggio <strong>del</strong>le amministrazioni pubbliche è un linguaggio burocratico che<br />

spesso non arriva alle persone,spesso la gente non lo capisce.È un linguaggio<br />

non fatto per farsi capire da tutti, ma fatto per farsi capire dagli addetti ai<br />

lavori, all’interno. E su questo punto, le amministrazioni dovrebbero invece<br />

lavorare, proprio per tirar fuori il lavoro che fanno, e per comunicare alla<br />

gente, per dare punti di riferimento alla gente. C’è poi il problema <strong>del</strong> linguaggio<br />

giuridico e dei tempi giuridici. Un’inchiesta dura mesi, dura anni,<br />

prima di arrivare ad una sentenza definitiva. In tutto questo tempo in cui si<br />

consumano <strong>del</strong>le vite, <strong>del</strong>le storie. In tutto questo tempo le condizioni<br />

cambiano e magari quando si arriva al processo, le ragazze che devono testimoniare<br />

sono sparite, sono tornate al proprio paese, non si sa più dove sono.<br />

È un problema rilevante questo <strong>del</strong>la comunicazione <strong>del</strong>la cronaca giudiziaria,<br />

perché la certezza <strong>del</strong>la pena, la certezza che certi meccanismi funzionano,<br />

è importante per dare fiducia alle ragazze che vogliono denunciare i<br />

propri sfruttatori. È difficile spiegare a queste ragazze, che dopo tutto quello<br />

che hanno passato hanno comunque il coraggio di denunciare,che la persona<br />

che hanno denunciato magari è uscita subito dopo di galera per un cavillo<br />

burocratico. Quindi fare comunicazione nel settore <strong>del</strong>la cronaca giudiziaria<br />

vuol dire riuscire a mantenere sempre vivo il filo di un processo,anche quando<br />

si perde, e questo avviene purtroppo molto spesso, tra le pagine dei fascicoli<br />

o negli scatoloni degli uffici. E vi assicuro che anche questo non è facile. Noi a<br />

Perugia abbiamo avuto un’indagine molto consistente, l’operazione Girasole,<br />

che è avvenuta in 2 momenti. Con l’operazione Girasole sono state messe in<br />

galera, o comunque identificate come facenti parte di bande criminali, più di<br />

200 persone. Credo che oggi in carcere non ci sia nessuno, credo che molte<br />

<strong>del</strong>le ragazze che hanno denunciato quest’operazione siano o sparite o<br />

ritornate al loro paese. Questa indagine ha messo in luce, dal punto di vista<br />

sociologico, un’altra cosa che era sotto gli occhi di tutti ma tutti non volevano<br />

vedere,cioè che c’era una prostituzione oltre che per le strade,nei night,e che<br />

bande criminali, (sia <strong>del</strong> sud Italia sia straniere, sia la criminalità locale<br />

umbra, ma anche quelle persone che vivono ai limiti <strong>del</strong>l’illegalità, per cui i<br />

titolari di night club, i tassisti e così via), queste 3 fasce si erano unite e<br />

avevano fatto un’organizzazione perfetta. Gli stranieri facevano venire le<br />

ragazze da fuori, attraverso i confini (vi riassumo un’inchiesta di 2000<br />

pagine), attraverso i pullman con permessi turistici. Gli umbri davano i night,<br />

davano i locali,le basi fisiche in cui far avvenire gli incontri,e la criminalità <strong>del</strong><br />

sud faceva venire la droga, la cocaina, per rallegrare, diciamo così, le serate.<br />

Purtroppo questa inchiesta è talmente complessa che la burocrazia dei tri-<br />

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60<br />

bunali la sta rallentando, per cui le persone poi sono uscite di carcere per<br />

decorrenza dei termini e si aspetta che si arrivi ad una richiesta di rinvio a<br />

giudizio almeno per il nocciolo duro, per la ventina di persone che avevano<br />

commesso gli atti criminali più feroci. Quest’inchiesta era nata dalla morte di<br />

una ragazza e con questo esempio mi ricollego alle storie di vita. Questa<br />

ragazza aveva 17 anni e morì in maniera terribile, sempre in Umbria. E anche<br />

questa cosa fu difficile da far vedere. Questa ragazza, Natali, anche se il nome<br />

sui documenti falsi era Tania Bogus morì uccisa a martellate sulla testa,legata<br />

con il fil di ferro ai polsi e buttata giù per una scarpata come fosse un animale.<br />

Questo sotto gli occhi <strong>del</strong>la gente, vicino a casa mia, vicino a casa vostra. Una<br />

persona, mentre faceva una passeggiata, vide <strong>del</strong> sangue, pensò ad un<br />

animale ferito, andò a vedere, ed inizialmente quel corpo sembrava un<br />

animale ferito, invece era una ragazza morta. Questa ragazza era una ragazza<br />

particolare, se vogliamo, perché poi, guardando tutte le carte processuali, si<br />

capisce che non solo era molto giovane e molto bella, ma anche ribelle. Non<br />

voleva sottoporsi alle angherie <strong>del</strong> suo protettore, non voleva prostituirsi,<br />

minacciava di andarsene, e così via. Il protettore, per dare una lezione alle<br />

altre,la uccise in quel modo.Ma questa ragazza aveva evidentemente lasciato<br />

il segno nella vita anche di persone che vivono in questi ambienti. Così un<br />

uomo che l’aveva conosciuta in un night club, (prima ancora che fosse<br />

venduta e portata sulle strade a prostituirsi) che rimase anche colpito dalla<br />

sua morte si pentì e da lì scaturì l’operazione Girasole, da cui i 200 arresti.<br />

Quindi, cercare di far capire questo problema è stato cercare di raccontare<br />

anche il dramma di 1000 donne attraverso il dramma di questa ragazza,e poi<br />

allargarsi all’indagine vera e propria.<br />

È stato il lavoro,come diciamo noi,di cercare la notizia dentro la notizia.Io per<br />

un certo periodo ho pensato che le storie di vita fossero la strada maestra per<br />

comunicare questo problema nelle reali dimensioni. Adesso io credo che le<br />

storie di vita siano sempre importanti, vadano sempre raccontate e vada<br />

sempre fatto capire che stiamo parlando di persone, non di numeri, non di<br />

cose che stanno lontano da noi, ma che stanno vicine a noi e che ci<br />

riguardano, però penso che ci voglia anche qualcos’altro.<br />

C’è uno scrittore italiano, si chiama Italo Calvino, che nel suo libro “Lezioni<br />

americane”, propone un elenco di cose da portare con noi nel secondo millennio,<br />

cioè nel millennio che stiamo vivendo ora. Lo ha scritto nel 1985.Tra<br />

le cose che Calvino salva, c’è il concetto di visibilità. Quale tipo di visibilità ci<br />

vuol far salvare? Non certo la visibilità <strong>del</strong>le immagini preconfezionate.Scrive<br />

Calvino: “Oggi siamo bombardati da una quantità tale di immagini da non<br />

saper più distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto per pochi<br />

secondi alla televisione. La memoria è ricoperta da strati di frantumi, di<br />

immagini,come un deposito di spazzatura,dove è sempre più difficile che una


figura tra le tante riesca ad acquistare rilievo”. E Calvino non aveva ancora<br />

assistito alle immagini <strong>del</strong> crollo <strong>del</strong>le due torri. Non aveva ancora assistito<br />

alle immagini <strong>del</strong>le teste mozzate in Iraq, oppure all’orrore <strong>del</strong>la scuola di<br />

Beslan. Allora quello che mi sono chiesta quando riflettevo su questi concetti,<br />

era se la via di raccontare storie di vita fosse ancora così efficace come poteva<br />

esserlo alcuni anni fa, quando cominciavamo a parlare e a scrivere di queste<br />

migrazioni.<br />

Perché oggi l’orrore, il dolore, le storie di vita sono ormai tutti i giorni sotto i<br />

nostri occhi e sono talmente drammatiche che forse potrebbe essere sempre<br />

più difficile trovare qualcuno disposto a sentirsi raccontare, a leggere, a<br />

riflettere, e a provare empatia nei confronti di una donna violentata, di una<br />

donna che si vende. Non perché questo dolore o questa storia abbia meno<br />

valore,ma perché rischia di perdersi,rischia di mescolarsi alle tante immagini<br />

di dolore a cui noi siamo sottoposti tutti i giorni. La comunicazione, pur mantenendo<br />

quello che ha guadagnato, i passi in avanti che ha fatto in questi<br />

mesi, in questi anni, deve ancora guadagnare nuovi fronti, e accostare,<br />

aggiungere al fronte <strong>del</strong>le storie di vita, e quindi <strong>del</strong>l’emotività, ancora un<br />

altro fronte che è quello di ricominciare a ragionare, ricontestualizzare questo<br />

fenomeno, capire quindi cosa succede in tutt’Europa, capire come gli altri<br />

paesi reagiscono di fronte a questo fenomeno, ricomporre un puzzle formato<br />

da tanti aspetti. Capire che responsabilità ha la politica economica di questa<br />

parte di mondo in cui viviamo, nei confronti di quella che si ritrova povera e<br />

costringe intere generazioni ad andarsene per sperare di trovare <strong>del</strong>le possibilità<br />

di vivere meglio. Bisogna tornare a parlare alla gente, non solo<br />

attraverso i giornali, ma attraverso gli incontri, i luoghi comuni, come hanno<br />

detto prima le operatrici <strong>del</strong> Comune di Perugia, per dare strumenti alla<br />

gente, strumenti di conoscenza e di valutazione, a cui fare riferimento. Come<br />

quando succede un terremoto, questo terremoto epocale di cui vi ho parlato,<br />

e sembra che tutto ci stia crollando intorno.Allora anziché rifugiarci nei luoghi<br />

comuni negativi,rifugiarci nelle frasi fatte,rifugiarsi nelle vecchie conoscenze,<br />

trovare dei punti di riferimento per andare avanti, per capire, per conoscere la<br />

realtà nelle dimensioni reali e far capire alla gente anche tutto il quadro che<br />

c’è attorno ai fenomeni che avvengono nelle nostre città.<br />

Carla Trampini<br />

Io ringrazierei moltissimo Vanna Ugolini per questo contributo molto significativo,e<br />

noi in questa prima fase abbiamo finito i contributi che erano previsti<br />

e come vedete,almeno a me sembra che ci sono molte sollecitazioni.Chiederei,<br />

prima di fare il coffee break, dandoci almeno 15- 20 minuti, di aprire la<br />

discussione. Non so se c’è qualcuno vuole chiedere, interloquire con queste<br />

esperienze. C’è un microfono mobile, quindi o viene qui o parla dalla platea.<br />

61


62<br />

Giuseppe Magistrali [referente scientifico <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> –<br />

Ricerca sulle Storie di vita]<br />

Domanda 1<br />

Riprendo un po’ d’ufficio i richiami di Claudio Renzetti e di Vanna Ugolini<br />

al tema <strong>del</strong>le storie di vita per dire che, anche se domani ne parleremo più diffusamente,<br />

uno degli elementi forti, una <strong>del</strong>le tre ricerche che abbiamo sviluppato<br />

all’interno <strong>del</strong> progetto W.E.S.T.utilizza lo strumento <strong>del</strong>le storie di vita<br />

come strumento per raccolta. Abbiamo fatto queste 50 ricostruzioni biografiche<br />

in tutta Italia, quindi poi dirò anche rispetto alla domanda che ci<br />

faceva alla fine la Ugolini. Intanto vi ringrazio per il conforto sul fatto che<br />

questa sia una via molto importante. Io ovviamente non mi dilungo rispetto ai<br />

risultati però alcune cose balzano immediatamente agli occhi e ve le voglio<br />

rimandare: questo tema <strong>del</strong>l’incredibilità <strong>del</strong>le vicende, di cui ci stupiamo ma<br />

che vengono raccontate in queste storie.Il tema <strong>del</strong>lo spettatore,anche qui fortissimo<br />

ce lo siamo posti e lo riprenderemo.Lo spettatore,questo paradosso <strong>del</strong><br />

ribaltamento, il pescatore spettatore che cambia posizione, anche senza tutto<br />

il lavoro fatto a Perugia,ma immediatamente si pone nel punto di vista diverso,<br />

di essere non solo spettatore, ma dire “ho dei cadaveri nelle mie reti, non li<br />

ributto a mare”. Il paradosso è che era forse molto meglio per lui immediatamente.<br />

Anche se poi Perlasca ci dice: ”Come facevo a fare diversamente?”<br />

E tante altre cose che non vi anticipo per non sciupare la suspense. La pubblicazione,<br />

tra l’altro, <strong>del</strong>la nostra ricerca sulle storie di vita dovrebbe arrivare<br />

nel pomeriggio,o comunque ci sarà domani.Il grosso problema è che domani<br />

diremo alcune cose ma questi tipi di lavori non sono più di tanto presentabili,<br />

cioè, questa ricerca sulle storie di vita uno se la deve leggere. Poi noi faremo<br />

ovviamente un lavoro di astrazione,estrazione,riflessione,a partire da questo<br />

che viene detto.<br />

E allora direi a Vanna Ugolini: ha ancora senso fare questo lavoro sulle storie<br />

di vita quando il dolore è così esibito, così, purtroppo non per colpa dei mezzi<br />

di informazione,ma in parte anche,così irruento,così presente? Allora è incredibile<br />

o non è incredibile che ragazze,come è capitato a noi,di 11,12,13 anni<br />

stiano a Torino sulla strada per mesi?<br />

Credo che abbia ancora molto senso, che sia ancora molto importante. Poi<br />

naturalmente noi abbiamo affiancato lo strumento <strong>del</strong>le storie di vita ad altri<br />

lavori. Claudio Dona<strong>del</strong> ha seguito il discorso <strong>del</strong>la prostituzione sommersa<br />

utilizzando altri strumenti. Enzo Ciconte ha lavorato sugli atti giudiziari e<br />

anche in questo caso, potendo far riferimento e utilizzare anche alcune fonti<br />

legate ai racconti. Naturalmente è molto diverso il racconto in sede giudiziaria<br />

rispetto a quello che abbiamo raccolto noi. Nel senso che le nostre<br />

storie di vita sono state raccolte con ragazze uscite, nei progetti di acco-


glienza, perché evidentemente era necessario fare così.<br />

C’è il problema che è vero che probabilmente la violenza è così irruenta, però<br />

è anche spesso rappresentata in un modo spettacolarizzato, banalizzato e un<br />

po’vile che io, pensando alla vicenda di Betslan, in certi momenti, guardando<br />

la televisione, non capivo se stava succedendo davvero o se era un gioco dove<br />

questi commentatori dicevano: “forse esce qualcuno”,“forse c’è un bambino<br />

ammazzato”, cioè la speranza di poter far spettacolo anche <strong>del</strong>la morte, <strong>del</strong><br />

dolore, <strong>del</strong>la follia.<br />

È chiaro che questi strumenti cercano di essere diversi, cercano di passare dall’incredibilità<br />

alla credibilità, e quindi da spettatori che non si interrogano a spettatori<br />

attivi e responsabilizzati,attraverso un modo di utilizzare la comunicazione.<br />

Il “munus”è il patrimonio e anche il dono. Queste 50 ragazze, ci hanno dato<br />

questo dono di una loro esperienza spesso anche molto dolorosa che ci<br />

auguriamo che nella ricostruzione che abbiamo fatto venga restituita, anche<br />

con una verginità <strong>del</strong>la rappresentazione <strong>del</strong> dolore.<br />

Credo che bisogna portare questi strumenti fuori dalla spettacolarizzazione e<br />

dal gioco dove tutto non sembra più vero, magari poterlo utilizzare in percorsi<br />

come quello di Perugia, con i ragazzini nelle scuole e in tanti altri contesti, ma<br />

penso che ancora abbiamo molto da fare anche in questo versante. Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

Grazie. Non so se c’è qualcun altro che vuole intervenire, vuole farci il<br />

dono <strong>del</strong>la propria riflessione. C’è un’altra persona che vuole intervenire.<br />

Diamo spazio anche ad altre voci.<br />

Domanda 2<br />

Purtroppo sono arrivata a metà <strong>del</strong> racconto di Perugia, molto interessante,<br />

e chiedo qualche suggerimento, perché stiamo cominciando a<br />

Bologna una campagna di sensibilizzazione <strong>del</strong>l’opinione pubblica su questa<br />

tematica ed è stata finanziata da un’associazione di volontariato. Ci saranno<br />

3 seminari, però mi rendo conto che questo non basta. Io stessa mi trovo a<br />

parlare, sia nella vita quotidiana, sia davanti a gruppi che mi chiamano, di<br />

questa realtà e vivo queste grandissime difficoltà, forse non tanto di comunicare.<br />

Anch’io un po’mi servo <strong>del</strong>le storie di vita. È molto importante contestualizzare<br />

nel quadro politico-economico, ma anche nel rapporto uomodonna,<br />

che purtroppo oggi è quasi passato di moda, ignorato. Però questo è<br />

fondamentale. E mi trovo davanti alla difficoltà di rompere un muro di indifferenza.<br />

Non possiamo dimenticare che se 9.000.000 di italiani sono clienti,<br />

tantissimi sono coinvolti e appunto ci marciano. Quindi è ovvio che l’omertà<br />

viene dalla complicità per una grossa parte <strong>del</strong>la popolazione.<br />

Mi stupisco sempre <strong>del</strong>l’indifferenza <strong>del</strong>le donne, perché mi dico, è talmente<br />

63


64<br />

evidente che questa è la più grande violenza fatta ad una donna, uno stupro<br />

istituzionalizzato che io come donna mi identifico e mi sento ogni volta<br />

colpita.Quindi non riesco a trovare sostegno né dalle donne né dai movimenti<br />

femministi, che non esistono più.<br />

Quindi come svolgere questa campagna di sensibilizzazione? Pensavo anche<br />

che sarebbe molto utile un film, fatto molto bene in cui forse una di queste<br />

storie di vita potesse essere presentata in modo molto più immediato. Fare un<br />

concorso premi fra i giovani su un manifesto o un piccolo filmato, uno slogan.<br />

Anche questa era un idea.<br />

Claudio Dona<strong>del</strong> [referente scientifico <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> – Ricerca<br />

sulla Prostituzione invisibile]<br />

Domanda 3<br />

Mi sono piaciuti gli interventi fatti. Ci sono alcuni punti a cui però bisogna<br />

prestare molta attenzione. Le due cose importanti che secondo me sono state<br />

elencate sono: tener presente il punto di vista degli altri e poter dar voce a chi<br />

non ce l’ha. L’altro elemento riguarda le rappresentazioni.<br />

Noi dobbiamo stare molto attenti ad alcune questioni,soprattutto rispetto alla<br />

comunicazione sociale, ma parlo anche <strong>del</strong>l’informazione in generale.<br />

Io ho sentito comunque dei luoghi comuni. Prima si diceva <strong>del</strong>l’importanza<br />

<strong>del</strong> linguaggio. Credo che l’importanza <strong>del</strong> linguaggio sia fondamentale. Ho<br />

sempre sentito parlare qui <strong>del</strong>la prostituzione solo ed esclusivamente come<br />

un problema. Io non credo che la prostituzione sia solo un problema, ma che<br />

essenzialmente sia un fenomeno sociale e all’interno di questo ci sono varie<br />

tipologie di prostituzione. Ci sono le prostituzioni collegate alla tratta, ci sono<br />

prostituzioni con forme autodeterminate. Proprio perché ci sono migliaia di<br />

persone collegate, le storie di vita, il coinvolgimento, danno rappresentazioni<br />

che sono completamente diverse. Questo secondo me è importante.<br />

L’altro elemento sono i luoghi comuni. Di luoghi comuni sulla prostituzione<br />

credo sia pieno il mondo <strong>del</strong>l’informazione e <strong>del</strong>la comunicazione. Anche<br />

adesso ho sentito la questione dei 9.000.000 di clienti. Se noi facessimo la<br />

storia di dove nasce questa storia dei 9.000.000 di clienti, forse potremmo<br />

sapere che nasce da una stima che è stata fatta rispetto ai soggetti maschili<br />

potenzialmente attivi, ed è una stima che è nata, io mi ricordo lavorando da<br />

10 anni in questo settore, circa nel ’98, ’97 e da lì questa cifra viene sempre<br />

portata in tutti i convegni e viene data come assodata. Questo parte da una<br />

stima per il fatto che tutti gli uomini sono potenzialmente dei clienti.<br />

Teniamo presente le donne,le soggettività coinvolte.Se voi vedete nella comunicazione,<br />

una volta sono categorizzate, una volta merci, perché chiaramente<br />

le reti di sfruttamento le utilizzano come merci e le vogliono come merci per i


loro profitti e per il mercato, un’altra volta sono <strong>del</strong>le schiave, perché essenzialmente<br />

tutte le persone che si prostituiscono,proprio perché la prostituzione<br />

viene vista esclusivamente come uno sfruttamento,da quello scenario,proprio<br />

anche per legittimare determinati interventi sociali,sono praticamente schiave<br />

da liberare oppure sono testimoni.Soprattutto nel nostro paese c’è chi le vuole<br />

esclusivamente come testimoni da costruire, perché c’è bisogno di sviluppare<br />

un contrasto alla criminalità che si è portato avanti con certe modalità.<br />

È possibile che nessuno possa pensare che queste sono <strong>del</strong>le donne? Tutte<br />

queste categorie tendono a individuare questi soggetti come soggetti esclusivamente<br />

passivi,dei soggetti che non hanno la possibilità,pur nelle difficoltà,<br />

pur nelle situazioni di sfruttamento, pur nelle condizioni in cui gli altri le<br />

vogliono e le costringono e le portano ad essere categorizzate; insomma<br />

nessuno invece può pensare che sono <strong>del</strong>le persone che comunque,<br />

all’interno di sofferenze e di tutto quello che sappiamo e che è stato detto,<br />

sono dei soggetti attivi che forse sono i soggetti più importanti che stanno<br />

contribuendo a mantenere alcuni stati, come ad esempio la Moldavia, l’Ucraina,<br />

e che il futuro di questi stati molto spesso si chiama donna, e che<br />

queste donne, soprattutto le donne migranti coinvolte nella prostituzione<br />

migrante sono persone che stanno trasformando questa società?<br />

Dobbiamo porre attenzione su queste cose, perché, com’è stato detto prima, è<br />

facile che noi forse attribuiamo rappresentazioni che sono le nostre rappresentazioni,<br />

che non sono le rappresentazioni <strong>del</strong> fenomeno sociale. Per cui è<br />

importante dare voce a queste persone, ma non solamente alle persone che<br />

hanno fatto un determinato tipo di percorso, perché i percorsi sono tantissimi.<br />

Io credo che queste donne abbiano in sè questi elementi che le portano ad essere<br />

dei soggetti complessi e che noi non possiamo ridurre, come molto spesso<br />

vogliamo ridurre, a categorie. Perché loro non sono <strong>del</strong>le categorie, sono in<br />

grado di essere dei soggetti attivi,pur nelle difficilissime condizioni in cui vivono.<br />

Enzo Ciconte [referente scientifico <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> – Ricerca sui<br />

Flussi e le rotte <strong>del</strong>la tratta dall’est Europa]<br />

Domanda 4<br />

Io volevo aggiungere alle cose che hanno detto appena adesso Magistrali<br />

e Dona<strong>del</strong> sulle storie di vita, un punto. Domani vi mostrerò una ricerca e<br />

proietterò una serie di diapositive. Non anticipo quello che dirò domani<br />

altrimenti ve ne andate stasera,ovviamente,ma c’è un problema che mi sono<br />

posto e che voglio condividere con voi. Com’è possibile rappresentare su<br />

quelle slide il dolore e la storia di una ragazza che qui in Italia sta o sulla strada<br />

o al chiuso? Come si può rappresentare visivamente la storia di una ragazza<br />

che viene sequestrata, presa in Albania, messa su un gommone, portata qui<br />

65


66<br />

in Italia e sbattuta in una nazione di cui non conosce nulla, a cominciare dalla<br />

lingua? Come si fa a rappresentare lo stupro sistematico <strong>del</strong>l’uomo albanese,<br />

che usa lo stupro come una tecnica di sottomissione <strong>del</strong>la donna? Lo puoi fare<br />

solo se fai parlare le donne.<br />

Io capisco la cosa che veniva detta: di fronte alle torri, di fronte a Betslan, di<br />

fronte a tutte le tragedie che ci sono, raccontare le storie di vita sembra una<br />

sciocchezza. Io però non sono convinto di questo, lo dico con molta franchezza.<br />

Non sono convinto perché, la mia esperienza mi dice che quando queste cose<br />

vengono lette, chiunque è colpito dalla loro lettura. Perché c’è l’argomentare<br />

<strong>del</strong>la ragazza,che racconta storie possibili,storie vere,storie che sono accadute.<br />

Quindi credo che la questione <strong>del</strong>le storie di vita sia uno strumento fondamentale,<br />

un percorso per capire come ci si arriva, anche perché le storie sono<br />

diverse l’una dall’altra, pur nella comunanza di alcuni filoni interpretativi.<br />

La seconda: sono rimasto particolarmente colpito dal discorso che faceva<br />

Vanna Ugolini sulla questione <strong>del</strong> linguaggio in rapporto a come si possa<br />

definire queste donne, che è un problema vero, che è un problema ancora<br />

irrisolto. Lo dico perché, iniziando a scrivere la mia ricerca, mi sono posto<br />

esattamente questo problema: come chiamiamo queste donne? Come si<br />

chiamano da sole non basta. Spiego il problema: ci sono donne che scelgono<br />

di venire a fare le prostitute.Ci sono donne che vengono rapite e portate a fare<br />

le prostitute. Sono la stessa cosa?<br />

Come faccio a far distinguere al cliente che quella non è una prostituta? Che<br />

quella non è una donna che ha scelto volontariamente di venire a fare un<br />

determinato lavoro, ma che è una che è stata obbligata, che è stata schiavizzata?<br />

C’è un problema di linguaggio, di informazione, che non è visibile<br />

sulla strada o al chiuso, perché, comunque sia, quella è una donna che veste<br />

allo stesso modo,che si comporta allo stesso modo.Devi essere uno psicologo,<br />

per parlare, per capire. Se non te lo racconta lei non lo capisci.<br />

E come viene rappresentata sui giornali? Il giornalista come la definisce? E<br />

vero, si è cercato di cambiare il linguaggio, ma non c’è ancora un linguaggio.<br />

Non c’è un termine che distingue. C’è forse una “i” con cui si è tentato di<br />

distinguere: “prostituta”e “prostituita”. Quella “i”che separa due mondi completamente<br />

diversi: un conto è la prostituta, un conto una prostituita. Io non<br />

ho una soluzione al problema, se l’avessi ve la direi. Credo che bisogna fare<br />

un lavoro di ricerca, anche linguistica, per rappresentare meglio la differenza<br />

tra queste donne. Io pongo solo questo problema, ripeto, come questione<br />

aperta che io per primo non sono riuscito a risolvere.<br />

Un’ultima cosa: naturalmente anch’io sono d’accordo che è un luogo comune<br />

liquidare la prostituzione semplicemente come il mestiere più antico <strong>del</strong> mondo.<br />

Anche perché forse il mestiere più antico <strong>del</strong> mondo è quello <strong>del</strong> cliente. E forse<br />

fare una battaglie anche culturale su questo non sarebbe sbagliato.


Carla Trampini<br />

Grazie. Vedo che ci sono altre persone che vogliono intervenire.Guardo però<br />

anche l’orologio.Ricordo solo i tempi perché penso che potremo interrompere al<br />

massimo alle 17 per il coffee break altrimenti riduciamo troppo la seconda parte<br />

dei lavori.Chiederei a chi vuole intervenire di essere più breve e sintetico perché<br />

vorrei ridare la parola alle persone che ci hanno presentato le loro comunicazioni,per<br />

poter interloquire su questi interrogativi importanti che sono emersi.<br />

Domanda 5<br />

Mi presento. Sono Barbara Grazia, funzionario <strong>del</strong> settore sicurezza <strong>del</strong><br />

comune di Bologna, ufficio attività sociali di prevenzione.<br />

Mi sembra che manchi un oggetto <strong>del</strong> contendere, che è il cliente.<br />

Io non so quanti uomini siano presenti in questa sala. Non so quanti di questi<br />

vanno a prostitute, perché francamente è una domanda che ho cominciato a<br />

fare da qualche mese a questa parte a quasi tutti i maschi che ho incontrato.<br />

E nessuno mi ha detto: sì, io ci vado. Allora mi sto cominciando a chiedere,<br />

ma ci vado io? Poi uno dice: i bolognesi vanno a Ferrara, i ferraresi vengono a<br />

Bologna, allora dovrò andare a Ferrara a cercare i miei bolognesi, a cercare<br />

mio padre, mio fratello, mio zio, il mio collega di lavoro.<br />

Noi adesso a Bologna stiamo cercando di ragionare su una progettualità che ci<br />

riporti come città ad essere molto attiva, nei termini di riduzione <strong>del</strong> danno, in<br />

termini di un’unità di strada che è veramente efficace. Però abbiamo un grossissimo<br />

interrogativo sui clienti, e troviamo molti pochi interlocutori, anche a<br />

livello istituzionale, pronti e disponibili a ragionare su questa tematica.<br />

Continuiamo a parlare <strong>del</strong>l’offerta,non andiamo mai a parlare <strong>del</strong>le richieste.<br />

Se noi individuiamo, o aggiriamo, comunque andiamo a chi richiede, e<br />

cominciamo a ragionare con loro, a parlare con loro, ad illustrare loro anche<br />

tutti i problemi correlati, forse si può cercare di trasformare il fenomeno, e di<br />

ridurre anche i rischi e i danni <strong>del</strong>le ragazze, e veramente a fare sicurezza per<br />

i clienti, per le compagne dei clienti e per le donne in strada.<br />

Mi sembra che manchi completamente questo pezzo. Forse abbiamo paura di<br />

dire che tu vai a prostitute, tu vai a prostitute, lui va a prostitute, perché<br />

qualcuno ci andrà. O ci vado io?<br />

Grazie.<br />

Domanda 6<br />

Devo dire che personalmente mi stupisco che si usi in questo contesto la<br />

parola “prostituzione”. Io cerco di non usarla più e non la uso più nel lavoro<br />

che faccio, lavoro al centro controllo violenza alle donne di Modena e lavoro<br />

nel progetto regionale “Oltre la Strada”attuato a Modena, quindi percorsi di<br />

uscita dalla tratta.<br />

67


68<br />

Per me è importantissimo distinguere il fenomeno <strong>del</strong>la tratta, che è legato<br />

alla migrazione e alla migrazione clandestina, e il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Sono due cose completamente diverse. Il fatto che ci siano <strong>del</strong>le<br />

donne trattate, trafficate, che finiscono sui mercati illegali <strong>del</strong> sesso, dipende<br />

dalla questione <strong>del</strong>la migrazione e dalla migrazione femminile in particolare.<br />

Quindi, il fenomeno <strong>del</strong>la migrazione femminile è un fenomeno importantissimo,<br />

perché come diceva giustamente prima Vanna Ugolini, mai come in<br />

questo momento, il fenomeno migratorio assume <strong>del</strong>le caratteristiche femminili<br />

e quindi è possibile definirlo in maniera propria e non assumerlo sotto<br />

la definizione neutra di immigrazione che in genere è maschile. È la rappresentazione<br />

<strong>del</strong> cittadino, <strong>del</strong> singolo, <strong>del</strong>la comunità, anche se il migrante è<br />

neutro.<br />

Quindi noi abbiamo a che fare con <strong>del</strong>le donne migranti che finiscono sui<br />

mercati illegali <strong>del</strong> sesso per <strong>del</strong>le questioni che sono legate fondamentalmente<br />

ai processi migratori, ai percorsi migratori.<br />

Le donne, per migrare, possono incappare nella tratta, in bande criminali e<br />

finire nei night, sulle strade. La prostituzione è tutta un’altra cosa, è tutto un<br />

altro fenomeno che andrebbe affrontato e discusso su tutto un altro livello.<br />

Da questo punto di vista, secondo me Dona<strong>del</strong> ha perfettamente ragione<br />

quando dice: ma a cosa pensiamo quando pensiamo a queste donne? Sono<br />

donne migranti che finiscono sui mercati illegali <strong>del</strong> sesso. La prostituzione<br />

non c’entra.<br />

Domanda 7<br />

Io parto da una ricerca che ho fatto per la mia tesi di laurea, e ho analizzato<br />

la copertura mediatica <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la tratta sulla stampa<br />

nazionale, tra il 2002 e il 2003.<br />

Delle tante cose che si potrebbero dire, due secondo me sono importanti.<br />

Quando Vanna Ugolini diceva che è stato necessario dare una dimensione alla<br />

tratta rendendola familiare, e qui anche il problema <strong>del</strong> linguaggio, bisogna<br />

vedere come viene resa familiare. Perché dall’analisi di tutti gli articoli,<br />

compresi tra l’altro quelli sull’operazione Girasole 2, che è la seconda parte<br />

<strong>del</strong>la Girasole 1, due categorie vengono usate. Una, che è quella <strong>del</strong>la criminalità,<br />

per cui è molto vera la questione <strong>del</strong>le donne come testimoni, ma<br />

soprattutto le grosse operazioni di polizia. L’altra è la morale. Per cui è vero<br />

che non si parla tanto di tratta ma molto più di prostituzione in generale.<br />

Quindi la cosa paradossale che viene fuori è che non c’è tanto bisogno di<br />

ricontestualizzare il fenomeno,ma andrebbe contestualizzato per il fenomeno<br />

che è. Per cui la cosa paradossale è che c’è stato un numero di articoli<br />

altissimo sulla stampa nazionale, in particolare io mi sono concentrata sui<br />

quotidiani più diffusi, quindi Il Corriere <strong>del</strong>la Sera, La Repubblica, La Stampa


e Il Resto <strong>del</strong> Carlino sulla copertura per Bologna, nella fase in cui si parlava<br />

di proposte di legge legate al mondo <strong>del</strong>la prostituzione. Quindi la polemica<br />

sugli eros center di Bossi, la polemica sulla legge Bossi-Fini-Prestigiacomo.<br />

C’è stata una copertura sul fenomeno <strong>del</strong>la tratta altissima, dove le storie di<br />

vita venivano usate come strumento veramente funzionale. Nel senso che per<br />

giustificare la legge Bossi-Fini-Prestigiacomo, una storia di vita di una donna<br />

sfruttata sul marciapiede era utilissima.<br />

Quando è stata approvata la legge in materia di tratta degli esseri umani il 13<br />

agosto 2003, che tra l’altro metteva l’Italia “all’avanguardia”rispetto ad altre<br />

leggi di altri paesi, nessuno, se non La Repubblica in un trafiletto e Il<br />

Manifesto su una spalla, parlava <strong>del</strong>la legge. Adesso che la legge Bossi-Fini-<br />

Prestigiacomo tutto sommato non crea più dibattito, di storie di vita, di storie<br />

di prostituzione, di tratta, non se ne parla.<br />

Io capisco le routine produttive, ho studiato scienze <strong>del</strong>la comunicazione,<br />

alcune cose le conosco, però non andiamo tanto a cercare di ripensare il linguaggio.<br />

Come le chiamiamo? Le chiamiamo per quello che sono. Nel senso<br />

che in alcuni casi saranno vittime di sfruttamento sessuale, in altri casi<br />

saranno migranti incappate nel problema <strong>del</strong>lo sfruttamento, in altri casi<br />

saranno prostitute. Però ridiamo dignità ai fenomeni per quello che sono.<br />

Programmi televisivi che io ho analizzato parlavano tranquillamente di prostituzione,<br />

presentando le storie <strong>del</strong>l’albanese che poverina doveva raccontare<br />

al fidanzato che era stata prostituta. Quindi diamo dignità ai<br />

fenomeni per quello che sono. Non usiamo il fenomeno <strong>del</strong>la tratta come<br />

strumento per quando ci serve parlare di prostituzione.<br />

Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

C’è uno spazio per un ultimo intervento, poi inizieranno le risposte.<br />

Inge Bell<br />

Domanda 8<br />

Mi scuso molto per il mio inglese un po’arrugginito, mi chiamo Inge Bell,<br />

sono giornalista televisiva in Germania, per la Prima rete televisiva e da<br />

cinque anni sono specializzata di traffico. Ho vissuto inoltre nei Balcani, parlo<br />

rumeno, bulgaro e conosco i paesi d’origine e vorrei aggiungere un paio di<br />

parole sul problema di visualizzare, mostrare i volti, mostrare immagini.<br />

Come ha detto Vanna Ugolini è davvero un problema quello di mostrare<br />

queste storie di vita. Quello che ho notato negli ultimi cinque anni, tutte le<br />

volte che facevo un reportage e potevo mostrare gli occhi, i volti, la risonanza<br />

presso il vasto pubblico era immensa, non erano solamente scioccati dalla<br />

storia, dalla storia di queste vite, ma le organizzazioni di beneficenza rice-<br />

69


70<br />

vevano denaro, donazioni. Qualche volta le organizzazioni insistono sul non<br />

mostrare i volti anche se alla gente, alle donne, alle donne vittime <strong>del</strong> traffico<br />

non importa, mi hanno detto che dipende da me se voglio mostrare il loro<br />

volto o no... ma le organizzazioni insistevano a non mostrare il volto, cosicché<br />

quando il servizio fu trasmesso, la risonanza non fu tanto grande. Quindi c’è<br />

un dilemma, un dilemma per noi giornalisti, su come raccontare una storia,<br />

noi raccontiamo una storia come giornalisti,giornalisti televisivi che mostrano<br />

gli occhi e chiunque di voi abbia già parlato ad una prostituta, una donna<br />

vittima <strong>del</strong> traffico, sa che guardare nei suoi occhi e sentire la sua storia è ciò<br />

che veramente crea consapevolezza, che sciocca e arriva dritto al cuore <strong>del</strong>la<br />

gente. Questo è sempre il nostro dilemma e questo è quanto io voglio voi<br />

sappiate e vi faccia riflettere. Per cui con i volti, i giornalisti, i giornalisti televisivi<br />

non vogliono ottenere un effetto speciale, uno shock da parte <strong>del</strong><br />

pubblico, ma vogliono veramente raccontare le storie. Spesso durante le conferenze<br />

vengo attaccata: “Perché ha mostrato questo volto, non tutela la<br />

sicurezza e così via...”. Ma come voi saprete, noi giornalisti combattiamo una<br />

battaglia interiore, con il cuore e con il cervello.<br />

Non abbiamo discusso sul lavoro che ho portato qui, un reportage televisivo,<br />

è in inglese, è stato premiato in un concorso internazionale e se abbiamo il<br />

tempo e la possibilità, possiamo dargli un’occhiata. È un documentario di<br />

nove minuti riguardante due ragazze minorenni, bulgare, portate come<br />

vittime di traffico in Europa occidentale... minorenni di tredici e quattordici<br />

anni e io ho mostrato i loro volti, ora sono tornate in Bulgaria. Quindi se<br />

abbiamo la possibilità e se siete interessati, possiamo dargli un occhiata<br />

domani in qualsiasi momento. Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

Qui il tavolo scalpita, quindi penso che dobbiamo dare la parola ai<br />

relatori, ringraziando l’ultima intervenuta.<br />

Claudio Renzetti<br />

Io volevo solo dire una cosa, poi credo che Stefania Alunni abbia diritto,<br />

non tanto ad una replica, ma ad una informazione aggiuntiva rispetto alle<br />

cose che Perugia è riuscita a dire da questo palco.<br />

Volevo dire una cosa molto piccola. Com’è possibile descrivere Auschwitz? Io<br />

credo che questa sia per voi una domanda molto legittima. Per me che sono<br />

ebreo questa è una domanda spiazzante.<br />

Auschwitz non si può descrivere.Auschwitz ha a che fare con l’indicibile,però,<br />

tra il silenzio e la pretesa di descrivere una tragedia, di dare un quadro<br />

ottimale, puntuale, dettagliato <strong>del</strong>la tragedia, forse noi dobbiamo accontentarci<br />

di fare esercizi di approssimazione e quindi le storie di vita che


evocano condizioni e non descrivono pienamente <strong>del</strong>le condizioni,sono il tentativo<br />

di coniugare cognizione ed emozioni.<br />

Auschwitz non si può descrivere, però possiamo provare in qualche modo ad<br />

evocare <strong>del</strong>le situazioni. L’ha fatto Primo Levi, l’ha fatto Spielberg. Possiamo<br />

provare a evocare <strong>del</strong>le situazioni,insomma,se abbassiamo le nostre pretese.<br />

Anche rispetto alla prostituzione credo che il ragionamento sia simile.Noi non<br />

riusciamo mai pienamente a raccontare i vissuti <strong>del</strong>le persone, anche se<br />

diamo il diritto di parola a queste persone. Possiamo fare un lavoro molto<br />

puntuale rispetto ad alcuni termini,per esempio noi ebrei abbiamo smesso da<br />

anni di usare il termine “olocausto”, perché è un termine offensivo. Il termine<br />

“olocausto”ha a che fare con l’idea che ci siamo sacrificati. Noi non ci siamo<br />

sacrificati. Noi siamo stati sterminati in 6.000.000. E l’idea <strong>del</strong> sacrificio<br />

rimanda quasi a una ritualità religiosa. Questa è la sfida difficile.<br />

Citando prima Calvino,Vanna Ugolini poneva un problema non indifferente,<br />

cioè come si fa a rendere visibile un fenomeno in una situazione nella quale<br />

c’è un eccesso di immagini, un eccesso di suoni. Voi sapete, le macchine fotografiche<br />

non vedono.Le macchine fotografiche registrano.Noi vediamo con la<br />

mente e quindi spesso siamo portati, guardando le immagini in televisione,<br />

ad avere un rapporto retinico con i fenomeni, e non un rapporto mentale. È<br />

una forma di autotutela che ci rende sempre più distanti.<br />

Allora,l’esercizio di approssimazione che dobbiamo tentare è un esercizio che<br />

tenta di dare la voce ai protagonisti <strong>del</strong> traffico <strong>del</strong>la prostituzione, quindi i<br />

clienti, e quindi i trafficanti, e quindi le varie tipologie di prostitute, e quindi i<br />

magistrati, affinché vagamente si riesca a coniugare emozioni e cognizione. È<br />

un tentativo difficile. A Perugia ci stiamo lavorando.<br />

Stefania Alunni<br />

Ci tenevo solo a dire una cosa. Abbiamo chiamato la nostra azione pilota<br />

“La città sono anch’io” per sottolineare che quello che accade ci riguarda.<br />

Abbiamo chiamato questo percorso informativo “Passeggiare tra i luoghi<br />

comuni” perché noi per primi ci passeggiamo quotidianamente in ogni<br />

istante. Questo è alla base <strong>del</strong> nostro lavoro e <strong>del</strong>la nostra esperienza.<br />

Faccio riferimento a quanto chiedeva Enzo Ciconte. Io sono contenta di aver<br />

portato <strong>del</strong>le slide che descrivano il nostro lavoro. Non potrei mai chiedere ad<br />

una <strong>del</strong>le nostre ragazze di raccontare ad una platea quello che ha vissuto. In<br />

questi 5 anni di lavoro con loro ho raccolto moltissime storie, e sono stata ad<br />

ascoltare sempre con la stessa intensità e con la stessa passione, cercando di<br />

capire il loro dramma, che non avrò mai compreso fino in fondo.<br />

In questo corso non ci sono solo gli addetti ai lavori e noi ci siamo comunque<br />

sentiti dire che alcune persone hanno completamente ribaltato la loro opinione<br />

rispetto all’inizio. È un corso che è molto intenso dal punto di vista emotivo.<br />

71


72<br />

Andiamo a toccare corde molto <strong>del</strong>icate.Tra i partecipanti sicuramente dei<br />

clienti ci sono, per cui tocchiamo anche <strong>del</strong>le cose particolari e sicuramente è<br />

una cosa che ci impegna moltissimo, cose molto difficili da trattare.<br />

Abbiamo l’intenzione di far rappresentare, portare la voce <strong>del</strong>le donne, in che<br />

modo? Con questa rappresentazione teatrale. Cercheremo di costruire un<br />

evento: in vari punti di questa circoscrizioni ci saranno <strong>del</strong>le rappresentazioni<br />

teatrali. Gli spettatori saliranno tutti in un autobus e ci saranno <strong>del</strong>le soste. Ad<br />

ogni sosta ci sarà una rappresentazione. Questa è una <strong>del</strong>le prime cose che<br />

faremo, che riguarda chiaramente la prostituzione, soprattutto la tratta, visto<br />

che di questo stiamo parlando, la prostituzione coatta, così come la vogliamo<br />

chiamare.<br />

Senza fare polemiche,non ne ho nessuna intenzione,però vivo intensamente,<br />

sono coinvolta da questo fenomeno, per cui io per prima sono convinta che<br />

dobbiamo chiamarlo col nome che ha o comunque saperlo soprattutto rappresentare<br />

bene.<br />

Racconteremo le loro storie di vita dal teatro. Faremo una serie di racconti<br />

narrati dagli attori coinvolti nell’azione formativa. Questo è quanto abbiamo<br />

intenzione di fare.<br />

Ci sono <strong>del</strong>le altre cose che abbiamo intenzione di fare,ma ne abbiamo parlato<br />

ieri,non abbiamo ancora informato nessuno dei nostri responsabili,per cui non<br />

ve le dico. C’è anche l’assessore, che sviene se adesso tiro fuori questa cosa.<br />

Questo ci tenevo un po’a sottolinearlo.Io non mi chiamo assolutamente fuori.<br />

Ne sono proprio coinvolta.<br />

Carla Trampini<br />

Dopo questo scoop, la parola a Vanna Ugolini.<br />

Vanna Ugolini<br />

Molto brevemente, la stampa italiana, perché io conosco bene la stampa<br />

italiana e meno bene purtroppo quella europea, ha tantissimi limiti.Tutti i<br />

giornali, tutti i mass media hanno tantissimi limiti, soprattutto nel trattare<br />

certi problemi.<br />

Io per venire qui ho preso un giorno di ferie. Questo vi fa capire, e poi probabilmente<br />

scriverò ugualmente, però sono qui, sto lavorando, in fondo questo<br />

è il mio lavoro, e ho preso un giorno di ferie. Questo è il tipo di rapporto che<br />

c’è poi con certi problemi anche da parte di certi giornali. Non sono qui a<br />

difendere a spada tratta la categoria. Hanno molti limiti e purtroppo questi<br />

limiti si accentuano quando dobbiamo parlare di fenomeni in cambiamento,<br />

quando anche noi non ci possiamo rifugiare nei luoghi comuni e nelle esperienze<br />

precedenti, ma dobbiamo trovare dei nuovi paradigmi per capire le<br />

cose e per spiegarle.


Il problema <strong>del</strong> linguaggio per una persona che tutti i giorni deve scrivere di<br />

cose che cambiano in tempi molto più lunghi è, ti assicuro, un problema serio.<br />

Tu hai fatto una relazione,e probabilmente per fare quella tesi ci hai messo un<br />

anno.Tutti i giorni capire e far capire i cambiamenti è anche un problema di<br />

linguaggio e non è così semplice, perché accanto ai concetti, accanto ai contenuti,<br />

ci sono anche <strong>del</strong>le cose tecniche che vanno comunque cambiate e<br />

assestate nel tempo.<br />

Per cui il mio discorso sul linguaggio era un discorso di una che ha sofferto e<br />

sta soffrendo nel parlare sempre nella maniera più giusta di certe cose.<br />

È vero che la prostituzione ha tante forme ed è anche vero che la tratta <strong>del</strong>le<br />

donne, la violenza sulle donne è quella che comunque mi interessa di più. Per<br />

cui, chiaramente, in un contesto limitato, il mio discorso è stato incentrato più<br />

sulla tratta, sulla violenza che subiscono le donne.<br />

Il problema dei clienti io non l’ho trattato perché ci sarà una relazione domani,<br />

proprio incentrata sui clienti. È un problema di cui Perugia è stata protagonista.<br />

Intanto c’è da dire che gli strumenti contro la lotta alla prostituzione<br />

sono pochissimi. Noi in Italia abbiamo la legge Merlin, una legge degli anni<br />

’50 che,pur con tutta la dignità che ha questa legge,ovviamente non può star<br />

dietro ai cambiamenti che ci sono stati.<br />

Perugia forzò due anni fa questa legge Merlin arrestando dei clienti e dicendo<br />

questa cosa: se il cliente prende la prostituta e la riporta nel luogo di lavoro,<br />

aiuta lo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione, quindi fa parte <strong>del</strong> racket, quindi<br />

deve essere arrestato. Fu un tentativo che fu messo in pratica per un paio di<br />

mesi.Poi questa esperienza si replicò in altre province d’Italia,e nel nord Italia<br />

un ragazzo arrestato si uccise per la vergogna di essere stato sorpreso con una<br />

prostituta. Improvvisamente questa esperienza fu bloccata dal Ministero.<br />

Qui mi rifaccio un po’ al discorso <strong>del</strong>l’emotività. È vero <strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong>le<br />

storie di vita, però anche l’importanza di ragionare su questo fenomeno, cioè<br />

di usare non solo la carta <strong>del</strong>l’emotività, non solo la carta dei sentimenti, ma<br />

di fare un passo avanti e di usare la carta <strong>del</strong>la comprensione e <strong>del</strong>la razionalità,degli<br />

strumenti legislativi e <strong>del</strong> contestualizzare questo fenomeno nella<br />

sua grandezza.<br />

Noi facciamo parte di un fenomeno enorme, però possiamo anche fare molto,<br />

perché nelle città questo fenomeno si ridimensioni, perché le donne che<br />

subiscono violenza possano ritrovare una loro dignità.<br />

Le nostre città sono, secondo me, il luogo migliore per provare a fare queste<br />

esperienze sia di recupero di queste persone, sia di liberazione di queste<br />

persone, sia di educazione, un termine antico che però a me piace ancora<br />

molto, <strong>del</strong>la gente. Informazione ed educazione <strong>del</strong>la gente perché queste<br />

cose non avvengano nelle nostre strade e nei condomini in cui viviamo.<br />

73


74<br />

Carla Trampini<br />

Grazie.Io chiuderei qui.Vedo che già si aprono nuovi interrogativi.Questo<br />

vuol dire che questo spazio di confronto è stato molto importante, ce n’era<br />

bisogno. Abbiamo necessità di collegare tutte le varie azioni e i risultati raggiunti,<br />

però proseguiamo per la seconda fase dopo il coffee break.<br />

Chiederei a tutti di riprendere in 15 minuti, se possibile, per non ridurre lo<br />

spazio dei contributi degli altri. Grazie.<br />

Christiana Wei<strong>del</strong><br />

Forse vi sarete chiesti cos’è Mountain Unlimited, chi è. Che cosa significa.<br />

Prima che le mie colleghe comincino a spiegare che cosa facciamo in questo<br />

progetto, che tipo di informazione e di attività abbiamo, vorrei spiegare che<br />

Mountain Unlimited è una ONG che lavora sul territorio austriaco ed europeo<br />

e che ci teniamo a lavorare per il bene <strong>del</strong>la società,il che vuol dire che stiamo<br />

sviluppando concetti e strategie per esempio per donne,abitanti di zone rurali<br />

ed altri gruppi svantaggiati.Forse sarete già stati inTirolo,a sciare o per escursionismo<br />

in montagna.Chi è già stato in Austria di voi? Fatemi vedere le mani.<br />

Bene,grazie.Quindi saprete che l’Austria è piena di montagne e specialmente<br />

in Tirolo ce ne sono tante. Quando la nostra ONG ha cominciato il suo lavoro<br />

circa dieci o dodici anni fa, un gruppo di persone ha pensato di poter fare<br />

qualcosa per il bene <strong>del</strong>la società: anche se ci sono molte, molte montagne,<br />

possiamo avere <strong>del</strong>le regioni, così “mountain unlimited”sta per il fatto che si<br />

possono avere regioni in qualsiasi posto ci troviamo e non importa se ci sono<br />

montagne alte.Ora che sapete cosa significa Mountain Unlimited: siamo circa<br />

dieci persone che lavorano in questa ONG e circa la metà di loro sono<br />

volontari e non vengono pagati e l’altra metà costituisce uno staff pagato che<br />

lavora su progetti. Il nostro maggior progetto, cioè il più importante al<br />

momento è la partecipazione a questo progetto W.E.S.T. Siamo molto felici<br />

che la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> ci abbia chiesto di essere partner, poiché<br />

quello che facciamo ora era esattamente ciò che abbiamo provato a realizzare<br />

negli ultimi due anni, far luce sul fenomeno che qui è stato chiamato “traffico<br />

di donne”e capire cosa vuol veramente dire, come le persone sono coinvolte,<br />

quali sono i fini <strong>del</strong> fenomeno, come influenza la nostra vita quotidiana, non<br />

solo nella comunità, ma anche a livello personale.Vorrei chiedere alle mie<br />

colleghe Birgit Wolf e Lenka Nieblova di dirci, ma soprattutto di dirvi, quali<br />

sono le attività d’informazione che Mountain Unlimited sta portando avanti.<br />

Il nostro ufficio è situato a Vienna e Birgit vi spiegherà come organizziamo<br />

queste attività informative e capirete che noi agiamo in costante sinergia e<br />

coadiuviamo i progetti qui in Italia, per cui non si tratta di un mondo diverso<br />

di informazioni sul fenomeno ma deve essere considerato un’ulteriore passo.<br />

Birgit, prego.


Birgit Wolf<br />

Buonasera, mi fa veramente piacere poter partecipare a questa conferenza<br />

e ascoltare le esperienze <strong>del</strong>le vostre attività.Sono entrata nel gruppo<br />

attività informative di Mountain Unlimited in agosto e seguo il progetto in<br />

qualità di esperta di scienza <strong>del</strong>le comunicazioni e di studi di genere.<br />

Sono molto contenta di quanto ho ascoltato sinora e nell’esporvi le nostre<br />

attività cercherò di trovare punti di contatto con il contesto precedente.<br />

Per prima cosa vi presenterò gli obiettivi <strong>del</strong>le nostre attività. Noi creiamo<br />

conoscenza,assemblando e raccogliendo pensieri ed informazioni dai partner<br />

coinvolti e da chi ha potere decisionale, con lo scopo di dimostrare la grande<br />

portata ed il forte impatto <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong> traffico di donne. E con la conoscenza<br />

che creiamo,vogliamo fornire fatti,cifre,studi sui casi ed opinioni <strong>del</strong>le<br />

vittime al fine di facilitare la ricerca giornalistica e fornire una terminologia<br />

adeguata, e qui sta il primo punto di contatto con quanto abbiamo già<br />

ascoltato.In questa sede abbiamo sentito parlare qui dal palco <strong>del</strong> linguaggio,<br />

<strong>del</strong>la giusta terminologia, e questo è il punto principale su cui focalizziamo la<br />

nostra attenzione in discussioni e dibattiti con diversi esperti in Austria, ma di<br />

questo vi parlerò più avanti. Ciò che è importante per noi e per le nostre<br />

attività è, come voi sapete, che l’Austria sarà incaricata <strong>del</strong>la presidenza<br />

europea nel 2006 e quindi, sia che vi sarà o no un secondo progetto, noi<br />

andremo avanti con le nostre attività di informazione fino alla presidenza<br />

europea per essere preparati per quel momento. Poiché allora in Austria<br />

anche il governo si concentrerà particolarmente sul problema <strong>del</strong> traffico di<br />

donne. Pensiamo che per l’epoca avremo bisogno di una rete di conoscenze.<br />

Vogliamo creare una rete di conoscenze, perché abbiamo bisogno <strong>del</strong>la collaborazione<br />

di gli attori coinvolti e fino ad allora intendiamo fornire dati,<br />

proporre nuove soluzioni, forse a livello politico o riguardanti la terminologia.<br />

A nostro avviso per le attività è importante seguire un approccio multidisciplinare.<br />

Così oggi abbiamo avuto un breve seminario, un seminario a livello<br />

nazionale durante la serata: abbiamo parlato <strong>del</strong> gap tra la pratica da un lato<br />

e la teoria e la scienza dall’altro, e <strong>del</strong>la necessità di colmare questo gap<br />

attraverso un approccio ed orientamento multidisciplinare.<br />

Quindi ora vorrei cercare di spiegarvi alcuni dettagli <strong>del</strong> nostro lavoro: siamo<br />

un gruppo molto piccolo, abbiamo risorse ridotte e così organizziamo<br />

workshop a cadenza quasi mensile, invitiamo operatori sociali, psicologi, sessuologi<br />

e giornalisti, ma siamo comunque sempre un piccolo gruppo e ciò che<br />

ha detto Clauio Renzetti sul dialogo è un buon modo per raggiungere le<br />

emozioni e il cervello <strong>del</strong>le persone e in questi workshop cerchiamo di fare<br />

acquisire consapevolezza, informiamo sulla portata e l’impatto <strong>del</strong> traffico di<br />

donne. Non c’è molta conoscenza sull’argomento, e quello che noi facciamo è<br />

un modo di informare, gradualmente, a piccoli gruppi, per coinvolgerli.<br />

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76<br />

Invitiamo operatori sociali, e loro possono avere dei punti di contatto per<br />

quello che fanno nel loro lavoro, per come sono coinvolti in questo fenomeno,<br />

perché non c’è molta conoscenza di questo argomento.<br />

Un’altra necessità è la ricerca da parte mia quale studiosa di genere ed è<br />

molto importante, ho ritenuto di grande valore il fatto che voi nella prima<br />

sessione abbiate rilevato come il fenomeno sia connesso alla migrazione e<br />

alle donne. Per questo abbiamo bisogno <strong>del</strong>l’approccio degli studi di genere e<br />

anche degli studi sulle culture. Dobbiamo integrare a livello scientifico questi<br />

differenti approcci, e forse potremmo imparare molto anche dagli studi sul<br />

genere maschile, perché dobbiamo pensare che questo fenomeno <strong>del</strong> traffico<br />

di donne, <strong>del</strong>lo sfruttamento sessuale, <strong>del</strong>la violenza sistematica ha una<br />

storia. Negli studi sul genere femminile e maschile e negli studi sul genere in<br />

generale dobbiamo pensare che la società si basa su di una struttura<br />

patriarcale, e anche questo è forse un aspetto che ci può aiutare, poiché la<br />

legge e lo stato, come sono oggi, si sono sviluppati da strutture patriarcali, e<br />

questo forse ci porta ad un aspetto importante anche per nuove soluzioni e<br />

prospettive.Un obiettivo per me è quello di svolgere una ricerca di genere che<br />

vada a sensibilizzare in questa direzione e che raccolga una serie di reti di<br />

scienziati ma sempre in una dimensione ridotta, ed è quello che cerchiamo di<br />

fare in quel piccolo paese che è l’Austria, abbiamo poche università e qui e là<br />

ci sono alcuni centri di ricerca che cerchiamo di mettere in collegamento su<br />

questo argomento.<br />

Ma ciò che mi ha colpito di più durante la prima sessione sono stati la<br />

discussione e il dibattito sulla terminologia e l’uso <strong>del</strong>le parole e <strong>del</strong> linguaggio.<br />

Ne abbiamo discusso spesso, il nostro interesse maggiore va al linguaggio<br />

che usiamo, ne abbiamo bisogno in ogni aspetto <strong>del</strong> fenomeno,<br />

perché con il linguaggio possiamo fare qualsiasi cosa, anche se questo è solo<br />

un linguaggio visivo, e rifacendomi a quanto ascoltato all’inizio dai relatori,<br />

penso che ne abbiamo bisogno in ogni aspetto,abbiamo bisogno di immagini<br />

visive che ci aiutino, abbiamo bisogno <strong>del</strong> teatro, dei resoconti stampa e <strong>del</strong>le<br />

campagne stampa, poiché ci sono diversi tipi di persone all’interno <strong>del</strong>la<br />

nostra società. Viviamo in una società molto differenziata e abbiamo bisogno<br />

di diversi tipi di mass media e di comunicazione per raggiungere i diversi<br />

gruppi sociali: fumetti, radio, teatro... Vorrei farvi un esempio <strong>del</strong> dibattito<br />

sulla lingua: due / tre settimane fa abbiamo fatto un workshop con una “professoressa”femminista,<br />

è una professoressa di performance, di performance<br />

femminista e rappresentazione <strong>del</strong> criticismo. Una <strong>del</strong>le nostre conclusioni,<br />

uno dei risultati <strong>del</strong> nostro workshop riguarda per esempio il termine trafficking<br />

in inglese. Trafficking, in inglese, indica sempre un crimine, indica<br />

qualcosa che ha a che fare con il commercio, con la violenza, la brutalità e che<br />

è qualcosa di illegale, che ci sono dei gruppi organizzati, dei gruppi criminali,


ha a che fare con la disumanità e con il guadagno di elevati profitti. Quindi in<br />

inglese, appena si dice trafficking chiunque sa che si tratta di un crimine, lo<br />

usano per traffico di donne o traffico di droga, di armi o di esseri umani in<br />

generale.<br />

Non so come sia in italiano, ma posso dirvi quali problemi abbiamo nella<br />

lingua tedesca. In tedesco non abbiamo un termine paragonabile a trafficking.<br />

Usiamo la parola “Han<strong>del</strong>”che significa commercio, e questo termine<br />

è usato sia per il commercio legale che per quello illegale. Infatti noi parliamo<br />

allo stesso modo di commercio di droga, commercio di armi, commercio di<br />

donne come di commercio di macchine o telefoni cellulari. Quindi, quando se<br />

ne parla, la mente non va automaticamente al crimine, alla brutalità, alla<br />

minaccia. Le persone nella vita quotidiana non sono coscienti di cosa sia il<br />

commercio di donne e di che cosa ne dovrebbero pensare.<br />

Il secondo problema connesso a quanto abbiamo ascoltato precedentemente<br />

nella prima sessione è il fatto che non c’è un confine definito tra la prostituzione<br />

e la prostituzione forzata,tra la professione <strong>del</strong> sesso e lo sfruttamento<br />

<strong>del</strong> sesso, tra la cosiddetta prostituzione “legale”, la cosiddetta prostituzione<br />

“volontaria” e la prostituzione forzata. E questo è il primo problema, perché<br />

quando ne parliamo non abbiamo le parole giuste collegate al problema<br />

stesso, che rendano visibili le implicazioni ad esso connesse, che rendano<br />

evidente il destino che si cela dietro di esse, la legislazione sbagliata che vi si<br />

nasconde. Ma ora durante questa sessione dovremmo continuare a discutere<br />

insieme questi differenti aspetti <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong> linguaggio e forse arriveremo<br />

anche a nuove soluzioni. Ma penso che sia un problema che dobbiamo<br />

affrontare anche se non abbiamo soluzioni,bisognerà discuterne e continuare<br />

a lavorarci durante il secondo progetto W.E.S.T.Potremmo formare un gruppo<br />

speciale di lavoro che si occupi <strong>del</strong>l’uso <strong>del</strong> linguaggio, dovremmo veramente<br />

cercare di scoprire come gestire e trattare il problema.<br />

Per le nostre attività informative non abbiamo bisogno di raccogliere grandi<br />

progetti come avete fatto qui in Italia con queste enormi ricerche e i numerosi<br />

documenti provenienti dai processi. Così la mia collega Lenka vi mostrerà<br />

come cerchiamo di dare una visione di queste informazioni, <strong>del</strong>la portata e<br />

<strong>del</strong>l’impatto <strong>del</strong> traffico <strong>del</strong>le donne,sono informazioni pregnanti di vita,dove<br />

le persone possono seguire cosa avviene riguardo a questo argomento.<br />

Bene, ora passiamo al tedesco, avrete la vostra traduzione dal tedesco all’italiano.<br />

Lenka Nieblova<br />

Mi chiamo Lenka Nieblova, sono originaria <strong>del</strong>la Repubblica Ceca e ho<br />

dovuto vivere molti anni in questo ambiente... Ancora una volta... sono ceca<br />

e purtroppo ho dovuto passare molti anni in questo ambiente e ora sono<br />

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78<br />

responsabile <strong>del</strong>le ricerche e soprattutto <strong>del</strong>le informazioni,<strong>del</strong>le informazioni<br />

esatte e mi impegno affinché queste arrivino alle persone giuste e nei luoghi<br />

giusti.Ho cercato di creare una home page,che non solo informi e sensibilizzi,<br />

ma che educhi anche e soprattutto i clienti, ma anche i giornalisti, gli esperti,<br />

la gente che si occupa <strong>del</strong>la problematica, ecc. Non so se si vede bene. Non fa<br />

niente...<br />

Quello che si vede è la storia al suo inizio, una storia vera... il resoconto di un<br />

destino, in cui io alla fine tento di convincere le persone a chiudere gli occhi e<br />

ad immaginarsi tutto ciò che hanno letto fino a quel momento, la storia, come<br />

se ci fossero dentro. È tutto come un gioco... ora non si vede molto bene... c’è<br />

un’immagine di un volto contento e se usiamo il mouse cambia aspetto e il<br />

risultato è quello di vedere com’è la ragazza distrutta. Per cui ho cercato in<br />

modo leggero di coinvolgere soprattutto i clienti in modo che si possano<br />

immaginare di che cosa sono responsabili. Questa è la pagina iniziale e poi si<br />

arriva alla vera e propria home page.La struttura generale... nella home page<br />

ho riunito gli eventi più attuali che in tutta Europa riguardano il commercio<br />

<strong>del</strong>le donne, le informazioni più nuove, che ogni giorno riempiono la mia<br />

casella di posta elettronica e che io metto poi su internet.“Informazioni sul<br />

progetto”: queste sono brevi informazioni sul nostro progetto... Commercio,<br />

prostituzione, le vittime, i carnefici, le richieste, la pagina SOS, dove si può<br />

cercare consiglio e alla quale ci si può rivolgere. Il sottotitolo “Perché?”: qui ho<br />

cercato di spiegare dal punto di vista storico come si possono sviluppare certe<br />

strutture,perché il lavoro scientifico è sicuramente utile,ma anche questo tipo<br />

di ricerca brancola un po’ nel buio... ecco allora la storia di Cesare, l’imperatore<br />

Cesare, la sua storia rielaborata, in cui io ho provato a spiegare e trasmettere<br />

ai profani, ad un vasto pubblico dove si trova veramente questo<br />

problema all’interno <strong>del</strong>la società. Prima di tutto è un affare, è l’idea di fare<br />

un affare che fa perno sul desiderio <strong>del</strong> maschio, che ora si è sviluppata in<br />

maniera totalmente diversa da come forse era stata concepita, come succede<br />

in tanti casi... Spero così di raggiungere più facilmente i clienti o gli uomini,<br />

attraverso la narrazione di una storia. Poi mostro i paesi colpiti, informazioni<br />

<strong>del</strong>le quali siamo a conoscenza, cifre e fatti, poi il commercio <strong>del</strong>le donne in<br />

Austria, con grande quantità di informazioni, quello nell’Unione Europea,<br />

bibliografia e articoli; ho stilato una bibliografia e a sinistra, dove ci si può<br />

informare sul tema,poi la prostituzione...in Austria si presta molta attenzione<br />

al suo legame con il commercio di donne.Occorre distinguere bene ed è quello<br />

che ho fatto anche io qui, anche se non è stato <strong>del</strong> tutto volontario... Qui cerco<br />

di comunicare, che il legame con il commercio di donne può essere sia molto<br />

stretto che più flessibile, ho messo in dubbio la prostituzione come atto<br />

volontario, l’immoralità, quindi dov’è l’immoralità, cosa e chi è immorale, chi<br />

guadagna veramente... le ragazze vivono nella ricchezza, ecco ciò che ci si


immagina erroneamente, che cosa si aspettano da questo lavoro, la prima<br />

volta, la prostituzione a Vienna – un argomento molto interessante per noi – e<br />

di nuovo bibliografia, link ecc. Le vittime, la situazione di partenza, le conseguenze<br />

psicologiche, il periodo seguente. Poi vorrei far notare che ho suddiviso<br />

in due parti: il periodo direttamente dopo la razzia e poi di nuovo in<br />

patria e poi si prosegue, naturalmente... bibliografia, link, i carnefici, e qui ho<br />

profili di carnefici, di protettori, di tenutarie di case d’appuntamento, di poliziotti<br />

corrotti, i cosiddetti aiutanti e gli uomini che sono in mezzo, gli intermediari,<br />

che anche loro giocano un ruolo, i procacciatori e altre persone<br />

coinvolte. La domanda è rivolta ai clienti e ho steso un testo intitolato “Perché<br />

gli uomini comprano sesso?”, un lavoro di tipo esplicativo; ho cercato naturalmente<br />

di spiegare come succede, come si può offrire aiuto...<br />

Carla Trampini<br />

Ringraziamo il partner austriaco. Io in questo gioco di luci non vi vedevo<br />

più, quindi vi immaginavo, ed ero entrata proprio nel gioco che l’Austria ci<br />

aveva proposto prima. Non so voi, perché a un certo punto le luci si sono<br />

rarefatte.<br />

Passiamo la parola alla <strong>Regione</strong> Marche che proseguirà questi contributi raccontandoci<br />

la propria esperienza. Per tratteggiare ciò che sta emergendo si<br />

evidenziano parole chiave, elementi, su cui ci siamo interrogati sulla prima<br />

parte <strong>del</strong>la mattinata. Quindi vale la pena, anche se l’ora è tarda dopo aver<br />

ascoltato queste relazioni, di proseguire, non so per quanto tempo, la<br />

discussione, oppure decidiamo che la tagliamo e passiamo alla sintesi <strong>del</strong>la<br />

collega Wei<strong>del</strong>, <strong>del</strong> partner austriaco.<br />

Pazientiamo tutti per ascoltare questi contributi che hanno temi ricorrenti,<br />

anche rispetto alla prima parte,dei lavori <strong>del</strong>la mattinata,e poi a questo punto,<br />

dopo aver ascoltato la regione Marche, Luca Baldassarre per la <strong>Regione</strong><br />

<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>,darei la parola a Christiana Wei<strong>del</strong> per fare una breve sintesi<br />

dei punti più importanti sui quali domani lei farà la relazione in plenaria.<br />

Sono le 18,15, slitteremo un po’ rispetto ai tempi previsti. Se reggiamo,<br />

propongo di arrivare alle 18,45. Chiedo a voi, e mi dispiace, per gli ultimi è<br />

sempre così,una capacità di sintesi maggiore e qualche coraggioso taglio nell’intervento,<br />

poi lascerei la parola a Christiana Wei<strong>del</strong>, 5-10 minuti perché<br />

possa anche lei tratteggiare i punti salienti.<br />

Patrizia Di Berardino [ARS Marche]<br />

Per iniziare la mia relazione vorrei esporvi come nasce questa idea di<br />

lavorare sui clienti <strong>del</strong>la prostituzione. Quello che vi presento è il lavoro svolto<br />

congiuntamente dall’ARS, l’Agenzia Regionale Sanitaria, e dalla <strong>Regione</strong><br />

Marche che per attuare il progetto si sono avvalsi di collaboratori con una<br />

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80<br />

lunga esperienza negli interventi rivolti a donne vittime <strong>del</strong>la tratta a scopo si<br />

sfruttamento sessuale,in quanto,nella maggior parte dei casi,si tratta di operatori<br />

<strong>del</strong>l’Associazione “On the Road”. Per chi opera nell’ambito <strong>del</strong>la prostituzione,o<br />

per meglio dire,<strong>del</strong>la tratta,avviando percorsi di assistenza ed integrazione<br />

sociale,il contatto con i clienti è molto frequente,in modo particolare<br />

si entra in contatto con quelli che,nel gergo degli operatori,vengono chiamati<br />

i “clienti salvatori”cioè coloro che da clienti <strong>del</strong>le donne che si prostituiscono,<br />

diventano spesso i fautori <strong>del</strong>l’uscita dalla prostituzione <strong>del</strong>la donna, ed i<br />

mediatori con i servizi che percorsi di percorsi di reinserimento sociale.Tra la<br />

donna ed il “cliente salvatore” si instaura una relazione affettiva che da una<br />

parte rappresenta una risorsa per la donna (una possibilità importante di<br />

ingresso in una rete familiare e sociale già strutturata che può supportare la<br />

donna nel suo percorso di vita in Italia) dall’altra un vincolo in quanto la donna<br />

non si attiva alla creazione di una autonomia ma si appoggia completamente<br />

avendo notevoli difficoltà nei casi in cui la relazione si interrompe.<br />

In realtà,ad eccezione di questi casi,dei clienti si sa veramente poco sia perché<br />

non esistono caratteristiche precise con cui si possono identificare (sono differenti<br />

per età,classe sociale,ed anche motivazione per cui acquistano sesso),<br />

sia perché non accedono mai ai servizi identificandosi come tali, ed inoltre<br />

pochi sono stati i progetti rivolti direttamente a loro.Tutto questo nonostante<br />

sia la domanda di sesso in acquisto che fa il cliente che fa sviluppare l’offerta<br />

che muove enormi quantità di denaro in mano alla criminalità.<br />

L’azione denominata “sperimentazione di un intervento di sensibilizzazione<br />

dei clienti sul tema <strong>del</strong>la prostituzione legata al trafficking” di cui parliamo<br />

oggi, ha come obiettivo proprio la ricerca di una modalità sensibilizzazione e<br />

di contatto attraverso l’individuazione di una adeguata modalità comunicativa<br />

rivolta ai clienti <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Per gli operatori sociali è scontata l’importanza <strong>del</strong>la comunicazione: è<br />

attraverso di essa che entriamo in relazione con le persone che accedono ai<br />

nostri servizi e con cui è necessario instaurare un rapporto di fiducia per poter<br />

dare un senso all’intervento. In ogni percorso formativo la comunicazione<br />

occupa, di conseguenza, un posto di grande rilevanza e necessita grande<br />

attenzione quando è diretta a persone di cultura, abitudini, convenzioni<br />

sociali differenti.<br />

È estremamente difficoltoso ed importante trovare il modo di comunicare con<br />

chi ancora non accede ai nostri servizi e soprattutto non chiede di accedervi.<br />

L’obiettivo <strong>del</strong> progetto di cui stiamo parlando,è stato di trovare una modalità<br />

comunicativa diretta a chi non chiede servizi, non chiede di soddisfare dei<br />

bisogni, non è mosso da un bisogno per entrare in contatto con noi; siamo<br />

invece noi a cercare una forma di contatto tentando di dedurre quello che<br />

potrebbe essere un bisogno degli acquirenti di sesso, per poter poi verificare


la veridicità <strong>del</strong>l’ipotesi ed accedere conseguentemente ai reali o ulteriori<br />

bisogni dei clienti.<br />

Il progetto prevede più azioni che possono essere suddivise in tre macro-aree:<br />

Ricerca su materiale ed esperienze in merito ai clienti <strong>del</strong>la prostituzione;<br />

campagna di sensibilizzazione e di educazione alla salute e attivazione di uno<br />

spazio di counselling e di accompagnamento per clienti; campagna di sensibilizzazione<br />

generale.<br />

Ricerca su materiale ed esperienze in merito ai clienti <strong>del</strong>la prostituzione<br />

Questa parte <strong>del</strong> progetto prevede due azioni di ricerca: l’una volta a reperire<br />

materiale in internet e nella produzione bibliografica riguardante i clienti<br />

<strong>del</strong>la prostituzione. L’interesse è rivolto principalmente a ricerche italiane ed<br />

estere, ma anche ad articoli <strong>del</strong>la cronaca che possono essere elementi di<br />

analisi <strong>del</strong>la rappresentazione che <strong>del</strong> “cliente”danno i mass-media.<br />

L’altra azione di ricerca è stata indirizza alla ricognizione di iniziative rivolte ai<br />

clienti <strong>del</strong>la prostituzione, presso le organizzazioni pubbliche e private che<br />

attuano progetti nell’ambito <strong>del</strong>l’articolo 18.<br />

È stato predisposto un apposito questionario,inviato alla mailing list degli enti<br />

selezionati in quanto operanti nell’ambito <strong>del</strong>la prostituzione, in cui vengono<br />

raccolti i dati ed i risultati relativi a progetti specifici rivolti ai clienti, ma anche<br />

le modalità in cui avvengono i contatti non strutturati con i clienti che accedono<br />

ai servizi per varie ragioni, la più frequente <strong>del</strong>le quali è l’accompagnamento<br />

ai servizi di donne che chiedono l’inserimento nei percorsi di assistenza e integrazione<br />

sociale. È importante, ai fini <strong>del</strong>la nostra indagine, ascoltare che cosa<br />

il cliente rappresenta proprio nella dinamica <strong>del</strong>la relazione tra l’operatore e la<br />

donna prostituta, che è o diventerà la persona che usufruisce dei servizi.<br />

Per descrivere brevemente il questionario vengono riportate le denominazioni<br />

<strong>del</strong>le tre aree di compilazione che lo costituiscono:<br />

- Informazioni generali sulla struttura/ente.<br />

I clienti <strong>del</strong>la prostituzione:<br />

- in cui le informazioni sono volte ad individuare se le azioni rivolte ai clienti<br />

sono strutturate o meno, la loro tipologia, l’impatto che la figura <strong>del</strong> cliente<br />

ha sul lavoro <strong>del</strong>l’operatore e le caratteristiche generali che l’operatore può<br />

desumere rispetto al cliente nel suo lavoro quotidiano.<br />

Da compilarsi solo a cura <strong>del</strong> responsabile servizio/struttura:<br />

- questa area è destinata a raccogliere le idee e le tendenze progettuali sull’argomento,<br />

in quanto è stata chiesta la compilazione da parte dei responsabili<br />

dei servizi.<br />

Campagna di sensibilizzazione e di educazione alla salute e attivazione di uno<br />

spazio di counselling e di accompagnamento per clienti.<br />

Questo intervento consiste in una indagine preliminare attraverso il contatto<br />

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82<br />

con i clienti usufruendo <strong>del</strong>le mediazione degli operatori <strong>del</strong>l’unità mobile. La<br />

finalità è di permettere l’individuazione <strong>del</strong>le caratteristiche, dei bisogni e di<br />

modalità preferenziali di intervento con le persone che abitualmente frequentano<br />

donne per la ricerca di sesso a pagamento.<br />

Sulla base di questo contatto, si potrà offrire, su richiesta ed in base alle<br />

necessità esplicitate, una consulenza in presenza presso lo sportello drop in di<br />

Grottammare ed in altri eventuali luoghi di contatto con i clienti, proponendo<br />

percorsi di ascolto e accompagnamento. Il contatto viene proposto con due<br />

modalità: un numero telefonico (348.2527517) ed una mail (consapevole@advcom.it),<br />

destinati unicamente a questo servizio.<br />

Nel counselling, telefonico ed in presenza, vengono garantiti: l’accettazione,<br />

il rispetto, la tolleranza. Questi servizi vengono proposti al cliente attraverso<br />

un apposito leaflet in cui, utilizzando un messaggio comunicativo non giudicante,<br />

si è cercato di rendere attivo il cliente, come promotore <strong>del</strong>la tutela<br />

sanitaria propria e <strong>del</strong>le persone che contatta,ma anche la prostituta di strada<br />

o di appartamento, come mediatrice per il passaggio al cliente di questo<br />

materiale. Nella prima parte interna di questo leaflet abbiamo fornito alcune<br />

informazioni sulla tutela <strong>del</strong>la salute,perché l’obiettivo <strong>del</strong>la consegna è stato<br />

quello di poter comunque lasciare qualcosa alla persona che lo riceve.<br />

Le ultime due righe <strong>del</strong> leaflet hanno un carattere diverso e invitiamo la<br />

persona che acquista sesso a fare attenzione alla persona che ha di fronte, e<br />

questo rappresenta un modo per indurre a riflettere sulla possibilità che la<br />

donna sia vittima di tratta e che la prostituzione non rappresenti quindi una<br />

libera scelta.<br />

Questo mezzo comunicativo viene veicolato attraverso due canali: la distribuzione<br />

presso i luoghi di prostituzione (in strada e negli appartamenti)<br />

effettuata da dagli operatori <strong>del</strong>l’unità mobile direttamente ai clienti o indirettamente<br />

tramite le donne che si prostituiscono; l’inserimento <strong>del</strong> leaflet<br />

all’interno dei settimanali “Corriere annunci” e “Corriere Incontri” per tre<br />

numeri consecutivi.<br />

Il “Corriere Incontri” è un inserto gratuito presente nel periodico di annunci<br />

<strong>del</strong>le Marche con una tiratura di 13.000 copie settimanali, in cui sono contenuti<br />

inserti matrimoniali, annunci di vendita di sesso ed è lo strumento che<br />

potrà raggiungere direttamente i destinatari <strong>del</strong> leaflet e <strong>del</strong>l’intero progetto.<br />

Gli interventi di sensibilizzazione che hanno maggiormente efficacia sono<br />

sicuramente quelli di prevenzione a lunga scadenza e quindi l’educazione<br />

all’affettività e alla sessualità, ad esempio direttamente nelle scuole, ma<br />

queste attività hanno un costo economico elevatissimo e richiedono tempi<br />

lunghi, per cui il nostro intervento può rappresentare un’occasione per<br />

conoscere i bisogni <strong>del</strong>l’adulto o <strong>del</strong>l’adolescente che acquista sesso, e per<br />

poter provare a dare almeno <strong>del</strong>le micro-risposte.


Campagna di sensibilizzazione generale<br />

È stato costituito un gruppo di lavoro formato da operatori <strong>del</strong> settore ed<br />

esperti in messaggi pubblicitari, per avviare la campagna di sensibilizzazione<br />

rispetto al problema ponendo l’attenzione a:<br />

- individuazione <strong>del</strong> target a cui dirigere il messaggio formato pubblicitario;<br />

- scelta <strong>del</strong> mezzo comunicativo e attivazione dei canali di comunicazione;<br />

- tipologia dei prodotti: spot radiofonico, manifesto lato posteriore e laterale<br />

degli autobus, tabelle all’interno degli autobus;<br />

- definizione <strong>del</strong> tipo di messaggio.<br />

È stato scelto un messaggio, con carattere prevalentemente informativo e<br />

responsabilizzante, costituito da una parte di testo e da una iconografica con<br />

l’utilizzo di immagini che descrivessero il fenomeno prostituivo nei suoi<br />

aspetti più attuali (prostituzione di strada e di appartamento) resi visibili con<br />

la pubblicità dinamica esterna ed interna su autobus di linea sul territorio<br />

regionale e per la provincia di Ascoli Piceno su manifesti murali. Questo tipo<br />

di messaggio è sembrato il più adatto a poter raggiungere un numero elevato<br />

di persone potendo così sperare di attuare un processo di riflessione sul<br />

fenomeno il più ampio possibile. A tale proposito è stato utilizzato un messaggio<br />

non diretto al cliente ma a tutta la popolazione, con un linguaggio<br />

anche <strong>del</strong>icato in grado di non attivare le difese cognitive <strong>del</strong>l’individuo che vi<br />

si trova di fronte. Per fornire un ulteriore servizio è stato segnalato sui<br />

manifesti il Numero Verde contro la tratta a cui rivolgersi per maggiori informazioni<br />

ed eventuali segnalazioni o richieste di aiuto, sia da parte dei cittadini,<br />

ma anche di eventuali clienti o prostitute.<br />

Nella campagna di sensibilizzazione generale, abbiamo puntato anche sulla<br />

diversificazione dei linguaggi e dei canali comunicativi. Per accompagnare<br />

questo tipo di sensibilizzazione, abbiamo strutturato anche uno spot<br />

radiofonico (<strong>del</strong>la durata di 20 secondi) che è stato già messo in onda da due<br />

radio locali, con diffusione su tutto il territorio regionale, il cui testo è il<br />

seguente: “La tratta è un orribile mercato di esseri umani. Molte donne sono<br />

vittime <strong>del</strong>la tratta e sfruttate nella prostituzione. Se scegli il sesso a<br />

pagamento, pensa che puoi aver di fronte chi non ha scelta. Se vuoi parlarne<br />

chiama il 348/2527517”.<br />

Ho cercato di ridurre al minimo il mio intervento, vi ringrazio <strong>del</strong>l’attenzione.<br />

Sono a disposizione per rispondere ad eventuali domande e comunque potete<br />

scrivere all’e-mail indicata. Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

Ringraziamo Patrizia Di Berardino. La parola a Luca Baldassarre.<br />

83


84<br />

Luca Baldassarre<br />

Vista l’ora proverò a sintetizzare al massimo il mio intervento. Devo dire<br />

che tutto sommato il mio compito è abbastanza semplice, visto che vado ad<br />

illustrarvi una <strong>del</strong>la azioni previste in W.E.S.T., ancora in piena fase di elaborazione,<br />

i check point sociali. Per questa ragione non troverete materiale in<br />

cartellina proprio perché si tratta di un’azione in itinere, che confidiamo di<br />

completare nei prossimi mesi, presentandone magari gli esiti nel seminario<br />

conclusivo <strong>del</strong> progetto che si terrà più avanti, a primavera inoltrata.<br />

Detto questo vi spiego molto rapidamente di che cosa si tratta: quest’azione,<br />

in parte rivisitata durante il percorso di vita <strong>del</strong> progetto, è oggi divenuta<br />

essenzialmente una campagna informativa rivolta a vittime di tratta, sia nei<br />

loro paesi di provenienza, che in quelli di transito e di destinazione.<br />

Già questo elemento vi permette di intuire quanto sia ambizioso l’intervento,<br />

poiché non vi sfuggirà che predisporre <strong>del</strong> materiale informativo da<br />

distribuire nelle nazioni di partenza e di transito <strong>del</strong>le vittime di tratta,è opera<br />

abbastanza complessa. E per svariate ragioni, che proverò a spiegare raccontando<br />

lo stato d’avanzamento attuale.<br />

Una <strong>del</strong>le prime riflessioni da cui siamo partiti per elaborare il progetto operativo<br />

dei check point, è proprio legato a quello che a più riprese è stato<br />

richiamato dai diversi interventi che mi hanno preceduto nella giornata: cioè<br />

sul quanto e come sia difficile produrre ed erogare informazione. Un’informazione<br />

credibile, non superficiale ma sufficientemente approfondita e<br />

precisa, capace di raggiungere l’utente finale e, infine, capace di fornirne una<br />

rappresentazione corretta, equilibrata, realistica.<br />

Va da sè che tutto questo richiama una seria valutazione su cosa vuol dire fare<br />

comunicazione, su che tipo di linguaggio è opportuno utilizzare e come, ecc.<br />

Perdonatemi se vado velocemente, ma essendo voi operatori “in senso<br />

ampio” <strong>del</strong> settore, non sto di nuovo a tornare sui tanti spunti che i relatori<br />

precedenti hanno lanciato.<br />

Come stiamo lavorando: innanzitutto si è cercato di indagare cosa era stato<br />

fatto in passato, visto che molte organizzazioni nazionali e internazionali,<br />

molti governi producono o hanno prodotto in passato campagne informative.<br />

Per raccogliere queste informazioni è stata costruita una griglia di rilevazione<br />

da somministrare mediante interviste a quelli che abbiamo identificato come<br />

“testimoni privilegiati”. Le interviste miravano a fare emergere preziosi suggerimenti<br />

per la costruzione dei materiali: dall’elaborazione dei contenuti, al<br />

confezionamento, fino ai canali e alle modalità di distribuzione degli stessi.<br />

Non solo: uno degli aspetti segnalato come particolarmente importante da<br />

molti degli intervistati, è un sistema di valutazione <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>la<br />

campagna.<br />

La necessità e l’importanza di un sistema <strong>del</strong> genere ci è stata segnalata anche


da enti,quali ad esempio,l’OIM,uno degli organismi internazionali a cui facevo<br />

riferimento prima, oggi molto presente e partecipe nell’attuare questo genere<br />

di iniziative anche nei paesi di partenza <strong>del</strong>le vittime di tratta. Ma anche altri<br />

enti, come per esempio la Procura Nazionale Antimafia, che soprattutto nel<br />

corso degli ultimi anni, come il Procuratore Vigna ha avuto modo di spiegarci,<br />

ha cercato di instaurare collegamenti e collaborazioni con i paesi neo entrati<br />

nell’Unione Europea o in attesa di ingresso, come per esempio la Polonia, la<br />

Slovenia, e anche altri paesi <strong>del</strong>l’est Europa, focus <strong>del</strong> progetto W.E.S.T.,<br />

mediante accordi di cooperazione e protocolli d’intesa, che prevedono scambi<br />

e comunicazioni a livello giudiziario, in materia di traffico di esseri umani.<br />

Le indicazioni <strong>del</strong>la Procura Nazionale sono state molto utili perché ci hanno<br />

aiutato anche a capire quali sono quei paesi interessati a collaborare fattivamente,<br />

perché ovviamente il buon esito di una compagna informativa realizzata<br />

in un altro Paese non può prescindere dalla collaborazione di quello<br />

stesso Paese. In questo caso l’assunto di partenza è il seguente: se dall’Ucraina<br />

all’Italia vengono trafficate <strong>del</strong>le persone, magari attraverso una rotta<br />

austro-ungarica, come domani mattina Enzo Ciconte avrà modo di illustrarvi<br />

in termini di rotte indagate nella ricerca sui flussi e le rotte, è necessaria una<br />

collaborazione con i paesi che accolgono il transito di queste persone,che non<br />

possono non sapere che queste persone transitano dai loro territori. Quindi è<br />

logico che porre in essere <strong>del</strong>le collaborazioni con questi paesi in termini giudiziari<br />

vuol dire fare un lavoro molto complesso,legato non solo a far acquisire<br />

consapevolezza di cosa si sta parlando all’opinione pubblica, ma anche<br />

operare un’azione di convincimento nei confronti dei governi sulla gravità <strong>del</strong><br />

fenomeno a cui si sta lavorando. E questo viene recepito in modo molto differente<br />

in Europa.<br />

Non a caso prima qualcuno di voi, giustamente, citava l’Italia come un paese<br />

all’avanguardia da questo punto di vista, perché la recente legge sulla tratta<br />

approvata nell’agosto <strong>del</strong>l’anno scorso dal nostro parlamento sicuramente<br />

rappresenta un elemento fortemente innovativo anche per quei paesi che<br />

desiderano entrare nell’Unione Europea, perché entrare nell’Unione significa<br />

anche in qualche modo conformarsi al suo sistema legislativo. Di fatto questo<br />

rappresenta una forma di pressione sui governi.<br />

Per non dilungarmi troppo cito solo due degli altri soggetti che abbiamo intervistato:<br />

il Dipartimento <strong>del</strong>le Pari Opportunità Italiano che ha prodotto una<br />

serie di campagne informative sull’argomento, nonché sul Numero Verde<br />

anti-tratta, e il Comitato per i Diritti <strong>del</strong>le prostitute, soggetto referente<br />

perché strettamente collegato al target oggetto di quest’azione.<br />

Abbiamo cercato di analizzare, per quanto è stato possibile, quali eventuali<br />

errori sono stati commessi in passato, quali sono stati i punti di forza, e quali i<br />

punti di debolezza.<br />

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86<br />

Oggi siamo alla costruzione dei contenuti. Questa fase non può prescindere<br />

da un’attenta valutazione dei luoghi di distribuzione dei materiali. I check<br />

point nell’ideazione iniziale, prevedevano essenzialmente tre luoghi principali,<br />

anche se non esclusivi: aeroporti, porti e stazioni ferroviarie. Questi<br />

erano stati individuati come luoghi di snodo <strong>del</strong>l’attività dei trafficanti di<br />

esseri umani. Le ricerche però ci dicono che solo in parte questi sono i luoghi<br />

“privilegiati”che vedono la presenza di trafficanti e trafficati. Ce ne sono altri<br />

molto meno standardizzati.<br />

Mi preme soltanto farvi un esempio, perché penso possa essere illuminante.<br />

Una <strong>del</strong>le cose che la ricerca sulla prostituzione sommersa, ma anche la<br />

ricerca sui flussi e le rotte ci hanno insegnato in qualche modo è che, ad<br />

esempio la frontiera Slovenia-Italia, che rappresenta uno degli afflussi oggi<br />

privilegiati degli ingressi nel nostro paese,e in modo particolare la rete autostradale<br />

italiana, proprio perché molti dei mezzi di trasporto utilizzati si<br />

muovono su ruote, rappresentano uno dei possibili luoghi dove distribuire<br />

questo materiale.<br />

Ora, ragionare in questi termini significa fare accordi con società private,<br />

come la società autostrade per esempio. Per fare un’azione di questo tipo è<br />

necessario provare, come stiamo tentando di fare noi, a stipulare accordi di<br />

cooperazione con quelle società di trasporti, le società cioè che organizzano<br />

il transito da paesi quali Ucraina, Moldavia, Romania, direttamente in Italia,<br />

Austria, Germania, Francia,ecc...<br />

Confidiamo di giungere presto alla conclusione <strong>del</strong>l’azione e magari di<br />

poterne restituire i risultati in un vicino prossimo futuro. Grazie.<br />

Carla Trampini<br />

Grazie a Luca Baldassarre. Avevamo fatto un patto, che evitavamo la<br />

discussione e passavamo alla sintesi, quindi dò la parola a Christiana Wei<strong>del</strong>,<br />

anche se chiaramente questi ultimi tre interventi meriterebbero una<br />

discussione su tutta la ricerca di altri strumenti comunicativi, in particolare<br />

quella <strong>del</strong>le Marche, rispetto all’integrazione con un sistema sanitario.<br />

A me personalmente facevano venire in mente tante consonanze con la nostra<br />

realtà e tante richieste di approfondimento. Ma queste magari le rimanderemo<br />

ad altri momenti, ad altri scambi.<br />

Abbiamo svelato i contenuti più specifici <strong>del</strong>l’azione sui check point, che ci ha<br />

accompagnato come qualcosa che si andava proprio a costruire in itinere.<br />

Quindi ti ringraziamo perché questa messa in luce di questo ragionamento sulle<br />

campagne e di questo sistema di alleanze con tutta un’altra serie di istituzioni<br />

di altri luoghi, anche per noi diventa importante comprenderlo e ragionarci.<br />

I lavori sono terminati.Ringraziamo tutti per l’attenzione e passiamo la parola<br />

a Christiana Wei<strong>del</strong> che ha un compito a questo punto arduo e difficile consi-


derato l’orario, la ricchezza <strong>del</strong>le relazioni e, ritorno a dire, il gioco di luci di<br />

questa stanza, perché stare quassù è come immaginarsi il pubblico.<br />

Christiana Wei<strong>del</strong><br />

Se ripensate al momento in cui siete ritornati in questa sala, forse<br />

ricordate l’inizio <strong>del</strong> seminario e quando siete arrivati: che cosa sapevate <strong>del</strong><br />

fenomeno <strong>del</strong> traffico di donne? Come vi sentivate a riguardo? Che cosa pensavate?<br />

Carla Trampini ci ha accompagnato nel pomeriggio in modo piacevole<br />

e garbato e se ripensate a quanto abbiamo sentito,forse alcuni punti vi hanno<br />

colpito in modo speciale. Forse è stata la profonda introduzione di Claudio<br />

Renzetti che ci ha parlato di comunicazione sociale e ci ha spiegato che ci deve<br />

essere un dialogo quando si spiega questo fenomeno e ci si chiede come<br />

agire. Mi è piaciuto molto quando ha citato Karen Blixen, che disse che<br />

ognuno ha una storia da raccontare,ma anche lui è stato un grande narratore,<br />

come anche la giornalista che era seduta qui vicino a me. Claudio Renzetti ha<br />

detto che abbiamo bisogno di criteri per questo dialogo, perché il mondo non<br />

è soltanto bianco o nero,ci sono molti fraintendimenti e molti conflitti e anche<br />

tante contraddizioni. Così se parliamo di campagne di comunicazione,<br />

dobbiamo chiarire a chi ci stiamo rivolgendo, ci ha detto.<br />

Abbiamo sentito molto riguardo a come e quando cominciare qualcosa come<br />

una campagna di comunicazione, che dev’essere un ponte verso i cittadini,<br />

utilizzando metodi efficaci: Stefania e Stefania – mi dispiace abbreviare i<br />

nomi in questo modo – ci hanno parlato <strong>del</strong>l’iniziativa <strong>del</strong> Comune di Perugia.<br />

Il messaggio riguardante il coinvolgimento di attori principali e persone con<br />

potere decisionale è cruciale quando si arriva ad una campagna d’informazione<br />

e comunicazione. Forse ricorderete quando ci hanno riferito degli<br />

spettatori e su come trasformarli in cittadini attivi che abbiano cura di ciò che<br />

li circonda. Credo che quest’immagine ci accompagnerà oggi e domani,<br />

perché ci mostra veramente di che cosa si tratta quando si parla di iniziative o<br />

azioni intraprese dai cittadini. Sicuramente ricorderete come me la coinvolgente<br />

e toccante narratrice Vanna Ugolini, che ci ha ricordato che il denaro<br />

ha odori diversi e che noi siamo capaci di distinguere l’odore <strong>del</strong> denaro guadagnato<br />

lavorando e quello guadagnato con la violenza. Ci ha mostrato il<br />

problema <strong>del</strong>le prospettive diverse e ci ha sottolineato quanto è importante,<br />

non solo per i mass media, trovare le parole giuste.<br />

In seguito, dopo la pausa, avete seguito le mie colleghe Birgit e Lenka che<br />

hanno parlato <strong>del</strong>la campagna di informazione austriaca, <strong>del</strong>le attività che<br />

svolgiamo riguardo alla terminologia e ho trovato molto interessante notare<br />

come i problemi di terminologia siano così simili nei nostri due paesi, anche<br />

se abbiamo qualche volta regole diverse, leggi diverse e forse anche una<br />

storia diversa.<br />

87


88<br />

Poi abbiamo sentito brevemente Patrizia Di Berardino che si è concentrata sul<br />

cliente e questo, secondo me, ce lo dovremo ricordare in futuro, credo che<br />

ricorderete facilmente le sue parole, come anche quelle di Luca. Luca Baldassarre<br />

ha detto che i check point sociali sono potenti strumenti di network,<br />

o almeno,come ho capito ascoltandolo,non sono una standardizzazione <strong>del</strong>le<br />

cose, ma un valido strumento da utilizzare insieme a livello veramente<br />

europeo.<br />

Cosicché questa sera, quando lascerete questa sala, penso che avrete molta<br />

più cognizione sul problema <strong>del</strong> traffico di donne, consapevolezza dei vari<br />

aspetti di come rivolgersi ai cittadini, al pubblico, alle comunità e anche di<br />

come raggiungere il singolo, ogni cittadino nel suo ambiente. Forse avrete<br />

anche pensieri confusi su come comportarsi in futuro o forse già stasera;<br />

abbiamo assorbito molte informazioni ed esempi, molta esperienza sta dietro<br />

a tutto questo. E se è davvero così, allora saprete per cosa sono pensate<br />

l’informazione, la comunicazione e le iniziative.<br />

Questo è quello che penso di riferirvi anche domani, riguardo cioè la giornata<br />

odierna e cosa abbiamo sentito.Spero di rivedervi tutti domani.Grazie e buonasera.<br />

Carla Trampini<br />

Grazie a tutti. Ci vediamo domani. E grazie a Christiana Wei<strong>del</strong> perché è<br />

stata veramente brava nella sua sintesi.


Sessione SERVIZI ALLA PERSONA<br />

Annarita De Nardo<br />

Di nuovo benvenuti a tutti,siamo all’interno <strong>del</strong> gruppo tematico “I servizi<br />

di tutela e accompagnamento all’inclusione <strong>del</strong>le persone vittime <strong>del</strong> trafficking:<br />

innovazione e prospettive”.<br />

Da anni sappiamo che le azioni di tutela e di inclusione sociale e lavorativa<br />

<strong>del</strong>le persone vittime di tratta hanno fatto notevoli progressi rispetto ai primi<br />

anni in cui questo fenomeno è apparso. Dai primi interventi sperimentali<br />

abbiamo avuto via, via dei progetti più importanti, più specifici. L’occasione<br />

<strong>del</strong> progetto di W.E.S.T. è stata proprio quella di poter sperimentare dei<br />

progetti nuovi, innovativi, di vedere come questi potevano far fronte al<br />

fenomeno e all’accoglienza <strong>del</strong>le persone vittime <strong>del</strong> trafficking.<br />

In questo gruppo di lavoro affronteremo l’analisi di questi progetti; abbiamo<br />

pensato di dividerci in cinque gruppi,quindi ci saranno cinque interventi di 20<br />

minuti circa e ci piacerebbe che alla fine di ogni nostro intervento ci fosse la<br />

vostra partecipazione, per questo abbiamo previsto nella nostra scaletta circa<br />

una decina di minuti dopo ogni intervento per parlare con voi, per rispondere<br />

alle vostre domande, per approfondire <strong>del</strong>le questioni che magari ritenete<br />

importanti. Seguiremo questa scaletta da adesso fino alle sei meno un quarto<br />

circa poi andremo giù per la consegna dei diplomi ai corsisti dei corsi che sono<br />

stati organizzati sempre all’interno <strong>del</strong> progetto W.E.S.T.<br />

Inizierò subito io, che sono Annarita De Nardo <strong>del</strong>la Caritas diocesana di<br />

Udine, parlandovi <strong>del</strong> progetto che, come Caritas, abbiamo svolto all’interno<br />

di W.E.S.T.: è un progetto di accoglienza di frontiera <strong>del</strong>le donne, provenienti<br />

dall’est Europa, vittime <strong>del</strong>la tratta o probabili vittime, nel momento in cui<br />

attraversano la frontiera.<br />

Il nostro intervento si è svolto proprio sui confini <strong>del</strong>la nostra regione,<strong>del</strong> Friuli<br />

Venezia Giulia, ai due confini: verso il nord con l’Austria e verso est con la<br />

Slovenia. Il nostro compito era quello di preparare degli operatori che lavorassero<br />

sul territorio di confine,accanto alle forze <strong>del</strong>l’ordine,e verificare,sperimentare,<br />

se era possibile così intercettare le ragazze vittime <strong>del</strong>la tratta e<br />

soprattutto cercare di prevenire l’entrata di queste ragazze, di probabili<br />

vittime, all’interno <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Come Caritas di Udine siamo impegnati dal ‘97 nel settore specifico <strong>del</strong>l’accoglienza<br />

a favore di donne cadute nello sfruttamento sessuale e siamo un<br />

soggetto titolato alla realizzazione di programmi di protezione sociale; le<br />

attività che svolgiamo sono attività di pronto intervento per quanto riguarda<br />

l’accoglienza diretta <strong>del</strong>le ragazze che vengono identificate dalle forze <strong>del</strong>-<br />

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90<br />

l’ordine o che arrivano direttamente ai nostri centri di accoglienza e che<br />

chiedono di essere aiutate per uscire dalla prostituzione; quindi abbiamo personale<br />

che è in grado di muoversi, di intervenire, là dove viene richiesto<br />

l’aiuto. Abbiamo due strutture, una di prima e una di seconda accoglienza:<br />

quella di prima ospita le ragazze che iniziano il programma di protezione,<br />

facendo la denuncia (e io credo che tra voi ci siano diversi operatori che<br />

conoscono questi percorsi), denunciano alle forze <strong>del</strong>l’ordine chi sono stati gli<br />

sfruttatori che le hanno portate lì e poi iniziano un cammino di integrazione<br />

che prevede,in genere,l’insegnamento <strong>del</strong>la lingua italiana o anche altri corsi<br />

professionali e pian piano altre attività: proponiamo il recupero degli impegni<br />

che già svolgevano in patria, se possibile, <strong>del</strong>la scolarizzazione che avevano<br />

iniziato, fino ad arrivare all’inserimento lavorativo, una volta ottenuto il<br />

permesso di soggiorno.Prevediamo poi il passaggio nella struttura di seconda<br />

accoglienza dove c’è una maggiore autonomia per le ragazze e la possibilità<br />

di gestirsi in modo molto più indipendente: hanno già i documenti, hanno già<br />

un lavoro. Nell’arco degli otto mesi di permanenza nella struttura di accoglienza,<br />

lo scopo è di rendere stabile questo lavoro e rendere così possibile<br />

un’uscita autonoma.<br />

Il progetto W.E.S.T. quindi si è inserito accanto a questi progetti che già<br />

c’erano e che ovviamente hanno costituito il supporto allo sviluppo <strong>del</strong><br />

progetto stesso.<br />

Perché ci ha così interessato, come Caritas, partire con questo progetto?<br />

Perché ci rendevamo conto che le ragazze che ospitavamo nelle strutture<br />

molto spesso dicevano: “Sì, sono stata un anno, due anni, sulla strada però”,<br />

soprattutto quelle <strong>del</strong>l’est,“sono passata da qui, ricordo di essere passata da<br />

Tarvisio”quindi questo era per noi,ogni volta che lo sentivamo,quasi come un<br />

affronto. Insomma ci passano sotto il naso, perché Udine dista neanche 100<br />

chilometri da Tarvisio, e noi le accogliamo dopo due anni, dopo che hanno<br />

visto tutto quello che hanno vissuto tutto quello che sappiamo. Quindi ci<br />

siamo detti: “Vediamo se riusciamo ad intervenire prima che tutto questo<br />

succeda”. Ci siamo inseriti così a lavorare in un contesto particolare che è<br />

quello di Tarvisio, di questa cittadina che consta di pochi abitanti, che consta<br />

però di questo elemento importante che è la frontiera.È un valico importante,<br />

di prima categoria, quindi c’è il passaggio di merce e di persone, abbiamo<br />

lavorato anche, vi dicevo, con il confine di Pulfero, che invece è al confine con<br />

la Slovenia, dove passano molte meno persone e l’arrivo è quello <strong>del</strong>le merci<br />

soprattutto. E questo a livello di risultati determina una differenza. Come<br />

supporto, vi dicevo, oltre a questa attività che avevamo, ci siamo appoggiavamo<br />

alle Caritas territoriali, sia a Cividale, che è al confine con la<br />

Slovenia, che a Tarvisio, da tempo impegnati con interventi a favore di<br />

immigrati.Infatti la Caritas di Tarvisio,ad esempio,interveniva già a chiamata


<strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine per portare vestiti e cibo agli immigrati clandestini da<br />

loro fermati e che avrebbero dovuto essere rimpatriati al loro paese direttamente,<br />

anche se quello che succede molto più frequentemente è il respingimento<br />

all’Austria.<br />

Quindi come siamo partiti? Siamo partiti definendo alcuni obiettivi, cercare di<br />

arrivare alle ragazze, cercare di fare con le ragazze una prevenzione, e dal<br />

momento in cui c’era la possibilità di lavorare lì, in quei territori specifici, di<br />

fare una mappatura, un’analisi <strong>del</strong> fenomeno, che abbiamo verificato essere<br />

molto più ampio di quello <strong>del</strong>le ragazze destinate al mercato <strong>del</strong>la prostituzione,<br />

perché lì abbiamo incontrato richiedenti asilo, clandestini che non<br />

avevano diritti, quindi gli interventi hanno potuto essere diversi. Abbiamo<br />

dovuto sperimentare, e questo era già negli obiettivi, una modalità di<br />

approccio con le ragazze che è particolare perché, davvero, incontrarsi con le<br />

ragazze ed avere poco tempo a disposizione non ci permetteva di creare tutta<br />

la relazione di aiuto,di avere tutto il tempo a disposizione,di presentare i nostri<br />

servizi, quindi si è trattato di un mo<strong>del</strong>lo nuovo di intervento da sperimentare.<br />

La prima cosa di cui ci siamo resi conto, innanzitutto, andando sul territorio e<br />

conoscendo il territorio, è che non sarebbe stato possibile lavorare in nessun<br />

modo se non all’interno <strong>del</strong>le caserme,perché le ragazze,e tutti gli immigrati,<br />

attraversano i confini in macchina, in pullman, in treno... nessuno a piedi,<br />

ovviamente, perché sennò verrebbe identificato, soprattutto se irregolare.<br />

Pertanto il nostro intervento avrebbe potuto essere esclusivamente all’interno<br />

<strong>del</strong>le caserme <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine su loro chiamata, che lì sono molto<br />

grandi, spaziose e numerose, perché in altra maniera non avremmo intercettato<br />

le ragazze. Questo è stato uno degli elementi più critici ma poi anche<br />

più <strong>del</strong>icati di tutto il progetto, perché noi abbiamo dovuto chiedere autorizzazioni<br />

speciali a tutti i comandanti dei carabinieri, <strong>del</strong>la polizia di stato, <strong>del</strong>la<br />

guardia di finanza, nonché prefetti, questori, eccetera, per avere le autorizzazioni<br />

e far intervenire il nostro personale, all’interno <strong>del</strong>le caserme.<br />

Il secondo obiettivo <strong>del</strong> nostro progetto, quello di creare una rete sociale di<br />

supporto intorno alle ragazze che avremmo incontrato,è stato molto più facile<br />

da realizzare con i servizi sanitari <strong>del</strong> territorio, con il comune, con altri enti e<br />

istituzioni, ma l’elemento determinante era, ed è rimasto, quello di lavorare<br />

con le forze <strong>del</strong>l’ordine.<br />

Questo ha comportato,inoltre,per il progetto,il suddetto studio di un mo<strong>del</strong>lo<br />

di intervento che tenesse conto di determinate peculiarità: quella che vi<br />

dicevo, che le persone entrano solo con le vetture e con i treni, quello di<br />

lavorare nelle caserme, e ci siamo resi conto fin da subito <strong>del</strong>l’altro elemento<br />

molto importante, che le persone incontrate, le ragazze in particolare,<br />

vengono fermate per un tempo molto limitato. Il tempo di stabilire se questa<br />

persona è regolare o non è regolare,il tempo di stabilire se ci sono a suo carico<br />

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92<br />

<strong>del</strong>le pendenze, dei reati, e in ultimo poi la persona viene allontanata.Vi<br />

rendete conto <strong>del</strong>la difficoltà di un operatore sociale che si accosta alle<br />

ragazze in questa condizione. Da un lato ci siamo trovati di fronte alla diffidenza,<br />

perché, insomma, lavori con le forze <strong>del</strong>l’ordine quindi quasi, quasi<br />

sei come loro,di conseguenza le donne avevano paura a esprimersi,a parlare,<br />

e via dicendo. Ci siamo resi conto, anche, che molto spesso, le ragazze non<br />

entrano da sole ma entrano con chi le accompagna, che è chi fa parte <strong>del</strong>l’organizzazione.<br />

Cosa capita? Che la polizia ferma queste ragazze, questi gruppi<br />

e vengono accompagnati tutti nella stessa stanza in attesa di vedere cosa<br />

succede. Ovviamente un operatore dei nostri che va lì e che vuol spiegare che<br />

esiste la possibilità di un programma di protezione e di accoglienza deve fare<br />

molta attenzione ad intervenire con le ragazze escludendole dagli altri, da<br />

quelli che si identificano come chi sta organizzando il viaggio.<br />

All’inizio, quindi, ci sono state queste difficoltà, ma davvero poi la polizia e i<br />

carabinieri hanno compreso le modalità <strong>del</strong>l’intervento da noi proposto e<br />

venivano in aiuto dicendo: “No, questi li separiamo noi, così neanche vi<br />

vedono”e destinavano un’altra stanza solo per noi,per farci fare i colloqui con<br />

le ragazze.<br />

Quali obiettivi volevamo avere con loro? Volevamo informarle, orientarle e<br />

assisterle nel momento in cui attraversavano il confine,informandole su quella<br />

che è la legge sull’immigrazione, su quella che è la loro condizione nel<br />

momento <strong>del</strong> fermo presso le forze di polizia di confine.Molto spesso venivano<br />

tenute lì anche per <strong>del</strong>le ore. Dopo che trascorrevano la notte in caserma,<br />

senza sapere quale sarebbe stato il proprio destino,la polizia stessa non aveva<br />

ancora ricevuto disposizioni, perché devono arrivare da Udine o, addirittura,<br />

dai centri dati <strong>del</strong>la polizia, per cui intanto le persone aspettano. E quindi<br />

volevamo sostenerle in questo momento, anche fornendo aiuti concreti: da<br />

mangiare, da vestire, una telefonata per chi, magari, le stava aspettando da<br />

qualche parte. Lo scopo era di accogliere le donne che ci venivano segnalate,<br />

che potevano rientrare nell’esperienza <strong>del</strong>la prostituzione, e, soprattutto, di<br />

evitare questa terribile esperienza a quelle che si individuavano come possibili<br />

vittime <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Siamo partiti lavorando con le forze <strong>del</strong>l’ordine e con difficoltà perché, mi<br />

permetto di dire, c’era poca conoscenza di quello che è l’articolo 18, di quelle<br />

che sono le modalità di protezione. C’era senz’altro una conoscenza <strong>del</strong><br />

fenomeno <strong>del</strong>la tratta, dato che il nostro territorio di confine è interessato da<br />

massicci fenomeni <strong>del</strong>l’immigrazione clandestina (essendo un’entrata<br />

naturale da est in Italia). Quindi, è senz’altro stata importante anche la formazione<br />

che abbiamo potuto fare sul campo con le forze <strong>del</strong>l’ordine,attraverso<br />

l’accoglienza <strong>del</strong>le ragazze. Devo dire che all’inizio c’è stata diffidenza: non ci<br />

conoscevano ed i temi sono un pochino difficili da digerire, a volte, ma


soprattutto modalità di lavoro differenti che noi stavamo proponendo loro.Non<br />

si tratta <strong>del</strong>la caserma <strong>del</strong>la città,abituata a interagire con diversi soggetti,che<br />

si recano in questura (avvocati, giornalisti, operatori socio assistenziali...); in<br />

frontiera non c’è quasi nessuno esterno alle forze di polizia che operi con loro:<br />

sono zone di montagna, c’è la neve alta mezzo metro, quindi è più difficile che<br />

ci sia un contatto <strong>del</strong>le caserme con il territorio. Adesso, che siamo alla fine <strong>del</strong><br />

progetto, le forze <strong>del</strong>l’ordine chiamano immediatamente quando intravedono<br />

certe situazioni, e hanno davvero sviluppato certe sensibilità, proprio per<br />

capire ancora meglio i contesti (anche perché non hanno il problema di dover<br />

collocare le ragazze eventualmente, consapevoli <strong>del</strong> nostro supporto)<br />

Come progetto, quindi, noi abbiamo capito quale era il fenomeno andando a<br />

visitare tutti i referenti di questa rete, in particolare le forze <strong>del</strong>l’ordine e chi<br />

già lavorava, come le Caritas territoriali. Abbiamo messo in atto una serie di<br />

azioni progettuali e siamo partiti, ricercando, ovviamente, le persone che<br />

potevano fare questo lavoro e non è stato facilissimo perché si trattava di<br />

trovare persone che operassero con questo tipo di target. A chiamata,<br />

dovevamo intervenire immediatamente, quindi abbiamo cercato una rete di<br />

interpreti sul territorio,i quali parlassero tutte le lingue <strong>del</strong>l’est: russo,ucraino,<br />

moldavo, rumeno, bulgaro, serbo-croato. Abbiamo individuato uno o più<br />

referenti per ognuna di queste lingue. Inoltre, abbiamo fatto una ricerca di<br />

legali che però ancora non si è resa utile, non è stata necessaria.<br />

Prima di iniziare abbiamo predisposto <strong>del</strong> materiale specifico, dei volantini di<br />

due formati, realizzati pensandoli assieme alle ragazze che avevamo allora<br />

nelle strutture di accoglienza. Attraverso le informazioni scritte sui volantini<br />

volevamo avvisare le ragazze che passavano il valico di cosa sarebbe potuto<br />

succedere di lì a poco, una volta entrate in Italia.<br />

Abbiamo distribuito i volantini più grandi in tutti i luoghi di contatto con gli<br />

immigrati. Alcuni li abbiamo pensati piccolissimi, in modo che potessero<br />

essere nascosti e tenuti dalla ragazze anche senza farlo capire a chi era lì nel<br />

gruppo, (come vi dicevo c’è spesso anche l’organizzatore). Abbiamo visto che<br />

li nascondono un po’ ovunque e siamo riusciti a distribuirli bene. Stampati<br />

nelle varie lingue <strong>del</strong>l’est, il volantino in lingua bulgara è completamente<br />

rimasto inutilizzato, perché non abbiamo incontrato ragazze bulgare, così<br />

come quello in lingua serbo croata. Invece abbiamo distribuito tantissimi<br />

volantini in rumeno e in russo. Siamo quindi partiti presentando il progetto<br />

alla popolazione, cercando questo grosso coinvolgimento con le forze <strong>del</strong>l’ordine,<br />

c’è stato un lavoro anche lento di mediazione, per vedere riconosciuta<br />

la nostra professionalità. Questo all’inizio è stato frustrante per gli operatori,<br />

dico la verità, perché le forze <strong>del</strong>l’ordine all’inizio non chiamavano,<br />

c’erano tante ragazze, le operatrici andavano, chiedevano chi era passato, chi<br />

era arrivato, però non c’era il coinvolgimento. Non solo, come vi dicevo, il<br />

93


94<br />

contatto con le ragazze risultava abbastanza difficile tanto che poi via via si è<br />

sperimentata una modalità di relazione che abbiamo denominato “relazione<br />

stretta” schietta, immediata. Ci siamo detti: «Abbiamo poco tempo a disposizione,<br />

abbiamo ragazze diffidenti, resistenti... cosa facciamo? In brevissimo<br />

tempo dobbiamo spiegare loro tutto quello che potrebbe succedere...».<br />

Tenete presente che fanno fatica a credere che qualcosa di così brutto possa<br />

succedere proprio a loro. Infatti è molto più facile che ci creda la ragazza che<br />

durante il viaggio ha già vissuto, purtroppo, esperienze di violenza (e questo<br />

l’abbiamo verificato più volte). Questo accade, appunto, quando effettivamente<br />

le hanno già usato violenza, ha già visto che il percorso è diverso da<br />

quello che si era immaginata; però nelle donne in cui niente era successo e,<br />

non solo,queste persone che le accompagnavano effettivamente le aiutavano<br />

a realizzare il loro progetto di emigrazione, lì c’era diffidenza verso di noi.<br />

Quindi l’intervento era frustrante per gli operatori perché non c’era inizialmente,<br />

come detto, una grossa collaborazione: si era lì però non si veniva<br />

coinvolti in modo importante; in più le ragazze, con le loro diffidenze, con le<br />

loro difficoltà ad affidarsi...<br />

Però abbiamo ottenuto dei risultati,dei risultati importanti. Vi vorrei parlare di<br />

due in particolare: quello <strong>del</strong>l’accoglienza in un secondo tempo, e quello,<br />

importante,rispetto alla conoscenza <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>le donne immigrate che<br />

attraversano il confine.<br />

Ho diviso, per essere un po’più chiara, le donne che abbiamo incontrato in tre<br />

categorie: le donne completamente sprovvedute le donne che hanno un riferimento,<br />

qui in Italia, vero o fittizio, e le donne, invece, che sanno.<br />

Per quanto riguarda le donne completamente sprovvedute ci siamo resi conto<br />

che un gruppo di persone non sa assolutamente niente <strong>del</strong> Paese nel quale è<br />

arrivato, non conosce le leggi <strong>del</strong> Paese ospitante, ha chiaro solamente il suo<br />

progetto di emigrazione che prevede di uscire dalla povertà e di farvi uscire<br />

anche la propria famiglia, che devono mantenere. Il fatto di non conoscere la<br />

legge e di non capire contestualmente che in Italia non potranno rimanere e<br />

non potranno lavorare, così come loro hanno previsto, non modifica però il<br />

loro progetto perché l’importanza assoluta per la loro vita, in quel momento,<br />

è comunque: “Non posso tornare al mio paese e la prostituzione in questo<br />

caso non è un problema che mi potrà riguardare”.<br />

Vi sono poi le donne che hanno un riferimento vero o fittizio: neanche queste<br />

conoscono la legge, conoscono poco le condizioni di entrata e per questo<br />

vengono fermate in frontiera; hanno una connazionale, più raramente un<br />

parente,che le ha fatte arrivare e che le aspetta e che ha organizzato il viaggio<br />

per loro, in vari passaggi, offrendo supporti logistici. Purtroppo più volte<br />

abbiamo verificato (le operatrici hanno un telefono e possono fare <strong>del</strong>le<br />

telefonate per avvisare i parenti) che, nonostante le donne avessero preso


questi accordi al loro Paese,in Italia non c’era nessuno ad attenderle.I numeri<br />

telefonici di cui erano in possesso erano fittizi, corrispondenti ad un nome<br />

senza nessun cognome, nemmeno una città di arrivo: quindi sarebbero state<br />

scaricate,tanto il denaro era già stato preso alla partenza.In questo gruppo di<br />

donne (questa classificazione l’ho fatta io, è impostata secondo la visione che<br />

abbiamo avuto noi <strong>del</strong> fenomeno) non abbiamo trovato vittime <strong>del</strong>la tratta;<br />

che invece abbiamo trovato molto più frequentemente nel terzo gruppo.<br />

Le donne che sanno, sanno benissimo quello che vengono a fare in Italia,<br />

quindi anche la prostituzione, e spesso restano dopo varie volte che hanno<br />

fatto avanti e indietro con il loro Paese perché magari è scaduto un visto.<br />

Conoscono la legge, spesso anche tutte le possibilità per ovviare ai controlli<br />

<strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine, intendo che sanno rispondere alle domande che<br />

vengono loro fatte, hanno tutti i riferimenti chiari, cellulari pienissimi di<br />

contatti. È capitato proprio nell’ultimo caso, <strong>del</strong>le ragazze che ci sono state<br />

accompagnate, che avessero agende pienissime. Spesso queste donne hanno<br />

tutte le carte in regola, è capitato di vedere che riescono a passare il confine<br />

avendo tutto a posto.Tenete presente che, per esempio, per entrare dalla<br />

Romania basta il passaporto, non è necessario il visto, è necessario però<br />

dimostrare di avere <strong>del</strong> denaro che permetterà di mantenersi in Italia per il<br />

periodo <strong>del</strong> turismo. Ecco, parlando con le forze <strong>del</strong>l’ordine e lavorando con<br />

loro, ci siamo resi conto che molte persone passano con le stesse banconote<br />

(che la polizia fotocopia e riconosce) e queste banconote si trovano poi in<br />

tasca ad altre ragazze. Quindi le banconote servono per passare, poi vengono<br />

riprese un’altra volta, quindi le carte in regola sono solamente nel momento<br />

in cui c’è il passaggio poi vengono ritirate.<br />

Vi dicevo, allora, rispetto a queste tre categorie, nel primo caso c’è la grossa<br />

difficoltà a far capire cosa sta succedendo a queste donne, perché davvero si<br />

fa difficoltà a parlare, perché hanno deciso di partire, di venire, di andare a<br />

lavorare ma qui non sanno cosa s’aspettano, s’aspettano forse le promesse<br />

che gli sono state fatte però tutte queste difficoltà che noi prospettiamo<br />

spesso non le vedono, non hanno coscienza di questo. Nell’ultimo caso invece<br />

ci siamo resi conto che lì si riesce ad intervenire maggiormente, vi dicevo che<br />

ci sono state spesso violenze durante il viaggio.Hanno fermato nei mesi scorsi<br />

tre ragazze moldave e due di queste avevano subito <strong>del</strong>le violenze, tutte e tre<br />

hanno deciso di denunciare perché hanno capito che la destinazione era,<br />

quindi, diversa e quindi con loro è stato più facile arrivare ai programmi di<br />

protezione.Ci sono state portate anche <strong>del</strong>le ragazze che sapevano,che erano<br />

diverse volte che andavano avanti e indietro, e anche queste nel momento<br />

giusto, probabilmente, hanno deciso di cambiare e di denunciare.<br />

In generale comunque abbiamo incontrato 58 donne moldave <strong>del</strong>l’età media<br />

di 28 anni, 20 ucraine di 39, 17 rumene di 20 anni, 6 rumene di etnia Rom,<br />

95


96<br />

3 georgiane, 2 bulgare, 2 bosniache, una serba e un’ungherese; di tutte<br />

queste donne, cui si riferiscono i dati, 13 sono state ospitate nella struttura di<br />

prima accoglienza e, ad oggi, 8 di queste hanno aderito ai programmi di protezione<br />

sociale e hanno già ottenuto il permesso di soggiorno. Per alcune, che<br />

sono state appena accompagnate, sono in corso ancora le indagini per cui<br />

vedremo come andrà avanti.<br />

Concludo dicendo quali sono i punti di forza e forse i punti più critici di questo<br />

progetto. Punto di forza senz’altro il successo <strong>del</strong>l’intervento e <strong>del</strong>le modalità<br />

di lavoro, perché ragazze sono state accolte; soprattutto il lavoro in caserma è<br />

risultato abbastanza determinante. Si riesce, si può lavorare molto bene<br />

inoltre le donne che si incontrano lì, con la modalità di relazione molto chiara<br />

che vi dicevo.<br />

Importante punto di forza si è rivelato, alla fine, questa bella collaborazione<br />

con le forze <strong>del</strong>l’ordine, che hanno compreso le modalità <strong>del</strong> nostro lavoro e<br />

quindi adesso le applicheranno anche se il progetto W.E.S.T. sta per finire e<br />

non solo c’è tutta la rete sociale intorno al progetto che ormai è sensibile,<br />

ormai può comprendere questo tipo di fenomeno, e per esempio l’assessore<br />

<strong>del</strong> Comune di Tarvisio che, appunto, vi dicevo, è un comune molto piccolo,<br />

ha deciso di fare un’iniziativa rispetto a questo fenomeno quindi sono punti<br />

di forza. Ritengo inoltre che questo progetto possa essere esportabile anche<br />

in altre situazioni, ovviamente adattandolo; anche noi siamo partiti con<br />

alcune idee che abbiamo poi calato nella realtà, abbiamo smussato i vari<br />

angoli, quindi l’abbiamo adattato e l’abbiamo visto volta per volta, ritengo<br />

però che mutando il contesto alcune modalità di queste possano essere recuperate.<br />

Come punto di criticità,invece,come difficoltà,ci siamo resi conto di un grosso<br />

problema, che siamo riusciti a lavorare molto bene sul territorio di frontiera di<br />

Tarvisio, però non c’è nessun rapporto con l’Austria e con la polizia austriaca,<br />

non c’è nessun rapporto con la Slovenia. Molto spesso alcune ragazze ci sono<br />

state rimandate dall’Austria, perché dall’Austria erano passate e noi non<br />

abbiamo potuto sapere come sono andate a finire le cose perché non<br />

avevamo un contatto lì.<br />

Mi permetto di dire che le modalità di azione in alcuni casi, anche rispetto ai<br />

richiedenti asilo,per l’Austria,lascia spesso a desiderare.In corso d’opera,con<br />

il progetto W.E.S.T. è entrato tra i partner anche l’associazione Mountain<br />

Unlimited e quindi l’idea nostra, anche in futuro, è quella di trovare, magari,<br />

qualche referente che possa fare il nostro lavoro anche in Austria, perché<br />

allora ha senso un lavoro generale.Vi sono poi state, appunto, le difficoltà<br />

iniziali con le forze <strong>del</strong>l’ordine perché non subito c’è stata l’apertura; vi dicevo<br />

e poi c’è un altro problema che è quello <strong>del</strong>lo spostamento dei confini ad est.<br />

Sapete che l’Europa si è allargata e quindi i valichi in cui la regione Friuli


Venezia Giulia interviene non sono più valichi verso l’est, ma diventano punti<br />

di passaggio, questo significa che il momento critico <strong>del</strong>l’accoglienza e tutto il<br />

resto verrà spostato più ad est.Questo ha significato anche per il progetto che<br />

i controlli, quando c’è stata l’adesione, l’allargamento ad est, i controlli <strong>del</strong>le<br />

forze <strong>del</strong>l’ordine sono nettamente diminuiti; meno persone fermano le forze<br />

<strong>del</strong>l’ordine, meno contatti possiamo avere noi e quindi questo è, e lo sarà<br />

anche in futuro, un problema. Inoltre un’altra piccola difficoltà, ma che<br />

abbiamo saputo risolvere, è stata quella dei problemi di organizzare l’accoglienza,<br />

perché la polizia chiama, dice: “Abbiamo fermato quattro donne”, in<br />

genere sono quattro o cinque, ci hanno chiamato anche per una corriera ma<br />

lì, evidentemente, è stato subito chiaro che non potevamo accogliere tutta la<br />

corriera. Però, anche quando abbiamo le strutture di accoglienza nei progetti<br />

di protezione sociale, una telefonata per quattro di loro ci sconvolge un<br />

attimo, anche perché sentirsi dire: “Adesso venite a prenderle, perché stanno<br />

denunciando”significa allertarsi immediatamente.<br />

Ecco, io vi ho dato, in linea di massima alcuni spunti <strong>del</strong> nostro progetto e<br />

come abbiamo lavorato. Adesso, come vi avevo detto, abbiamo a disposizione<br />

dieci minuti per le domande con voi e per approfondire questo tema, questo<br />

progetto.<br />

Domanda 1<br />

La domanda era se, come succede in altri Paesi, c’è stato anche nella loro<br />

esperienza il problema <strong>del</strong>la corruzione <strong>del</strong>la Polizia, <strong>del</strong>la stessa Polizia.<br />

Annarita De Nardo<br />

No, questo non ci è sembrato, per lo meno da quello che abbiamo potuto<br />

vedere; non è che ci siano moltissimi poliziotti o carabinieri che lavorano<br />

dentro queste strutture, a volte si pensa che i confini siano davvero sicuri, in<br />

realtà i carabinieri sono in cinque in tutto col comandante e con tutti gli altri,<br />

quindi se parte una pattuglia la caserma rimane vuota. Non è che ci siano<br />

tutte queste persone e lavorare con poche persone è stato vantaggioso perché<br />

le conosci una a una e quindi anche di questi problemi non ce ne sono stati,<br />

non mi è parso.<br />

Domanda 2<br />

Volevo chiedere se la denuncia era una conditio si ne qua non per<br />

l’accesso al programma o se è stato applicato anche il percorso sociale. Poi,<br />

invece, come seconda domanda, rispetto alla collaborazione con le forze <strong>del</strong>l’ordine<br />

<strong>del</strong>l’Austria e <strong>del</strong>la Slovenia che non è stato possibile attivare, avete<br />

tentato comunque di avviare dei contatti, per esempio con organizzazioni no<br />

profit, in questi Paesi e se sì con quali esiti.<br />

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98<br />

Annarita De Nardo<br />

Allora, rispetto alla prima domanda, era necessaria la denuncia perché<br />

altrimenti le ragazze non ci vengono affidate ma vengono o respinte o<br />

rimandate immediatamente: lì non c’è possibilità di questionare rispetto alle<br />

due possibilità, lì deve denunciare sennò non ti viene affidata, non la porti<br />

fuori dalla caserma.<br />

Nel secondo caso, rispetto alla collaborazione con altri organismi, abbiamo<br />

provato con la Caritas di Klagenfurt, che è al di là di pochi chilometri dal<br />

confine, ma ha un’impostazione completamente differente rispetto alla<br />

nostra e, no, non siamo riusciti a collaborare. L’Austria ha una modalità di<br />

reazione rispetto al fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione molto differente rispetto a<br />

quella italiana perché asserisce di non avere il problema, che non ci sono le<br />

prostitute e questo ci è stato detto dai partner mentre ne parlavamo a livello<br />

progettuale e ci è stato riconfermato da chi abbiamo contattato di là. Addirittura<br />

ci è stato detto che non ci sono i clandestini, ma, scusate, vengono<br />

mandati via dall’Italia quindi entrano automaticamente in Austria: “Ma qui<br />

non ci sono, passano, escono”, quindi un non voler vedere un certo tipo di<br />

fenomeno e questo mi è risultato abbastanza chiaro.<br />

Bene se non ci sono altre domande io passerei la parola a Giulia Borgomaneri<br />

<strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Lombardia che ci parla <strong>del</strong> loro progetto intitolato: la<br />

tutela legale.<br />

Giulia Borgomaneri<br />

Allora, buongiorno a tutti, io sono Giulia Borgomaneri rappresentante<br />

<strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Lombardia che ha lavorato tutto quest’anno insieme alle associazioni<br />

<strong>del</strong>la regione Lombardia che operano in questo campo. Quando la<br />

<strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, capofila <strong>del</strong> progetto W.E.S.T., ci ha proposto di<br />

partecipare a questo progetto, in qualità di partner, la <strong>Regione</strong> ha deciso di<br />

contattare tutte le associazioni <strong>del</strong>la Lombardia che si occupano in particolare<br />

di tratta <strong>del</strong>le vittime a scopo di sfruttamento sessuale e di incontrare direttamente<br />

le associazioni disponibili a collaborare con noi.<br />

Con le associazioni abbiamo individuato quali erano, nell’ambito <strong>del</strong>l’attività<br />

svolta, gli aspetti che richiedevano un approfondimento maggiore, sia dal<br />

punto di vista <strong>del</strong>lo studio, <strong>del</strong>l’analisi <strong>del</strong> problema, che dal punto di vista<br />

<strong>del</strong>la necessità di sviluppo <strong>del</strong>l’intervento.Tra i diversi problemi rilevati un<br />

aspetto considerato da tutti rilevante e urgente da affrontare era quello legato<br />

alla necessità di rafforzare gli interventi che riguardano la tutela legale alle<br />

vittime di tratta. Questo aspetto è stato considerato fondamentale da tutte le<br />

associazioni <strong>del</strong>la Lombardia che in una prima fase hanno collaborato alle<br />

stesura <strong>del</strong> progetto. Il progetto di cui parliamo oggi è finalizzato a promuovere<br />

l’azione sulla tutela legale in Lombardia per costruire poi un mo<strong>del</strong>lo


di intervento che possa essere estensibile a tutto il territorio nazionale e si<br />

potrà fare un tentativo o fare <strong>del</strong>le riflessioni per vedere se poterlo estendere<br />

anche a livello poi europeo con una fase chiaramente ulteriore di studio e di<br />

elaborazione in merito.<br />

Tutte le associazioni quindi, fin dall’inizio, hanno partecipato e collaborato<br />

dando veramente un grandissimo contributo nella fase di studio e di, proprio,<br />

stesura e scrittura <strong>del</strong> progetto; in una seconda fase alcune associazioni in<br />

particolare hanno, insieme alla <strong>Regione</strong> Lombardia, provveduto alla realizzazione<br />

vera e propria <strong>del</strong> progetto. Queste associazioni, insieme alla Fondazione<br />

ISMU, che si occupa di iniziative e studi sulla multietnicità e che ha<br />

sede a Milano, hanno collaborato insieme a noi appunto alla realizzazione <strong>del</strong><br />

progetto; tra l’altro voglio cogliere l’occasione per ringraziare la Fondazione<br />

Ismu, la Caritas Ambrosiana, la Cooperativa “Farsi Prossimo”, la Cooperativa<br />

“Lotta Contro l’Emarginazione” e le Associazioni Irene, Lule e il Centro di<br />

accoglienza dei Padri Somaschi,perché è stato un anno di lavoro molto,molto<br />

impegnativo.<br />

Con queste associazioni, vi dicevo, è stato scritto questo progetto il cui fine è<br />

stato quello di sperimentare un mo<strong>del</strong>lo di intervento che costituisse proprio<br />

un contributo a livello europeo. La finalità <strong>del</strong> progetto è stata quella di sperimentare,<br />

più in particolare, nell’ambito dei percorsi assistenziali integrati,<br />

<strong>del</strong>le forme di supporto,di orientamento e di assistenza legale con riferimento<br />

sia alle procedure amministrative legate al permesso di soggiorno sia ai<br />

processi penali, nuovi mo<strong>del</strong>li di intervento di protezione sociale e mi riferisco<br />

in particolare all’applicazione <strong>del</strong>l’articolo 18 <strong>del</strong> testo unico 286/98, che è<br />

appunto la legge italiana in vigore in materia di immigrazione. Il progetto è<br />

stato frutto di co-progettazione: questo aspetto è stato molto importante per<br />

i risultati che poi abbiamo ottenuto; il fatto di lavorare quasi un anno prima<br />

<strong>del</strong>l’avvio <strong>del</strong> progetto stesso, che è stato avviato all’inizio di quest’anno,<br />

coinvolgendo fin da subito le associazioni ci ha permesso sia di individuare<br />

meglio il tema da affrontare, ci ha permesso anche di individuare quali azioni<br />

e quali interventi erano necessari e mirati al fine di riuscire a trovare <strong>del</strong>le<br />

soluzioni e <strong>del</strong>le indicazioni per affrontare questo tema che è un tema molto<br />

<strong>del</strong>icato perché appunto riguarda, come vi dicevo, la tutela legale <strong>del</strong>le<br />

vittime di tratta. Sono stati quindi messi a punto gli elementi fondamentali<br />

che l’azione doveva contenere ed è stato elaborato un progetto che<br />

coniugasse la necessità di una conoscenza molto approfondita <strong>del</strong> problema<br />

e la necessità di intervenire, necessità bene evidenziata dalla collega <strong>del</strong>la<br />

Caritas. È un problema che appunto è molto conosciuto dalle associazioni, da<br />

chi lavora sul campo, ma è un problema che è in forte evoluzione quindi<br />

richiede sempre una maggiore conoscenza ma è meno conosciuto, tra l’altro,<br />

dalle istituzioni.Le istituzioni che lavorano comunque nell’area <strong>del</strong> sociale ma<br />

99


100<br />

che hanno bisogno di avere degli elementi sia quantitativi che qualitativi per<br />

poter poi capire quali sono le azioni da intraprendere per contrastare questo<br />

fenomeno; per fare questo ci sembrava che la cosa migliore fosse avviare un<br />

percorso di ricerca che partisse dall’esperienza reale valorizzando, da un lato,<br />

l’esperienza già acquisita dalle associazioni e, dall’altro, le riflessioni sulle<br />

azioni in atto. Da una parte abbiamo cercato di fare in modo che le associazioni<br />

riuscissero a portarci il contributo di tutte le attività che già avevano<br />

fatto e quindi i risultati che già erano stati ottenuti, perché per noi era un<br />

lavoro abbastanza recente ma per le associazioni era un lavoro che invece è<br />

già avviato da anni.Questo incontro tra i risultati <strong>del</strong>l’esperienza reale da una<br />

parte e <strong>del</strong>le riflessioni sulle azioni che abbiamo intrapreso, mano a mano che<br />

le facevamo,stando molto attenti al rispetto <strong>del</strong>la dimensione processuale <strong>del</strong><br />

lavoro, ha permesso di avere dei risultati molto significativi. Un contributo<br />

grandissimo ce l’ha dato la fondazione ISMU: nella rielaborazione di queste<br />

esperienze e nella rielaborazione <strong>del</strong>le attività che erano in atto, il contributo<br />

che ci ha dato è stato soprattutto di tipo scientifico, nel senso che avevamo<br />

bisogno di avere, nel gruppo di lavoro, anche un ente che ci aiutasse ad<br />

affrontare gli aspetti scientifici <strong>del</strong> problema, questo perché volendo costruire<br />

un mo<strong>del</strong>lo, poi generalizzabile, ci importava molto poter poi dimostrare e<br />

avere degli elementi anche tecnico-scientifici di un certo rigore.<br />

Questo progetto quindi, vi dicevo, nasce all’interno di una progettazione che<br />

è europea ed è,appunto,stato sviluppato grazie alla collaborazione di enti già<br />

attivi e accreditati per la gestione di percorsi di protezione sociale in applicazione<br />

<strong>del</strong>l’articolo 18; le associazioni che hanno collaborato con noi sono<br />

tutte iscritte nella terza sezione <strong>del</strong> registro nazionale <strong>del</strong>le associazioni e degli<br />

enti che svolgono attività a favore degli immigrati.Vi elenco molto brevemente,<br />

molto in sintesi, perché davvero è un lavoro che è stato corposo, le<br />

attività che sono state realizzate: la prima attività, che fin da subito è stata<br />

individuata come attività fortemente strategica per poter affrontare questo<br />

tema, è stata la costituzione di un gruppo di legali che ha avuto il compito di<br />

focalizzare i nodi cruciali legati alla tutela legale <strong>del</strong>le vittime nel corso <strong>del</strong>le<br />

procedure, come vi dicevo prima, amministrative e penali e poi di individuare<br />

possibili soluzioni e strategie di intervento attraverso il confronto con l’esperienza<br />

<strong>del</strong>le associazioni.Quindi il fatto di creare una rete di legali,di avvocati,<br />

che già lavoravano nel campo e che avevano già un’esperienza in questo<br />

campo,e a far in modo che partecipassero anche loro al gruppo di progetto ha<br />

consentito di poter meglio, insieme, confrontare il problema da diverse prospettive:<br />

quindi individuare <strong>del</strong>le soluzioni possibili sia da una prospettiva<br />

legale che da una prospettiva sociale.<br />

Un’altra attività è stata quella di analizzare l’approccio giuridico-penale<br />

facendo un’analisi <strong>del</strong>la legislazione europea, a partire dalle principali con-


venzioni internazionali <strong>del</strong>le Nazioni Unite fino all’analisi degli interventi normativi<br />

<strong>del</strong>l’Unione Europea, più in generale, e anche di quelli nazionali.<br />

Un’altra attività molto preziosa è stato il confronto con le reti dei servizi per<br />

evidenziare i nodi cruciali <strong>del</strong> problema. È stato organizzato un seminario con<br />

tutte le associazioni <strong>del</strong>la Lombardia che è stato molto fruttuoso perché le<br />

associazioni ci hanno aiutato a rilevare quali erano alcuni problemi significativi<br />

molto attuali, problemi appunto che emergevano via via mentre il<br />

progetto andava realizzandosi.<br />

Un’altra attività, ed è l’attività centrale, che è quella su cui c’è stato un<br />

maggiore investimento da parte <strong>del</strong> gruppo di lavoro è stata la sperimentazione<br />

di un mo<strong>del</strong>lo di supporto legale alle vittime <strong>del</strong>la tratta che è<br />

avvenuta attraverso una sperimentazione diretta, cioè sul campo. Sono stati<br />

aperti due sportelli di consu-lenza legale, uno a Milano dalla Caritas<br />

Ambrosiana e l’altro aVarese da una cooperativa che si chiama “Lotta Contro<br />

l’Emarginazione”. L’attività degli sportelli è stata rielaborata attraverso<br />

momenti di confronto e di riflessione a partire dall’esperienza in corso.<br />

Parallelamente a questa sperimentazione diretta è stato portato avanti uno<br />

studio su questi interventi; è stato molto interessante proprio perché il gruppo<br />

ha lavorato in modo integrato con gli operatori sociali impegnati nell’attività<br />

degli sportelli legali; gli incontri e gli scambi hanno creato una sinergia tra i<br />

diversi livelli di intervento. Questo aspetto è stato molto innovativo, ovvero il<br />

fatto di riuscire a collegarsi così bene tra associazioni e istituzioni cercando di<br />

fare in modo che le informazioni, le riflessioni e l’analisi <strong>del</strong> fenomeno condivisa<br />

contribuisca all’attività di programmazione di un’ istituzione, come la<br />

<strong>Regione</strong> Lombardia, che ha necessità di individuare mo<strong>del</strong>li di intervento che<br />

prevedano attività più mirate alla risoluzione dei problemi e che non si basino<br />

solo sull’applicazione <strong>del</strong>la legislazione nazionale o europea. Mi auguro che<br />

questo lavoro, veramente molto faticoso soprattutto per le associazioni, abbia<br />

un ritorno e che risulti prezioso soprattutto per le vittime <strong>del</strong>la tratta.<br />

In breve che cosa hanno offerto questi sportelli? Hanno offerto una consulenza<br />

legale relativa alle leggi sulla tratta degli esseri umani e all’applicazione <strong>del</strong>l’articolo<br />

18, di cui vi parlavo prima; un sostegno per il disbrigo <strong>del</strong>le pratiche<br />

per l’ottenimento <strong>del</strong> permesso di soggiorno, secondo gli iter previsti dalla<br />

normativa; una consulenza legale durante l’iter processuale; l’attivazione di<br />

una rete dei legali nelle città sedi dei procedimenti penali, tra l’altro non<br />

soltanto nelle città lombarde ma ci sono stati dei collegamenti con città anche<br />

a livello nazionale; hanno offerto una sensibilizzazione, un supporto, per l’ottenimento<br />

<strong>del</strong> gratuito patrocinio e l’accompagnamento alla denuncia <strong>del</strong>le<br />

condizioni di sfruttamento. Mi era stato chiesto da Marco Bufo, che coordina<br />

questa sessione di lavoro, di individuare soprattutto i punti di forza e i punti di<br />

criticità ed eventuali raccomandazioni rispetto alla sperimentazione.<br />

101


102<br />

I punti di forza sono stati tanti davvero e, ripeto, grazie allo sforzo soprattutto<br />

<strong>del</strong>le associazioni e <strong>del</strong>la Fondazione Ismu, la sperimentazione ha evidenziato<br />

l’importanza di un coordinamento a livello regionale di tutti gli enti che operano<br />

in questo campo. Questo coordinamento ha consentito l’avvio di un sistema di<br />

intervento a rete e di un lavoro integrato tra gli enti <strong>del</strong> privato sociale, gli enti<br />

pubblici e le istituzioni coinvolte.La sperimentazione inoltre ha favorito a livello<br />

regionale la costituzione di una rete integrata che ha visto la partecipazione di<br />

associazioni e operatori sociali e esperti e operatori <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine. La<br />

presenza in particolare degli sportelli sul territorio sono stati un riferimento<br />

importante per le associazioni che hanno potuto ricevere consulenza in<br />

relazione alle procedure giudiziarie amministrative, come vi dicevo, e hanno<br />

favorito l’accesso e il ricorso agli strumenti giudiziari di tutela e il risarcimento<br />

dei diritti violati che appunto costituiscono ancora, purtroppo, un anello debole<br />

<strong>del</strong>la strategia di prevenzione e di contrasto al traffico degli esseri umani.<br />

L’accompagnamento legale, che appunto è stata l’attività principe di questa<br />

sperimentazione, nel corso <strong>del</strong>le procedure giudiziarie e amministrative, ha<br />

contribuito a rimuovere gli ostacoli che impediscono o rendono difficoltoso il<br />

riconoscimento <strong>del</strong>lo status di vittima di gravi violazioni dei diritti e <strong>del</strong>le<br />

libertà fondamentali e ha favorito la messa in rete degli avvocati che hanno<br />

maturato un’esperienza in relazione alle procedure giudiziarie in materia di<br />

tutela <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong>la tratta degli esseri umani. Il lavoro di rete fra tutti<br />

questi operatori, operatori <strong>del</strong>le associazioni e operatori <strong>del</strong>le diverse istituzioni<br />

hanno favorito la condivisione, l’adozione, la diffusione e l’implementazione<br />

di buone prassi e hanno migliorato l’accesso alle informazioni e facilitato<br />

anche il dialogo tra gli attori <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong> privato sociale.<br />

Una funzione che sta svolgendo anche la rete, e che ha svolto durante tutto<br />

quest’anno, è stata quella di raccogliere le informazioni e le esperienze che<br />

altrimenti avrebbero rischiato di andare disperse. Tra l’altro per la <strong>Regione</strong><br />

Lombardia questa attività ha costituito un osservatorio privilegiato <strong>del</strong><br />

fenomeno e allo stesso tempo <strong>del</strong>l’efficacia <strong>del</strong>le misure di prevenzione e<br />

colma la lacuna, più volte rilevata anche a livello nazionale, di strumenti permanenti<br />

di rilevamento di dati giudiziari in materia di tratta di esseri umani.<br />

Questa raccolta di informazioni e la loro elaborazione che può sembrare<br />

anche l’attività non centrale, non così importante, in realtà, per quanto<br />

riguarda sia la <strong>Regione</strong> Lombardia che il gruppo di lavoro,è molto importante<br />

per un’eventuale individuazione di buone prassi,per dare <strong>del</strong>le indicazioni più<br />

precise anche come risultato <strong>del</strong>la sperimentazione. Quello che ci auguriamo<br />

è che questo nostro lavoro, il lavoro di tutti, sia un contributo che grazie al<br />

Progetto W.E.S.T. possa costituire un patrimonio per quanto riguarda il livello<br />

di programmazione nazionale e quello europeo.<br />

Questi sono alcuni punti di forza che riguardano gli interventi di tipo legale; è


necessario però a questo punto, e su questo voglio soffermarmi e sottolineare<br />

particolarmente l’importanza di una lettura che tenga insieme l’analisi degli<br />

aspetti sociali e di quelli giuridici.Quando si parla di diritti <strong>del</strong>le vittime bisogna<br />

proprio pensare a come riuscire a integrare i diversi livelli e le diverse modalità<br />

di intervento di tipo giuridico e di tipo sociale.<br />

Quindi, e li ho lasciati per ultimi perché sono gli elementi su cui voglio attirare<br />

la vostra attenzione, i punti di forza maggiori riguardano proprio quelle attività<br />

e risultati che siamo riusciti ad ottenere quando queste azioni si sono rivelate<br />

uno strumento efficace per far in modo che le vittime potessero avere garantiti<br />

i loro diritti attraverso un doppio lavoro: uno, appunto, quello legale, svolto<br />

soprattutto dagli avvocati e dagli sportelli, e quello sociale, svolto da tutte le<br />

associazioni che in Lombardia si occupano di questa tematica. Questa sperimentazione,<br />

secondo il gruppo di lavoro, ha consentito l’integrazione dei due<br />

livelli e di conseguenza la difesa e l’accompagnamento <strong>del</strong>le vittime di sfruttamento<br />

sessuale garantendo i diritti <strong>del</strong>le vittime non solo grazie a questa<br />

attenzione legale, ma anche perché c’è stata una grandissima attenzione da<br />

parte <strong>del</strong>le associazioni rispetto al rapporto personalizzato: gli interventi sono<br />

stati individualizzati e quindi costruiti in sintonia con le esigenze <strong>del</strong>le persone.<br />

Come avete sentito prima da Annarita De Nardo,questa attenzione,proprio alla<br />

persona,centrale nell’attività che le associazioni svolgono,se integrata con l’attenzione<br />

ai problemi di tipo legale, dà alle donne vittime di tratta, la maggior<br />

parte <strong>del</strong>le vittime sono donne, la possibilità di essere sostenute nel percorso.<br />

Queste attività hanno consentito anche la conoscenza <strong>del</strong>l’iter giuridico da<br />

parte <strong>del</strong>le vittime che appunto, come diceva anche lei prima nel suo<br />

intervento, non è una cosa scontata, ci sono <strong>del</strong>le donne che proprio non<br />

conoscono minimamente le leggi italiane. Stiamo parlando di donne che<br />

vengono dai Paesi <strong>del</strong>l’est e che quindi sono completamente scoperte, da<br />

questo punto di vista,rispetto alle informazioni; grazie al lavoro di quest’anno<br />

è aumentata anche la conoscenza da parte <strong>del</strong>le istituzioni, da parte <strong>del</strong>la<br />

<strong>Regione</strong> Lombardia e da parte anche <strong>del</strong>la Questure.<br />

Nostra intenzione è anche, non l’abbiamo ancora fatto, di fare un lavoro con<br />

la Magistratura, proprio per poter da una parte trasmettere questo piccolo ma<br />

prezioso patrimonio che abbiamo costruito e <strong>del</strong>l’altra perché ci interessa<br />

anche interloquire con la Magistratura che è comunque un ente chiave in tutta<br />

questa vicenda. Questa conoscenza da parte <strong>del</strong>le istituzioni <strong>del</strong> percorso che<br />

fanno le donne,le vittime di tratta,è preziosissima perché ci troviamo di fronte<br />

a <strong>del</strong>le storie che sono storie di persone molto fragili, di persone che hanno<br />

<strong>del</strong>le narrazioni molto deboli,che si confrontano con un sistema penale e <strong>del</strong>le<br />

leggi penali che invece sono molto forti. Quindi sono due mondi completamente<br />

opposti che rischiano di scontrarsi se non c’è qualcuno che pensa<br />

anche a come mediare e a far incontrare questi due mondi così diversi. La<br />

103


104<br />

buona riuscita <strong>del</strong> progetto è stata ottenuta grazie al fatto che questa integrazione<br />

tra le competenze sociali e quelle giuridiche è avvenuta cercando di<br />

mantenere una distinzione e un rispetto reciproco fra i due mondi garantendo<br />

quindi anche un’autonomia al lavoro degli operatori sociali. Un’altra cosa<br />

importante è che questa sperimentazione, e soprattutto l’attività degli<br />

sportelli, ha garantito una formazione in itinere non solo alle associazioni che<br />

hanno gestito gli sportelli, perché è stata un’esperienza veramente molto viva<br />

e molto formativa, ma soprattutto alle associazioni che si sono rivolte agli<br />

sportelli che hanno trovato competenze molto alte e molto specifiche e quindi<br />

sono cresciute anche grazie all’offerta che gli sportelli hanno garantito. È<br />

aumentato il livello relativo alla competenza professionale degli operatori<br />

sociali e dei legali e c’è stato un patrimonio collettivo che è aumentato, per<br />

quanto possa essere aumentato in un anno di lavoro; a nostro parere,a parere<br />

<strong>del</strong> gruppo di progetto, lo consideriamo proprio un risultato significativo, da<br />

questo punto di vista, e un successo.<br />

Ci sono poi dei punti di forza che sono specifici dei diversi territori nel senso<br />

che,come vi dicevo prima,gli sportelli sono stati aperti su due territori diversi,<br />

in due sedi diverse, uno a Milano e uno a Varese (lo sportello di Milano<br />

accoglie le richieste anche da parte di tutta la Lombardia); è stata fatta dal<br />

gruppo di lavoro, in collaborazione con gli operatori <strong>del</strong>le associazioni, un’analisi<br />

specifica <strong>del</strong>le attività degli sportelli che costituirà sicuramente uno dei<br />

risultati <strong>del</strong> progetto.Vi anticipo che i risultati verranno poi pubblicati e si<br />

potranno leggere per entrare più nel merito dei contenuti emersi anche alla<br />

luce <strong>del</strong>le differenze territoriali.<br />

I punti di criticità sono stati prima di tutto il fatto che un anno di lavoro, per<br />

quanto, appunto, possa essere stato preceduto da un anno di progettazione<br />

condivisa e compartecipata, è stato un anno intenso e ben utilizzato, chiaramente<br />

però ha consentito soltanto di avviare questo processo. Per esempio<br />

il confronto con le Questure è stato un confronto molto, molto breve: c’è stato<br />

infatti soltanto un incontro con tutte le Questure, un primo momento, molto<br />

significativo, importante, di confronto su questo tema; però lo riteniamo<br />

proprio un momento di avvio, nel senso che ci è servito per costruire <strong>del</strong>le<br />

relazioni con le Questure e di capire quali sono i problemi che sollevano loro.<br />

Con la Magistratura il lavoro sarà avviato nei prossimi mesi, all’inizio <strong>del</strong>l’anno<br />

prossimo, grazie alla proroga <strong>del</strong> progetto che fino a giugno e quindi<br />

avremo ancora <strong>del</strong> tempo da dedicare a questo.Un altro punto critico è il fatto<br />

che, ed è anche il punto più significativo, c’è una forte discrezionalità <strong>del</strong>le<br />

procedure adottate dalle diverse Questure e dalle diverse Procure e le Associazioni<br />

segnalano che questo può costituire un ostacolo al reinserimento<br />

sociale <strong>del</strong>le vittime e poi, soprattutto, gli operatori segnalano che questo<br />

richiede a loro una forte flessibilità perché devono adattarsi alle procedure più


diverse,alle prese di posizione più diverse; a questo proposito vi faccio solo un<br />

piccolissimo esempio: i tempi di rilascio <strong>del</strong> permesso di soggiorno non<br />

sempre coincidono con quelli dei progetti di protezione sociale e questo<br />

davvero, per le associazioni, è un problema di tipo tecnico non indifferente.<br />

Marco Bufo mi chiedeva anche di individuare <strong>del</strong>le eventuali raccomandazioni,<br />

questo per ora è un compito un po’ più difficile perché siamo ancora<br />

in una fase di rielaborazione e di analisi dei risultati; sarà possibile individuare<br />

<strong>del</strong>le raccomandazioni in una fase successiva questa. Nei prossimi mesi ultimeremo<br />

i lavori attraverso l’incontro con la Magistratura, l’approfondimento<br />

dei contatti con le Questure e la costruzione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di intervento.Ritengo<br />

comunque che questi punti di forza possano aiutare ad individuare <strong>del</strong>le<br />

buone prassi da poter presentare poi come risultato <strong>del</strong> lavoro e per contribuire<br />

appunto ai risultati <strong>del</strong> progetto W.E.S.T. Volevo comunicarvi che<br />

comunque prima <strong>del</strong>l’estate e <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> progetto saremo in grado di<br />

indicare <strong>del</strong>le buone prassi e di renderle pubbliche, ci sarà infatti una pubblicazione<br />

dei risultati <strong>del</strong> progetto.<br />

È stata un’esperienza davvero significativa che la <strong>Regione</strong> Lombardia ritiene<br />

importante e utile; per questo vuole garantire ancora negli anni futuri un<br />

lavoro con le associazioni in modo da poter valorizzare al massimo il lavoro<br />

fatto, che è stato impegnativo, ha dato buoni frutti e che quindi la <strong>Regione</strong><br />

Lombardia sente di dover sostenere impegnandosi anche alla diffusione di<br />

questi risultati. Vi ringrazio.<br />

Annarita De Nardo<br />

Grazie a Giulia Borgomaneri <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Lombardia e chiedo a voi se ci<br />

sono <strong>del</strong>le domande in merito al suo intervento. Mentre aspettiamo le<br />

domande chiedo a Stefania Scodanibbio e a Rosa Angela Ciarrocchi di venire<br />

al tavolo.<br />

Intanto volevo farti una domanda, Giulia. Hai detto che nel progetto<br />

sostenete anche le ragazze durante i processi: volevo chiederti se ne avete<br />

sostenute e se le associazioni che fanno parte <strong>del</strong> gruppo si sono costituite<br />

parte civile e con che risultato.<br />

Giulia Borgomaneri<br />

Le Associazioni hanno sostenuto le donne supportandole, orientandole e<br />

assistendole legalmente e vi informo che rispetto all’attività svolta troverete<br />

dati precisi nella pubblicazione finale; per avere fin da ora alcuni approfondimenti<br />

chiederei la testimonianza a Suor Claudia, rappresentante <strong>del</strong>la<br />

Caritas Ambrosiana e a Valentina Pedroli, operatrice <strong>del</strong>lo sportello legale di<br />

Milano,gestito dalla stessa Caritas,che oggi sono presenti in sala e che stanno<br />

collaborando al progetto.<br />

105


106<br />

Annarita De Nardo<br />

Come associazioni, nei processi, vi siete costituite parte civile e con che<br />

risultati?<br />

Suor Claudia<br />

Non ci siamo quasi mai costituiti parte civile per cui non ci sono molti<br />

risultati a questo livello, chiaro che i processi al momento non sono stati<br />

molti, spesso le ragazze non vogliono costituirsi parte civile perché rischiano<br />

di esporsi ulteriormente e i risultati non sono evidenti. Abbiamo lavorato<br />

molto sulla difesa rispetto all’ottenimento <strong>del</strong> permesso di soggiorno e alla<br />

possibilità di riuscire ad applicare i due percorsi, anche se devo dire che l’accompagnamento<br />

<strong>del</strong>le donne che le associazioni stanno facendo molto<br />

spesso porta a una denuncia perché effettivamente ci sono gli estremi per<br />

poter denunciare quindi per poter contribuire anche a un discorso di lotta al<br />

traffico e allo sfruttamento. Per cui il lavoro è stato questo e, sì, ci sono dei<br />

processi in corso e forse una <strong>del</strong>le cose su cui, un minimo, si può dire, e che<br />

noi come sportello auspicavamo, era il fatto che fosse creato un fondo<br />

comunque per la difesa <strong>del</strong>le donne nel momento in cui il processo si è<br />

esaurito e quindi che ci potesse essere un vero e proprio risarcimento <strong>del</strong>le<br />

vittime, un po’ sulla falsariga <strong>del</strong>le vittime di mafia. Ci sembrava che questa<br />

potesse essere una <strong>del</strong>le cose su cui poter lavorare, da poter approfondire,<br />

perché molto spesso anche quando si vincono i processi non c’è nessuna possibilità<br />

di ottenere un risarcimento mentre le donne ne hanno necessità e<br />

anche diritto.<br />

Domanda 1<br />

Per quanto riguarda la questione <strong>del</strong>l’assistenza legale avete affrontato<br />

problemi legati alla tutela <strong>del</strong>la vittime in sede processuale? Li avete<br />

affrontati in una maniera particolare all’interno di questo vostro progetto,<br />

pensando, per esempio, all’importanza di non creare un confronto diretto con<br />

il presunto autore <strong>del</strong> reato?<br />

Valentina Pedroli<br />

Io sono l’operatrice che ha seguito la sperimentazione <strong>del</strong>lo sportello di<br />

Milano, insieme a due avvocati. Quello che mi sento di dire in risposta alla sua<br />

domanda è che, al momento, la gran parte dei processi sono ancora in corso,<br />

perché sono quasi tutte situazioni molto recenti e non in tutte le situazioni, per<br />

esempio, si è già arrivati alla fase dibattimentale; mi sembra importante<br />

aggiungere che i tempi anche lì sono molto lunghi. In un caso, in particolare, è<br />

stata chiesta comunque un’audizione protetta e questa cosa si è raggiunta ed<br />

è stata garantita. Al momento per quanto riguarda le donne seguite dallo


sportello solamente in una situazione c’è stata questa necessità, per tutte le<br />

altre non si è ancora arrivati alla conclusione, comunque, <strong>del</strong>la fase processuale.<br />

Suor Claudia<br />

Nell’insieme non siamo ancora arrivati a <strong>del</strong>le conclusioni per cui non<br />

possiamo dire che siamo riusciti a trovare <strong>del</strong>le prassi condivise. Come diceva<br />

prima Giulia Borgomaneri abbiamo chiesto un prolungamento perché effettivamente<br />

una sperimentazione di un anno,con i tempi che la giustizia ha,è una<br />

sperimentazione quasi insignificante. Alcuni processi che noi abbiamo in<br />

corso sono partiti prima <strong>del</strong>la sperimentazione per cui alcune conclusioni si<br />

possono tirare,ma i tempi sono tempi lunghissimi,quindi probabilmente è con<br />

gli altri mesi che riusciremo un po’ a lavorare: ecco perché i sei mesi di prolungamento.<br />

Ci serviranno, anche per tirare un po’ qualche conclusione, non<br />

per continuare troppo la sperimentazione,al momento abbiamo degli interrogativi,<br />

non abbiamo <strong>del</strong>le prassi da poter proporre. Come già prima si diceva,<br />

l’incontro con la Magistratura ancora non c’è stato e quindi molte cose sono<br />

ancora da vedere, siamo ancora in itinere e non ci sono molte conclusioni da<br />

poter portare, come si suol dire,“buone prassi da poter copiare”.<br />

Domanda 2<br />

Io sono una rappresentante <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Marche e volevo fare una<br />

domanda alla collega Borgomaneri, tra l’altro la <strong>Regione</strong> Marche è partner<br />

nel progetto, la domanda è: parliamo di un’attività che, per esempio, nella<br />

<strong>Regione</strong> non ha avuto inizio col progetto W.E.S.T., è un attività che, a differenza<br />

<strong>del</strong>la vostra situazione, è da molti anni che è presente. Lei ha esposto<br />

un momento particolare, invece, che ha un inizio e una fine, quindi mi<br />

chiedevo: la <strong>Regione</strong> Lombardia ha preso in considerazione di andare avanti<br />

in quello che lei ha definito più di una volta sperimentazione?<br />

Cioè la <strong>Regione</strong> Lombardia ha già previsto di proseguire nell’intervento che<br />

W.E.S.T. ha avviato ma che è sicuramente un qualche cosa che non nasce e<br />

finisce a giugno 2005, perché altrimenti non ha senso. Chiedevo precisamente<br />

quali sono i programmi <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Lombardia.<br />

Giulia Borgomaneri<br />

La <strong>Regione</strong> Lombardia ha avviato i lavori con questa sperimentazione<br />

anche se proprio con Suor Claudia <strong>del</strong>la Caritas e con la Provincia di Milano<br />

avevamo promosso una sperimentazione in questo campo e avevamo<br />

finanziato un piccolo progetto che però era stato molto prezioso, i cui risultati<br />

sono stati utili per poter dare l’avvio anche di questo. Infatti quando abbiamo<br />

avviato questo progetto abbiamo deciso di coinvolgere le persone che<br />

107


108<br />

avevano collaborato con noi precedentemente perché i risultati <strong>del</strong>la sperimentazione<br />

erano stati buoni. La <strong>Regione</strong> Lombardia si era dedicata molto<br />

nel senso che aveva promosso, finanziato e monitorato questo progetto;<br />

grazie a questo progetto era stato possibile sperimentare un intervento finalizzato<br />

alla fuoriuscita di donne da una condizione di grave sfruttamento<br />

sessuale. Era un tema che comunque avevamo in mente e a cuore. Il lavoro di<br />

quest’anno è stato molto più significativo e fruttuoso e la <strong>Regione</strong> intende<br />

continuare a coordinare le associazioni che lavorano in questo campo per la<br />

consapevolezza che,nonostante lo sforzo sia stato comunque grande,la tratta<br />

non è soltanto uno degli ultimi temi ma è l’ultimo fra gli ultimi. A mio parere<br />

poi i temi che riguardano gli ultimi dovrebbero forse essere i primi ad essere<br />

affrontati però sappiamo che gli impegni che le diverse istituzioni hanno sono<br />

tanti: anche se questo è un tema che rischia di diventare marginale credo che<br />

la <strong>Regione</strong> Lombardia durante questo anno di attività abbia dedicato molto<br />

tempo a questo progetto e ritiene che i risultati di questo lavoro debbano<br />

essere valorizzati.<br />

Le Associazioni continueranno ad avere un referente, un coordinamento che<br />

seguirà le attività. La sua domanda è stata precisa, e anche le intenzioni e gli<br />

impegni che la <strong>Regione</strong> si prende sono precisi.<br />

Annarita De Nardo<br />

Bene. Se non ci sono altre domande, visto che i tempi comunque<br />

stringono, per cui purtroppo inizio a ricordarvi il tempo di venti minuti, dò la<br />

parola a Stefania Scodanibbio e a Rosa Angela Ciarrocchi per l’associazione<br />

On the Road e l’associazione Regionale Sanità <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Marche. Il titolo<br />

<strong>del</strong>l’intervento è “I programmi di assistenza e integrazione sociale e la presa<br />

in carico territoriale”.<br />

Stefania Scodanibbio<br />

Il mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la presa in carico territoriale è già stato sperimentato nel<br />

progetto W.E.S.T. in Abruzzo e ora si sta implementando con il progetto<br />

W.E.S.T a titolarità <strong>del</strong>l'Agenzia Regionale Sanitaria (ARS) nella <strong>Regione</strong><br />

Marche. La presa in carico territoriale nasce come un mo<strong>del</strong>lo alternativo alla<br />

presa in carico residenziale già consolidato e strutturato, come abbiamo già<br />

avuto modo di ascoltare dagli interventi precedenti, nell'ambito <strong>del</strong>l'articolo<br />

18; perché un mo<strong>del</strong>lo alternativo? Perché in alcune situazioni la presa in<br />

carico residenziale prevede una presa in carico quasi “totalizzante” in cui la<br />

persona entra in un programma di accoglienza ed ha un percorso definito e<br />

concordato, caratterizzato certamente da una ricostruzione degli eventi <strong>del</strong>la<br />

propria storia, e quindi di una rivisitazione in termini di significati e significanti.<br />

L'accoglienza si definisce come luogo e spazio nell'ambito <strong>del</strong> quale è


possibile ricostruire dei percorsi e ridare senso all'esperienza vissuta però con<br />

una presenza costante <strong>del</strong>l'operatore che si fa supporto e mediatore rispetto<br />

alla realtà esterna. Se tutto questo corrisponde ad una risorsa, contemporaneamente,<br />

l'accoglienza residenziale si pone come uno spazio isolato rispetto<br />

al territorio (questione di sicurezza, anonimato, privacy...) ma anche innaturale<br />

e contenitivo, caratterizzato da regole e modalità molto diverse da<br />

quelle che hanno caratterizzato l'ambiente di vita <strong>del</strong>la persona fino a quel<br />

momento, (uso <strong>del</strong> cellulare, cibo, orari...); anche le relazioni sociali sono<br />

mediate e filtrate quindi la persona è inserita in un contesto “artificiale”.<br />

I mo<strong>del</strong>li di accoglienza – nel tentativo di stemperare l'inevitabile direttività<br />

messa in atto dall'organizzazione per garantire e garantirsi un minimo di protezione<br />

sociale – sono creati in base a linee guida che l'operatrice e l'utente<br />

“co-costruiscono”quotidianamente tenendo conto di più variabili individuali,<br />

contestuali (motivazione, processo migratorio, età, stato civile, istruzione,<br />

etc.) e <strong>del</strong> sistema teorico di riferimento.Tale approccio è mantenuto lungo<br />

tutto il periodo d'accoglienza per permettere l'adattamento e l'assimilazione<br />

<strong>del</strong>le regole comunitarie.<br />

Abbiamo verificato monitorando il programma <strong>del</strong>le nostre accoglienze come<br />

a un certo punto, intorno al terzo mese in particolare, ci sia una caduta <strong>del</strong>le<br />

competenze <strong>del</strong>le autonomie che le donne avevano dimostrato di avere fino a<br />

quel momento, per poi riprenderle intorno al quinto, sesto mese di accoglienza.<br />

Alcune competenze vengono sospese (c'è una sorta di <strong>del</strong>ega all'operatore,<br />

<strong>del</strong>le proprie responsabilità, <strong>del</strong>le proprie scelte...) per poi venire<br />

riacquisite successivamente (ovviamente perché non c'è una perdita totale di<br />

queste), quando cioè si programma e si comincia a preparare l'uscita sul territorio:<br />

l'autonomia. È un percorso di valutazione avviato, e non ancora completato,<br />

e che dovremmo riverificare alla luce <strong>del</strong>le diverse realtà prostitutive<br />

attive oggi; tuttavia questo studio ci ha posto degli interrogativi interessanti,<br />

su cui peraltro con molti di voi ci siamo già confrontati, circa i limiti che la<br />

struttura di accoglienza residenziale pone. Un altro limite che è posto dall'accoglienza<br />

è la scarsità dei posti, in tutta la rete nazionale (art. 18); ci sono<br />

molte strutture disponibili di accoglienza ma evidentemente non sufficienti<br />

per le richieste che ci arrivano.Abbiamo pertanto ipotizzato la possibilità,nell'ottica<br />

<strong>del</strong> welfare mix, come ci ricordava poco fa Giulia Borgomaneri, di<br />

operare in collaborazione con il territorio, cercando la necessità di trovare una<br />

soluzione di continuità nella collaborazione tra pubblico e privato sociale per<br />

dare una risposta significativa e individualizzata a quelle che sono le richieste<br />

<strong>del</strong>le utenze e superare così i limiti e le problematiche connesse ai percorsi di<br />

accoglienza residenziale. In questo senso quindi la presa in carico territoriale<br />

si pone come un possibile mo<strong>del</strong>lo alternativo. Che cos'è esattamente una<br />

presa in carico territoriale?<br />

109


110<br />

L'accoglienza territoriale è un percorso intermedio tra un'autonomia gestita<br />

di fatto ma non legalizzata (la mancanza di un permesso di soggiorno che<br />

sancisce la legittimità alla permanenza in Italia e che impedisce l'accesso ad<br />

un lavoro regolare, per cui è necessario compiere un programma) e un programma<br />

gestito in alternativa alla residenzialità, con un progetto individuale<br />

che prevede azioni integrative legate alle risorse territoriali.<br />

Il programma attiva un percorso di articolo 18 utilizzando <strong>del</strong>le strutture<br />

presenti sul territorio, (strutture private e/o pubbliche, case private), messe a<br />

disposizione da istituzioni o dal privato sociale, con cui ci si convenziona<br />

implementando l'organizzazione di una rete integrata e collaborativa con il<br />

territorio.<br />

Per esempio una persona che, essendosi affrancata da un percorso di sfruttamento,<br />

ha già avviato una relazione affettiva sul territorio e magari ha<br />

attivato una convivenza con qualcuno. Se la relazione è significativa e ci sono<br />

i presupposti di sicurezza per la persona, è inutile e controproducente interromperla<br />

e trasferire la persona in un contesto innaturale; oppure laddove si<br />

sono costituite <strong>del</strong>le relazioni sociali significative, quindi, una volta verificato<br />

il livello di sicurezza e di opportunità a rimanere su quel territorio, la persona<br />

viene supportata, attraverso la rete stessa, per favorire il suo inserimento.<br />

Questo permette, e in qualche modo facilita, la collaborazione con i servizi<br />

sociali che vengono immediatamente coinvolti (attraverso convenzioni con<br />

l'associazione) nella corresponsabilità <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong> programma: questo<br />

per facilitare e garantire un supporto “all'interazione”<strong>del</strong>la persona con tutti i<br />

livelli <strong>del</strong> territorio,perché vivere in un territorio significa anche poter accedere<br />

ai servizi, conoscerli, avere un'autonomia, e quindi allargare le opportunità di<br />

integrazione <strong>del</strong>la persona stessa. Il programma individuale viene concordato<br />

dalla diretta interessata, con le operatrici di rete (interne all'organizzazione) e<br />

con i servizi sociali territoriali che assumono un ruolo interlocutorio importante<br />

nell'accompagnamento <strong>del</strong>la donna. La scelta di coinvolgere i servizi è stata<br />

determinata dall'obiettivo finale di avvicinare i servizi alla cittadinanza<br />

giacché vivere su un territorio significa anche poter usufruire dei suoi servizi e<br />

<strong>del</strong>le sue risorse e non ultimo, garantire alla donna una presenza costante su<br />

qualsiasi territorio (i servizi sono dislocati su tutto il territorio regionale,mentre<br />

per le operatrici è più problematico evidementemente presidiare il territorio<br />

regionale).L'operatore/trice di rete attiva azioni di orientamento alla persona,<br />

per favorire la conoscenza <strong>del</strong> territorio e dei servizi disponibili; inoltre collabora<br />

con i servizi sociali nella costruzione, valutazione e valorizzazione <strong>del</strong>la<br />

mappa <strong>del</strong>le risorse attive in quel territorio (servizi, corsi di alfabetizzazione,<br />

formazione professionale, scuole, assistenza minori, abitazione, etc.) e opera<br />

una mediazione all'inserimento,al fine di valorizzare la rete dei servizi pubblici<br />

e <strong>del</strong> privato sociale e di ottimizzare le risorse accessibili.


La mission è identificare uno spazio in grado di fornire strumenti di<br />

mediazione che rendano possibile il percorso di inclusione sociale. Sono due i<br />

punti principali: un punto è quello intrastrutturale cioè l'attenzione che si dà<br />

alla donna, alla sua identità e al recupero <strong>del</strong>le sue risorse e quello interstrutturale<br />

che invece consiste in un lavoro di mediazione fra l'utenza, l'associazione<br />

o l'organizzazione che ha in carico la responsabilità <strong>del</strong> programma<br />

articolo 18 e il territorio stesso, quindi tutte le risorse presenti sul territorio.<br />

La vision invece prevede un potenziamento <strong>del</strong>la rete territoriale, quindi la<br />

costruzione di modalità e di interventi, di buone pratiche, più mirate. Questo<br />

mo<strong>del</strong>lo è estremamente duttile, elastico e adattabile a qualsiasi territorio<br />

quindi ha la caratteristica anche <strong>del</strong>l'esportabilità perché proprio partendo da<br />

quello che esiste sul territorio si può costruire una relazione significativa tra la<br />

persona in carico, l'organizzazione che la segue e il servizio territoriale stesso:<br />

un mo<strong>del</strong>lo quindi adattabile e sperimentabile su tutti i territori.<br />

Quali sono i criteri di eleggibilità per cui un'utenza entra a far parte di un<br />

articolo 18 in presa in carico territoriale? I requisiti che chiediamo,<br />

ovviamente, sono minimali: l'affrancamento dalla rete di sfruttamento;<br />

l'assenza di rischi, quantomeno evidenti, sul territorio (dico questo perché<br />

tutti sappiamo che evidentemente nessuno è in grado di garantire un'assenza<br />

totale di rischio anche per la mobilità che le organizzazioni criminali hanno e<br />

quindi anche per la difficoltà di identificarle); la presenza di una rete primaria<br />

di supporto sul territorio che giustifichi la permanenza di quella persona in<br />

quel territorio e quindi dia senso alla territorialità, (affettivo, economico, residenziale),<br />

e la maggiore età. Abbiamo due tipi di territorialità, di cui parleremo<br />

successivamente; l'associazione On the Road non ha strutture specifiche<br />

per minori, quindi utilizziamo l'invio in rete (nel caso in cui i nostri<br />

utenti siano minori al di sotto dei sedici anni) ad organizzazioni che lavorano<br />

specificamente sui minori perché tutti sappiamo che l'approccio e l'intervento<br />

sui minori richiede una specifica formazione e competenze precise, diverse da<br />

quelle adottate in una comunità per adulti.<br />

Un'altra caratteristica è la capacità di autonomia <strong>del</strong>la persona perché essere<br />

in un'accoglienza residenziale prevede una responsabilità,una presa in carico<br />

di sé totale; a quel punto la presenza <strong>del</strong>l'operatore o <strong>del</strong> referente non è<br />

costante come nel caso <strong>del</strong>l'accoglienza residenziale e quindi prevede una<br />

capacità di autonomizzarsi sul territorio che deve tener conto <strong>del</strong>le risorse<br />

personali.<br />

Dicevo <strong>del</strong>la possibilità di prevedere due mo<strong>del</strong>li di accoglienza territoriale<br />

perché sono due i possibili percorsi: una territorialità residenziale e una territorialità<br />

pura.<br />

La territorialità residenziale è un percorso in una struttura che, seppure non<br />

preveda utenze specifiche <strong>del</strong>l'articolo 18 (non convenzionata), però abbia<br />

111


112<br />

<strong>del</strong>le caratteristiche abbastanza definite, con <strong>del</strong>le regole, con un programma<br />

definito e/o concordabile, con la presenza di operatori, quindi in grado di<br />

garantire una presa in carico e una tutela <strong>del</strong>la persona. Anche se in questo<br />

contesto la donna viene seguita dal referente <strong>del</strong>l'organizzazione articolo 18,<br />

ha comunque altri punti di riferimento: saranno altri gli operatori che si prenderanno<br />

cura <strong>del</strong>lo svolgimento <strong>del</strong> programma, che saranno referenti per la<br />

persona stessa e spesso anche con modalità diverse da chi specificamente<br />

lavora nel settore prostituzione.Tutti conosciamo le regole <strong>del</strong>le accoglienze,<br />

per esempio l'uso <strong>del</strong> cellulare vietato nella maggior parte <strong>del</strong>le case di accoglienza,<br />

e invece utilizzabile in strutture residenziali diverse; quindi ci sono<br />

<strong>del</strong>le diversificazioni, ecco perché viene chiesta una responsabilità maggiore<br />

alla persona stessa.<br />

La territorialità pura invece prevede un'autonomia anche nella gestione degli<br />

spazi abitativi; si definisce tale la residenzialità presso l'abitazione di un convivente<br />

o presso amici o presso comunque un'abitazione che non è più una<br />

struttura. Sempre premesso che sussistano condizioni di sicurezza per la permanenza<br />

su quel territorio <strong>del</strong>la donna stessa, verificate e valutate in una<br />

presa in carico congiunta tra il titolare <strong>del</strong>l'articolo 18 e il servizio territoriale.<br />

Di fatto questa territorialità si pone come un percorso intermedio tra una fase<br />

di presa in carico, ma più autonoma rispetto a una residenzialità e quindi<br />

l'avvio verso un autonomia che sia poi definitiva. Evidentemente è meno<br />

traumatica sotto certi aspetti rispetto all'accoglienza residenziale in strutture<br />

più stabili dove è tutto più controllato e filtrato e mediato appunto da regole<br />

molto più precise, tenendo poi conto che le organizzazioni sono diverse,<br />

quindi si adottano anche regole e mo<strong>del</strong>li comportamentali diversi a seconda<br />

di chi gestisce la struttura di accoglienza. La decisione di una presa in carico<br />

territoriale viene valutata in base alla situazione <strong>del</strong>la persona, al suo grado<br />

di autonomia, al suo inserimento e quindi determinata anche dalla presenza<br />

di persone che siano realmente significative su quel territorio o che possano<br />

diventarlo poi.Questo impone anche un punto di vista diverso cioè il territorio<br />

diventa a quel punto non solo un referente ma anche una forza, una risorsa e<br />

quindi una rivalutazione <strong>del</strong>la oppportunità che il territorio stesso offre.<br />

Un ruolo fondamentale lo assumono i servizi sociali territoriali perché<br />

diventano corresponsabili nella gestione <strong>del</strong> programma; il contatto, quindi<br />

tra il referente <strong>del</strong>l'organizzazione che ha la titolarità articolo 18 e, per<br />

esempio, l'assistente sociale di quel territorio, diventa molto più sistematico.<br />

Dicevamo prima che il poter vivere su un territorio e acquisire l'autonomia<br />

significa poter conoscere e soprattutto poter usufruire dei servizi che quel territorio<br />

offre; quindi questo impone, in qualche modo, all'operatore di rete e<br />

all'operatore referente per la territorialità,un lavoro di mappatura molto forte,<br />

un contatto continuo e costante con tutte le organizzazioni che esistono sul


territorio, siano esse politiche, sociali, <strong>del</strong> privato sociale e quant'altro. Sviluppare<br />

la capacità di accoglienza <strong>del</strong>la comunità locale perché a quel punto<br />

la presenza di “un'estranea” sul territorio impone anche un'osservazione<br />

diversa <strong>del</strong>la comunità stessa; ci si comincia cioè a porre in relazione con<br />

l'altro in termini probabilmente meno aggressivi perché in qualche modo l'integrazione<br />

viene accompagnata, ma pone <strong>del</strong>le domande anche alla<br />

comunità che deve integrarsi con una diversità.L'ospite (la famiglia ospitante,<br />

la persona ospitante, l'amico, il fidanzato) membro <strong>del</strong>la comunità stessa,<br />

diventa un interlocutore importante per chi si occupa <strong>del</strong>lo svolgimento <strong>del</strong><br />

programma e viene quindi ad assumere contemporaneamente una sorta di<br />

ruolo educativo, con uno scambio continuo di mediazione orizzontale (tra<br />

membri <strong>del</strong>la comunità) e trasversale (tra la comunità e l'istituzione).<br />

I due macro obbiettivi, cioè quello interstrutturale e intrastrutturale, sono<br />

assolutamente inscindibili, non possiamo operare solo su un settore senza<br />

tenere conto che c'è intorno qualcos'altro. Se l'intrastrutturale si occupa di<br />

promuovere e di sviluppare l'empowerment individuale <strong>del</strong>la persona,di promuovere<br />

la capacità gestionale <strong>del</strong>la persona stessa, dobbiamo contemporaneamente<br />

lavorare su un piano più allargato che è quello di una rete sociale<br />

allargata; non possiamo pensare che chi si occupa <strong>del</strong> problema sfruttamento<br />

e traffico prescinda dal lavoro sul territorio e dal lavoro con la comunità. È<br />

assolutamente importante che ci sia una condivisione degli obiettivi,che ci sia<br />

una corresponsabilità. Proprio ieri, in un gruppo di formazione di insegnanti e<br />

quindi in un incontro aperto con la comunità, promosso dalla Caritas di Senigallia,<br />

si parlava di come sia importante che la comunità acquisisca consapevolezza<br />

rispetto ai problemi, altrimenti il problema <strong>del</strong>la prostituzione si<br />

palesa soltanto quando l'abbiamo sotto casa e ci dà fastidio mentre in altro<br />

modo non ci riguarda.<br />

La tipologia degli interventi: gli interventi interstrutturali e intrastrutturali<br />

quindi si muovono parallelamente e producono una sorta di integrazione, di<br />

sinergia tra processi preventivi,riabilitativi,curativi,formativi e occupazionali<br />

come poi ci spiegherà più dettagliatamente Laura Carosi; la necessità e la<br />

capacità di creare competenze attraverso percorsi formativi adeguati, sia per<br />

chi interviene sul disagio sia per chi viene dal disagio, quindi una cocostruzione<br />

di processo interattiva; l'attivazione di un rapporto buono ed<br />

efficace con i servizi sociali pubblici permette interventi integrati e trasversali,<br />

(perché il privato sociale spesso rischia di essere autoreferenziale, se non si<br />

integra aprendosi al territorio) e diventa anche uno spazio possibile di sperimentazione<br />

di nuove pratiche e quindi di mo<strong>del</strong>li nuovi di intervento. Credo<br />

che l'intervento intrastrutturale, oltre a rinforzare le abilità che già la persona<br />

ha,possa muoversi verso un necessario aumento <strong>del</strong> livello di autostima <strong>del</strong>la<br />

persona, (spesso azzerato dalle condizioni di sfruttamento da cui proviene);<br />

113


114<br />

contemporaneamente la costruzione <strong>del</strong>la rete come base per la costruzione<br />

di interventi che siano strutturali e quindi facilitatori di un intervento ecologico<br />

che strutturino ovviamente un processo di modifica sociale. L'intervento<br />

intrastrutturale si avvale di strumenti quali la relazione di aiuto, l'orientamento,<br />

le consulenze tecnico-specialistiche, il lavoro coordinato cioè le<br />

équipe trasversali, (non è pensabile infatti, che ci sia un solo referente perché<br />

ovviamente il territorio allarga anche le competenze richieste). Rimangono,<br />

temo che questo sia l'aspetto anche più importante, l'accompagnamento<br />

individuale <strong>del</strong>la persona, la possibilità che la persona recuperi anche certe<br />

esperienze e dia un senso a quanto è avvenuto e quindi il counselling, l'inserimento<br />

in gruppi di auto aiuto, non necessariamente riferiti all'organizzazione<br />

che prende in carico la persona, ma già attivi sul territorio, l'accompagnamento<br />

ai servizi, quindi le visite domiciliari che vengono concordate<br />

spesso dall'operatore <strong>del</strong> territorio ma anche dall'operatore titolare <strong>del</strong>l'articolo<br />

18, e quindi tutto il lavoro di mediazione al lavoro fino all'inserimento<br />

vero e proprio. Vado veloce perché credo che questi strumenti siano<br />

patrimonio comune.<br />

Quindi abbiamo un intervento interstrutturale invece che prevede un lavoro<br />

più politico, più sul territorio stesso, con accordi operativi, con convenzioni con<br />

gli Enti locali, con le forze <strong>del</strong>l'ordine, un contatto diretto, continuo, costante,<br />

la partecipazione a tavoli trasversali, la sensibilizzazione <strong>del</strong>la comunità e<br />

quindi la partecipazione anche a reti socializzanti che vanno dalla polisportiva,<br />

alla scuola di ballo, alla palestra; cioè permettere comunque un'apertura,<br />

una sperimentazione, di un'alternativa che sia significativa proprio<br />

perché esiste su quel territorio. Tutte queste fasi <strong>del</strong> percorso passano<br />

attraverso la costruzione di un programma individuale, personalizzato, che va<br />

discusso con la persona, che va costruito insieme alla persona, perché si<br />

possano appunto valorizzare le risorse che preesistono e si possa in qualche<br />

modo garantire la crescita <strong>del</strong>l'autostima offrendo quindi la possibilità anche<br />

di prevedere percorsi alternativi a quelli che si sono fino a quel momento<br />

conosciuti e sviluppati. Prevede in questo senso una trasversalità anche <strong>del</strong>le<br />

competenze <strong>del</strong>le persone e degli operatori che ruotano intorno alla persona<br />

stessa che vanno dai colloqui specialistici con lo psicologo, ovviamente, con<br />

l'avvocato o con l'orientatore al lavoro per esempio.Questo è un aspetto su cui<br />

dobbiamo lavorare molto perché non abbiamo una conoscenza così capillare,<br />

così profonda <strong>del</strong>le donne in carico,come invece per le ospiti che fanno un programma<br />

all'interno di una struttura residenziale, e quindi sono monitorate<br />

ventiquattrore al giorno; dobbiamo lavorare più su strumenti che siano labili<br />

e che siano meno apparentemente invasivi. Fino poi ad attivare processi di<br />

valutazione (credo che sia fondamentale la valutazione) perché ci permettono<br />

di mirare meglio l'intervento, di correggere le azioni e sviluppare programmi.


Abbiamo già citato un esempio di sperimentazione circa la valutazione <strong>del</strong>l'accoglienza<br />

residenziale: anche per le accoglienze territoriali sono previste<br />

azioni di valutazione <strong>del</strong> percorso e degli obiettivi di fase raggiunti attraverso<br />

colloqui individuali, colloqui trasversali tra gli operatori di rete, nonché di<br />

accompagnamento al percorso di inserimento lavorativo che peraltro sta<br />

portando risultati molto interessanti,ma parlare di questo ci porterebbe fuori.<br />

L'altro aspetto su cui, secondo me, bisogna lavorare in modo approfondito è<br />

la programmazione e quindi la definizione <strong>del</strong>l'uscita dal programma, e la<br />

programmazione <strong>del</strong> follow-up che è la parte più difficile. Mi rendo conto che<br />

teoricamente tutti concordiamo che questo è un passaggio necessario e<br />

doveroso però a volte si rischia di “dimenticare” questo passaggio proprio<br />

perché le richieste sono tantissime, le emergenze si sovrappongono e quindi<br />

diventa difficile.<br />

Ma come si articola la struttura organizzativa? L'équipe territoriale quindi ha<br />

una funzione educativa, un lavoro di rete, di mediazione e di coordinamento<br />

e ovviamente è costituita da operatori che lavorano su più livelli, sulla<br />

persona, sul territorio, sull'organizzazione ospite; l'équipe lavora a stretto<br />

contatto con il drop in che spesso è l'inviante ed è anche l'elemento di<br />

mediazione, con i servizi sociali <strong>del</strong> territorio, con l'équipe trasversale che<br />

costituisce il supporto all'interno <strong>del</strong>l'organizzazione e che si occupa di tutte le<br />

azioni collaterali alla fase di autonomia, coordinando per esempio le azioni di<br />

orientamento al lavoro, l'attività di consulenza legale, il sostegno psicologico.<br />

Punti di forza e punti di debolezza: è evidente che un primo punto di fragilità<br />

è dato dalla rete stessa cioè dalla difficoltà di mantenere costantemente attiva<br />

una rete proprio perché i territori sono molto ampi e perché prevede un<br />

impegno e uno sforzo notevole da parte ovviamente di tutti e due gli interlocutori,<br />

sia <strong>del</strong> privato che <strong>del</strong> pubblico.Tale fragilità è data anche <strong>del</strong>la fatica<br />

di costruire la rete stessa per cui magari quando si è costituita una relazione<br />

significativa su quel territorio viene spostato il personale referente, oppure<br />

cambia l'organizzazione amministrativa o politica per cui cambiano anche le<br />

impostazioni di relazione con il territorio stesso. Anche per le organizzazioni<br />

come la nostra tuttavia non è facile mantenere attiva la rete: ciò comporta che<br />

l'operatore di rete deve per mantenere attiva la rete costantemente investire<br />

tempo, fatica ed energia (telefonare, aggiornare sui casi, presidiare i territori<br />

partecipando a incontri,riunioni...), il che significa anche per l'organizzazione<br />

un investimento non indifferente, (penso sia un problema comune lo scarso<br />

personale, i pochi fondi, le molte emergenze...); quindi sappiamo tutti cosa<br />

significhi attivare e mantenere attiva costantemente, operativa su più territori,<br />

la rete.<br />

Un altro aspetto che può costituire un punto di debolezza, ma che si tradurrebbe<br />

in enorme ricchezza se riuscissimo a perfezionarlo, è appunto il<br />

115


116<br />

rapporto frammentato che si ha con l'utenza: in accoglienza residenziale<br />

siamo abituati ad un rapporto con la persona in carico costante, monitorato<br />

costantemente; spesso l'idea di perdere l'esclusività <strong>del</strong>la relazione con<br />

l'utente, che è nostra perché si tratta di un “articolo 18”, è dolorosa. Sto<br />

scherzando ovviamente, però la diversità <strong>del</strong>l'approccio e la necessità di<br />

lavorare con figure professionali diverse, diverse anche per ruoli istituzionali<br />

ricoperti, comporta uno sforzo nell'attivare un intervento omogeneo; quindi,<br />

a volte è faticoso stabilire un rapporto fluido di comunicazione e quindi mantenerlo<br />

attivo; la frammentazione <strong>del</strong>le informazioni, rischia di favorire una<br />

distorsione nell'intervento (triangolazione <strong>del</strong>l'utente, deroga di responsabilità,<br />

confusione nell'intervento...). La comunicazione deve essere costante e<br />

fluida, perché si possa con fiducia <strong>del</strong>egare ed evitare insoddisfacenti<br />

relazioni professionali.<br />

I punti di forza e le potenzialità <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo sono invece dati da quella che è<br />

la caratteristica essenziale <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo stesso e cioè la flessibilità. Il mo<strong>del</strong>lo<br />

si può adattare a qualsiasi territorio perché nasce e si struttura proprio sul territorio<br />

stesso, modulando le esigenze <strong>del</strong>la persona su quello che il territorio<br />

offre, sollecitando quindi, l'attivazione anche di un senso di realtà nella<br />

persona che deve imparare a coniugare esigenze personali e opportunità<br />

reali; ancora la creazione di network sul territorio, favoriscono la promozione<br />

di azioni di comunità,che diventano estremamente significative e importanti.<br />

Altro punto di forza è la possibilità non solo di rispondere in modo più<br />

adeguato a esigenze diverse,ma anche dare risposta a più persone; sappiamo<br />

bene che le nostre risorse di progetto sono spesso limitate rispetto alle<br />

richieste di accoglienza, (quanti “posti letto” gestisce ogni organizzazione?);<br />

questo mo<strong>del</strong>lo ci permette di allargare la rete di accoglienza e facilita anche<br />

l'inserimento <strong>del</strong>la donna sul territorio in modo più indipendente.<br />

Annarita De Nardo<br />

Grazie mille per l’esposizione a Stefania Scodanibbio e la parola a voi se<br />

c’è qualche domanda, ed intanto io ne avrei già due.<br />

Allora la prima è questa: come coniugate l’esigenza <strong>del</strong> controllo, per<br />

esempio, sulla ragazza affinché non ricada in strani circuiti, non abbia degli<br />

amici con i quali magari continuare a... con la presa in carico territoriale<br />

soprattutto quella pura? Questa è la prima domanda.<br />

La seconda invece è più relativa ai costi: come si mantiene la ragazza fintanto<br />

che non lavora, non ha i documenti, quindi nelle prime fasi, quando è a casa<br />

<strong>del</strong>l’amico, <strong>del</strong> fidanzato, eccetera, o anche quando è presso le altre strutture.<br />

Cioè si prevede,non so,che l’associazione passi una retta oppure... cosa avete<br />

previsto?


Stefania Scodanibbio<br />

Questi sono dei problemi reali, effettivamente. L'autonomia economica,<br />

quindi la soddisfazione dei bisogni primari, può provenire da parte <strong>del</strong><br />

referente significativo con cui la persona vive sul territorio, per es. un<br />

fidanzato. Questi garantisce per larga parte l'autonomia <strong>del</strong>la persona, oltre<br />

che i bisogni primari (vitto e alloggio); il progetto interviene contribuendo sul<br />

piano economico ma in misura minima, facendosi carico dei costi <strong>del</strong>le azioni<br />

richieste dal programma stesso come per esempio: spostarsi da un territorio<br />

all'altro per fare attività di orientamento, un corso di formazione professionale,<br />

eccetera; il progetto può garantire il rimborso spese per i biglietti,<br />

chiaramente non può garantire un'autonomia economica. Comunque, gli<br />

accordi economici vengono sempre discussi con la persona che ospita la<br />

donna prima di avviare il programma. Per le azioni con strutture <strong>del</strong> privato<br />

sociale si attivano convenzioni e si stabiliscono le condizioni di volta in volta<br />

sia con la struttura che con la donna. Per quanto riguarda il discorso sulla<br />

sicurezza c'è un lavoro di mediazione lungo e costante, che prevede una<br />

responsabilità anche <strong>del</strong>l'ospite. L'équipe trasversale valuta l'opportunità<br />

<strong>del</strong>la permanenza o inserimento su quel territorio <strong>del</strong>la persona con il servizio<br />

sociale territoriale, con le forze <strong>del</strong>l'ordine, con la struttura/persona ospite, e<br />

quindi si avvia il percorso.<br />

Ecco perché ovviamente in autonomia, in territorialità pura, purtroppo vanno<br />

soltanto persone che hanno la garanzia di poter contare o su un'autonomia<br />

economica acquisita precedentemente, o che a breve potranno garantirsela<br />

con il lavoro, oppure che hanno la possibilità di essere ospiti di qualcuno che<br />

garantisce per la presa in carico totale.<br />

Sul tema <strong>del</strong>la sicurezza, generalmente, prima di fare un'accoglienza territoriale<br />

vengono verificate le situazioni, in accordo con i servizi sociali che<br />

fanno indagini contemporaneamente alle forze <strong>del</strong>l'ordine presenti sul territorio,<br />

che quindi, per quanto possibile chiaramente, danno informazioni<br />

rispetto alla sicurezza o alla possibilità di permanere in quel territorio senza<br />

eventuali rischi; rimangono in territorialità soltanto le persone più “adulte”,<br />

che dimostrano una motivazione e una competenza (autonomia, sicurezza<br />

personale...) forte. D'altra parte io credo che possiamo proporre un mo<strong>del</strong>lo<br />

comportamentale che la persona può scegliere, non imporlo; l'aver deciso di<br />

entrare in un programma art.18, quindi di protezione, prelude a un tentativo<br />

di autonomizzarsi rispetto al percorso di sfruttamento; quindi io parlerei di<br />

verifica basata più sulla capacità individuale ad assumersi responsabilità<br />

rispetto alle conseguenze di una scelta. Un attento lavoro di analisi e<br />

screening nella fase <strong>del</strong>la presa in carico e nella decisione di avvio di un<br />

percorso alternativo alla residenzialità spetta invece al drop in.<br />

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118<br />

Domanda 1<br />

Sono M. C., sono operatrice di rete <strong>del</strong> Comune di Piacenza per il progetto<br />

Oltre la Strada. Volevo chiederti, Stefania, non vedi una certa contraddizione<br />

tra i requisiti per la concessione <strong>del</strong>l’articolo 18, cioè la pericolosità<br />

immediata, la situazione per cui la ragazza si trova in un momento di pericolo<br />

e il fatto di lasciare comunque la ragazza nel contesto in cui già prima si<br />

muoveva e viveva? Noi usiamo questo mo<strong>del</strong>lo nei casi che ce lo permettono<br />

però la squadra mobile ci pone questo punto. Grazie.<br />

Stefania Scodanibbio<br />

In alcune situazioni potrebbe persistere questo problema. D'altra parte<br />

però c'è una forte mobilità sul territorio; per esempio molte donne che hanno<br />

una relazione affettiva, o hanno strutturato relazioni sociali significative,<br />

vivono lontane dal territorio in cui operano, o hanno una maggiore opportunità<br />

di movimento, sono meno controllate, hanno una maggiore<br />

autonomia... o ancora hanno avviato relazioni successive all'uscita dal<br />

percorso di sfruttamento; spesso abbiamo casi di persone che si sono autonomamente<br />

affrancate dallo sfruttamento, che hanno fatto percorsi in qualche<br />

modo di allontanamento e vivono già una situazione di convivenza o di<br />

relazione sociale al di fuori <strong>del</strong> percorso proprio di sfruttamento stesso e<br />

magari hanno solo bisogno di fare un programma articolo 18 per avere la<br />

legittimità alla permanenza nel nostro Paese, per l'inserimento lavorativo,<br />

eccetera.A volte sono situazioni per cui,prima si diceva come riescono a mantenersi,<br />

magari fanno piccoli lavori in nero, in attesa di regolarizzarsi sia sul<br />

piano legale che lavorativo. Questo è uno degli elementi che permette la permanenza<br />

su quel territorio; difficilmente nel caso in cui ci sia una presa in<br />

carico a seguito di una retata <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l'ordine si fa una presa in carico<br />

territoriale, o se non si hanno garanzie sufficienti perché possa rimanere nel<br />

territorio di provenienza. Eventualmente in quel caso si può fare una territorialità<br />

residenziale in una struttura in cui ci sia una maggiore autonomia, una<br />

maggiore libertà, rispetto a quanto potremmo consentire nelle nostre case<br />

d'accoglienza, però in un territorio che non sia a rischio per la persona stessa,<br />

quindi in questo senso non vediamo l'incompatibilità.<br />

Domanda 2<br />

La signora voleva comprendere meglio quanto lei aveva detto a proposito<br />

di quello che avete riscontrato rispetto ai mesi specifici di... lei aveva parlato<br />

di tre mesi, cinque mesi... Può dircelo in parole semplici per cortesia?


Stefania Scodanibbio<br />

Ho dato per scontato che un po’tutti conoscessimo l’organizzazione <strong>del</strong>le<br />

strutture e dei programmi di accoglienza. L’organizzazione <strong>del</strong>l’accoglienza<br />

residenziale prevede un programma a fasi. La prima fase è detta di “fuga”e<br />

prevede un periodo di valutazione reciproca tra la persona che decide di<br />

accedere al programma e l’équipe di accoglienza, in cui la persona ospite<br />

valuta se la proposta <strong>del</strong> programma può essere adeguata alle sue esigenze e<br />

l’équipe valuta quale sia il percorso migliore da fare (passaggio alla seconda<br />

fase, invio in rete, territorialità residenziale...); è un tempo per decidere. La<br />

durata è variabile fino ad un mese massimo.<br />

Il passaggio alla fase successiva <strong>del</strong> programma prevede una consapevolezza<br />

forte <strong>del</strong>la persona che intraprenderà una serie di attività, basate su un programma<br />

individuale. Ciascuna organizzazione attiva la seconda fase di accoglienza<br />

sulla risorse, potenzialità e azioni che può utilizzare. Quello che<br />

abbiamo riscontrato nella nostra organizzazione è che c’è una prima fase di<br />

adattamento, da parte <strong>del</strong>le persone ospiti, di accettazione <strong>del</strong>le regole, di un<br />

mo<strong>del</strong>lo culturale ed esistenziale che non è sicuramente quello che loro<br />

conoscono. Quindi dobbiamo lavorare perché il processo di assimilazione e<br />

adattamento abbia buon esito e lavorare nella gestione <strong>del</strong>lo stress da transculturazione<br />

e, sopratutto, nel crollo <strong>del</strong>l’illusione <strong>del</strong>la realizzazione<br />

immediata degli obiettivi o <strong>del</strong>le mete che hanno determinato l’avvio <strong>del</strong><br />

percorso migratorio. In questa fase abbiamo verificato c’è una sorta di <strong>del</strong>ega<br />

all’operatore rispetto alla responsabilità, rispetto alla decisionalità. La donna<br />

entra in una fase depressiva in cui la <strong>del</strong>ega all’operatore è totale: per es. è<br />

incapace di prendere decisioni, fare la spesa o prendere perfino un autobus.<br />

Analizzando i dati si è osservato che questa perdita di autonomia decisionale<br />

si verifica intorno al terzo mese per poi scomparire quando si comincia a<br />

lavorare sulle competenze ricostruite e finalizzate ad un percorso di inserimento<br />

lavorativo. C’è una caduta ad un certo punto, per poi riprendere <strong>del</strong>le<br />

competenze in termini diversi.<br />

Ma è una sorta di picco che poi credo sia abbastanza verificabile anche in altre<br />

situazioni totalizzanti come può essere per esempio una comunità per tossicodipendenti.<br />

Sarebbe interessante verificare dei dati comparati. Comunque<br />

è uno studio che stiamo portando avanti e che ancora non è completo.<br />

Domanda 3<br />

Mi interessava capire le competenze, quando parlate di territorialità pura,<br />

che ha l’associazione e quelle che ha il servizio sociale,per capire un po’la differenziazione.<br />

Grazie.<br />

119


120<br />

Stefania Scodanibbio<br />

L’organizzazione ha la titolarità <strong>del</strong>l’articolo 18, quindi garantisce una<br />

serie di servizi molto specifici, che vanno ad esempio dalla consulenza legale,<br />

alla co-costruzione <strong>del</strong> programma individuale, (che in questo caso vede<br />

coinvolti oltre alla donna e all’operatore di riferimento, anche il servizio<br />

sociale), alla responsabilità legale <strong>del</strong>l’esecuzione <strong>del</strong> programma e quindi la<br />

verifica. Tuttavia queste azioni si concordano di volta in volta; per esempio<br />

l’assistente sociale <strong>del</strong> territorio ha la possibilità di fare alcune azioni<br />

immediate,per esempio intervenire sull’emergenza,o fare la visita domiciliare<br />

di verifica. Questo permette all’operatore di monitorare continuamente la<br />

persona senza necessariamente muoversi sul territorio. La relazione, il contratto<br />

e l’emergenza, la segue l’assistente sociale di quel territorio.<br />

Faccio degli esempi molto pratici. Non c’è un mo<strong>del</strong>lo prestabilito, perché ci<br />

sono servizi molto efficienti: se una donna lavora e ha un figlio piccolo, il<br />

servizio sociale si preoccupa di attivare la rete di servizi adeguata ala caso.<br />

Tutto questo lo svolge in modo più idoneo, più adeguato un operatore <strong>del</strong><br />

servizio che presidia e conosce molto bene quel territorio, che ha <strong>del</strong>le competenze<br />

specifiche e che soprattutto è riconosciuto,piuttosto che un operatore<br />

che arriva da un territorio diverso, che deve cominciare a costruire una mappatura,<br />

eccetera. Quindi la convenzione con il servizio su quel territorio<br />

prevede le azioni generiche attinenti al servizio e modalità d’intervento che<br />

vengono concordate di volta in volta, sull’esigenza <strong>del</strong>la persona.<br />

Quello che garantiamo è la consulenza legale, servizio interno all’associazione<br />

e che per la sua peculiarità non è sempre possibile avere sul territorio,<br />

e che spesso diventa di supporto al servizio stesso.<br />

Domanda 4<br />

Vengo dall’Australia, quindi sono molto ignorante, mi scuso. Sto cercando<br />

di capire il sistema e sembra che facciate molto meglio di quello che facciamo<br />

noi, che abbiate più successo. Finora però vi siete, da quello che capisco, concentrati<br />

su quello che si può fare,su quello che fate per le donne una volta che<br />

sono arrivate. Noi abbiamo un problema. Da quando sono state legalizzate le<br />

case chiuse, c’è la possibilità per queste donne di passare attraverso dei<br />

passaggi e quindi diventa più difficile identificarle, trovarle, perché la polizia<br />

non può fare irruzione adesso. Avete una qualche esperienza <strong>del</strong> genere?<br />

Annarita De Nardo<br />

Noi stiamo presentando oggi alcuni progetti sperimentali all’interno di<br />

W.E.S.T., di questo programma europeo. Il problema di cui lei parlava lo<br />

abbiamo anche noi. Anche noi abbiamo in via di valutazione una legge che<br />

prevede la possibilità di lavoro all’interno degli appartamenti, così come


avviene da voi nei locali. Non solo. Anche noi in diverse zone italiane abbiamo<br />

visto la scomparsa <strong>del</strong>la prostituzione di strada per vedere invece un aumento<br />

notevole <strong>del</strong>la prostituzione all’interno degli appartamenti e come per voi<br />

queste donne sono irraggiungibili. Diventa difficile accostarle e proporre loro i<br />

programmi di protezione.<br />

Purtroppo qui non abbiamo il tempo di approfondire queste problematiche<br />

che però credo siano importanti e che credo ci accomunino senz’altro, quantomeno<br />

nelle difficoltà.<br />

Annarita De Nardo<br />

Bentornati. Adesso dò la parola a Lara Carosi <strong>del</strong>l’associazione On the<br />

Road che ci parlerà di un mo<strong>del</strong>lo per l’inserimento <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro dal<br />

titolo “la formazione pratica in impresa”. Devo dire che però questo tipo di<br />

intervento è un po’al di fuori <strong>del</strong> progetto W.E.S.T., però era molto importante<br />

perché ci permetteva di approfondire tutto il percorso che fanno le ragazze.<br />

Quindi la parola a Lara Carosi.<br />

Lara Carosi<br />

Buonasera a tutti.<br />

A nome <strong>del</strong>l’associazione On the Road ringrazio gli organizzatori <strong>del</strong><br />

<strong>convegno</strong> per averci invitato a presentare la nostra esperienza in merito<br />

all’attività di inserimento lavorativo di donne aderenti al programma di assistenza<br />

e integrazione sociale <strong>del</strong>l’associazione.<br />

Il mo<strong>del</strong>lo che vado a presentarvi, e che prende il nome di formazione pratica<br />

in impresa, parte da lontano. Sperimentato per la prima volta dall’associazione<br />

On the Road nel 1997 con il progetto Now, poi replicato in altri<br />

progetti, è divenuto nel tempo strumento utilizzato anche da altri enti che ne<br />

hanno ripreso obiettivi e metodologia d’intervento. Ma andiamo al mo<strong>del</strong>lo.<br />

La mission <strong>del</strong>lo strumento di inserimento lavorativo proposto dall’associazione<br />

On the Road, è quella di creare percorsi di autonomia e di inserimento<br />

socio-lavorativo <strong>del</strong>le donne ex prostitute vittime di tratta,<br />

intendendo con ciò, non semplicemente l’inserimento lavorativo <strong>del</strong>la<br />

persona presso una determinata azienda,ma un percorso strutturato che porti<br />

ad un’integrazione <strong>del</strong>la stessa nel circuito lavorativo in senso ampio,<br />

attraverso la facilitazione alla creazione di reti di conoscenze, si pensi al<br />

rapporto con i colleghi che può rappresentare il primo canale di facilitazione<br />

all’inserimento sociale e lavorativo <strong>del</strong>la donna.<br />

Premetto che la formazione pratica in impresa non esaurisce le azioni che<br />

l’associazione On the Road mette in campo per l’avvio di percorsi d’inserimento<br />

socio-lavorativo; essa rappresenta però il mo<strong>del</strong>lo principale, che si<br />

sviluppa attraverso azioni formative con la presenza di figure di accompa-<br />

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122<br />

gnamento, affiancamento e sostegno <strong>del</strong>la beneficiaria durante il percorso.<br />

Veniamo ora alle scelte di campo che sono state fatte dall’associazione nella<br />

strutturazione iniziale <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo. L’estrema complessità <strong>del</strong> fenomeno e <strong>del</strong><br />

contesto politico-culturale-economico nel quale ciascun progetto d’inserimento<br />

lavorativo di fasce deboli opera (come appunto quello <strong>del</strong>l’inserimento<br />

e reinserimento nel mercato <strong>del</strong> lavoro di donne in art.18) costringe e<br />

pone le diverse organizzazioni e politiche d’intervento ad interrogarsi riguardo<br />

ad una serie di scelte metodologiche.<br />

Per esempio, cosa dire e cosa non dire agli interlocutori esterni (in particolare ai<br />

titolari <strong>del</strong>le aziende) circa il passato <strong>del</strong>la ragazza? Questa è una domanda che<br />

pongo anche a voi oggi. Parlare al datore di lavoro di un programma di protezione<br />

sociale, può essere un punto di forza? Per alcuni aspetti sì, perché<br />

permette di sensibilizzare la comunità nel superare stereotipi comuni che spesso<br />

vedono la donna immigrata ex prostituta come donna sfaticata, abituata ai<br />

soldi facili, se non addirittura “malata”.<br />

D’altro canto però anche punti di debolezza.Primo fra tutti un non rispetto <strong>del</strong>la<br />

privacy con consequenziale reticenza da parte <strong>del</strong>la ragazza che trova ulteriori<br />

ostacoli, quali il superamento di visioni critiche <strong>del</strong> suo passato, resistenze da<br />

parte <strong>del</strong> clima aziendale che portano difficoltà nell’instaurare rapporti significativi<br />

con i colleghi.<br />

Altra domanda emersa: in quale contesto vogliamo tarare questo percorso di<br />

inserimento lavorativo? Ci si è chiesti se strutture protette come cooperative<br />

di tipo B possano essere una scelta congrua. Anche qui, la risposta non è<br />

semplice. Per alcuni aspetti questo può rappresentare una sicurezza nell’accompagnamento<br />

e nel sostegno <strong>del</strong>la persona, per altri no. Certo, diventa più<br />

facile poterla seguire dal punto di vista di un inserimento graduale e accompagnato<br />

e, per certi versi, si ha una corrispondenza tra il progetto <strong>del</strong>l’associazione<br />

e il progetto <strong>del</strong>le strutture protette; di contro, valutando i punti di<br />

debolezza, non si realizza un pieno inserimento lavorativo <strong>del</strong>la persona. Che<br />

cosa voglio dire con questo? Che quando parliamo di mercato <strong>del</strong> lavoro<br />

parliamo di tutto e parliamo di tanto. Parliamo di diversi settori produttivi e<br />

non specificatamente di cooperative di tipo B, che pure sono una realtà possibile.<br />

Imporre alla donna solo questa realtà significa comunque limitare la<br />

sua formazione e il suo campo di scelta.<br />

Altro interrogativo (se ne è anche parlato prima): inserirle nel circuito <strong>del</strong><br />

lavoro domestico può rappresentare una risorsa? Sappiamo che nel nostro<br />

Paese la richiesta di colf e badanti è forte, costante e destinata ad aumentare<br />

negli anni. Punti di forza <strong>del</strong>la scelta di tarare un percorso di inserimento lavorativo<br />

verso il lavoro domestico sono: l’accoglienza, la protezione, il sentirsi<br />

parte di un nucleo familiare. D’altro canto anche punti di debolezza: il rischio,<br />

a mio avviso il peggiore, di incorrere in un secondo tipo di sfruttamento...


questa volta però legalizzato. Intendo dire che spesso i componenti <strong>del</strong>le<br />

famiglie, pur non volendo, si pongono nei confronti <strong>del</strong>la ragazza, con un<br />

atteggiamento materno e le ragazze, in quanto pseudo figlie, devono<br />

rispondere a frasi <strong>del</strong> tipo: “non devi uscire”, “devi stare attenta”, “quando<br />

torni”, e il giorno libero previsto dal contratto può diventare solo un ricordo,<br />

relegando per l’ennesima volta la ragazza in una situazione, non di affrancamento,<br />

ma di sfruttamento o di nuova dipendenza.<br />

In base alle suddette considerazioni abbiamo preferito:<br />

- Inserire le donne in ambienti lavorativi normali, non protetti, con un’apertura<br />

a 360 gradi verso il mercato <strong>del</strong> lavoro: artigianato, commercio,<br />

industria...<br />

- Presentare le beneficiarie <strong>del</strong> progetto come donne immigrate in difficoltà,<br />

in carico ad un progetto volto a facilitarne l’inserimento socio-occupazionale,<br />

senza fare riferimento alla loro condizione di ex vittime di tratta e<br />

appartenenti ad un programma di protezione sociale; questo ha garantito<br />

sia la privacy <strong>del</strong>l’utente che l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica<br />

ai temi <strong>del</strong>l’inclusione sociale. In verità, oggi ci rendiamo conto che la visibilità<br />

<strong>del</strong>l’associazione On the Road è aumentata così come la conoscenza<br />

<strong>del</strong> tema di cui si occupa, e questo non consente sempre il rispetto <strong>del</strong>la<br />

privacy <strong>del</strong>la persona, sebbene le aziende tendano ad informarsi sul conto<br />

<strong>del</strong>l’associazione solo dopo aver effettuato l’inserimento e aver avuto modo<br />

di sentirsi garantite dal nostro operato.<br />

- Preferire il lavoro domestico ad ore e non quello a tempo pieno. Che<br />

significa? Facciamo un esempio: prendiamo il caso di una utente quarantenne,<br />

analfabeta, nigeriana e che evidentemente ha difficoltà ha<br />

trovare lavoro presso una qualsiasi azienda che necessiti di una persona con<br />

alcuni requisiti minimi (far di conto, leggere...); in questo caso l’occupazione<br />

in una famiglia può rappresentare una risorsa: si ottiene un lavoro<br />

per una donna matura e analfabeta che evidentemente avrebbe difficoltà a<br />

sperimentarsi in altri contesti. Dunque il lavoro domestico può essere una<br />

soluzione, facendo attenzione però alla costruzione di un percorso che<br />

cerchi di tutelare al meglio la beneficiaria e, di riflesso, la famiglia. Lavorare<br />

ad ore (sei,sette,otto ore al giorno),è preferibile rispetto ad un impegno 24<br />

ore su 24; il rischio infatti, in quest’ultimo caso, è quello di costruire un<br />

rapporto troppo invischiato e poco professionale; un impegno ad ore al contrario,<br />

oltre ad essere meno faticoso, aiuta alla definizione <strong>del</strong> ruolo e dei<br />

compiti <strong>del</strong>la persona, superando molti dei luoghi comuni.<br />

Va precisato che le scelte di campo sopra descritte non fanno esclusivo riferimento<br />

alla metodologia adottata per l’avvio <strong>del</strong>lo strumento formativo, ma<br />

rappresentano più in generale la modalità operativa degli inserimenti lavorativi<br />

<strong>del</strong>l’associazione On the Road in tutte le diverse azioni messe in campo.<br />

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124<br />

Ma andiamo agli obiettivi <strong>del</strong>la formazione pratica in impresa.<br />

Il percorso vuole portare la beneficiaria al raggiungimento di un: sapere,<br />

saper essere, saper fare.<br />

Sapere (conoscenze) – in questa fase si raggiunge l’acquisizione di conoscenza<br />

di base rispetto al funzionamento <strong>del</strong> lavoro in Italia: cenni sulla legislazione<br />

che regola il lavoro,sulle tipologie di lavoro,sui settori maggiormente<br />

presenti sul territorio di riferimento <strong>del</strong>la donna e quali, tra questi, quelli in<br />

fase di sviluppo.<br />

Saper fare (capacità e abilità operative) – acquisizione <strong>del</strong>la strumentazione<br />

attitudinale, comportamentale e tecnica di base al fine di facilitare l’inserimento<br />

nel mondo <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong>la risorsa economica.<br />

Saper essere (capacità e abilità comportamentali e attitudinali) – conquista<br />

graduale di un buon livello di autonomia. Siamo alla fase che ritengo più<br />

<strong>del</strong>icata; se è vero che lo strumento mette la persona nelle condizioni di<br />

imparare a fare <strong>del</strong>le cose, è altresì uno strumento che cerca di mettere la<br />

persona nelle condizioni di capire come farle e come gestire le relazioni che<br />

intervengono all’interno degli ambienti di lavoro.<br />

Non dimentichiamo che le beneficiarie vengono solitamente inserite in realtà<br />

aziendali di piccola e media dimensione (le richieste <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro<br />

partono da queste), ambienti dove le relazioni tra i colleghi e il datore di<br />

lavoro giocano un ruolo fondamentale.<br />

Passiamo alle azioni che portano al raggiungimento degli obiettivi.<br />

Creazione di una rete di aziende<br />

Questo è un lavoro che viene fatto a prescindere dall’inserimento concreto<br />

<strong>del</strong>la persona e consiste in una mappatura quotidiana <strong>del</strong>le aziende recettive<br />

sul territorio effettuata dal tutor d’intermediazione. Abbiamo creato anche<br />

una banca dati con l’intento di raccogliere i nominativi <strong>del</strong>le aziende che sono<br />

state contattate e che hanno dato (o meno) disponibilità a collaborare con<br />

l’associazione.<br />

A tal proposito apro una parentesi per sottolineare l’attuale difficoltà nel<br />

contesto di riferimento (centro Italia) nel contatto di nuove realtà lavorative che<br />

facciano richiesta di personale,sebbene la presenza di altre strutture (pubbliche<br />

e private) che si occupano di collocamento costituiscano un supporto al reperimento<br />

di strutture recettive.<br />

Definizione <strong>del</strong> progetto individualizzato sulla persona<br />

È il momento in cui si decide dove, come, quando e per quanto tempo avviare<br />

un percorso formativo. Questa fase non è di esclusiva pertinenza decisionale<br />

<strong>del</strong> tutor d’intermediazione ma, al contrario, è la risultante di un percorso di<br />

valutazione e <strong>del</strong>le scelte fatte dall’utente (assoluta protagonista) se pure


accompagnata nel processo decisionale dalla psicologa orientatrice e dal<br />

tutor d’intermediazione.<br />

Quanto detto, tutt’altro che scontato, diventa di essenziale sottolineatura<br />

laddove, rispetto al progetto individualizzato <strong>del</strong>la persona, è questa ad<br />

assumere il ruolo di prima interlocutrice responsabilizzandola nelle scelte che<br />

effettua e riscattandola dal ruolo di donna bisognosa di assistenza.<br />

Avvio di percorsi di formazione pratica in impresa.<br />

Ne vedremo la strutturazione e il funzionamento più avanti.<br />

Percorso di orientamento<br />

L’orientamento rappresenta nel mo<strong>del</strong>lo di formazione pratica in impresa un<br />

passaggio fondamentale nel percorso di crescita e consapevolezza <strong>del</strong>la<br />

ragazza. Non ha dei tempi definiti, in quanto è presente in tutto il percorso di<br />

inserimento lavorativo (prima,durante e dopo l’avvio <strong>del</strong>la persona).Da poco<br />

abbiamo anche suddiviso il percorso di orientamento <strong>del</strong>la ragazza in due<br />

fasi: l’orientamento di gruppo e quello individuale.<br />

Nell’orientamento di gruppo la persona partecipa, insieme a tutte le altre<br />

utenti prese in carico (siano esse residenziali che territoriali), a momenti formativi<br />

che mirano alla conoscenza <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong> lavoro prima di avviarsi<br />

all’inserimento lavorativo vero e proprio.<br />

L’orientamento individuale invece lavora più in profondità, in quelle che sono<br />

le motivazioni, gli interessi, le inclinazioni <strong>del</strong>la persona; mira quindi a capire<br />

quali sono le proprie potenzialità, su cosa può contare, quali sono i propri<br />

vincoli oggettivi: per esempio abbiamo situazioni di ragazze madri per le quali<br />

non è facile conciliare i tempi <strong>del</strong> lavoro con quelli <strong>del</strong>la famiglia.<br />

Per riassumere.Una volta costruita la rete aziendale,verificata la disponibilità<br />

<strong>del</strong>le aziende a partecipare al percorso di inserimento lavorativo <strong>del</strong>la donna,<br />

ed effettuato un lavoro di orientamento e di scelta da parte <strong>del</strong>la ragazza, si<br />

giunge al cosiddetto abbinamento mirato beneficiaria/azienda.<br />

Abbiamo già detto che la scelta di un’azienda piuttosto che di un’altra,<br />

tutt’altro che casuale,è frutto di un’attenta analisi effettuata dalle varie figure<br />

di supporto insieme alla donna, vera protagonista <strong>del</strong>le proprie scelte.La realizzazione<br />

di questo progetto però si complica quando siamo di fronte a<br />

periodi di forte precarizzazione <strong>del</strong> lavoro, come quello che stiamo vivendo e,<br />

poter stare su questo, significa inevitabilmente allungare i tempi di attesa per<br />

la realizzazione di un pieno inserimento lavorativo.<br />

Durante lo sviluppo <strong>del</strong> progetto individualizzato, una volta effettuata una<br />

prima fase di lavoro con l’orientatrice, attraverso il primo momento di definizione<br />

di obiettivi formalizzati chiari e condivisi, la persona viene presentata<br />

per un primo colloquio al tutor d’intermediazione: figura che accompagna e<br />

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funge da facilitatore e mentore <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo.Il tutor d’intermediazione<br />

diventa il primo referente <strong>del</strong>la donna ex ante, in itinere ed ex post<br />

rispetto alla formazione pratica in impresa, attraverso visite aziendali,<br />

colloqui individuali,valutazioni di percorso,sostegno e invio (ove se ne ravvisi<br />

la necessità) alla psicologa orientatrice di riferimento.<br />

Dunque,una volta effettuato il passaggio formale <strong>del</strong>la beneficiaria dall’orientatrice<br />

al tutor d’intermediazione, si passa al secondo momento di definizione<br />

dei tempi <strong>del</strong> percorso di formazione pratica in impresa: da quando e per<br />

quanto tempo e al terzo momento nella definizione dei modi: come e perché.<br />

Rispetto a quest’ultimo passaggio, va precisato che la scelta di un’azienda<br />

piuttosto che di un’altra,va attribuita ad una serie di fattori,non ultimo quello<br />

<strong>del</strong>la collocazione fisica <strong>del</strong>la struttura che dovrebbe essere, logisticamente,<br />

più vicina possibile al domicilio <strong>del</strong>la beneficiaria (visto che nella maggior<br />

parte dei casi parliamo di donne che non hanno la patente). Spesso la beneficiaria<br />

si trova a dover fare una scelta obbligata: “vorrei lavorare nell’azienda<br />

X ma è troppo distante dalla mia abitazione e tutto sommato mi conviene di<br />

più l’azienda Y che riesco a raggiungere con più facilità”.<br />

Ma veniamo alla modalità di strutturazione <strong>del</strong>la formazione pratica in<br />

impresa.<br />

La formazione pratica in impresa può avere una durata di minimo un mese e<br />

massimo quattro mesi; abbiamo anche effettuato formazioni più lunghe ma<br />

ci si è resi conto che non erano di facile gestione; le donne infatti, non riuscivano<br />

a sperimentarsi su tempi lunghi per tutta una serie di motivi, primo<br />

fra tutti l’esigenza di stipulare un contratto che potesse permettere una<br />

sicurezza economica e una stabilità all’interno <strong>del</strong>la struttura tale da poter<br />

convertire il permesso di soggiorno da motivi umanitari a motivi di lavoro.<br />

La formazione si configura come attività di affiancamento e partecipazione<br />

alle attività produttive. In questo senso la figura <strong>del</strong> tutor di intermediazione<br />

diventa centrale in tutto il processo; le sue azioni (come abbiamo già detto) si<br />

sviluppano attraverso visite periodiche di verifica <strong>del</strong>l’andamento formativo<br />

(e, più in generale, nel rispetto di tutti i punti presenti nella convenzione stipulata<br />

tra l’azienda ospitante e l’associazione), e colloqui telefonici e/o individuali<br />

con la beneficiaria e il titolare. L’interesse <strong>del</strong> tutor d’intermediazione<br />

è in sintesi quello di capire non solo se la persona è in grado di svolgere quella<br />

determinata mansione assegnatale, ma capire anche in che modo lo fa, con<br />

quali tempi e quale approccio.<br />

Questo tipo di analisi ci ha permesso,nel tempo,di individuare che le difficoltà<br />

maggiori incontrate dai diversi soggetti avviati in formazione sono legate non<br />

tanto alla capacità di fare <strong>del</strong>le cose quanto piuttosto a quella di integrarsi nel<br />

contesto di riferimento. A creare maggiori problemi sono le cosiddette regole<br />

formali: per esempio il rispetto degli orari ma soprattutto quelle informali: la


disponibilità, l’atteggiamento e, più in generale, il non verbale a volte molto<br />

distante (basti pensare alla cultura nigeriana) rispetto al contesto culturale di<br />

inserimento.Va ricordato che stiamo parlando di donne quasi sempre alla<br />

prima esperienza formativa e/o lavorativa Italia e la comprensione di ogni<br />

benché minima regola può diventare un grande ostacolo.<br />

Dunque, il tutor d’intermediazione mira a verificare il livello di acquisizione<br />

<strong>del</strong>le regole formali e informali nel valutare il buon esito o meno di un<br />

percorso formativo e non esclusivamente la reale possibilità di assunzione<br />

<strong>del</strong>la beneficiaria a percorso ultimato.<br />

Alla fine <strong>del</strong>l’attività infatti, l’impresa non è obbligata ad assumere la beneficiaria<br />

ma solo a valutarne la possibilità; è chiaro che il tutor d’intermediazione,<br />

durante l’effettuazione <strong>del</strong>la mappatura <strong>del</strong>le aziende recettive,<br />

cerca di capire la reale esigenza <strong>del</strong> titolare ad allargare il proprio organico al<br />

fine di tutelare l’associazione e la persona in carico, dando priorità a quelle<br />

aziende presso cui si profilano possibilità di inserimento diretto al termine<br />

<strong>del</strong>la formazione.<br />

Per quanto riguarda l’aspetto economico, con la formazione non possiamo<br />

parlare di retribuzione ma di una indennità oraria a presenza, poiché il<br />

rapporto che viene ad instaurarsi tra la beneficiaria e la struttura ospitante,<br />

non è un rapporto di lavoro. L’ammontare <strong>del</strong> compenso non è cosa di poco<br />

conto se pensiamo che le borse lavoro, solo per fare un esempio, danno solitamente<br />

un’indennità di molto inferiore. L’indennità prevista nella formazione<br />

pratica in impresa è infatti di poco inferiore ad uno stipendio normale e<br />

consente una autonomia <strong>del</strong>la persona già nella fase iniziale <strong>del</strong> percorso.<br />

Questo al fine di rendere possibile alla donna una tranquillità economica,<br />

sebbene a tempo, che le faciliti il perseguimento di un percorso di autonomia<br />

(per esempio affittare un appartamento nei pressi <strong>del</strong>la ditta ospitante la formazione).<br />

Trattandosi di una formazione, all’inizio <strong>del</strong>l’attività, il tutor<br />

consegna alla beneficiaria un registro personale sul quale apporre le ore di sua<br />

effettiva presenza nell’impresa ospitante e, al termine di ogni mese, lo stesso<br />

tutor effettua il conteggio e determina l’ammontare <strong>del</strong>l’indennità.<br />

Le beneficiarie godono di una copertura assicurativa Inail e di una polizza<br />

integrativa privata.<br />

Riassumiamo il percorso.<br />

L’avvio di una formazione pratica in impresa può essere effettuata per<br />

qualsiasi tipo di presa in carico <strong>del</strong>l’utente, sia territoriale che residenziale.<br />

La possibilità di avvio di una formazione viene valutata caso per caso dall’orientatrice<br />

(in una prima fase) e dal tutor d’intermediazione nei colloqui susseguenti,<br />

insieme alla beneficiaria.<br />

Una volta valutata la possibilità di avvio di un percorso di formazione pratica<br />

in impresa (costruzione <strong>del</strong> progetto individualizzato), la donna viene accom-<br />

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pagnata dal tutor d’intermediazione alla conoscenza <strong>del</strong>la possibile struttura<br />

ospitante (che ha già precedentemente avuto un colloquio con il tutor d’intermediazione<br />

al fine di conoscere l’associazione e la relativa proposta formativa).<br />

Dal momento in cui viene attivato lo strumento formativo il progetto individualizzato<br />

può subire, e di fatto spesso subisce, ridefinizioni rispetto ai tempi,<br />

alle modalità, o addirittura alle scelte che erano state inizialmente fatte. D’altronde<br />

la sperimentazione pratica ha come scopo proprio quello di individuare<br />

capacità e inclinazioni personali <strong>del</strong>la beneficiaria. Durante il<br />

percorso di formazione ci si può rendere conto che si è tarato lo strumento<br />

formativo in maniera errata, o comunque, non rispondente alle necessità<br />

<strong>del</strong>la beneficiaria; così come può accadere che la stessa manifesti bisogni<br />

diversi con consequenziali crolli di aspettative rispetto all’attività che sta<br />

svolgendo e che credeva diversa per tempi, modalità di svolgimento <strong>del</strong><br />

compito e clima aziendale.<br />

Diamo a questo punto uno sguardo ai punti di forza e ai punti di debolezza<br />

<strong>del</strong>lo strumento.<br />

I punti di forza sono:<br />

- mappatura <strong>del</strong> territorio di riferimento e creazione di una banca dati<br />

aziende;<br />

- creazione di percorsi individualizzati, attraverso abbinamenti mirati d’inserimento<br />

in base alle singole esigenze <strong>del</strong>la beneficiaria e <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong><br />

lavoro;<br />

- attività di orientamento individuale e di gruppo per tutte le beneficiarie;<br />

- sostegno psicologico ex ante, in itinere ed ex post il percorso formativo;<br />

- figure professionali di supporto (tutor d’intermediazione e tutor d’impresa).<br />

I punti di debolezza sono:<br />

- difficoltà nell’ottenimento <strong>del</strong> permesso di soggiorno per motivi di lavoro: la<br />

FPI non formalizzando un rapporto di lavoro, non permette una immediata<br />

conversione <strong>del</strong> documento;<br />

- difficoltà di superamento di stereotipi culturali e morali all’interno <strong>del</strong>le<br />

aziende ospitanti;<br />

- difficoltà nella creazione di una rete attiva di aziende, imprese sociali, sindacati,<br />

associazioni di categoria...<br />

Cosa può fare in senso positivo?<br />

- creare e sviluppare competenze professionali nella persona;<br />

- creare opportunità in termini di conoscenze (conoscere e farsi conoscere);<br />

- permettere un’autonomia economica;<br />

- sperimentare la gestione dei propri tempi sul luogo di lavoro;<br />

- inserirsi in un contesto di normalità lavorativa;<br />

- accrescere l’autostima <strong>del</strong> soggetto;


- confrontarsi con altre figure: tutor d’impresa, colleghi, titolare, responsabile<br />

di reparto...<br />

- partecipare alla mission aziendale.<br />

Cosa può fare in senso negativo?<br />

- non creare competenze professionali (uso strumentale da parte <strong>del</strong>l’azienda);<br />

- dare una falsa autonomia economica in quanto il percorso formativo è a<br />

tempo;<br />

- modificare i tempi <strong>del</strong> soggetto in funzione di quelli <strong>del</strong>l’azienda;<br />

- indurre ad una chiusura su pregiudizio/stereotipo <strong>del</strong> contesto di riferimento;<br />

- diminuire l’autostima <strong>del</strong> soggetto che non si riconosce uguale agli altri;<br />

- creare dipendenza dalla azienda ospitante che diventa unico luogo di realizzazione.<br />

Che cosa non può fare la formazione pratica in impresa?<br />

Abbiamo detto che non dà la sicurezza di un posto di lavoro e non può<br />

sostituire il percorso terapeutico educativo. In merito a quest’ultimo punto,<br />

non è raro il caso di prese in carico di donne che oltre ad avere l’esigenza di<br />

inserirsi o reinserirsi nel mercato <strong>del</strong> lavoro, sono portatrici di altre problematiche,<br />

ad esempio uso/abuso di alcool, derivanti dal precedente percorso<br />

prostitutivo. In questo senso è chiaro che la formazione non può essere la<br />

risposta ad un bisogno terapeutico che va cercata altrove, né risolutivo di<br />

problemi di tipo relazionale, seppure rappresenti una buona opportunità, per<br />

la beneficiaria, di effettuare un inserimento mediato.<br />

In sintesi, il fine ultimo <strong>del</strong>la formazione pratica in impresa, non è necessariamente<br />

il concretizzarsi di una proposta contrattuale da parte <strong>del</strong>la ditta<br />

ospitante,ma il realizzarsi di un percorso formativo di acquisizione di tempi,ruoli,<br />

metodologie tali da permettere alla persona di approcciarsi anche ad altre realtà<br />

e altri contesti più o meno simili.<br />

Diamo ora soltanto alcuni dati nel tentativo di dare una visione quantitativa<br />

<strong>del</strong> numero d’inserimenti formativi e lavorativi che sono stati avviati.<br />

Da marzo 2000 a maggio 2004 sono stati effettuati 114 inserimenti al<br />

lavoro; il dato fa riferimento alla somma tra gli avvii di formazioni pratiche in<br />

impresa e le assunzioni dirette.<br />

donne che hanno usufruito <strong>del</strong>la formazione pratica in impresa n. 35<br />

donne che hanno usufruito <strong>del</strong>la formazione di lungo periodo n. 2<br />

donne che hanno usufruito di accompagnamento<br />

all’inserimento diretto in azienda n. 79<br />

beneficiarie inserite al lavoro totale 114<br />

129


130<br />

I risultati <strong>del</strong>le 37 donne inserite in formazione pratica in impresa<br />

Indicatori totali<br />

N. totale persone assunte dalla ditta ove hanno svolto FPI 16<br />

N. totale persone assunte dopo FPI da altra ditta 6<br />

N. totale persone che hanno interrotto la FPI (di cui due di lungo periodo) 4<br />

N. totale persone non assunte dalla ditta ove hanno svolto la FPI,<br />

ma inserite direttamente in altra ditta grazie al lavoro di<br />

accompagnamento successivo alla FPI 8<br />

N. totale persone che hanno rinunciato all’assunzione dopo FPI<br />

trovando altro lavoro autonomamente 3<br />

Totale 37<br />

Quello che si nota dalla tabella riportata è la varietà degli esiti formativi<br />

avviati che denotano percorsi tutt’altro che scontati.<br />

Questo porta a fare un’ulteriore considerazione rispetto ai numeri di avvii di<br />

inserimenti lavorativi che si effettuano per ogni presa in carico. Abbiamo<br />

avuto alcuni casi di beneficiarie che hanno usufruito di due, tre, cinque tentativi<br />

di inserimento lavorativo a causa di tutta una serie di problematiche<br />

intervenute: difficoltà nell’acquisire tempi e metodi di svolgimento <strong>del</strong>le<br />

attività, difficoltà nel relazionarsi con i colleghi ma soprattutto difficoltà nel<br />

recepire regole formali e informali che fanno parte <strong>del</strong> sistema lavorativo<br />

italiano e che sottolineano ancora una volta come sia necessario munirsi di<br />

strumenti (come quello formativo) in grado di dare tempi e spazi formativi<br />

adeguati alle singole esigenze.<br />

In quest’ottica, ci si chiede quali siano i nuovi scenari nel mercato <strong>del</strong> lavoro e<br />

<strong>del</strong>l’occupazione e come questi intervengano a tutela dei soggetti più deboli.<br />

La nuova legge 30 <strong>del</strong> 14 febbraio <strong>del</strong> 2003 impone necessariamente una<br />

riflessione rispetto alla trasformazione che con essa il collocamento ha avuto<br />

e che ha coinvolto tutte le categorie di persone in cerca di un’occupazione.<br />

Quali sono i punti di forza di questa riforma?<br />

Flessibilità: nascono nuove forme contrattuali che rispondono, da un lato, alle<br />

esigenze produttive <strong>del</strong>le aziende e, dall’altro, alla possibilità <strong>del</strong> soggetto di<br />

sperimentarsi in contesti lavorativi diversi così da aumentare le proprie<br />

potenzialità e la spendibilità sul mercato <strong>del</strong> lavoro.<br />

Privatizzazione <strong>del</strong> collocamento: viene liberalizzata la somministrazione di<br />

manodopera che non è più esclusiva <strong>del</strong> pubblico (Centri per l’Impiego) ma<br />

anche possibilità per i privati (si pensi alle agenzie interinali oggi divenute<br />

agenzie <strong>del</strong> lavoro).<br />

Come si colloca lo strumento <strong>del</strong>la formazione pratica in impresa all’interno<br />

<strong>del</strong>la più ampia riforma <strong>del</strong> collocamento?


Se da un lato la riforma <strong>del</strong> collocamento mira ad un aumento <strong>del</strong>l’occupazione,<br />

e può rappresentare un valido strumento di sperimentazione <strong>del</strong><br />

soggetto attraverso diverse forme contrattuali che la nuova legge prevede:<br />

job sharing, job on call, staff leasing... dall’altro, per alcuni soggetti, rischia<br />

di aumentare la già precaria condizione lavorativa.<br />

È questo spesso il caso di immigrati bisognosi di un lavoro “sicuro” e continuativo<br />

che permetta loro di permanere sul territorio italiano in condizioni di<br />

regolarità.<br />

Per tornare al target di riferimento, dall’esperienza portata avanti dall’associazione<br />

On the Road, la maggior parte <strong>del</strong>le donne che entrano in un programma<br />

di art. 18 e si approcciano alla ricerca di un lavoro per il raggiungimento<br />

di una piena autonomia economica e sociale, hanno come obiettivo<br />

principale quello di stipulare un contratto “forte” (di lunga durata) che<br />

garantisca la possibilità di convertire il permesso di soggiorno da motivi di<br />

protezione sociale a motivi di lavoro.<br />

La riforma <strong>del</strong> collocamento non agevola questo processo ma, piuttosto,<br />

rendendo flessibile e quindi mobile la forza lavoro, allunga necessariamente i<br />

tempi di una conversione <strong>del</strong> permesso di soggiorno.<br />

La formazione pratica in impresa, ha rappresentato e rappresenta per le<br />

donne prese in carico dall’associazione On the Road uno strumento che<br />

permette di superare questo iato facendo formare e sperimentare la donna<br />

prima di un suo pieno inserimento in azienda.Lo strumento aiuta a conoscere<br />

e valutare le potenzialità lavorative <strong>del</strong>la donna e, al termine <strong>del</strong> percorso, è<br />

spesso lo stesso titolare <strong>del</strong>l’azienda ad avere tutti gli interessi a che la donna<br />

permanga nella struttura in maniera continuativa facilitando il processo di<br />

conversione <strong>del</strong> permesso di soggiorno.<br />

Se lo scenario che ci troviamo di fronte è quello di una riforma <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong><br />

lavoro che basa i suoi principi ispiratori sulla flessibilità <strong>del</strong> collocamento; è<br />

chiaro che gli stessi soggetti che sono coinvolti in questo processo, dovranno<br />

necessariamente essere messi in grado di poter usufruire di tutti i vantaggi<br />

che la riforma auspica.<br />

A tal proposito risulta interessante in questa sede segnalare il protocollo<br />

d’intesa siglato ad ottobre 2004 tra l’associazione On the Road e la Questura<br />

di Ascoli Piceno che va proprio in questa direzione: il protocollo contiene una<br />

definizione chiara <strong>del</strong>le prassi applicative <strong>del</strong>l’art. 18 e tra i vari punti<br />

trattati, anche la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per motivi<br />

di protezione in motivi di lavoro anche nei casi di stipula di contratti che<br />

rientrano nella categoria <strong>del</strong> lavoro parasubordinato.<br />

In questo modo si è cercato di spostare l’attenzione dalla natura giuridica <strong>del</strong><br />

contratto alla continuità lavorativa che l’azienda può garantire. Ci stiamo<br />

attivando nel tentativo di siglare altri protocolli di intesa con le Questure di<br />

131


132<br />

riferimento nel nostro territorio al fine di agevolare il lavoro di tutti per il perseguimento<br />

di una piena autonomia dei soggetti presi in carico.<br />

Grazie per l’attenzione.<br />

Annarita De Nardo<br />

Grazie mille a Lara Carosi, e mentre chiedo a Cleto Corposanto <strong>del</strong>la Provincia<br />

Autonoma di Trento di venire qui al tavolo, chiedo anche a voi se avete<br />

<strong>del</strong>le domande, <strong>del</strong>le cose da chiedere a Lara di On the Road. Niente. Allora<br />

darei la parola a Cleto Corposanto <strong>del</strong>la provincia autonoma di Trento, per<br />

l’intervento sui rimpatri onorevoli.<br />

Cleto Corposanto<br />

Sarò sintetico, brevissimo e spero anche efficace. Allora, intanto una precisazione.<br />

Io rappresento in questa sede la Provincia Autonoma di Trento che<br />

ha inizialmente aderito a questo progetto,aprendo poi un tavolo di lavoro con<br />

la facoltà di Sociologia <strong>del</strong>l’Università degli studi di Trento, dove io insegno –<br />

e per inciso sono Presidente dei corsi di laurea triennale e specialistica che<br />

fanno riferimento all’area <strong>del</strong> servizio sociale – e dove con me lavora anche il<br />

gruppo di colleghi e ricercatori che ha collaborato a questo progetto. Questa<br />

partnership ha avuto anche, cammin facendo, alcuni momenti di difficoltà:<br />

problemi normali quando allo stesso tavolo sono chiamate ad operare due<br />

realtà così diverse come una facoltà – luogo principe per la progettazione e la<br />

realizzazione di indagini sociali – e un Ente come la Provincia.<br />

Le difficoltà nascono soprattutto da due ordini di problemi. Il primo è, se<br />

vogliamo, legato addirittura alla definizione a monte <strong>del</strong>l’iniziativa nel suo<br />

complesso: l’oggetto <strong>del</strong>la ricerca è, come io intendo, la costruzione, l’ideazione,<br />

la sperimentazione, la progettazione e la verifica di un mo<strong>del</strong>lo di<br />

rimpatrio onorevole, o è l’azione stessa <strong>del</strong> rimpatrio esercitata nei confronti<br />

di alcune persone? Questo è il primo dubbio.<br />

Noi abbiamo lavorato, e questo vi presenterò, alla creazione di un mo<strong>del</strong>lo<br />

che, verificato attraverso alcuni rimpatri che pure sono stati effettuati, con<br />

qualche difficoltà,ci consente oggi di poter affermare: noi lavoriamo in questo<br />

modo, creiamo un mo<strong>del</strong>lo all’interno di una rete di partner italiani che sono<br />

inseriti in un progetto europeo, con l’ambizione di lasciare in eredità alla fine<br />

<strong>del</strong> percorso, un mo<strong>del</strong>lo che sia tale, e cioè generalizzabile e replicabile. Il<br />

mo<strong>del</strong>lo non è tale se non funziona spostandosi da Trento a Verona. Il mo<strong>del</strong>lo<br />

è tale se funziona in tutta Italia e forse anche in tutta Europa. Un mo<strong>del</strong>lo è<br />

tale solo se affronta il problema,e cerca di risolverlo,in una prospettiva macro<br />

e non occupandosi di volta in volta, quasi come un pronto intervento, <strong>del</strong>l’aspetto<br />

micro.<br />

Detto questo vi invito solo a riflettere: perché noi siamo partiti occupandoci


innanzitutto di cosa voglia dire onorevole. Un aggettivo,“onorevole”, che fa<br />

riferimento al sostantivo, il “rimpatrio”. Tanto per capire qual è la difficoltà<br />

concettuale all’interno <strong>del</strong>la quale a volte ci di deve muovere, non si può non<br />

rilevare come,per esempio per quello che riguarda le donne africane,che non<br />

sono oggetto <strong>del</strong> nostro percorso di studio e lavoro, ma questa è una<br />

situazione che vale per molte donne dei Paesi <strong>del</strong>l’est Europa,che quindi sono<br />

assolutamente all’interno <strong>del</strong> progetto, è onorevole rientrare nel Paese di<br />

origine; vale per alcune zone rurali, dopo essere state all’estero, o anche solo<br />

nella capitale, a lavorare facendo la prostituta ma tornando a casa con i soldi<br />

necessari all’acquisto <strong>del</strong>la abitazione per la famiglia.Questo è un concetto di<br />

onore che sfugge solitamente alle ricerche ma che invece è molto ben<br />

presente in alcune culture rurali. E dal quale evidentemente non si può prescindere<br />

nel caso in cui ci si debba appunto occupare di un mo<strong>del</strong>lo di rimpatrio<br />

onorevole per le donne trafficate a scopo di prostituzione. La seconda<br />

difficoltà nasce anche dall’area di riferimento <strong>del</strong> progetto stesso, vale a dire<br />

i paesi <strong>del</strong>l’est europeo.<br />

Noi ci siamo occupati, nei pochissimi casi sui quali abbiamo potuto sperimentare<br />

questo mo<strong>del</strong>lo, che però ha dimostrato di poter funzionare, di<br />

donne che provengono da paesi estremamente poveri <strong>del</strong>l’area <strong>del</strong>la<br />

Romania e <strong>del</strong>la Moldavia rumena. Quindi posti nei quali anche lì valeva in<br />

alcuni casi quel concetto di onore cui facevo riferimento poc’anzi.<br />

Questa riflessione per dire: noi abbiamo fatto dei rimpatri onorevoli, ma<br />

bisogna assolutamente tener conto che l’onore, applicato al rimpatrio di<br />

donne trafficate a scopo di prostituzione, è un concetto più largo di quello che<br />

solitamente si intende. È anche un concetto più largo di quello che noi stessi<br />

abbiamo considerato.<br />

In sintesi cosa abbiamo fatto? La Provincia diTrento aveva come compito specifico<br />

il rimpatrio di 10 persone. Non so perché 10, perché noi siamo intervenuti<br />

come Facoltà di Sociologia quando le parti avevano già contrattato<br />

questa cifra. Allora io che fra l’altro insegno metodologie e tecniche <strong>del</strong>la<br />

ricerca sociale e sono quindi anche per questo molto attento ai numeri, ho<br />

riflettuto su questo 10. Perché 10 e non 2 o 124? Dieci è il numero che serve<br />

a validare il mo<strong>del</strong>lo o dieci è l’esito atteso così ci liberiamo di altrettante<br />

donne? Non avendo mai avuto una risposta chiara neanche dagli altri partner<br />

<strong>del</strong> progetto rispetto a questa domanda cruciale, ho pensato di ragionare in<br />

questo modo: faremo un numero di rimpatri che serviranno: a) a validare il<br />

mo<strong>del</strong>lo e b) a rimpatriare il maggior numero di donne possibile (anche se,dal<br />

punto di vista rigorosamente scientifico le due cose potrebbero essere in<br />

antitesi laddove il numero fosse molto altro, visto che si andrebbero ad<br />

intaccare risorse non strettamente necessarie alla validazione <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo:<br />

ma questo è un altro discorso). Un altro ordine di difficoltà nasce da alcune<br />

133


134<br />

limitazioni: perché le donne da rimpatriare devono essere state trafficate a<br />

scopo di prostituzione, e provenienti solo dai Paesi <strong>del</strong>l’est europeo. Naturalmente<br />

non le dobbiamo accompagnare con il cellulare, cioè le donne<br />

devono chiedere di essere rimpatriate, quindi devono essere d’accordo. Nel<br />

posto in cui vogliono essere rimpatriate, deve esserci assenza di pericolo per<br />

l’incolumità fisica. Noi fino ad oggi abbiamo rimpatriato due persone, una<br />

terza ha rinunciato invece all’ultimo momento e sappiamo quali sono i rischi<br />

che queste donne possono correre una volta tornate a casa.<br />

Tenete conto che c’è un settore di questa stessa ricerca, ma ce ne sono molte,<br />

sulla prostituzione sommersa. Oggi ho sentito molte volte parlare soprattutto<br />

<strong>del</strong>la Romania, <strong>del</strong>l’Ucraina e <strong>del</strong>la Moldavia ed è vero, sono quelle le zone a<br />

maggior incidenza,ma la prostituzione che proviene da quei Paesi,è una prostituzione<br />

al 90% sommersa. È prostituzione da night, è prostituzione da bar,<br />

sì perché adesso ci sono posti nei quali ci si prostituisce anche nei bar, e molte<br />

volte le donne che magari inizialmente sono trafficate a scopo di prostituzione,<br />

trovano che c’è una differente qualità <strong>del</strong>la vita: venendo da Cahul,<br />

che è un paese di 300 abitanti nella Moldavia, dove il reddito medio è di 100<br />

dollari all’anno, a prostituirsi in un bar di Milano o di Trento, dove invece<br />

imparano a capire che possono guadagnare 2000 euro a sera.Allora non tutte<br />

le donne vogliono essere rimpatriate. A me piace molto e ho ascoltato<br />

volentieri l’idea <strong>del</strong> progetto condiviso, <strong>del</strong> progetto costituito, ma è un<br />

progetto difficile, perché bisogna avere, scusate il termine, materiale umano<br />

sul quale farlo.<br />

In questa progettazione noi abbiamo intessuto una rete di rapporti con la<br />

maggior parte dei Paesi <strong>del</strong>l’est Europa. Come funziona il progetto? È molto<br />

simile, per quello che ho sentito, a quello che ha appena presentato Lara per<br />

On the Road. Anche noi abbiamo inteso il rimpatrio onorevole come quella<br />

complessa fase che prevede che la donna faccia ritorno a casa – intendendo<br />

con casa il luogo d’origine anche in una accezione geografica più ampia – e<br />

cercando come primo requisito il reinserimento lavorativo. Il secondo,<br />

l’”affido”ad una <strong>del</strong>le tante associazioni di volontariato che operano nel posto<br />

in cui è, perché per noi non è importante sbolognare le ragazze all’estero, ma<br />

è importante verificare il reinserimento. Per cui la fase di monitoraggio dopo,<br />

è assolutamente centrale nel progetto.<br />

Una volta creata questa rete vi dico che non è sufficiente, per questo c’è il<br />

ruolo <strong>del</strong>la mediazione culturale in questo campo, e molte volte in Italia<br />

parliamo di mediazione culturale ma ci riferiamo agli interpreti linguistici ma<br />

non è così. Chi traduce e capisce la lingua non è un mediatore culturale, è un<br />

traduttore.<br />

Vi cito uno dei due casi di rimpatrio. Abbiamo rimpatriato una ragazza il cui<br />

passaporto è a tutt’oggi nelle mani di un albanese che l’ha trafficata qui.Rim-


patriare una ragazza priva di documenti, vi assicuro, è un’impresa difficile.<br />

Non vi dico com’è difficile la gestione amministrativa di questo rimpatrio,<br />

perché alle ragazze senza documenti non possiamo prenotare un volo aereo,<br />

ma dobbiamo organizzare il ritorno in un modo diverso. Abbiamo messo in<br />

piedi anche una rete di protezione da parte <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine, perché<br />

<strong>del</strong>le nostre persone che vanno in giro in macchina, portando queste ragazze<br />

da Milano a Trento a Roma per avere un documento di identità all’Ambasciata<br />

moldava e poi ancora in aeroporto. Quindi capite che ci sono problemi di<br />

rischio per gli operatori che poi si spendono in questo settore.<br />

Questo è in sintesi il progetto. Lo leggerete molto meglio perché noi stiamo<br />

scrivendo un libro su questa esperienza. Siamo stati molto contenti <strong>del</strong>la<br />

proroga, perché, considerando i tre casi che ci sono arrivati, due andati a buon<br />

fine e uno no perché quando il programma era stato definito la ragazza ha<br />

cambiato idea, noi avevamo già sistemato tutto e lei ha banalmente cambiato<br />

idea, ed è ancora qui da qualche parte in Italia, ci permette, se qualcuno ci dà<br />

una mano, di affinare ulteriormente questo mo<strong>del</strong>lo, perché è evidente che<br />

qualche rimpatrio in più ci servirebbe per capire meglio alcuni piccoli problemi.<br />

Il contatto è facile.Era la “Lule”di Torino che ci ha segnalato una <strong>del</strong>le ragazze<br />

da rimpatriare. Ho qui anche le storie di vita <strong>del</strong>le due ragazze, sono molto<br />

interessanti. Ma voi credo che le conosciate perché sono simili a molte <strong>del</strong>le<br />

persone che avete incontrato.Vi dico solo che sono due ragazze, entrambe<br />

<strong>del</strong>l’84, una <strong>del</strong>le quali senza documenti e con un figlio.<br />

Ora, quali sono i punti di forza e i punti di debolezza <strong>del</strong> progetto di rimpatrio<br />

onorevole così come lo abbiamo concepito? Sono gli stessi secondo me. La<br />

creazione di questa rete è assolutamente importante. Noi, per esempio,<br />

abbiamo cercato di costruire rapporti con le aziende che in qualche modo<br />

potessero valorizzare quanto di buono le ragazze avessero acquisito durante<br />

il loro periodo forzato qui. Ci siamo detti: cosa fa una ragazza di 20 anni<br />

rumena che è stata un anno e mezzo in Italia? Forse ha imparato un po’ di<br />

italiano. Allora abbiamo acceso rapporti con agenzie di turismo o con una<br />

<strong>del</strong>le tante aziende italiane che oggi stanno investendo in Romania e che<br />

quindi abbisognano di personale che conosca la doppia lingua. Questi sono i<br />

settori che a oggi hanno mostrato maggiore rispondenza alle nostre esigenze.<br />

Questo che è il punto di forza è anche il punto di debolezza <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo. Cioè<br />

laddove non è possibile, perché in alcuni casi le ragazze vengono da zone<br />

veramente povere, e se chiedono di tornare esattamente in quel posto ecco<br />

che questo può rivelarsi un fattore di debolezza, nel senso che ci sono molti<br />

Comuni nei quali le offerte,le possibilità di reinserimento lavorativo sono praticamente<br />

pari a zero. Quindi o la ragazza condivide l’ipotesi <strong>del</strong> progetto di<br />

spostarsi, e molte volte ripeto questo è legato anche a problemi di sicurezza<br />

per cui viene accettato con più facilità oppure questo rende il reinserimento<br />

135


136<br />

parziale e secondo me, anche poco onorevole. Perché si riporta a casa una<br />

persona che, evidentemente, deve forse anche alle stesse situazioni di grande<br />

difficoltà economica e all’assenza di capitale sociale spendibile, l’esperienza<br />

assolutamente infelice <strong>del</strong> traffico a scopo di prostituzione.<br />

Annarita De Nardo<br />

Grazie mille. Ci sono <strong>del</strong>le domande?<br />

Domanda 1<br />

Mi interessava capire il punto innovativo di questo progetto, perché quello<br />

che ho sentito, il progetto, il percorso dei rimpatri, normalmente si fanno con<br />

l’OIM,l’organizzazione internazionale <strong>del</strong>le migrazioni,che prevede tutti questi<br />

passaggi: cioè prevede l’accompagnamento <strong>del</strong>la ragazza,prevede l’accompagnamento<br />

per i documenti, che almeno nell’esperienza che ho io non è mai<br />

stata una cosa così difficoltosa, e prevede, come punto di riferimento associazioni<br />

locali che prendono in carico la ragazza dal punto di vista <strong>del</strong>la sicurezza<br />

oltre che <strong>del</strong> reinserimento nel tessuto sociale,attraverso proprio la convenzione<br />

che l’OIM ha con il Ministero <strong>del</strong>l’Interno; viene infine dato anche un contributo.<br />

Quindi volevo sapere che cosa dà in più alle ragazze questo progetto, perché<br />

non l’ho capito.<br />

Cleto Corposanto<br />

Noi abbiamo intessuto rapporti con l’OIM che ha a sua volta riconosciuto<br />

che il punto di forza di questo progetto rispetto al loro è essenzialmente quello<br />

che velocemente ho detto prima. L’OIM si preoccupa di tutta la parte di preparazione<br />

al rimpatrio ma cura, per loro stessa ammissione, con grande difficoltà<br />

il reinserimento lavorativo nel posto di origine. Lo fanno con grande<br />

difficoltà. Questo sembra sia un periodo di grande difficoltà anche per l’OIM,<br />

nel senso che c’è questa carenza di personale umano. Noi abbiamo avuto<br />

l’ultimo contatto con l’OIM a luglio, quindi non moltissimo tempo fa.<br />

Nella relazione che poi lascio e che spero verrà divulgata,c’è anche una mappatura<br />

di posti fisici, di zone e di opportunità. In molte di queste l’OIM non<br />

riesce ad arrivare. In questo sta anche il grande ruolo che la mediazione culturale<br />

può dare al progetto. Il monitoraggio e la valutazione <strong>del</strong>la qualità <strong>del</strong><br />

reinserimento lavorativo e relazionale dopo,credo che siano il valore aggiunto<br />

di questo tipo di sperimentazione.<br />

Annarita De Nardo<br />

Se non ci sono altre domande passo la parola a Marco Bufo per le conclusioni,<br />

anche in vista <strong>del</strong>la tavola rotonda di domani.


Marco Bufo<br />

In realtà, nella strutturazione di questa sessione, si pensava di dare spazio<br />

anche ad un breve dibattito finale che però, visti i tempi ormai stretti, si potrà<br />

magari riprendere domani. Tuttavia, rispetto a questo ultimo intervento, a me<br />

sorgono una serie di interrogativi, anche rispetto alla stessa necessità di rimpatrio.<br />

Perché, almeno dalla nostra prospettiva, ultimamente ci sembra che vi<br />

sia stato un aumento <strong>del</strong>le richieste di rientro in patria. Infatti, mentre prima<br />

le donne arrivavano con l’intento di restare in ogni caso, comunque, quasi a<br />

qualsiasi condizione, in Italia, o nell’occidente in generale, oggi la nostra<br />

esperienza ci dice che i progetti migratori sono sempre più a breve termine.<br />

Per cui il lavoro nell’ambito <strong>del</strong>la prostituzione, o nell’ambito <strong>del</strong> lavoro<br />

domestico ad esempio, più o meno sfruttato, più o meno condizionato come<br />

scelta,è comunque legato ad una prospettiva di rientro in patria per comprare<br />

la casa, avviare un’attività, eccetera.Vorrei chiedervi un breve feedback<br />

rispetto a questa percezione sulla base <strong>del</strong>la vostra esperienza.<br />

Annarita De Nardo<br />

Sono d’accordo con te. Anche noi abbiamo visto che c’è questo aumento<br />

di richieste, soprattutto dalle zone di cui dicevamo, Romania, eccetera.<br />

Abbiamo organizzato noi stessi dei rimpatri, senza appoggiarci all’OIM che<br />

magari lì non aveva la sede, supportati però dalla famiglia <strong>del</strong>la ragazza che<br />

era disponibile, d’accordo, a riprendere la ragazza. Anch’io sono d’accordo<br />

con Marco. Non ci sono i documenti, si viene, si prova, capita anche questo,<br />

non va bene e si decide di tornare molto più che in passato. In Nigeria,<br />

secondo la mia esperienza nessuna ha mai chiesto di tornare; dall’est invece<br />

questo succede. Anche per l’Albania non avevamo mai le condizioni per un<br />

rimpatrio onorevole o comunque sicuro, o come lo vogliamo chiamare.<br />

Adesso dall’est mi pare invece che si possa fare.<br />

Marco Bufo<br />

Bene. Ci sarebbe certamente da ragionare e confrontarsi ulteriormente.<br />

Per quanto difficile così sull’immediato,provo ora a <strong>del</strong>ineare quanto riporterò<br />

domani in plenaria rispetto a questa sessione di lavoro.In ogni caso mi sembra<br />

importate riprendere alcuni dei punti di criticità, ma anche dei punti di forza<br />

che sono stati oggi esposti in questo percorso che da una frontiera arriva ad<br />

un’altra frontiera, cioè dalla frontiera fisica in cui le persone vittime di tratta o<br />

potenziali vittime <strong>del</strong> traffico di esseri umani entrano nel nostro paese con tutte<br />

le fasi successive <strong>del</strong> primo contatto, <strong>del</strong>l’avvio di un discorso di tutela legale,<br />

fino all’intrapresa di un programma ai sensi <strong>del</strong>l’articolo 18, per arrivare poi a<br />

quell’altra frontiera, altre volte l’abbiamo definito quel passaggio da vittime a<br />

cittadine, che consiste nel pieno inserimento sociale e lavorativo.<br />

137


138<br />

Mi sembra che ci siano degli elementi importanti emersi questo pomeriggio.<br />

Ad esempio, rispetto al primo intervento, il tema <strong>del</strong>la difficoltà ma anche<br />

<strong>del</strong>la possibilità, <strong>del</strong>la necessità e <strong>del</strong>la fattibilità <strong>del</strong> lavoro con le forze <strong>del</strong>l’ordine,<br />

mi sembra un elemento centrale, che non è solo importante nel<br />

momento in cui si avvia un programma, nel momento in cui si avviano le procedure<br />

amministrative per il rilascio di un permesso di soggiorno,per i rinnovi,<br />

per una conversione, bensì è cruciale proprio nella fase di primo contatto con<br />

le persone che sono vittime <strong>del</strong> traffico di esseri umani. Dunque la centralità<br />

<strong>del</strong> contesto <strong>del</strong>la caserma di frontiera – ma, per analogia, credo che quel<br />

contesto ci abbia fatto tutti subito pensare per esempio al contesto <strong>del</strong>l’ufficio<br />

immigrazione <strong>del</strong>la Questura (dove vengono portate tutte le persone dopo<br />

una retata), oppure al contesto di un CPT – e di conseguenza quanto sia<br />

importante stabilire <strong>del</strong>le procedure effettive di raccordo tra gli operatori<br />

sociali e gli operatori <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine. Come probabilmente è ancora<br />

tutto da sviluppare un discorso strutturato con la Magistratura, e qui faccio<br />

riferimento al tema <strong>del</strong>la tutela legale, anche alla luce <strong>del</strong>la nuova legge sulla<br />

tratta, che dà un ruolo molto specifico alle Procure Distrettuali Antimafia, ma<br />

su cui in realtà probabilmente non si è ancora definito un vero e proprio<br />

intervento, <strong>del</strong>le vere e proprie procedure, con anche una chiarezza nella<br />

distinzione di ruoli tra i vari attori in campo.<br />

Un altro punto riguarda la gestione dei programmi, in cui da una parte<br />

abbiamo l’esigenza <strong>del</strong>la flessibilizzazione dei programmi, che siano sempre<br />

più a misura <strong>del</strong>le persone, dall’altra l’opportunità e la difficoltà di rivolgerci di<br />

più al territorio. Qui occorre tenere in considerazione da un lato la responsabilità<br />

di un programma rispetto al quale gli enti titolari comunque devono dar<br />

conto ad una Questura, dall’altro lato la necessità di condividere tale responsabilità<br />

con altre agenzie <strong>del</strong> territorio a fronte sia <strong>del</strong>la limitatezza <strong>del</strong>le risorse<br />

specifiche <strong>del</strong> settore (fondi insufficienti per strutture di accoglienza dedicate e<br />

per mettere in campo équipe diversificate che operino su tutto il percorso,dalla<br />

prima assistenza all’inserimento socio-lavorativo), sia <strong>del</strong>le effettive maggiori<br />

opportunità di integrazione sociale che un approccio compartecipato e condiviso<br />

può offrire. Se da una parte emerge dunque la forza <strong>del</strong>la rete (una rete<br />

allargata sul territorio),dall’altra non deve sfuggire alla nostra consapevolezza<br />

l’assoluta necessità di manutenzione che la rete richiede, e quindi l’impiego di<br />

risorse che in maniera specifica e continuativa siano dedicate al lavoro di rete.<br />

Credo, per concludere, che spostare in parte le risorse per investire nel lavoro<br />

di rete possa compensare l’assenza di risorse specifiche <strong>del</strong> settore. Si tratta<br />

quindi di ragionamenti interessanti anche sotto il profilo <strong>del</strong>le risorse economiche<br />

che sono destinate al campo <strong>del</strong> traffico di esseri umani.<br />

Il tema <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo, da quanto detto, va letto alla luce di una<br />

pronunciata flessibilizzazione <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro che purtroppo implica


una grave precarizzazione <strong>del</strong>le condizioni di lavoro, la quale rappresenta una<br />

sfida per tutti noi qui presenti,ma certamente molto più pesante ed ardua per<br />

quelle persone che sono in una situazione non proprio paritaria.<br />

A fianco questa frontiera ne abbiamo un’altra: quella di un possibile rientro in<br />

patria, di un ritorno onorevole, assistito, protetto. Il denominatore comune<br />

penso debba comunque essere quello di un’effettiva possibilità di reinserimento<br />

sociale e auspicabilmente di reinserimento lavorativo.Credo che sarà<br />

quindi interessante confrontarsi sugli sviluppi di questa sperimentazione e<br />

capire altresì come raccordarla nel contesto nazionale, perché c’è l’OIM da<br />

una parte, ma ci sono comunque tutta una serie di soggetti in Italia che, pur<br />

non facendolo in maniera strutturata e sistematica, coltivano una serie di<br />

contatti nei Paesi di origine <strong>del</strong>le vittime per realizzare percorsi di rientro<br />

volontario. Allora forse una sfida può essere come mettere in rete questi<br />

contatti e queste esperienze, ottimizzando le risorse ed uscendo da una sorta<br />

di isolamento autoreferenziale. Una prospettiva oltremodo necessaria considerando<br />

la molteplicità dei Paesi di origine e ma anche le tante diverse<br />

località di origine di ciascun Paese. Nessuno può arrivare dovunque, e quindi<br />

l’esigenza <strong>del</strong>la rete mi pare incontestabile.<br />

Questi, a grandi linee, gli aspetti che vorrei mettere in evidenza nella restituzione<br />

di domani.<br />

139


Sessione PLENARIA (Sabato)<br />

Andrea Stuppini [Moderatore]<br />

Benvenuti, intanto, alla sessione odierna a nome <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<br />

<strong>Romagna</strong>. Lasciateci dire che siamo molto soddisfatti <strong>del</strong>la partecipazione,<br />

anche perché dalle schede abbiamo contato 240 partecipanti, ai tre gruppi di<br />

ieri. Quindi siamo molto soddisfatti <strong>del</strong>la partecipazione: esattamente il<br />

doppio <strong>del</strong> <strong>convegno</strong> che facemmo a gennaio, dimostrazione che il progetto<br />

qualche cosa ha mosso anche nelle varie realtà. E mi sembra, da quello che<br />

ho potuto vedere ieri pomeriggio, che la discussione dei tre gruppi è stata<br />

sicuramente molto viva, molto partecipata e si è riusciti ad entrare nel merito<br />

con il contributo di tutti: ringraziamo, ovviamente, tutte le rappresentanze<br />

locali e quelle <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine in particolare.<br />

Nella prima parte <strong>del</strong>la mattinata, prima <strong>del</strong> coffee break che sarà tra un’ora<br />

circa, prevediamo le tre comunicazioni di restituzione <strong>del</strong> lavoro dei gruppi<br />

nell’ordine in cui sono scritti nell’invito, quindi, prima formazione, poi comunicazione,<br />

poi servizi. Poi, la relazione <strong>del</strong>l’ISMU – <strong>Regione</strong> Lombardia sull’Osservatorio<br />

sulla tratta, poi il coffee break.<br />

Per primo diamo la parola, per il resoconto <strong>del</strong> gruppo sulla formazione, a<br />

Pietro Basso, <strong>del</strong>l’Università Ca’ Foscari di Venezia, con la preghiera se possibile,<br />

di stare nei 10-12 minuti previsti per ognuna <strong>del</strong>le per le tre comunicazioni.<br />

Pietro Basso<br />

Buongiorno. Direi che la prima cosa che è emersa ieri dai lavori <strong>del</strong> nostro<br />

gruppo è l’importanza <strong>del</strong> processo di formazione degli operatori direttamente<br />

impegnati in questa azione di contrasto alla tratta <strong>del</strong>le donne da<br />

avviare alla prostituzione, in questo caso dall’est, ma anche più in generale.<br />

L’importanza <strong>del</strong>la formazione degli operatori in un duplice senso: come formazione<br />

alla comprensione di questo fenomeno, alla comprensione <strong>del</strong>le sue<br />

radici, <strong>del</strong>la sua ampiezza, <strong>del</strong>le sue conseguenze, e come formazione alla<br />

progettazione <strong>del</strong>l’intervento. Importanza <strong>del</strong>la formazione degli operatori<br />

<strong>del</strong>la sicurezza e degli operatori sociali impegnati in questo campo che non<br />

vanno considerati semplicemente come persone che devono eseguire ordini,<br />

“usi ad obbedir tacendo”per così dire,ma come dei protagonisti di una azione<br />

difficile (assolutamente necessaria, ma difficile), la cui riuscita, il cui esito (se<br />

non si vuole un esito semplicemente “cosmetico”) dipende, anche, proprio<br />

dall’approfondimento <strong>del</strong>le motivazioni ad agire in questa direzione.Per l’approfondimento<br />

<strong>del</strong>le motivazioni, è sempre fondamentale l’analisi dei<br />

141


142<br />

processi, la formazione. Questo processo formativo si è svolto nei due corsi<br />

che si sono tenuti,con contenuti e modalità differenti,che io naturalmente qui<br />

non posso riferire.Tra i due corsi c’è stato un elemento comune, che è emerso<br />

con chiarezza ieri: lo sforzo di coinvolgere in prima persona, dall’inizio alla<br />

fine dei corsi, i partecipanti. Quindi, non dei corsi di formazione che prevedessero<br />

un ascolto passivo, bensì una compartecipazione piena dei corsisti,<br />

trattandosi di persone che hanno acquisito sul campo esperienze in molti casi<br />

di grande rilievo.<br />

Il fenomeno con cui ci si è misurati in questi corsi è stato esaminato, in particolare<br />

in quello che ho diretto io, nelle sue cause di fondo, esterne (le disuguaglianze<br />

di sviluppo, i processi di femminilizzazione <strong>del</strong>la povertà,<br />

soprattutto nell’est Europa, etc.) ed interne (la domanda di prostituzione che,<br />

disgraziatamente,è presente nella nostra società),ed insieme esterne-interne<br />

(cioè le organizzazioni <strong>del</strong>la criminalità organizzata operanti su scala internazionale<br />

come su scala nazionale). La interrogazione sulle cause profonde di<br />

questo fenomeno è stata utile, indispensabile per evitare ogni forma di criminalizzazione<br />

<strong>del</strong>le vittime e per avere presente l’ampiezza e la profondità <strong>del</strong><br />

fenomeno e, di conseguenza, l’ampiezza e la profondità <strong>del</strong>le forze che si<br />

tratta di attivare per esercitare un’azione di contrasto efficace. Quanto<br />

all’azione di contrasto, direi che sono emerse almeno tre sottolineature.<br />

La prima è che in questa azione deve essere centrale l’attenzione, il riguardo<br />

alle vittime di questo processo.Vittime non solo perché “vittime <strong>del</strong>la tratta”,<br />

come in qualche banalizzazione <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione si tende a<br />

fare, vittime doppiamente perché oggetto di tratta e violate dalla prostituzione.<br />

E, quindi, al centro deve esserci, questo è emerso direi con estrema<br />

chiarezza, una azione, svolta il prima possibile, tesa alla riconquista alla vita<br />

sociale, una vita sociale sana, per chi esperimenta, attraverso questa condizione,<br />

una lenta o rapida morte sociale.<br />

Seconda sottolineatura: in questa azione di contrasto è fondamentale combinare<br />

con l’azione di recupero un’azione repressiva ferma contro chi va<br />

represso perché responsabile, sia esso cittadino italiano o non italiano, di<br />

sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione, e non semplicemente, è ovvio, di tratta e di<br />

traffico di esseri umani, ma soprattutto e in senso più ampio di sfruttamento<br />

<strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Terza sottolineatura: i protagonisti di questa azione combinata non possono<br />

essere solo gli operatori direttamente dedicati ad esso, ma ci vuole un<br />

processo sociale di coinvolgimento più largo, sia <strong>del</strong>le popolazioni autoctone,<br />

sia <strong>del</strong>le popolazioni immigrate. Un coinvolgimento maggiore <strong>del</strong>le forze<br />

autoctone, soprattutto per quello che riguarda un’azione preventiva (ieri si è<br />

usato il termine “educazione”, e mi sembra appropriato) che contrasti quella<br />

che io chiamerei la banalizzazione <strong>del</strong>la prostituzione e <strong>del</strong> ricorso alla prosti-


tuzione, e tratti invece questo per quello che è: un processo patologico, che,<br />

disgraziatamente, ci stiamo abituando a considerare abbastanza normale. Il<br />

coinvolgimento <strong>del</strong>le popolazioni immigrate,invece,è stato invocato non solo<br />

nella veste di presenza di mediatori linguistico-culturali (la questione <strong>del</strong>la<br />

lingua, si è detto, è una questione fondamentale, così come lo è una buona<br />

conoscenza <strong>del</strong>la storia, <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong>le persone coinvolte), ma, al di là di<br />

questa figura particolare, che pure è indispensabile sia nell’intervento sociale<br />

che nell’intervento di polizia, è stato sottolineato il fatto che queste popolazioni<br />

vanno coinvolte e rese più attive e compartecipi perché sono tra le<br />

prime a pagare le conseguenze stigmatizzanti di una presenza <strong>del</strong>la prostituzione<br />

di donne immigrate sulle strade e fuori dalle strade.<br />

Si è detto,attenzione: si tratta di un fenomeno in trasformazione,nei confronti<br />

<strong>del</strong> quale sarebbe superficiale cantare vittoria per il semplice fatto che<br />

sparisce dai nostri occhi; bisogna inseguirlo e anticiparlo, se è possibile, nelle<br />

sue metamorfosi. Metamorfosi che alle volte, ancorché presentino agli occhi<br />

<strong>del</strong> cittadino comune il vantaggio di “non arrecargli disturbo”, possono<br />

avvenire in condizioni tali,per esempio nelle case,in luoghi deputati a questo,<br />

chiusi e sottratti a quel tanto di attenzione pubblica che invece si ha per i<br />

fenomeni che avvengono sulle strade, nelle quali le donne trafficate o prostituite<br />

(come io credo sia più giusto dire invece che prostitute), le donne prostituite<br />

sono costrette, forse, da vincoli ancora più gravi che se rimanessero<br />

sulle strade. Questo è stato non solo uno degli interrogativi, ma anche una<br />

<strong>del</strong>le sottolineature più interessanti emerse nella discussione.<br />

In conclusione, direi che dai corsi è emersa una convergenza spontanea,<br />

anche calda, verso il secondo livello <strong>del</strong>la formazione nel quale ci si aspetta di<br />

potere tradurre l’istanza di sinergia che sta dietro la parola “rete”in una realtà<br />

di integrazione tra logiche di intervento che alle volte confliggono fra di loro e<br />

che, invece, dovrebbero combinarsi e integrarsi reciprocamente in una riprogettazione<br />

degli interventi capace di porsi all’altezza <strong>del</strong>le trasformazione di<br />

questi fenomeni. Per contrastare con maggiore efficacia la tratta <strong>del</strong>le donne<br />

dall’est è necessario anche accrescere l’attenzione pubblica sul fenomeno non<br />

solo attraverso una comunicazione più adeguata, ma anche e soprattutto<br />

attraverso una presa di coscienza <strong>del</strong>la necessità di un’azione di contrasto più<br />

energica nei confronti di questo processo.<br />

Andrea Stuppini<br />

Ringraziamo Pietro Basso per la comunicazione sulla formazione, quindi<br />

per la seconda relazione su mass media e comunicazione diamo la parola, e<br />

la ringraziamo per il contributo che sta dando al progetto,a Christiana Wei<strong>del</strong><br />

che è presidente <strong>del</strong>l’Associazione Mountain Unlimited di Vienna.<br />

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144<br />

Christiana Wei<strong>del</strong><br />

Nel workshop di ieri sulla comunicazione vi siete persi molte intuizioni,<br />

molti nuovi concetti che avreste potuto far vostri. Il workshop di ieri<br />

riguardava la comunicazione, come rivolgersi alle comunità locali ed il ruolo<br />

dei mass media. Abbiamo discusso moltissimo di come dovremmo parlare di<br />

questo fenomeno, di cosa dire, di come aumentarne la consapevolezza, di<br />

cosa chiedere ai cittadini.<br />

La nostra moderatrice, Carla Trampini, ci ha guidato con garbo per tutto il<br />

pomeriggio, ci ha motivato più volte ad entrare insieme nel mondo <strong>del</strong>la<br />

comunicazione e <strong>del</strong>l’informazione. Quindi vorrei riassumere che cosa<br />

abbiamo sentito dagli esperti e se poi vorrete parlare con loro, vi prego di non<br />

esitare.<br />

Prima di tutto abbiamo ascoltato Claudio Renzetti che ci ha riferito dei punti<br />

fondamentali nella comunicazione sociale. Che cosa riguarda la comunicazione<br />

sociale? Si tratta di dialogo? Non è soltanto spiegare la portata <strong>del</strong><br />

fenomeno e gestire l’impatto <strong>del</strong>le problematiche. Quando si parla <strong>del</strong><br />

traffico di donne, devono essere ascoltate anche le voci <strong>del</strong>le protagoniste,<br />

perché ognuna di loro ha una storia da raccontare. Se si porta avanti un tale<br />

confronto tra i cittadini, il dialogo che si crea ha bisogno di determinati criteri,<br />

a causa dei possibili malintesi, conflitti e persino contraddizioni. Il cittadino di<br />

cui stiamo parlando è una specie di spettatore, colui che legge i giornali, che<br />

ascolta e che vede. Come, allora, trasformare lo spettatore in un cittadino<br />

responsabile, sensibile e pensante? Che possa agire o che possa prevenire il<br />

crimine all’interno <strong>del</strong>la comunità che lo circonda? Così abbiamo deciso di<br />

aiutarlo e sostenerlo tramite l’informazione. Abbiamo infatti imparato da<br />

Claudio Renzetti che non possiamo parlare di immigrazione illegale e di<br />

traffico di donne senza educare, il che significa comunicazione sociale, come<br />

abbiamo sentito... Parlare di problemi sociali, spiegare il fenomeno, far<br />

sentire le voci alla gente ed educare.<br />

Per cui, se vi state chiedendo: “Ok, come possiamo farcela?”, vi vorrei<br />

ricordare l’intervento di Stefania Cavalaglio e Stefania Alunni <strong>del</strong> Comune di<br />

Perugia che hanno sviluppato una serie di strumenti, di metodi di lavoro al<br />

fine di coinvolgere l’intera comunità; pensate alla vostra comunità, a dove<br />

vivete, a come la si potrebbe coinvolgere. Quindi Stefania e Stefania ci hanno<br />

detto di rintracciare prima di tutto i protagonisti, le istituzioni, le scuole, la<br />

polizia,i politici,la chiesa,gli studenti,gli opinionisti e di parlare con loro <strong>del</strong>la<br />

portata e <strong>del</strong>l’impatto <strong>del</strong> traffico di donne nell’ambiente loro circostante,non<br />

altrove, lontano, in Ucraina, a Budapest, a Vienna, ma all’interno <strong>del</strong>la loro<br />

comunità. Forse li si può anche condurre sui luoghi comuni, mostrarne<br />

impatto e risultati.<br />

Si produrrà un catalogo di voci e luoghi, una sorta di atlante e si vorrebbe svi-


luppare una carta <strong>del</strong>la comunità e per la comunità riguardante la qualità<br />

<strong>del</strong>la vita.Il 10 dicembre,come ho sentito,proprio il giorno <strong>del</strong>la celebrazione<br />

dei diritti umani in tutto il mondo, organizzeranno un evento. Hanno inoltre<br />

proposto di provare con un workshop teatrale e, dal momento che qui ci<br />

troviamo in un vero e proprio teatro, pensate a cosa succederebbe se organizzassimo<br />

ora un gioco di ruolo e vi si chiedesse di partecipare: come vi comportereste?<br />

Penso che vi sentireste molto coinvolti.<br />

Poi abbiamo ascoltato una giornalista che ci ha parlato <strong>del</strong> ruolo dei mass<br />

media. Ci ha fatto sentire alcune <strong>del</strong>le voci <strong>del</strong>le protagoniste. Inoltre ci ha<br />

parlato degli spettatori e di come trasformarli in cittadini attivi.Ci ha detto che<br />

proprio in questo momento siamo di fronte a nuove prospettive, perché<br />

veniamo a conoscenza di molti dati ed informazioni da questo progetto. Ci ha<br />

anche detto: “Immaginate... immaginate che si tratti di vostra figlia, vostra<br />

sorella, un’amica o una vicina ad essere stata venduta e violentata”. Ci ha<br />

detto che una notte ha girato per le strade di Perugia e ha contato 350 giovani<br />

donne che si prostituivano per strada. Pensate veramente che siano arrivate<br />

là perché gli piace una vita come quella, perché è così divertente e loro sono<br />

così felici? Ci ha detto che dobbiamo comunicare e far comunicare le vittime,<br />

i protagonisti. Raccontare una storia in un giornale è come raccontarle tutte,<br />

da una parte, ma dall’altra si mostrano i problemi da prospettive molto<br />

diverse, per rendere visibile ciò che è invisibile. Bisogna dare alla gente gli<br />

strumenti per capire il panorama generale.<br />

Il contributo <strong>del</strong>le mie colleghe Birgit Wolf e Lenka Nieblova ci ha condotto<br />

attraverso le attività informative che si svolgono in Austria. Lenka ha creato<br />

un sito web e se lo visitate vedrete la foto di una ragazza molto carina e se ci<br />

cliccate sopra, che cosa vi aspettate di vedere? È giovane e molto carina, vi<br />

aspettate probabilmente che si spogli. O cosa potrebbe fare? Allora se clicchiamo<br />

su questa foto, il viso felice si trasforma in triste e troviamo molte<br />

informazioni sulla portata e l’impatto <strong>del</strong> traffico di donne, veniamo a conoscenza<br />

di molti dati, di articoli nuovi da tutto il mondo, tutto si concentra sul<br />

problema e la tristezza <strong>del</strong> traffico di donne. Quindi questo è il modo in cui<br />

Lenka Nieblova vuole mostrare alla gente, al mondo, al pubblico che effetto<br />

ha il traffico di donne su tutti noi.<br />

In Austria stiamo raccogliendo informazioni e Birgit Wolf ci ha riferito quanto<br />

importante sia cercare e diffondere informazioni circa la terminologia che si<br />

utilizza... La terminologia, le parole utilizzate ed il loro impatto quando le si<br />

legge.Ha terminato il suo contributo rivolgendosi alla Commissione Europea,<br />

che sostiene, come voi saprete, questo progetto.Vorremmo anche dare un<br />

sostegno a noi stessi come cittadini pubblicando ogni anno un report dal titolo<br />

”Che cosa è stato fatto in Europa contro il traffico di donne?”Come data lei ci<br />

ha proposto il 2 novembre, e forse saprete che quel giorno una ragazza<br />

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ventenne, carina, che veniva dall’Ucraina, di nome Olena, è morta in Bosnia,<br />

a causa <strong>del</strong>l’AIDS, <strong>del</strong>la sifilide, <strong>del</strong>l’epatite e di altre terribili malattie... e la<br />

gente non si è chiesta come avesse potuto contrarle a soli 21 anni, ma diceva:<br />

“È terribile, molte persone potevano essere contagiate...”. Così tanti studenti<br />

ed insegnanti e poliziotti e politici e cittadini. Per cui ci ha detto: “Dobbiamo<br />

fare qualcosa a riguardo, la Commissione Europea ci deve far avere i report,<br />

report veramente dettagliati, nei quali possiamo leggere gli effetti e l’impatto<br />

<strong>del</strong> traffico di donne; quindi vorremmo raccogliere una sorta di “report Olena”<br />

il 2 novembre di ogni anno”.<br />

In seguito si è fatto maggiormente luce sul cliente, più di quanto non lo si<br />

faccia abitualmente e Patrizia Di Berardino ci ha mostrato le iniziative<br />

riguardanti i clienti e penso che questo sia molto interessante per tutti voi,che<br />

vi porti a una nuova consapevolezza. Ci ha parlato di un’iniziativa rivolta a<br />

1000 clienti potenziali che ne ha coinvolto 50 in un’azione pilota. Penso che<br />

tale azione avrà grande impatto in futuro.<br />

Nell’ultimo contributo Luca Baldassarre ci ha riferito dei check point sociali<br />

che sono un valido strumento di informazione per le prostitute, considerate<br />

come gruppo target. Ci ha introdotto nella struttura di aiuti che può essere<br />

organizzata in luoghi comuni quali aeroporti, strade, quartieri poveri. Se<br />

penso a ieri mi viene in mente anche una frase detta da qualcuno: “I clienti<br />

sono clienti solo per alcuni minuti e dopo sono di nuovo cittadini come me e<br />

te”. Per cui la comunicazione, per concludere, come emerge dalla discussione<br />

e dagli interventi di ieri,riguarda la terminologia,l’uso <strong>del</strong>le parole e anche la<br />

responsabilità e la sensibilizzazione <strong>del</strong>la gente, non solo dei mass media ma<br />

di tutti noi, perché tutti siamo cittadini. Grazie.<br />

Andrea Stuppini<br />

Grazie Christiana, che, come avete visto, con il suo inseparabile computer<br />

aveva già preso appunti precisi ieri, quindi con precisione teutonica ha fatto<br />

un resoconto molto vivo dei lavori, ci ha dato una lezione; ovviamente i<br />

progetti europei servono anche a questo,come si lavora in queste circostanze.<br />

Per l’ultima <strong>del</strong>le tre comunicazioni,la parola a Marco Bufo,coordinatore <strong>del</strong>l’Associazione<br />

On the Road.<br />

Marco Bufo<br />

Buongiorno a tutte e a tutti. Sono qui, sia nella veste di coordinatore <strong>del</strong>l’Associazione<br />

On the Road, che di referente scientifico <strong>del</strong>l’ARS <strong>del</strong>la<br />

<strong>Regione</strong> Marche, e siamo stati incaricati di coordinare la sessione di lavoro<br />

che si è svolta ieri in merito ai servizi di tutela e di accompagnamento per l’inclusione<br />

sociale e lavorativa <strong>del</strong>le persone vittime <strong>del</strong> trafficking, cercando di<br />

cogliere l’apporto <strong>del</strong> progetto W.E.S.T., attraverso le azioni realizzate dai


diversi partner in termini di innovazione, per enucleare anche quali siano<br />

quegli elementi possibilmente trasferibili, appunto dalla esperienza di<br />

W.E.S.T., al contesto più ampio a livello italiano. Diciamo che siamo partiti da<br />

due frontiere che sono reali, ma simboliche, al tempo stesso: le frontiere con<br />

l’Austria e con la Slovenia, dove si è realizzato proprio un intervento di “accoglienza<br />

di frontiera”; passando attraverso la “tutela legale” <strong>del</strong>le persone<br />

vittime <strong>del</strong>la tratta mediante i programmi <strong>del</strong>l’art. 18, volti all’inclusione<br />

socio-lavorativa, siamo arrivati ad altre due frontiere, reali e simboliche al<br />

tempo stesso, anche queste: e cioè quella <strong>del</strong> pieno inserimento sociale<br />

attraverso l’inserimento lavorativo, quando la persona decide di rimanere sul<br />

territorio <strong>del</strong> Paese di destinazione (in questo caso l’Italia), o un’alternativa a<br />

questo tipo di scelta, e cioè quella <strong>del</strong> rientro, che nel progetto è stato denominato<br />

“rimpatrio onorevole”, ma al quale si potrebbero aggiungere altri<br />

aggettivi, che poi andiamo a vedere.<br />

Allora,se vogliamo rimanere in questa metafora <strong>del</strong> viaggio <strong>del</strong>le migranti,un<br />

viaggio contrassegnato dal partire, ma dallo stare, dallo spostarsi, dall’essere<br />

spostate, dal ripartire e dal partire ancora, tra mille difficoltà, condizionamenti,<br />

forzature, scelte o non scelte, un percorso molto complesso, fatto in<br />

diversi contesti ed incontrando una molteplicità di attori, ecco, se vogliamo<br />

utilizzare questa metafora, noi abbiamo cercato di lavorare anche sulla definizione<br />

di “nuove tappe” <strong>del</strong> viaggio e “nuove frontiere” per coloro che<br />

operano in questo settore, per l’ampia compagine di attori che, da vari punti<br />

di vista e con diversi ruoli, intervengono da una parte per la tutela e l’inclusione<br />

sociale <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong>la tratta e dall’altra per il contrasto alla criminalità;<br />

due aspetti che però, è importante sottolinearlo per quanto spesso<br />

ripetuto, sono strettamente congiunti.<br />

Una rapida carrellata per farvi cogliere un po’, anche nella concretezza, gli<br />

aspetti e le esperienze che siamo andati ad analizzare. Il primo progetto è<br />

quello <strong>del</strong>l’accoglienza di frontiera realizzato dalla Caritas di Udine sul<br />

confine sloveno e austriaco, facendo un lavoro proprio di frontiera in tutti i<br />

sensi: cercando di capire come le donne potessero essere contattate, identificate,<br />

informate, come i diritti di queste persone potessero essere promossi,<br />

in quella fase particolare che è l’arrivo nel Paese di destinazione, l’Italia. Su<br />

questo è stato fondamentale un lavoro difficile, apparentemente impossibile<br />

all’inizio, ma risultato in seguito, invece, non solo realizzabile ma fruttuoso,<br />

con le forze <strong>del</strong>l’ordine, in particolare dentro le caserme. Infine, passeremo<br />

anche ad una serie di indicazioni di carattere generale; quindi un lavoro molto<br />

interessante che ha dato dei frutti e che ci fa pensare anche ad altri scenari.<br />

La seconda esperienza è quella <strong>del</strong>la tutela legale, realizzata dalla <strong>Regione</strong><br />

Lombardia,con un’ampia partnership: con la Fondazione ISMU da una parte,<br />

ma anche con tutta la rete <strong>del</strong>le organizzazioni no-profit che intervengono in<br />

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questo campo (la Caritas, la cooperativa Farsi prossimo, la cooperativa Lotta<br />

contro l’emarginazione, l’Associazione Irene, l’Associazione Lule e i Padri<br />

Somaschi), che hanno potuto offrire una serie di professionalità e di competenze,<br />

in particolare quella giuridica e quella sociale, mettendo in piedi<br />

un’équipe legale di avvocati, di consulenti legali, che però lavorano in stretta<br />

interazione con la parte sociale <strong>del</strong>l’intervento e facendo, in questa fase, un<br />

grande lavoro di interazione con le forze <strong>del</strong>l’ordine. Nello specifico la<br />

prossima frontiera è quella di allargare la collaborazione alla Magistratura.<br />

La terza esperienza riguarda l’attuazione dei programmi art. 18 di assistenza<br />

e integrazione sociale. Ci si è concentrati su un mo<strong>del</strong>lo che è stato sperimentato<br />

dall’Associazione On the Road in Abruzzo, che adesso viene attuato<br />

nelle Marche dalla <strong>Regione</strong> e dall’ARS, denominato “Presa in carico territoriale”,<br />

nato sotto la spinta e l’esigenza di dare flessibilità a questi programmi,<br />

per rispondere sempre di più alle esigenze <strong>del</strong>le persone attraverso<br />

forme e modalità di accompagnamento individualizzato. Infatti, a volte,<br />

il mo<strong>del</strong>lo, che possiamo dire consolidato, <strong>del</strong>le strutture di accoglienza<br />

<strong>del</strong>l’art. 18 diventa troppo stretto come modalità di presa in carico per<br />

persone che hanno già raggiunto un certo livello di autonomia ed hanno già<br />

costruito <strong>del</strong>le reti sociali sul territorio. Quindi si è cercato di capire come<br />

questo tipo di intervento, realizzato sempre con la titolarità <strong>del</strong>l’Ente responsabile<br />

<strong>del</strong> programma art.18,ma in collaborazione con i servizi sociali <strong>del</strong> territorio,<br />

con le altre agenzie non specializzate in tema di art. 18, possa accompagnare<br />

le donne in un percorso di inclusione sul territorio nella comunità<br />

locale.<br />

Abbiamo poi inserito nel programma anche un’esperienza che non è propria<br />

di W.E.S.T., ma che ci sembrava importante per chiudere il cerchio e cioè<br />

quella <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo. È stato quindi illustrato un mo<strong>del</strong>lo concepito<br />

e sperimentato dall’Associazione On the Road fin dal 1997, successivamente<br />

adottato anche da altri enti in diversi contesti geografici, denominato<br />

“formazione pratica in impresa”. Perché? Perché è chiaro che l’inclusione<br />

sociale non può prescindere dall’inserimento lavorativo, ma anche<br />

perché si è tentato, attraverso questa esperienza di fornire, da una parte<br />

percorsi flessibili, anche qui, individualizzati, dando loro la possibilità di<br />

inserirsi in aziende e sperimentarsi, ma, dall’altra parte, di sperimentarsi non<br />

in contesti lavorativi protetti, bensì nel mercato <strong>del</strong> lavoro normale. Se in precedenza<br />

il mo<strong>del</strong>lo ha funzionato con pieno successo, garantendo non solo un<br />

significativo percorso di formazione e apprendimento on the job ma anche,<br />

nel 95% dei casi, un effettivo inserimento occupazionale, adesso l’efficacia<br />

<strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo è incrinata dalla generale precarizzazione <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro.<br />

Infine, un’altra esperienza realizzata nel progetto W.E.S.T. è rappresentata<br />

dalla strutturazione di una possibile alternativa al rimanere nel Paese di desti-


nazione, e cioè il rientro in patria, su cui si stanno sperimentando la Provincia<br />

Autonoma e l’Università di Trento,cercando di capire come poter garantire dei<br />

percorsi di rimpatrio nel momento in cui viene effettuata questa scelta, quindi<br />

sulla base <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong>la persona interessata offrendo al contempo una<br />

base di sicurezza e di possibile reinserimento sociale effettivo sul territorio.<br />

Anche su questa tematica tornerò velocemente alla fine.<br />

Adesso traccio rapidamente alcune <strong>del</strong>le frontiere <strong>del</strong>le prossime tappe <strong>del</strong><br />

viaggio che abbiamo iniziato. Rispetto alla prima esperienza, quello che<br />

emerge come tratto distintivo è il tema <strong>del</strong> primo contatto con le vittime <strong>del</strong><br />

traffico di esseri umani e quello <strong>del</strong>l’identificazione.Il tema si può declinare in<br />

termini di luoghi per esempio; i luoghi in cui intervenire sono allora le<br />

frontiere vere e proprie, i confini, ma anche i luoghi di transito e di flusso<br />

(porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, stazioni degli autobus...) in cui,<br />

attraverso un’altra azione di W.E.S.T., si prevede a breve di effettuare una<br />

sperimentazione. Altri luoghi sono le fermate, per dirla così, pensando al<br />

momento in cui le persone vengono effettivamente fermate dalle forze <strong>del</strong>l’ordine,<br />

ad esempio le caserme sul confine, gli uffici immigrazione <strong>del</strong>le<br />

Questure, i C.P.T., il carcere... Ma il concetto dei luoghi si può declinare anche<br />

in termini di luoghi di sfruttamento. Allora, pensando al trafficking a scopo di<br />

sfruttamento sessuale, occorre considerare non più soltanto la strada, ma<br />

contesti nuovi (se ne parlerà nella seconda parte <strong>del</strong>la mattinata) quali gli<br />

appartamenti oppure i locali notturni, i night e così via, che, dalle prime esperienze<br />

che si stanno realizzando sicuramente evidenziano, comunque, la<br />

presenza di forme di sfruttamento legate al trafficking più sfuggenti ma che,<br />

a volte, non si vogliono vedere e che certe proposte di legge vorrebbero<br />

portare a rendere ancora più invisibili. Questa nuova frontiera pone agli operatori<br />

sociali la sfida di elaborare e sperimentare nuove modalità di approccio<br />

(ad esempio nel progetto Equal Strada, nei territori di Pisa, Potenza,Trento,<br />

<strong>del</strong>l’Abruzzo e <strong>del</strong>le Marche è stata effettuata una prima ricerca-intervento ed<br />

ora On the Road, che ha condotto il progetto dal punto di vista scientifico,<br />

dalla metà <strong>del</strong> 2003 sta portando avanti una sperimentazione di intervento<br />

negli appartamenti), ma pone anche il problema di come congiungere lo<br />

sforzo, pur nella distinzione dei ruoli, <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine e degli operatori<br />

sociali. Un inciso sul tema dei locali: al di là <strong>del</strong>l’immagine stereotipata <strong>del</strong>la<br />

“donna con i soldi” e, magari,“con il bolide”, in realtà, ci sono all’interno di<br />

questa situazione anche <strong>del</strong>le condizioni di sfruttamento, diciamo, legittimate<br />

dalla nostra legislazione.Probabilmente ciò è sfuggito al legislatore,però è un<br />

aspetto su cui è necessario porre l’attenzione, perché in Italia esiste un<br />

permesso di soggiorno per spettacolo, che è fuori dalle quote, fuori dai flussi,<br />

ma che è vincolato allo stesso datore di lavoro. Cioè una donna che arriva per<br />

lavorare in un night, per mantenere il permesso di soggiorno, pur rimanendo<br />

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nello stesso settore, non può cambiare datore di lavoro; capite quindi quali<br />

rischi ci siano, come sia ricattabile la persona in questa situazione.<br />

Il tema <strong>del</strong> primo contatto e <strong>del</strong>l’identificazione si può declinare anche nei<br />

termini di quali sono le persone con cui abbiamo a che fare o con cui<br />

dovremmo avere a che fare (non solo donne ma anche uomini, transgender,<br />

adulti e minori), e quali sono anche le forme di sfruttamento legate al trafficking,<br />

non più soltanto nell’industria <strong>del</strong> sesso, ma anche nel lavoro<br />

domestico (è emerso ad esempio dal progetto <strong>del</strong>la Caritas di Udine come<br />

molte donne vengano trafficate per fare le badanti, per dirla con questo<br />

termine brutto) o nel lavoro nero, laddove esiste un sommerso nel sommerso.<br />

Allora, la sfida è capire e riuscire ad intervenire in questa complessità per<br />

coglierne i meccanismi anche più nascosti e riuscire a raggiungere le persone<br />

vittime <strong>del</strong> traffico di esseri umani per tutelarne e promuoverne i diritti.<br />

Pensando alle forze <strong>del</strong>l’ordine un problema di fondo è come far sì che l’art.<br />

18 sia veramente noto ed applicato in maniera diffusa ed uniforme. Per<br />

esempio, dall’esperienza <strong>del</strong> progetto è emerso che i Comandi di confine o<br />

anche certi comandi periferici <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine (che sono spesso quelli<br />

che per primi entrano in contatto con le vittime) neppure non conoscono l’art.<br />

18; oltre a ciò ricordo l’annoso problema di una applicazione <strong>del</strong>l’art. 18<br />

ancor oggi, anche dove è conosciuto, parziale e non omogenea, per cui in<br />

alcune Questure il percorso sociale, che non richiede una collaborazione<br />

immediata e diretta <strong>del</strong>la vittima (che pure è uno dei punti di forza <strong>del</strong><br />

sistema) non viene contemplato. A questi aspetti (l’informazione, l’identificazione<br />

<strong>del</strong>le vittime, la corretta modalità di porsi in relazione...) è legato il<br />

problema di come fare informazione e promozione dei diritti alle persone. Un<br />

tema che non può essere <strong>del</strong>egato solo ad una parte ma sul quale occorre che<br />

ciascuno faccia la propria parte, prevedendo anche un lavoro congiunto fra<br />

forze <strong>del</strong>l’ordine e operatori sociali (sarà interessante osservare il processo di<br />

formazione congiunta di questo tipo che verrà sperimentato in W.E.S.T.).<br />

Anche il tema <strong>del</strong>la tutela legale ha fatto emergere come sia importante congiungere<br />

l’area giuridica con quella sociale, e come sia fondamentale un’integrazione<br />

su più livelli, tra diverse professionalità, fra pubblico e privato, tra<br />

sociale e forze <strong>del</strong>l’ordine, andando inoltre a creare un rapporto più strutturato<br />

con la Magistratura. Un tema ad oggi non approfondito abbastanza e<br />

che, adesso, si impone ancora di più, alla luce <strong>del</strong>la nuova legge sulla tratta di<br />

persone, la n. 228 <strong>del</strong> 2003, in cui peraltro si assegna un ruolo peculiare alle<br />

Procure Distrettuali Antimafia. Quindi, anche a tal proposito è necessario<br />

capire come, nel contesto regionale ad esempio si possa creare un raccordo<br />

strutturato tra gli attori in campo. Certamente ci sarebbe bisogno, visto che<br />

siamo ancora in attesa di un regolamento di attuazione sulla legge che vi ho<br />

citato,di un coinvolgimento degli attori in campo.Non so se siano già presenti


in sala i rappresentanti <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>l’Interno e <strong>del</strong> Dipartimento per le<br />

Pari Opportunità; auspicheremmo che ci fossero degli strumenti, dei luoghi,<br />

degli spazi per ragionare insieme su come dare attuazione a questa legge<br />

sulla tratta, così come sarebbe importante re-istituire un organismo di confronto<br />

sull’art. 18, sull’applicazione <strong>del</strong>l’art. 18.<br />

Sul tema dei programmi di tutela e inclusione sociale <strong>del</strong>le vittime, emerge<br />

l’esigenza di andare sempre di più verso programmi su misura <strong>del</strong>le persone.<br />

Il fenomeno è cambiato, sono cambiate le modalità di sfruttamento, sono<br />

cambiate le prospettive <strong>del</strong>le persone, anche i progetti migratori sono<br />

cambiati. Risalta allora l’esigenza di lavorare di più sul territorio, di lavorare<br />

di più in rete, quindi anche con le agenzie non specializzate in materia di art.<br />

18. Anche come no-profit specializzato dobbiamo uscire da una sorta di autoreferenzialità,<br />

per lavorare di più con tutte le agenzie <strong>del</strong> territorio e con la<br />

comunità locale. Un simile approccio da una parte può dare sicuramente<br />

maggiori risorse e possibilità (pensiamo ad esempio alla limitatezza dei posti<br />

di accoglienza nel contesto nazionale; oppure al mo<strong>del</strong>lo poliedrico <strong>del</strong>la<br />

presa in carico territoriale), tenendo tuttavia in debito conto che la rete<br />

impone un grandissimo lavoro di mappatura, di contatto e di manutenzione<br />

<strong>del</strong>la rete stessa.<br />

Sul tema <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo è certamente necessario continuare a<br />

strutturare mo<strong>del</strong>li e creare strumenti per un inserimento nel mercato <strong>del</strong><br />

lavoro normale.Tuttavia occorre fare i conti con un mercato <strong>del</strong> lavoro che è<br />

sempre più flessibile e precario. Questo, se pone in difficoltà le persone<br />

normali, sicuramente lo fa ancor di più con le persone che partono da una<br />

situazione non paritaria. Un aspetto di questa problematica su cui incidere è,<br />

ad esempio, far sì che il permesso di soggiorno ex art. 18 sia convertibile in<br />

motivi di lavoro anche quando sia presente un lavoro para-subordinato. Se<br />

ciò può avvenire in taluni contesti (ad esempio, all’interno <strong>del</strong> protocollo<br />

firmato tra l’Associazione On the Road e la Questura di Ascoli Piceno è già<br />

stato stabilito), sarebbe importante però che non ci fosse un margine di<br />

discrezionalità, ma che vi fosse, all’interno <strong>del</strong> regolamento di attuazione<br />

<strong>del</strong>la Bossi-Fini, che deve ancora uscire, un riferimento preciso. Attualmente<br />

la bozza di regolamento, in riferimento al comma 5 <strong>del</strong>l’art. 18, dice che “il<br />

permesso di soggiorno può essere convertito per lavoro”, quindi c’è un avanzamento<br />

rispetto al comma 5 che recita “per lavoro subordinato”. Però lascia<br />

un margine di discrezionalità che sarebbe bene superare precisando nel testo<br />

“per lavoro subordinato e para-subordinato”, perché la realtà è questa: un<br />

mercato <strong>del</strong> lavoro in cui, sulla base di una normativa che lo consente in<br />

maniera strutturale e diffusa, vengono stipulati sempre più frequentemente<br />

contratti atipici.<br />

Sul tema <strong>del</strong>la transnazionalità, <strong>del</strong> rientro in patria <strong>del</strong>le vittime <strong>del</strong> traf-<br />

151


152<br />

ficking, il filo conduttore dovrebbe essere questo: la scelta consapevole e<br />

volontaria <strong>del</strong>la persona come principio su cui basare l’intervento e, conseguentemente,<br />

la priorità di garantire un rientro sicuro. A tal proposito si<br />

potrebbe ragionare su quale ruolo possano avere la Magistratura e le forze<br />

<strong>del</strong>l’ordine italiane in raccordo con quelle <strong>del</strong> Paese d’origine, e forse qui la<br />

Direzione Nazionale Antimafia potrebbe avere un ruolo importante,che già in<br />

qualche modo ricopre. Il rientro dovrebbe offrire tuttavia anche <strong>del</strong>le reali<br />

opportunità di inserimento sociale: in tal senso occorre amplificare e strutturare<br />

meglio la rete dei contatti fra le organizzazioni no-profit e le organizzazioni<br />

che in quei Paesi possono garantire l’accompagnamento di questo<br />

processo. D’altra parte il tema <strong>del</strong>l’inserimento lavorativo, che sappiamo<br />

essere un nodo cruciale perché è stato spesso la spinta alla partenza da quei<br />

Paesi, può essere affrontato in diversi modi; uno di questi può essere rappresentato<br />

dal tentativo <strong>del</strong>la Provincia e <strong>del</strong>l’Università di Trento di attivare un<br />

rapporto con le aziende italiane che ormai lavorano stabilmente in questi<br />

Paesi.Certamente c’è l’esigenza di mettere in rete questi diversificati contatti.<br />

Oltre all’esperienza <strong>del</strong>l’OIM, che gestisce il progetto <strong>del</strong> rimpatrio assistito<br />

all’interno <strong>del</strong>le azioni di sistema <strong>del</strong>l’art. 18, oltre all’esperienza in atto in<br />

W.E.S.T., ci sono tutta una serie di contatti che le organizzazioni di settore<br />

hanno con questi Paesi. Probabilmente bisogna interrogarsi su come metterli<br />

in rete e ottimizzarli.<br />

In conclusione, come offrire futuro agli interventi in essere e in fase di sperimentazione<br />

sul fenomeno <strong>del</strong> traffico di esseri umani?<br />

Intanto, è stato ri-sottolineato ieri, è pressante la necessità di dare sostenibilità<br />

a questi interventi, e quindi chiedere, agli Enti locali, come pure all’Amministrazione<br />

centrale <strong>del</strong>lo Stato, di dare effettivamente gli strumenti, anche<br />

finanziari,per quel passaggio che si diceva ormai improcrastinabile che renda<br />

gli interventi <strong>del</strong>l’art. 18 effettivamente stabili ed efficaci: il passaggio da<br />

progetti a servizi; strumenti necessari anche per rendere esperienze pilota,<br />

come quelle realizzate in W.E.S.T., trasferibili e durature.<br />

Però questo sicuramente non basta e lo scenario <strong>del</strong> lavoro di rete crediamo<br />

che sia in questo senso essenziale, un lavoro di rete integrato in senso verticale<br />

e cioè top-down, ma anche bottom-up tra tutte le istituzioni e le organizzazioni<br />

che lavorano in questo campo, nonché in senso orizzontale tra le<br />

componenti di varia natura che operano su questo settore a livello locale sul<br />

territorio, a livello nazionale, ma anche a livello transnazionale.<br />

Andrea Stuppini<br />

Grazie a Marco Bufo. Quindi le tre comunicazioni già danno, secondo me,<br />

uno spaccato notevole di come sta procedendo W.E.S.T. e <strong>del</strong> tentativo di<br />

tenere insieme gli aspetti di studio e di ricerca <strong>del</strong> fenomeno con quelli poi


pratici e di attuazione <strong>del</strong>le politiche,e di attuazione <strong>del</strong>l’art.18 e di contrasto<br />

<strong>del</strong> fenomeno. Il lavoro di ieri, così com’è stato riassunto dai gruppi, ci dà un<br />

contributo importante che poi sarà raccolto tra poco e sintetizzato anche nella<br />

tavola rotonda.<br />

Prima <strong>del</strong> coffee break, diamo la parola a Patrizia Farina, che parla a nome<br />

<strong>del</strong>l’osservatorio Regionale <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> Lombardia, <strong>del</strong>l’ISMU, in particolare<br />

ovviamente <strong>del</strong>l’osservatorio sulla tratta.<br />

Patrizia Farina<br />

Questo intervento è a margine <strong>del</strong>le azioni-intervento riassunte questa<br />

mattina, ma non è certo un tema marginale quello che definisce come<br />

osservare e monitorare un fenomeno per conoscerlo e,quindi,per agire.Si può<br />

affrontare una descrizione <strong>del</strong>l’osservatorio utilizzando diverse chiavi di lettura;<br />

quella odierna suddivide l’impianto <strong>del</strong>l’osservatorio in due grandi categorie,<br />

quantitativa e qualitativa, tra loro correlate. Esse confluiscono in un software<br />

interrogabile da chiunque voglia avere informazioni sul tema <strong>del</strong>la tratta.<br />

Proverò a parlare prima <strong>del</strong>la dimensione qualitativa. L’interrogazione sul<br />

software avviene per parole chiave, suddivisibili in tre grandi gruppi: la<br />

dimensione pubblico-istituzionale, i soggetti e le finalità. Fra queste ultime vi<br />

sono quelle che rispondono alle azioni conoscere, valutare, contrastare e in<br />

questo senso anche i progetti come W.E.S.T. entrano in questa dimensione<br />

come in quella quantitativa. Questa sezione <strong>del</strong>l’osservatorio ha carattere<br />

internazionale,soddisfacendo quindi la vocazione sopranazionale <strong>del</strong> progetto,<br />

ed è in fase avanzata di implementazione anche perché si tratta di un lavoro<br />

relativamente poco complesso e poco innovativo rispetto ad altre parti <strong>del</strong>l’Osservatorio<br />

trattandosi di un’archiviazione razionale di materiali già esistenti.<br />

Più interessante, invece, appare a noi la dimensione quantitativa <strong>del</strong><br />

fenomeno. Questa fase è sperimentata al momento solo sul territorio<br />

lombardo e prevede la valutazione <strong>del</strong>l’intensità <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la tratta, la<br />

sua numerosità, reperendo dati già resi pubblici oppure provando a produrne<br />

nuovi,a fare una stima <strong>del</strong> fenomeno a livello regionale.Questa stima si fonda<br />

sulla “logica dei semi”, dove i semi sono le organizzazioni concretamente<br />

coinvolte in quest’ambito distinte sulla mappa come A, B, C, D, ecc. A questi<br />

numerosi semi (attualmente 33) viene somministrata un’intervista che ha<br />

l’intenzione di definire la percezione soggettiva a) sulla dimensione <strong>del</strong><br />

fenomeno, b) sulle tendenze, cioè il flusso e c) sull’incidenza <strong>del</strong>le diverse<br />

tipologie. Si parte quindi da testimoni privilegiati, da persone informate dei<br />

fatti, per cercare di dare una valutazione attraverso la percezione soggettiva<br />

<strong>del</strong> fenomeno. Naturalmente questa procedura ha dei limiti che vanno tenuti<br />

ben presenti e se possibile superati: l’intersezione fra zone di influenza di<br />

ciascuno di questi semi; la mancanza di semi in alcune zone <strong>del</strong>la regione,ma<br />

153


154<br />

non <strong>del</strong> fenomeno; la sovrapposizione fra organizzazioni. Alcuni risultati di<br />

questa sezione <strong>del</strong>l’osservatorio saranno certamente inseriti nella pubblicazione<br />

finale.<br />

A parte la stima <strong>del</strong>l’intensità e <strong>del</strong>la numerosità, altri dati sono molto interessanti,sempre<br />

relativi ai caratteri misurabili.Fra questi si possono richiamare<br />

i cosiddetti dati dormienti – ad esempio quelli <strong>del</strong>le unità di strada o <strong>del</strong>le<br />

accoglienze – così definiti in quanto copiosi e relativamente di qualità, ma non<br />

trattabili per l’analisi e l’evoluzione <strong>del</strong> fenomeno sia per le differenti procedure<br />

di rilevazione di ciascuna organizzazione, sia per l’assenza di un contenitore<br />

comune ove depositarli.La mancanza di un coordinamento istituzionale<br />

concorre certamenrte a rendere difficile il processo di condivisione dei dati. Al<br />

fine di superare almeno lo scoglio <strong>del</strong>l’eterogeneità <strong>del</strong>le modalità di raccolta<br />

e <strong>del</strong>la trattabilità <strong>del</strong>le informazioni l’osservatorio ha proposto l’adozione di<br />

una scheda di rilevazione comune fra le unità di strada e le accoglienze.Queste<br />

ultime sono notevolmente interessanti non solo per la loro rilevanza quantitativa,<br />

ma anche perché consentono di individuare differenti percorsi dall’ingresso<br />

all’uscita. Non mi posso soffermare più a lungo su questa dimensione<br />

che ribadisco consideriamo centrale nel monitoraggio <strong>del</strong> fenomeno.<br />

Ci sono altri dati prodotti all’interno <strong>del</strong> progetto W.E.S.T. e già elaborati. Il<br />

Gruppo lombardo come sapete lavora anche con un’azione sulla tutela <strong>del</strong>le<br />

vittime di tratta, di cui avete sentito parlare poco fa. Il gruppo che opera in<br />

questa azione ha preparato una scheda di rilevazione <strong>del</strong>le attività da compilare<br />

a cura <strong>del</strong>le associazioni con particolare riferimento alle attività relative<br />

all’art. 18. I dati <strong>del</strong>le schede sono stati elaborati dall’osservatorio che è<br />

riuscito a produrre alcuni risultati, che saranno ulteriormente ampliati perché<br />

è una dimensione che consideriamo molto interessante. D’altra parte, la<br />

scheda che avete appena visto con le opportune modifiche potrà essere utilizzata<br />

anche cogliendo le attività di associazioni che non necessariamente si<br />

occupano <strong>del</strong>l’art.18 o <strong>del</strong>la tutela legale,e che potrebbero anche rispondere<br />

a una serie di domande relative ai dati generali, alle finalità, alla partnership,<br />

agli obiettivi, ai progetti in corso finanziati. Questo lavoro è in fase di organizzazione:<br />

verrà somministrato a tutti i gruppi, gli enti e le associazioni che<br />

lavorano sul territorio e che anche in modo non esclusivo si occupano <strong>del</strong><br />

fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione.<br />

Infine vi voglio mostrare un’azione tipica da osservatorio. L’osservatorio<br />

regionale sulla presenza straniera, promosso dalla <strong>Regione</strong> Lombardia e<br />

coordinato dalla Fondazione ISMU fra le altre attività organizza ogni anno una<br />

survey, che io stessa coordino, con la somministrazione di 8000 interviste, un<br />

campione notevole e rappresentativo <strong>del</strong> territorio regionale e provinciale.<br />

Nel corso <strong>del</strong> 2003, proprio in virtù <strong>del</strong> progetto W.E.S.T. sono state inserite<br />

due domande relative alla percezione <strong>del</strong> fenomeno <strong>del</strong>la tratta fra gli


stranieri presenti: in una è stato richiesto a ciascuno straniero se fosse al<br />

corrente che esistevano organizzazioni che attraggono le donne a fini di prostituzione<br />

e, qualora la risposta fosse stata “sì”, veniva richiesto anche se,<br />

secondo l’intervistato, venivano volontariamente, con la violenza o con<br />

l’inganno (o una combinazione di questi). Non c’è il tempo di illustrare tutti i<br />

risultati che convergeranno nella pubblicazione regionale, però, relativamente<br />

al fatto “conosce o non conosce questo fenomeno?”, cioè che ci sono<br />

organizzazioni che fanno venire le donne a fini di prostituzione, illustro alcune<br />

statistiche distinguendo fra presenti e presenti est-europei, dal momento che<br />

noi lavoriamo sugli est-europei.<br />

Nell’insieme, il 10% non intende rispondere, in questo caso la “non risposta”<br />

ha un significato preciso e negli est-europei questa percentuale cresce al<br />

14%. Certamente si tratta di una domanda sensibile, ma questo non spiega<br />

a sufficienza la reticenza perché altre domande di natura particolare non<br />

hanno questo tipo di esito. Ad esempio, rispetto al possesso <strong>del</strong> permesso di<br />

soggiorno – anche questa sensibile – la mancanza di risposte tra gli esteuropei<br />

è <strong>del</strong>l’1,5%, cioè fisiologica, dentro un campione che dichiara per il<br />

30% di non avere il permesso di soggiorno o di averlo scaduto. Ciò detto, l’elevata<br />

proporzione di non risposta va ascritta proprio alla natura <strong>del</strong>la<br />

domanda. Oggi faccio solo vedere lo strumento, ma nella prossima pubblicazione<br />

cercheremo di dare ragione e qualità a questi dati. Dico solo alcuni<br />

dati. In genere le donne sono più reticenti degli uomini a rispondere e in particolare<br />

questo si accentua nell’universo est europeo. Per quanto riguarda la<br />

volontarietà e la coercizione, cioè la seconda domanda a cui hanno risposto<br />

solo quelli che avevano detto “sì” alla prima, mi pare molto interessante<br />

notare che la metà <strong>del</strong>le donne intervistate creda che le donne siano venute<br />

con l’inganno o la violenza, dove l’inganno è all’incirca il 95% in proporzione<br />

rispetto alla violenza.Quindi la violenza in generale è bassa da sola o insieme<br />

all’inganno; l’inganno è la parte più significativa. Fra gli uomini scende al<br />

39% nell’insieme, a favore <strong>del</strong>la volontarietà: gli uomini pensano che le<br />

donne vengano volontariamente, per il 12%, contrariamente a quello che<br />

pensano le donne. Questo vale anche nel complesso dei nostri est-europei<br />

dove le donne che credono che siano venute con inganno e violenza<br />

aumentano, fra gli uomini è, grosso modo, come quello <strong>del</strong>l’insieme, e la<br />

distanza fra le donne e gli uomini sulla volontarietà si accentua.Poi potremmo<br />

andare a guardare le risposte secondo lo status giuridico, cioè se chi è<br />

presente illegalmente ha un atteggiamento più incline a credere alla volontarietà.<br />

Una cosa questa, per esempio, che non appare nell’insieme, ma che si<br />

rileva fra gli est-europei, dove se essi sono presenti illegalmente in Italia, cioè<br />

non hanno titolo di soggiorno, sono più propensi a pensare che le donne<br />

vengano volontariamente di quanto non siano i legalmente presenti, il che ci<br />

155


156<br />

fa pensare a un processo di insediamento che ha avuto certi effetti anche sulla<br />

percezione <strong>del</strong> fenomeno. L’unica variabile che approssima la dimensione<br />

culturale, è quella che vuole che cristiani e musulmani abbiano la stessa percezione<br />

circa il fatto <strong>del</strong>la coercizione,anche se i musulmani sono più propensi<br />

alla volontarietà (12% contro 5%).<br />

A questo punto <strong>del</strong> progetto abbiamo ancora diverse cose da fare, in qualche<br />

caso passare dalla fase <strong>del</strong>la sperimentazione alla realizzazione vera e<br />

propria, in altri di alimentare l’osservatorio estendendolo anche sul territorio,<br />

dando sempre più una dimensione sovra-regionale e sovra-nazionale all’osservazione.<br />

Penso al confronto tra le schede <strong>del</strong>le unità di strada <strong>del</strong>le Regioni<br />

che già le hanno e le nostre, quindi un confronto territoriale serrato su questo.<br />

Inoltre abbiamo il tempo per reperire altre fonti che intersechino i dati esistenti<br />

o ne creino di nuovi e per contribuire a diffondere una cultura <strong>del</strong>la condivisione<br />

dei dati in rete contro la cultura <strong>del</strong>la custodia fine a se stessa. Chi<br />

lavora con me sull’osservatorio ha l’impressione che i dati vengano da ciascun<br />

soggetto custoditi, e custodire i dati vuol dire vanificarne la raccolta e in definitiva<br />

sottrarre informazione. Come se enti e associazioni fossero disponibili a<br />

mettere in rete un’idea, ma non i loro dati.<br />

E infine tra le azioni che ancora mancano prima <strong>del</strong>la conclusione c’è anche<br />

quella <strong>del</strong>la ricerca <strong>del</strong> modo migliore di alimentarlo dopo la chiusura <strong>del</strong><br />

progetto. Grazie.<br />

Andrea Stuppini<br />

Ringraziamo Patrizia Farina. Il lavoro <strong>del</strong>la Lombardia può essere un<br />

esempio anche per altre regioni e realtà.<br />

Coffee break abbastanza veloce, 10-15 minuti, anche perché poi alla fine<br />

<strong>del</strong>la tavola rotonda ci sarà il buffet.<br />

Daniele Barbieri [Moderatore]<br />

Come immaginate io non sono Maria Cuffaro, ma sono Daniele Barbieri e<br />

la sostituisco. La prima notizia che vi devo dare è che purtroppo Alessandro<br />

Pansa ha mandato un telegramma con il quale ci ha fatto sapere che non può<br />

venire, quindi saremo costretti a fare a meno di un intervento importante.<br />

L’altra notizia che devo dare, soprattutto alle persone dietro questesto tavolo,<br />

è che, siccomé un orologio cattivissimo, con i denti molto aguzzi, ci sta inseguendo,<br />

il massimo che io posso fare è dare 10 minuti a testa, altrimenti non<br />

ci sarà dibattito, e invece credo che <strong>del</strong>le domande e degli interventi siano<br />

essenziali. Quindi farò una parte che di solito non faccio: “il cattivo”, ma d’altronde<br />

sono su un palcoscenico, quindi, penso di riuscirci! Taglierò invece le<br />

chiacchiere anch’io, coerentemente, e quindi parte Enzo Ciconte: 10 minuti,<br />

600 secondi.


Enzo Ciconte<br />

Voglio dire solo una cosa sul metodo che abbiamo seguito. Nella ricerca<br />

che io sto per presentare abbiamo individuato nelle fonti giudiziarie, i<br />

documenti più affidabili dal punto di vista <strong>del</strong>l’accertamento di alcuni fatti e<br />

soprattutto per le possibilità di avere una base di riferimento che ci consentisse<br />

<strong>del</strong>le certezze.Voglio mettere subito in evidenza il fatto che mancano<br />

dei dati ufficiali. C’è un’incertezza di dati, perché la loro raccolta avviene in<br />

maniera difforme chiunque le raccolga, perché ognuno usa fonti e metodologie<br />

diverse. Noi oggi presentiamo dei dati che sono affidabili per questo<br />

motivo: perché sono basati su atti giudiziari, su accertamenti fatti dall’autorità<br />

giudiziaria. Abbiamo elaborato un data base e vi abbiamo inserito tutti<br />

i dati che adesso illustrerò con l’ausilio <strong>del</strong>le slide che adesso vengo a presentare.<br />

Io credo che la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, a conclusione <strong>del</strong> lavoro,<br />

avrà in dotazione una banca dati unica nel suo genere. La <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<br />

<strong>Romagna</strong> è stata capofila di queste ricerche e la voglio qui ringraziare formalmente.Noi<br />

abbiamo avuto la fortuna di collaborare con Viviana Bussadori<br />

e Luca Baldassarre che hanno aiutato molto il mio gruppo di ricerca. Io mi<br />

sono avvalso di una serie di collaboratori centrali che hanno lavorato per<br />

conto <strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> (Pierpaolo Romani, Bianca La Rocca,<br />

Valeria Scafetta,Gennaro Boggia,Nicola Ciconte),ed altri che hanno lavorato<br />

sui territori dei diversi partner (Stefano Lucarelli per la <strong>Regione</strong> Lombardia,<br />

Sara Beccati per la <strong>Regione</strong> Veneto, Salvatore Fachile per la <strong>Regione</strong> Marche,<br />

Gabriella Gerin per la Caritas di Udine, Antonietta Gonfalonieri per il Comune<br />

di Perugia, Michela Manente per l’Associazione On the Road). Ivan Nanni<br />

<strong>del</strong>la <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong> ha curato la parte tecnica <strong>del</strong> database.<br />

Quello che voi non troverete qua, ma che troverete poi nella ricerca finale,<br />

sono i racconti <strong>del</strong>le realtà regionali, e vi assicuro che i racconti <strong>del</strong>le realtà<br />

regionali, fatti regione per regione (quelle che abbiamo nominato prima),<br />

sono molto importanti, sono molto interessanti.<br />

Passiamo alle slide. Con la prima voi vi rendete conto <strong>del</strong> numero di<br />

documenti che abbiamo esaminato: 1.067 documenti sono un numero<br />

rilevante.Una <strong>del</strong>le basi fondamentali <strong>del</strong>la ricerca è costituita dall’analisi <strong>del</strong><br />

comportamento <strong>del</strong>le donne che interessano le regioni che ho richiamato<br />

prima. Queste donne provengono tutte dai paesi <strong>del</strong>l’est, non ci sono donne<br />

di altre etnie, non le latino-americane, non le nigeriane, non le italiane.<br />

Qui abbiamo [mostrando la slide successiva] invece i documenti acquisiti nei<br />

singoli tribunali, quindi nelle Regioni: la Lombardia è quella che ha il 30%,<br />

segue l’<strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, poi il Veneto, e via di questo passo. Abbiamo poi i<br />

documenti acquisiti nei singoli tribunali, in seguito vi leggerete le percentuali<br />

che per i dieci minuti che ho a disposizone devo saltare. Questa slide invece,<br />

e questo è importante, riguarda la tipologia dei documenti, cioè noi abbiamo<br />

157


158<br />

questi risultati: l’85,82% dei documenti sono sentenze dei tribunali,sentenze<br />

<strong>del</strong> GIP, sentenze di Corte d’Assise. Cioè a dire, sentenze di primo grado. Non<br />

siamo andati in Corte d’Appello o alla Corte di Cassazione perché voi capite<br />

bene che per il tipo di reati che abbiamo preso in esame il grosso <strong>del</strong>le<br />

sentenze viene generalmente confermato in Appello e in Cassazione; quindi<br />

ci siamo limitati al giudicato dei primi giudici. Dunque, l’85% riguarda<br />

sentenze, cioè fatti accertati. Il rimanente 15,% sono le dichiarazioni che le<br />

ragazze fanno o alla polizia giudiziaria o nel dibattimento. Di conseguenza<br />

abbiamo utilizzato fonti altamente attendibili.<br />

L’altra slide vi dice come abbiamo lavorato con le schede di 3.340 persone.Di<br />

queste 3.340 persone 1.400 sono le vittime, 1.940 sono i trafficanti-sfruttatori.<br />

Di questi 1.940, l’83% sono maschi, il 17% sono femmine. È un dato<br />

di particolare importanza questo <strong>del</strong>le donne, ve lo segnalo adesso, ma vi<br />

spiegherò meglio cosa significa successivamente. Passiamo adesso alle<br />

vittime. Le vittime hanno come presenza maggioritaria 4 nazionalità:<br />

l’Albania che ha il 25,65%, la Romania, poi l’Ucraina e poi la Moldavia, che<br />

sono praticamente a pari merito. Se sommiamo queste quattro etnie, noi<br />

abbiamo un primo dato interessante: il 77,47% di tutte le donne provengono<br />

da queste quattro nazionalità,un numero molto rilevante; la stragrande maggioranza<br />

<strong>del</strong>le donne che sono trattate, che sono trafficate, appartengono a<br />

queste nazionalità. Accanto a queste abbiamo una quota molto rilevante di<br />

donne che io voglio segnalare, che provengono dalla Russia, le quali rappresentano<br />

il 4,59%.<br />

Altra slide estremamente interessante.Qui noi abbiamo,sempre sulle vittime,<br />

la suddivisione percentuale per le principali nazionalità e per le fasce temporali.<br />

Cosa notiamo? Noi vediamo che le donne albanesi raggiungono il<br />

picco più alto negli anni ’90, nel primo periodo che noi abbiamo preso in considerazione,dal<br />

’96 al ’99,poi tendono a diminuire,raggiungendo il picco più<br />

basso proprio nel 2003. Le moldave, invece, hanno un percorso esattamente<br />

all’opposto a quello <strong>del</strong>le albanesi: il picco più basso è nel corso degli anni<br />

’90, poi crescono, fino al picco più alto <strong>del</strong> 2003. Che cosa mostra la tabella?<br />

La tabella mostra come questo è un mercato estremamente dinamico, estremamente<br />

mobile, non c’è nulla di immodificabile, di fermo. Chi dice che<br />

questo è un mercato sempre uguale a se stesso sbaglia, non ha capito invece<br />

che si muove continuamente. Negli anni ’90 le vittime seguono l’ordine <strong>del</strong>le<br />

nazionalità: prima le albanesi col 40%, poi le ucraine con il 39%, poi le<br />

rumene e poi le moldave, che si affacciano nel mercato con il 4%. Nei primi 4<br />

anni <strong>del</strong> 2000, invece, dal 2000 al 2003, si comincia ad operare una prima<br />

tendenza al cambiamento: le rumene sono ben il 23%,le albanesi passano al<br />

secondo posto col 21% (quindi scendono dal 40% al 21%) poi le moldave,<br />

poi le ucraine. Che cosa possiamo notare guardando l’insieme di questi anni,


il periodo che va dal ’96 al 2003? Possiamo osservare che le ucraine hanno<br />

una brusca diminuzione, le moldave hanno un rapido incremento, le rumene<br />

sorpassano le albanesi. Nel solo anno 2003 noi abbiamo le rumene con il<br />

32%, le moldave con il 19% e le albanesi con il 15%. In sostanza, le<br />

albanesi, che erano la prima nazionalità negli anni ’90, oggi invece rappresentano<br />

la terza nazionalità, e ciò sicuramente fino al 31 dicembre <strong>del</strong> 2003.<br />

È probabile che questa diminuzione <strong>del</strong>le donne albanesi sia il frutto anche<br />

<strong>del</strong> funzionamento degli accordi intercorsi tra lo Stato italiano e lo Stato <strong>del</strong>l’Albania<br />

sul finire degli anni ’90. Ne arrivano di meno rispetto a prima e<br />

questo credo sia un primo risultato, perché la stessa tendenza riguarderà<br />

anche, seppure in parte e in misura inferiore, i trafficanti.<br />

Nell’altra slide invece abbiamo le suddivisioni percentuali per età di inizio<br />

<strong>del</strong>la prostituzione. Come vedete, i dati sono particolarmente interessanti,<br />

perché c’è il fatto che le donne cominciano ad essere portate su strada a 12<br />

anni. La percentuale più elevata è <strong>del</strong>le giovani che hanno 21 anni, poi<br />

seguono quelle di 19 e di 17, ma se noi consideriamo l’età che va da 17 ai 21<br />

anni, vediamo che in questa fascia d’età è concentrata la maggioranza <strong>del</strong>le<br />

ragazze, il 52,6%. Se consideriamo l’età invece che va dai 17 ai 22 anni,<br />

vediamo che la percentuale sale al 70,97%. Il che significa che in 8 anni è<br />

concentrata la grande maggioranza <strong>del</strong>le minorenni e <strong>del</strong>le giovani donne<br />

trattate e ridotte in schiavitù.<br />

I trafficanti sono per il 46% albanesi, poi seguono gli italiani, poi i rumeni.<br />

Questa graduatoria non cambierà dal ’96 al 2003, il che significa che i trafficanti<br />

albanesi riescono a gestire le proprie donne e le donne degli altri<br />

mentre nessuna altra etnia riesce a gestire il mercato <strong>del</strong>le donne albanesi.<br />

Cioè il mercato <strong>del</strong>le donne albanesi è un mercato chiuso, monopolizzato<br />

dalle bande e dai criminali albanesi, mentre gli albanesi riescono a gestire<br />

donne di altre etnie.<br />

Andiamo a vedere la questione <strong>del</strong>le donne. Sulle donne i dati ci indicano dei<br />

cambiamenti profondi e illuminano una realtà che è estremamente interessante.<br />

Essa riguarda la novità emersa nel mercato <strong>del</strong>le donne <strong>del</strong>l’est.<br />

Rispetto al passato ci sono figure nuove: donne che sono a capo <strong>del</strong>le cosche<br />

o dei piccoli gruppi; nello stesso tempo compaiono le donne di fiducia <strong>del</strong> capo<br />

che riescono a svolgere funzioni che erano proprie <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>le nigeriane,<br />

le maman. Adesso troviamo figure di questo tipo perfino nelle donne <strong>del</strong>l’est.<br />

È una novità sicuramente rilevante destinata ad introdurre modificazioni<br />

strutturali nel panorama <strong>del</strong>la prostituzione <strong>del</strong>le donne <strong>del</strong>l’est.<br />

Nelle modalità di ingresso vediamo che negli ultimi anni aumenta la modalità<br />

<strong>del</strong>l’ingresso volontario. Una elevata percentuale, il 23% di donne, hanno un<br />

rapporto con un contratto e un accordo con il trafficante. Questo contratto<br />

porta, nella totalità dei casi, sulla strada le donne, cioè a fare le prostitute. Il<br />

159


160<br />

che significa che c’è una quota di donne, che sta aumentando, che va in<br />

questa direzione.<br />

La tendenza che si sta sviluppando nell’ultimo periodo è il fatto che le donne<br />

passano dalla strada ai luoghi chiusi, agli appartamenti, ai locali, ai locali di<br />

lap dance. Il che significa che sta andando avanti una clandestinizzazione <strong>del</strong><br />

sesso a pagamento, un rifugio in luoghi chiusi. Questo è importante ai fini<br />

<strong>del</strong>la discussione <strong>del</strong>le proposte di legge che intendono proprio favorire<br />

questa direzione di marcia. Questa è la tendenza <strong>del</strong> mercato, una tendenza<br />

che si sta sviluppando nel mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento, è quindi<br />

importante che chi fa le leggi lo sappia e lo tenga in debita considerazione.<br />

Adesso passiamo a visionare quattro cartine che indicano da dove vengono le<br />

ragazze, che percorsi fanno, che tipo di flussi seguono. Abbiamo una prima<br />

rotta Italia-Albania, che è la più semplice, perché la stragrande maggioranza<br />

passa con una rotta diretta marittima con i famosi gommoni. C’è un’altra<br />

rotta un po’ particolare, perché attraversa i paesi <strong>del</strong>l’ex Jugoslavia, va nell’Austria<br />

e scende in Italia.<br />

La seconda slide dimostra invece la rotta che parte dalla Romania e si dirige<br />

verso l’Italia.E questa è particolarmente importante perché la Romania è una<br />

nazione sia di partenze sia di transito. C’è una rotta diretta. Con l’aereo<br />

partono dalla Romania, arrivano in Italia. Poi ci sono altre rotte che partono<br />

sempre dalla Romania. Una nel nord <strong>del</strong>l’area balcanica fa Romania-<br />

Ungheria-Italia. L’altra Romania-Ungheria-Austria-Italia, un’altra ancora<br />

Romania-Ungheria-Slovenia-Italia, un’altra ancora Romania-Ungheria-<br />

Slevenia-Italia. Queste sono rotte particolarmente importanti perché<br />

mostrano come il punto cruciale sicuramente è la Slovenia.<br />

Se scendiamo nell’area a sud, vediamo come c’è una rotta che va dalla<br />

Romania all’ex Jugoslavia, Albania e poi Italia. Un’altra ancora Romania, ex<br />

Jugoslavia, direttamente all’Italia. In questa seconda configurazione vediamo<br />

invece come l’ex Jugoslavia è il cuore di questa seconda parte.Tenete conto<br />

che queste ultime due rotte sono insieme rotte marittime e rotte terrestri. La<br />

penultima slide parte dalla Moldavia ed è, come quella precedente, una rotta<br />

diretta che utilizza l’aereo e quindi è la più semplice.Poi invece abbiamo <strong>del</strong>le<br />

rotte più complesse ma che vengono spesso percorse con l’autobus, la<br />

Moldavia, l’Ucraina, la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Austria, l’Italia.Vedete<br />

quanti paesi si attraversano. Così come dalla Moldavia, alla Romania, all’Ungheria,<br />

all’Austria, all’Italia. La cosa più interessante ancora è l’altra,<br />

Moldavia-Ucraina-Polonia-Repubblica Ceca-Ungheria. Dall’Ungheria poi si<br />

dipartono altre rotte. Così come in un’altra rotta più a sud c’è la Moldavia, la<br />

Romania, l’Ungheria e l’ex Jugoslavia che ritorna ad essere uno dei punti<br />

centrali. Perché è importante questo <strong>del</strong>l’ex Jugoslavia? Perché è soprattutto<br />

nella ex Jugoslavia che avviene la compravendita. Molte ragazze raccontano


come nei vari passaggi, senza neanche che loro se ne fossero accorte, sono<br />

state vendute. Oppure ci sono state vere e proprie aste.<br />

Questo è il punto.Noi abbiamo un mercato che è in movimento,che è in cambiamento,<br />

che abbiamo rappresentato in questo modo. E a me dispiace per<br />

chi ha collaborato con me, con tutte le persone che ho ricordato prima e che<br />

voglio ringraziare ancora per aver contribuito a fare questa ricerca,non essere<br />

riuscito per ragioni di tempo a rendere compiutamente il lavoro che abbiamo<br />

fatto.Spero di riuscirci quando poi avremo la parte scritta <strong>del</strong>la ricerca,perché<br />

nella parte scritta voi troverete una cosa che qui ovviamente non potete<br />

trovare, e sono i racconti di molte di queste ragazze che sono state rapite, che<br />

sono state portate in Italia, che sono state buttate in mezzo alla strada a fare<br />

le prostitute, che sono state schiavizzate. Ci sono racconti drammatici; <strong>del</strong><br />

resto è difficile, anzi è <strong>del</strong> tutto impossibile, raccontare in una slide la paura,<br />

l’angoscia, il terrore che ti prende, e che prende queste ragazze di fronte a un<br />

fatto così enorme in un momento <strong>del</strong>icatissimo <strong>del</strong>la loro vita, nella loro fanciullezza<br />

o nella loro piena giovinezza.<br />

Daniele Barbieri<br />

Come ascoltatore ringrazio molto Enzo Ciconte per la relazione interessante,<br />

come moderatore lo rimprovero perché ha parlato quasi venti<br />

minuti. Forte dei miei studi scientifici, faccio rilevare che se tutti parlano tra i<br />

15 e i 20 minuti non c’è spazio per il dibattito. Io non farò il censore di<br />

nessuno, però vi invito, se possibile, ad auto-moderarvi. Claudio Dona<strong>del</strong><br />

parte alle 12:22 e ha 600 secondi, in teoria.<br />

Claudio Dona<strong>del</strong><br />

Buongiorno a tutte e a tutti,proverò a non sprecare tempo prezioso,anche<br />

se effettivamente non so cosa potrò dire nei 10 minuti a mia disposizione<br />

rispetto a quanto mi ero preparato ad esporre.<br />

Il compito assegnatomi era quello di realizzare una ricerca sulla prostituzione<br />

sommersa. Che cosa ha significato ciò? Innanzi tutto la ricerca-intervento<br />

voleva essere un’indagine capace di cogliere i cambiamenti strutturali<br />

avvenuti dentro il mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento e la sua attuale correlazione<br />

con il mondo <strong>del</strong>la tratta proveniente <strong>del</strong>l’est Europa. Noi partivamo<br />

da un’ipotesi, dico noi, in quanto non posso far a meno di ringraziare tutte le<br />

persone che hanno partecipato e collaborato alla realizzazione <strong>del</strong>la ricerca,<br />

anche se per problemi di tempo e per l’elevato numero di persone coinvolte<br />

non è possibile citarle una ad una come meriterebbero. Dico noi, perché fin<br />

dall’inizio <strong>del</strong>la ricerca è stato costituito un gruppo di progetto composto dai<br />

referenti tecnici dei territori coinvolti: <strong>Regione</strong> <strong>Emilia</strong>-<strong>Romagna</strong>, <strong>Regione</strong><br />

Marche, <strong>Regione</strong> Abruzzo, <strong>Regione</strong> Lombardia, <strong>Regione</strong> Veneto, Friuli, il<br />

161


162<br />

Comune di Perugia e la Provincia Autonoma di Trento che ha partecipato a<br />

tutte le fasi, dalla progettazione all’individuazione e alla costruzione degli<br />

strumenti, all’elaborazione dei dati che emergevano per ogni territorio.<br />

Ognuno di loro, avvalendosi <strong>del</strong>la collaborazione di ricercatori locali, ha realizzato<br />

dei report che troveremo inseriti trasversalmente nel rapporto di<br />

ricerca finale.<br />

L’ipotesi da cui siamo partiti è quella di ritenere di trovarci in una fase di transizione<br />

e questa ipotesi si fonda su due considerazioni. La strada non rappresenta<br />

più il luogo di evidenziazione e di destinazione <strong>del</strong>le donne vittime<br />

di tratta. La seconda riflessione è che, nel mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento, si<br />

sono avviati processi di trasformazione tali da rendere le soggettività che si<br />

prostituiscono più invisibili e inaccessibili a quanti, da anni, entrano in<br />

relazione con il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione migrante, come gli operatori<br />

sociali, forze <strong>del</strong>l’ordine, volontari, eccetera.<br />

La ricerca-intervento, inoltre, ha voluto essere uno strumento di conoscenza<br />

strettamente legato all’operatività. Significa che la ricerca-intervento è stata<br />

un’occasione, ha offerto agli attori sociali direttamente coinvolti l’opportunità,<br />

attraverso la raccolta dei dati, di riflettere sull’adeguatezza e sull’efficacia<br />

dei propri interventi. In questo modo la ricerca-intervento ha voluto<br />

integrare obiettivi di conoscenza e apprendimento.<br />

Tre sono gli obiettivi generali <strong>del</strong>la ricerca:<br />

- fotografare la situazione attuale <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento in<br />

alcuni territori <strong>del</strong>l’Italia e individuare il rapporto con il mondo <strong>del</strong>la tratta<br />

<strong>del</strong>l’est Europa;<br />

- individuare i fattori di permanenza e sviluppo di tale rapporto;<br />

- valutare l’impatto, nei segmenti <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso, di una legge che<br />

proibisca la prostituzione su strada.<br />

Principali strumenti utilizzati nella ricerca sono state le interviste a testimoni<br />

privilegiati. Ciascun referente ha scelto il contesto locale nel quale o al quale<br />

riferire l’indagine e, in ciascuna realtà, è stato possibile identificare i testimoni<br />

privilegiati da intervistare. Per analizzare il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione, con<br />

particolare attenzione a quella sommersa negli appartamenti e nei locali, si è<br />

ritenuto opportuno intervistare dei testimoni privilegiati i quali direttamente o<br />

indirettamente conoscono il fenomeno preso in considerazione. La scelta dei<br />

testimoni privilegiati si è dovuta basare sulla disponibilità dei territori. Sono<br />

state fatte 149 interviste a operatori sociali, a rappresentanti di forze <strong>del</strong>l’ordine,<br />

clienti ecc,. Insomma tutti quegli attori che direttamente o indirettamente<br />

sono coinvolti o possono essere coinvolti da questo fenomeno sociale.<br />

Altro strumento utilizzato è stata l’osservazione partecipata. In alcune realtà ,<br />

come ad esempio nelle Marche e in Abruzzo, così come a Trento, l’osservazione<br />

diretta è stata preziosa per conoscere ciò che avviene nei locali e negli


appartamenti.Come esposto in precedenza da Marco Bufo ci si è avvalsi <strong>del</strong>la<br />

metodologia <strong>del</strong>l’osservazione diretta: si è andati lì, nei luoghi dove emerge il<br />

fenomeno, svolgendo un lavoro di contatto nei confronti <strong>del</strong>le persone che si<br />

prostituiscono negli appartamenti. Altrettanto si è fatto per i locali come, ad<br />

esempio, nella città di Trento. L’osservazione partecipata ha dato <strong>del</strong>le indicazioni<br />

molto utili, soprattutto per coloro che in futuro vorranno sviluppare<br />

interventi sul sommerso.<br />

La ricerca, inoltre, attraverso la raccolta, la selezione, l’analisi di materiali ha<br />

svolto un’indagine sulla letteratura degli annunci <strong>del</strong> sesso a pagamento, in<br />

particolare nei giornali a tiratura locale, e negli articoli di stampa, ossia si è<br />

soffermata su come la stampa tratti il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione e in particolare<br />

il fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione al chiuso.<br />

Importante elemento dal punto di vista metodologico riguarda il fatto che<br />

abbiamo cercato di non cadere nelle trappole costituite dai luoghi comuni. Ad<br />

esempio, attualmente, uno dei luoghi comuni maggiormente diffuso tra gli<br />

operatori sociali riguarda l’identificazione <strong>del</strong>la prostituzione sommersa o<br />

invisibile con la prostituzione al chiuso. Per noi non c’è, invece, una prostituzione<br />

visibile,quella di strada e una prostituzione invisibile,quella al chiuso.<br />

In ogni segmento <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento la prostituzione<br />

presenta elementi di invisibilità e di visibilità ed è attraverso questo rapporto<br />

che essa si manifesta o si nasconde a seconda di chi è il proprio interlocutore<br />

e degli interessi, degli atteggiamenti morali, <strong>del</strong>l’utilizzo che le persone, lo<br />

stato, la società civile, le comunità locali hanno nei suoi confronti. Come precedentemente<br />

sottolineato da Enzo Ciconte, ci troviamo di fronte ad un<br />

fenomeno transnazionale e in continua trasformazione, pertanto, nessuno<br />

può pensare che questo fenomeno possa essere fissato e fotografato per<br />

sempre. Per questo motivo la ricerca-intervento ha voluto analizzare il<br />

rapporto tra i diversi segmenti <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento e i principali<br />

attori coinvolti utilizzando il concetto di invisibilità nella sua dimensione<br />

spazio-temporale. L’invisibilità, infatti, rappresenta la principale strategia<br />

applicata dalle reti di sfruttamento e ha una duplice valenza: strumento di<br />

penetrazione nel mercato <strong>del</strong> sesso indoor e metodo per evitare le azioni di<br />

contrasto alla criminalità da parte <strong>del</strong>le forze <strong>del</strong>l’ordine. A questo punto è<br />

necessario passare ad alcuni contenuti emersi dalla ricerca. Come prima cosa<br />

voglio rassicurare i presenti, ma da quanto emerso dalla ricerca la prostituzione<br />

di strada non sparirà, almeno nel breve o medio periodo. Che cosa<br />

intendo con questa affermazione? Significa che il mercato <strong>del</strong>la prostituzione<br />

di strada non sta sparendo a favore di un mercato al chiuso. Attualmente,<br />

grazie a tutta una serie di strategie di invisibilità adottate dalle donne quali:<br />

- la riduzione dei tempi e degli orari di permanenza in strada,<br />

- la diversificazione di luoghi e orari per l’attività prostituzionale,<br />

163


164<br />

- la riduzione dei tempi di permanenza in un medesimo territorio,<br />

- lo spostamento progressivo <strong>del</strong> consumo dalla strada al chiuso,<br />

il mercato <strong>del</strong>la prostituzione di strada, dopo una curva negativa che ha<br />

coinciso anche con l’applicazione <strong>del</strong>la Bossi-Fini, dimostra che è in grado di<br />

aumentare, in termini assoluti, il numero di soggettività coinvolte, pur diminuendo<br />

il numero <strong>del</strong>le presenze in strada (in molti territori le unità di strada<br />

segnalano una percentuale che va dal 15 al 30% di nuovi contatti ad ogni<br />

uscita).<br />

La mobilità e la redistribuzione territoriale,in quanto rafforzamento <strong>del</strong>la percezione<br />

che la prostituzione di strada sia o stia sparendo – in alcuni territori<br />

essa è effettivamente scomparsa – da una parte tendono a tranquillizzare<br />

tutti coloro che la ritengono un problema da sradicare in quanto offensivo<br />

<strong>del</strong>la morale pubblica, dall’altra, come la ricerca evidenzia, rappresentano<br />

indicatori non di una diminuzione <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong>la prostituzione di strada,<br />

ma fattori di invisibilità e di mimetismo <strong>del</strong>le persone vittime di tratta<br />

coinvolte nella prostituzione migrante.<br />

Altro elemento significativo riguarda il fatto che il mercato <strong>del</strong>la prostituzione<br />

di strada, di appartamento e dei locali, ormai sono parte di un unico sistema,<br />

almeno per quanto riguarda le soggettività coinvolte nella prostituzione<br />

migrante e le reti criminali connesse, in particolar modo quelle provenienti<br />

<strong>del</strong>l’est Europa oggetto <strong>del</strong>la nostra indagine. Fino a poco tempo fa i mercati<br />

erano separati e le soggettività coinvolte erano differenziate per condizione e<br />

modalità di sfruttamento, nel senso che nel mercato <strong>del</strong>la prostituzione al<br />

chiuso, degli appartamenti e dei locali, si collocavano principalmente donne<br />

italiane, transessuali, latino-americane e <strong>del</strong>l’est Europa con stigmatizzazioni<br />

sociali e sfruttamenti economici anche pesanti, ma in condizioni di esercizio<br />

<strong>del</strong>la prostituzione consapevole e non coatta; contemporaneamente nella<br />

prostituzione di strada trovavamo persone caratterizzate dalla clandestinità e<br />

dall’assoggettamento ad una rete criminale dedita allo sfruttamento, mentre<br />

oggigiorno, queste donne, in particolar modo quelle provenienti dall’est<br />

Europa, sono presenti in tutti i segmenti <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento.<br />

Quindi se prima questi mercati erano separati, oggi non lo sono più, e se<br />

questo riguarda chi si prostituisce a maggior ragione vale per le reti di sfruttamento,<br />

sebbene rispetto alla strada e al chiuso esse agiscano e si muovano<br />

con strategie differenziate.<br />

Faccio un esempio inerente il mercato <strong>del</strong>la prostituzione in appartamento. In<br />

questo momento sembra che in quest’ambito si stia strutturando un doppio<br />

mercato, uno visibile e uno invisibile inteso come processo di ampliamento e<br />

trasformazione <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento indoor. Questo processo<br />

fondato su un’espansione <strong>del</strong> mercato di appartamento preesistente e sull’introduzione<br />

di nuove soggettività portatrici di bisogni, modalità di lavoro,


condizioni diverse, <strong>del</strong>inea uno scenario con la possibile coesistenza di un<br />

duplice mercato con aree di sinergia e contaminazione tra un mercato visibile<br />

caratterizzato dalla legalità e dalla commercializzazione e uno invisibile<br />

connesso alla tratta e alla prostituzione migrante. Il mercato visibile è quello<br />

dove esercitano soggetti “regolari” con le modalità consentite dall’attuale<br />

sistema normativo vigente in Italia; il mercato invisibile, che si maschera<br />

“dentro”e dietro la prostituzione visibile, è quello che tende a forme di specializzazione<br />

per clientele particolari e dove è possibile il coinvolgimento di<br />

soggetti minorenni,“irregolari”. La ricerca, infatti, evidenzia come il mercato<br />

<strong>del</strong>la prostituzione negli appartamenti, per le modalità di reclutamento, per i<br />

filtri e i mascheramenti adottabili, sia in grado di intercettare segmenti <strong>del</strong>la<br />

domanda <strong>del</strong> sesso a pagamento, come la richiesta di sesso minorile rispetto<br />

alla quale esiste sicuramente una domanda enorme, ma che, per la sua particolarità<br />

e pericolosità nell’organizzarla, stenta a trovare una stabile collocazione<br />

nella prostituzione di strada e in quella dei locali.<br />

Il mercato <strong>del</strong>la prostituzione di strada e il mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento<br />

indoor,quindi,contribuiscono a costituire un complesso sistema di vasi comunicanti<br />

che espande, comprime, travasa vorticosamente soggettività (i<br />

mercati fondati sullo sfruttamento considerano la forza lavoro una variabile<br />

dipendente <strong>del</strong> sistema come qualsiasi altra merce) e capitali al fine di compensare<br />

gli altissimi rischi di investimento che i mercati ad economie illegali<br />

impongono per chi investe.<br />

Questo esempio, inoltre, contribuisce a confutare uno dei luoghi più comuni<br />

circolanti sul mondo <strong>del</strong>la prostituzione: quello secondo il quale nella prostituzione<br />

di appartamento le soggettività coinvolte sono persone autonome,<br />

autodeterminate,che subiscono uno sfruttamento minore di quelle presenti in<br />

strada. Questo non è più così, per lo meno per il mercato invisibile, dato che<br />

in questo secondo mercato molto spesso il portafoglio clienti è gestito dalle<br />

reti di sfruttamento, o da persone facenti funzione, appartenenti al mercato<br />

visibile mentre i tempi lavorativi sono dilatati nell’arco <strong>del</strong>le 24 ore tutti i<br />

giorni <strong>del</strong>la settimana. Con queste modalità l’aumento <strong>del</strong>la coercizione e la<br />

limitazione <strong>del</strong>le libertà possono portare fino alla riduzione in schiavitù. Le<br />

persone coinvolte non hanno più nemmeno la possibilità di rifiutare la prestazione<br />

sessuale richiesta dal cliente, come al contrario succede per chi si<br />

prostituisce in strada.<br />

Altro elemento interessante evidenziato dalla ricerca riguarda lo sfruttamento<br />

nei locali, almeno per quelli nei quali si consuma all’interno. Qui lo sfruttamento<br />

sessuale non è più di pertinenza <strong>del</strong>le reti di sfruttamento straniere<br />

ma degli italiani, dei gestori dei locali. Le reti criminali straniere si occupano<br />

<strong>del</strong> reclutamento <strong>del</strong>le donne nei paesi di origine,forniscono la logistica,fanno<br />

da impresari curando anche i loro spostamenti nel circuito dei locali visto che<br />

165


166<br />

il mercato richiede una rotazione di parte <strong>del</strong> personale ogni 15, 20 giorni;<br />

inoltre gestiscono queste persone nel momento in cui vengono espulse dal<br />

circuito dei locali vendendole a chi poi le sfrutta nella prostituzione di strada.<br />

Ultimo elemento interessante riguarda le modalità di assoggettamento da<br />

parte <strong>del</strong>le reti di sfruttamento nei confronti <strong>del</strong>le persone che si prostituiscono.Ciò<br />

non avviene più esclusivamente attraverso condizionamenti psicologici<br />

e violenze, ma anche attraverso un coinvolgimento di queste nel<br />

sistema e nell’impresa criminale. Il coinvolgimento inizia già nel Paese di<br />

origine con contratti a termine tra aderenti <strong>del</strong>le reti criminali e donne<br />

migranti. Questi contratti, anche se ottenuti con inganni e successivamente<br />

mai completamente onorati, impegneranno le donne nella prostituzione sia<br />

perché si sono esposte finanziariamente per il viaggio migratorio, sia perché<br />

la prostituzione rappresenterà l’unico lavoro che può consentire a loro di<br />

pagare i debiti e realizzare parte dei guadagni preventivati. L’invischiamento<br />

con la rete di sfruttamento potrà svilupparsi anche durante il periodo di prostituzione:<br />

alcune di loro inizieranno ad essere coinvolte nel reclutamento, o<br />

nella raccolta di denaro, di avviamento e di controllo <strong>del</strong>le nuove arrivate. Si<br />

crea così un mo<strong>del</strong>lo semplicissimo, ma molto efficace, da cui, come per le<br />

catene di Sant’Antonio e i giochi <strong>del</strong>le piramidi, ci si può liberare e realizzare<br />

guadagni esclusivamente contribuendo a coinvolgere altre persone,le quali a<br />

loro volta, per poter guadagnare e chiudere il contratto, dovranno coinvolgerne<br />

altre e/o svolgere funzioni prima espletate dagli sfruttatori. Così<br />

facendo, le reti di sfruttamento, consentendo cioè alle donne di concretizzare<br />

guadagni attraverso progetti migratori anche temporanei e ripetuti nel<br />

tempo, sono state in grado di aumentare la propria invisibilità rispetto alle<br />

attività investigative rivolte alla tratta e allo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione,<br />

hanno potuto dedicarsi ad altre attività criminali come la droga, i furti e le<br />

rapine, limitare i rischi <strong>del</strong>le possibili denunce da parte <strong>del</strong>le donne da loro<br />

sfruttate. Questo mo<strong>del</strong>lo di sfruttamento sperimentato nel mercato <strong>del</strong>la<br />

prostituzione di strada diventerà sistema dal 2002 in poi, quando le reti di<br />

sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione migrante avranno consolidato la loro operatività,<br />

anche nel mercato <strong>del</strong>la prostituzione al chiuso.<br />

Tutti questi elementi ci portano a descrivere un sistema nel quale il traffico di<br />

esseri umani, la prostituzione migrante e la tratta si intrecciano, si confondono,<br />

trovano sinergie e soluzioni di continuità attraverso l’operatività di<br />

gruppi sempre più multietnici collegati tra loro e capaci di:<br />

- intercettare, creare bisogni e desideri di quante sono disposte a rischiare -<br />

per migliorare le proprie condizioni di vita e <strong>del</strong> proprio contesto di appartenenza;<br />

- gestire un potere fondato sulla manipolazione <strong>del</strong>le informazioni, sulle<br />

capacità di facilitare i viaggi e sulle sistemazioni logistiche nei Paesi di arrivo;


- organizzare lo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione in tutti i segmenti <strong>del</strong><br />

mercato <strong>del</strong> sesso a pagamento.<br />

Daniele Barbieri<br />

Ringrazio molto Claudio Dona<strong>del</strong>,mi scuso anche con lui per questo ruolo.<br />

Do la parola a Giuseppe Magistrali, alle 12:37 e visto che siamo amici mi<br />

permetto di dirgli due parole, sudore e sintesi.<br />

Giuseppe Magistrali<br />

Dati i tempi ristretti a nostra disposizione una cosa che mi semplifica un<br />

po’ la vita è che, a differenza <strong>del</strong>le altre due ricerche illustrate dai colleghi, il<br />

rapporto sulle storie di vita è disponibile, è già stata curata la pubblicazione<br />

e credo abbiate potuto acquisirla tutti. In ogni caso anche se avessimo avuto<br />

due ore di relazione, comunque questo lavoro non sarebbe stato compiutamente<br />

presentabile con una sintesi. Cioè il significato più forte è che voi<br />

possiate leggere direttamente queste testimonianze. Naturalmente io avevo<br />

preparato alcuni flash di alcuni racconti <strong>del</strong>le stesse ragazze, ma non riuscirò<br />

a leggerli. Per entrare in argomento utilizzerò le parole di altri: vi leggerò un<br />

brevissimo brano <strong>del</strong> libro di Paulo Coelho, “Undici minuti”. Si tratta <strong>del</strong>la<br />

storia di una ragazza brasiliana, Maria, che si prostitusce in Svizzera. Peraltro<br />

Coelho racconta, credo non solo come espediente letterario, di avere tratto il<br />

libro proprio da un diario che gli aveva dato una ragazza incontrata in<br />

occasione di un <strong>convegno</strong>. Quindi una vera e propria autobiografia. Noi<br />

abbiamo fatto una ricostruzione biografica, in questo caso è una rivisitazione<br />

letteraria di un’autobiografia di una ragazza. Maria dice: “Mi ricordo di tutto,<br />

tranne <strong>del</strong> momento in cui ho preso la decisione, curiosamente non avevo<br />

nessun senso di colpa. Prima ero solita pensare che le ragazze andassero a<br />

letto per denaro, perché la vita non aveva lasciato loro altra scelta. Ma ora mi<br />

accorgo che non è così. Io potevo dire di sì o di no. Nessuno mi stava forzando<br />

ad accettare”.<br />

L’ho letto anche perché qualche curiosità sul tema <strong>del</strong>la scelta, <strong>del</strong>la nonscelta,<br />

di quanto anche una scelta sia una scelta, scusate il gioco di parole,<br />

emergeva anche ieri nel gruppo di lavoro sui temi <strong>del</strong>la comunicazione di cui<br />

ci ha riferito Christiana Wei<strong>del</strong> questa mattina.<br />

Naturalmente nel nostro lavoro sulle storie di vita non parliamo di Maria.Cioè<br />

le donne che abbiamo intervistato, le 50 donne, davvero non hanno scelto,<br />

non c’è nessun dubbio su questo. Fanno parte di quel segmento <strong>del</strong> mondo<br />

<strong>del</strong>la prostituzione – e anche sul tema <strong>del</strong>la parola “prostituzione” ieri<br />

abbiamo discusso su come usarla, come non usarla, su quando parliamo di<br />

prostituzione, di tratta, eccetera – ecco, sicuramente nella nostra ricostruzione<br />

di storie di vita noi abbiamo intercettato le vicende vere e proprie di<br />

167


168<br />

traffico e di tratta, di smuggling e di trafficking, se vogliamo usare i termini<br />

inglesi che poi sono entrati nell’acronimo di W.E.S.T. Quindi donne che assolutamente<br />

non hanno scelto, e già questa è una prima notizia.<br />

Le vicende ricostruite partono anche dal ’96, ’97, ma alcune sono recentissime;<br />

i sequestri riguardano storie di qualche anno fa che sono entrate nel<br />

nostro rapporto, ma anche oggi la riduzione in schiavitù si concretizza spesso<br />

dopo l’ingresso, clandestino o legale che sia, nel nostro Paese. Al proposito<br />

concordo con quanto ci ha mostrato nelle slide Enzo Ciconte: è vero cioè che<br />

crescono gli ingressi consensuali in modo molto rilevante, ma la perdita di<br />

qualsiasi possibilità di scelta e autodeterminazione, e quindi il sequestro,<br />

avviene molto spesso durante, nel passaggio, nel viaggio e in molti casi poi<br />

qui in Italia.<br />

50 storie di vita, distribuite nei territori che hanno aderito al progetto, ai<br />

quali abbiamo aggiunto la Puglia. Donne naturalmente che erano in<br />

strutture, poste in salvo in qualche modo. Quindi avevano la possibilità di<br />

raccontarsi. Ieri nel seminario tematico a cui ho partecipato abbiamo<br />

discusso a lungo <strong>del</strong>la fecondità <strong>del</strong>lo strumento biografico/autobiografico,<br />

quindi non torno sugli aspetti teorici e metodologici <strong>del</strong>la scelta di questo<br />

strumento di indagine. Confermo solo che per me è stata un esperienza<br />

importante, così come credo per i ricercatori (11), che hanno partecipato a<br />

questo lavoro, ma credo anche per le ragazze intervistate.Vi sono poi<br />

ulteriori spazi per far si che il nostro rapporto serva sul piano educativo, di<br />

formazione, di consapevolezza, di diffusione di questa idea di una comunicazione<br />

che non è solo sensazionalista o scandalistica. Qui ci sono naturalmente<br />

anche vicende scioccanti tuttavia il senso è ben diverso... in ogni<br />

caso non ho tempo materiale per soffermarmi sugli strumenti <strong>del</strong>la ricerca.<br />

Renzetti ieri citava Hannah Arendt; vorrei anch’io proporvi alcune frasi tratte<br />

dal suo carteggio con Karen Blixen.“ Tutti i dolori, dice la Blixen alla Arendt,<br />

sono sopportabili se li si inserisce in una storia, o se si racconta una storia su<br />

di essi. E l’Arendt risponde: “la storia rivela il significato di ciò che altrimenti<br />

rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi”.<br />

Questo lavoro sulle storie di vita è stato anche un modo, un’occasione, per le<br />

stesse donne, di dare significato, di ricostruire sequenze, ponendosi di fronte<br />

anche a quanto è stato intollerabile nelle loro vicende. Noi abbiamo accompagnato<br />

il percorso, partendo dalle esperienze nel paese di origine, mettendo<br />

in luce la maturazione <strong>del</strong> progetto migratorio, il viaggio, il reclutamento e<br />

l’ingresso nella prostituzione coatta in Italia,le modalità di uscita e di ingresso<br />

nei percorsi di protezione sociale, i progetti futuri.<br />

Abbiamo cercato di ricostruire il “viaggio” <strong>del</strong>la donna e sono emerse molte<br />

cose importanti che potrete vedere solo leggendo interamente il libro due<br />

volte, prima in italiano, poi in inglese, però naturalmente noi abbiamo fatto


questi colloqui in italiano, quindi la testualità vera e propria la troverete nella<br />

versione italiana.Vorrei ora solo accennare per titoli ad alcuni contenuti.<br />

I fattori espulsivi, i push factors, sono assolutamente prevalenti rispetto a<br />

quelli attrattivi. Il crollo <strong>del</strong> muro di Berlino è il momento cruciale <strong>del</strong>la<br />

vicenda di queste ragazze.<br />

Per l’amor di Dio, benissimo che sia crollato... Dalla ricostruzione di queste<br />

storie a me sembra però che noi occidentali abbiamo visto, dalla nostra parte<br />

<strong>del</strong> muro, abbiamo visto gli spiragli, le brecce, il soffio <strong>del</strong>la libertà, ma dall’altra<br />

parte invece siano cadute le macerie. Una <strong>del</strong>le ragazze racconta che i<br />

suoi veri problemi sono cominciati quando è bruciata la loro casa. Ecco, al di<br />

là <strong>del</strong>la vicenda singola (le è bruciata davvero la casa), in realtà c’è nel<br />

bruciare di questa casa <strong>del</strong>l’est... la casa come tessuto sociale, la casa anche<br />

come struttura familiare fortemente in crisi, un incremento <strong>del</strong>l’alcolismo per<br />

la figura maschile... e copioni familiari che si ripercuotono, vicende di<br />

violenza vissute in patria e dopo.<br />

Cambiano i flussi, cresce il numero di persone provenienti dalla Romania e<br />

<strong>del</strong>la Moldavia, le testimonianze <strong>del</strong>l’Albania, pur assolutamente significative,<br />

sono più storiche rispetto a quelle di attualità <strong>del</strong>le altre... Le ragazze<br />

riconoscono di aver avuto dei sospetti iniziali: “avevamo dei dubbi, perché ci<br />

hanno proposto di fare da lavapiatti,le cameriere,magari di ballare nei locali.<br />

Avevamo i dubbi ma pensavamo che era quando venivano rapite le donne che<br />

poteva avvenire che le mettessero sulla strada.”<br />

Il viaggio. Ecco, chi vorrà leggere il libro, alcune <strong>del</strong>le pagine più importanti e<br />

interessanti e anche crude,sono riferite al viaggio.In alcuni casi è brevissimo,<br />

in altri, come diceva Enzo Ciconte, nel passaggio soprattutto ex Jugoslavia-<br />

Albania le ragazze vengono trattenute, ed è lì che avviene il disvelamento di<br />

quello che avverrà: la violenza sistematica, sessuale, e non solo sessuale, la<br />

compravendita tra più bande che porterà poi al piegare qualsiasi tentativo di<br />

resistenza.<br />

In Italia la violenza è ancora molto forte. Qualcuna dice: “ho pensato anche di<br />

morire ma nelle condizioni in cui ero era quasi come morire, ma appena<br />

meglio.”<br />

Come se ne viene fuori? Beh, naturalmente approfondendo le cose, non come<br />

facciamo noi oggi, che è solo un momento di prima presentazione. Il contatto<br />

per queste donne è stato molto importante e le occasioni di contatto prevalenti<br />

non sono state quelle con le unità di strada o le organizzazioni di volontariato,<br />

pur importanti.Ma in realtà i due contatti maggiori sono le forze <strong>del</strong>l’ordine e,<br />

soprattutto, i clienti. Ecco, in questo senso, sia sui clienti, ma anche sulle forze<br />

<strong>del</strong>l’ordine, molte cose vanno fatte, di queste ragazze tante avrebbero potuto<br />

risparmiarsi molti mesi di calvario forse, se il cliente... ma in qualche modo<br />

anche a volte le forze <strong>del</strong>l’ordine non si fossero limitati a fare da spettatori.<br />

169


170<br />

In questo modo non è arrivata l’informazione. Naturalmente con situazioni<br />

molto diversificate: in alcuni casi gli uni e le altre hanno rappresentato invece<br />

un veicolo per l’uscita.<br />

Finiamo con una battuta di una ragazza che ci ha detto: “Beh, qui noi<br />

dobbiamo riflettere su come poter aiutare anche i clienti a diventare anche<br />

agenti responsabili di un cambiamento.” Non è infatti più tollerabile che sia<br />

consentito a donne straniere, anche giovanissime, di vivere le vicende che<br />

troviamo nei loro racconti.<br />

Fabio Croccolo<br />

Buongiorno a tutti.Innanzitutto,permettete che mi presenti,visto che è la<br />

prima volta che mi vedete in questo consesso. Sono, presso il Ministero <strong>del</strong>le<br />

Infrastrutture e dei Trasporti, che ha la responsabilità per l’Italia di Interreg, il<br />

coordinatore nazionale di tutte le attività Interreg italiane e in più – per quello<br />

che riguarda CADSES,in questo caso,ma anche per MEDOCC – sono,a livello<br />

europeo, l’autorità di gestione di tutto il programma. Quindi la responsabilità<br />

di mandare avanti questo programma enorme, che raggrupperà dall’anno<br />

prossimo ben 18 Stati in cooperazione, ricade, ahimè, sulle spalle mie e dei<br />

miei collaboratori.<br />

Sono molto contento di essere qui oggi con voi. Sono molto contento per due<br />

motivi.<br />

Il primo motivo è che comunque, per chi fa un lavoro dietro le quinte – ma,<br />

credetemi, molto faticoso, molto complesso, come quello che facciamo noi al<br />

Ministero – riuscire a vedere che tutto questo lavoro produce dei risultati è<br />

una grande soddisfazione. Quindi essere ad un <strong>convegno</strong> conclusivo con una<br />

partecipazione così numerosa anche di sabato, con 250 persone ieri presenti<br />

ai seminari tematici, con dei rapporti, <strong>del</strong>le ricerche, <strong>del</strong>le applicazioni<br />

pratiche così interessanti, è una grande soddisfazione e un grande successo.<br />

Il secondo motivo è più riferito al fatto di essere l’autorità italiana di Interreg.<br />

Ciò perché è l’Italia che ha voluto fortemente, all’interno di questa tornata di<br />

Interreg e di CADSES in particolare, la creazione di un asse sociale di<br />

intervento,che non è presente in quasi nessun altro Interreg o in quasi nessun<br />

altro di simili programmi. L’abbiamo voluto, lo stiamo sostenendo. Qui a<br />

Bologna, il giorno 15 dicembre prossimo, terremo un seminario proprio per<br />

gli operatori di CADSES – quindi per il segretariato tecnico e per gli altri coordinatori<br />

nazionali – col preciso intento di spiegare meglio a tutti la valenza di<br />

quest’asse sociale: quali sono le tematiche, come si lavora, quali sono le<br />

potenzialità.Perché una cosa di cui ci siamo accorti è che è stato molto difficile<br />

far passare questo progetto, è molto difficile far passare altri progetti di<br />

impatto sociale, risulta difficile farli comprendere a persone che lavorano su<br />

tematiche completamente diverse, che vanno dall’ambiente ai trasporti, dal


territorio alle inondazioni. Ma nonostante ciò, poiché queste tematiche rappresentano<br />

per noi una priorità, vogliamo essere in grado di investire su di<br />

esse. Pertanto per noi il risultato <strong>del</strong> progetto W.E.S.T. è molto importante,<br />

perché ci permette di operare la diffusione, all’interno <strong>del</strong> sistema dei fondi<br />

europei, <strong>del</strong>le potenzialità <strong>del</strong>l’asse sociale.<br />

D’altra parte ci siamo accorti anche <strong>del</strong> rovescio <strong>del</strong>la medaglia,cioè <strong>del</strong>le difficoltà<br />

che le strutture che operano nel sociale incontrano per mettere a punto<br />

in modo efficace, prima ancora che efficiente, progetti che riescano ad essere<br />

finanziati con fondi europei. L’attività in questo settore è normalmente svincolata<br />

dalle logiche – un po’meccanicistiche, se vogliamo – di progettazione<br />

e di acquisizione dei fondi. È quindi importante che noi mettiamo in atto, a<br />

livello nazionale, ma anche a livello regionale e a livello di enti territoriali,<br />

meccanismi di coordinamento e di formazione che consentano alle realtà<br />

sociali e agli enti territoriali che si occupano di tematiche sociali di riuscire a<br />

creare progettualità forti, che permettano poi di portare a casa quei finanziamenti<br />

che rendono possibile il lancio <strong>del</strong>le attività.<br />

Ho detto lancio perché un elemento importante è che i fondi europei,e in particolare<br />

i fondi che distribuiamo con Interreg, sono fondi che non pensano di<br />

poter risolvere i problemi, ma che vogliono dare la possibilità di dimostrare<br />

che i problemi ci sono, in modo che, poi, tutti gli altri attori coinvolti possano<br />

far affluire i fondi specifici per andare avanti. Le pubblicazioni che avete<br />

prodotto, questa sulle storie di vita, i risultati <strong>del</strong>le altre due ricerche che<br />

verranno poi pubblicati per iscritto successivamente, questo <strong>convegno</strong>, sono<br />

in questo senso elementi importantissimi: devono essere un punto di partenza<br />

dal quale tutti gli operatori e tutti gli enti coinvolti si impegnano, alla luce di<br />

quanto avete già fatto, a proseguire con questa attività.<br />

In particolare nell’ambito di CADSES: se,come mi hanno appena annunciato,<br />

la Commissione Europea deciderà in senso favorevole, entro dicembre, cioè<br />

dalla fine di quest’anno, CADSES verrà allargato con fondi propri a tutti i<br />

paesi extra-europei <strong>del</strong>l’est. Quindi tutti i paesi sui quali la ricerca è stata<br />

basata avranno a disposizione fondi speciali loro riservati per cooperare con i<br />

progetti Interreg.Tutto ciò significa una potenzialità enorme per attività di<br />

questo genere, per progetti di questo tipo, perché anziché limitarsi a fare la<br />

ricerca in Italia – anziché fare attività di accoglienza, di protezione, di prevenzione<br />

in Italia – si avranno a disposizione fondi per cominciare ad operare<br />

nei luoghi d’origine. Pensate, alla luce di quanto è stato detto, cosa significhi<br />

riuscire a fare informazione nei paesi di provenienza. Cominciare a dare<br />

un’informazione corretta a popolazioni che ancora non sono ben coscienti dei<br />

rischi reali <strong>del</strong>le offerte per venire a lavorare in Italia, anche su base<br />

volontaria, come cameriera. Abbiamo visto che con l’immigrazione illegale i<br />

risultati si ottengono lavorando nei paesi di provenienza e non affrontando il<br />

171


172<br />

problema a valle: oggi cominciamo ad avere gli strumenti finanziari per<br />

poterlo fare e io spero che da gennaio saremo operativi.<br />

Ma è ancora più importante quello che avverrà nel futuro, con la nuova<br />

politica di coesione <strong>del</strong>l’Unione Europea, che partirà dal 2007, perché lì,<br />

all’interno di un intero asse dei tre assi di cooperazione che sono previsti,<br />

tutte queste problematiche potranno trovare accoglienza e copertura.E già da<br />

oggi stiamo progettando, insieme con la Commissione, le modalità per fare sì<br />

che questi assi – che, come tutte le linee di finanziamento <strong>del</strong>l’Unione<br />

Europea sono rivolti all’interno <strong>del</strong>l’Unione – abbiano una connessione automatica<br />

con i fondi per i paesi esterni all’Unione Europea, proprio per poter<br />

continuare ad averli come partner progettuali su questi temi. E vorrei sottolineare<br />

ancora una volta l’importanza di poter operare direttamente nei paesi<br />

di origine e di transito.<br />

Io non ho bisogno di tutti i 10 minuti. Ero venuto per salutarvi, per ringraziarvi,<br />

per farvi capire che ciò che avete prodotto per noi è stato molto<br />

importante e, soprattutto, per fornirvi questi elementi sugli scenari futuri.<br />

Ribadisco: non fermatevi qui. Il fatto che un progetto finanziato con i fondi<br />

Interreg finisca con il progetto stesso sarebbe per noi la più grande sconfitta.<br />

Ci sono nuovi strumenti finanziari alle porte,avete fatto conoscenza tra di voi,<br />

avete lavorato insieme: andate avanti, perché questo è quello che la nostra<br />

Europa si aspetta da voi. Grazie.<br />

Daniele Barbieri<br />

Ringrazio molto Fabio Croccolo per la concretezza, per l’incoraggiamento<br />

e per averci regalato quasi novanta secondi. Come sapete Piero Luigi Vigna<br />

non è venuto ma c’è il Procuratore Vincenzo Macrì che parlerà di cose<br />

ugualmente importanti.<br />

Vincenzo Macrì<br />

Sono un sostituto <strong>del</strong>la Direzione Nazionale Antimafia e porto il saluto <strong>del</strong><br />

Procuratore Nazionale Antimafia Piero Luigi Vigna, che oggi non ha potuto<br />

partecipare a questa giornata.Io lo sostituisco e ringrazio gli organizzatori per<br />

l’invito a partecipare alla presentazione <strong>del</strong> progetto W.E.S.T. al quale la<br />

procura nazionale ha aderito fin dall’inizio avendone individuato la grande<br />

utilità e oggi la presentazione conferma questa nostra convinzione. È<br />

importante che vengano acquisiti dati che altrimenti sarebbero rimasti frammentari<br />

e dispersi in decine e decine di sedi giudiziarie diverse in tante<br />

sentenze diverse. Questi dati invece, attraverso il lavoro dei ricercatori, sono<br />

stati aggregati, analizzati, archiviati e consentono in tal modo una comprensione<br />

<strong>del</strong> fenomeno e quindi una migliore preparazione <strong>del</strong>le attività di<br />

contrasto che devono essere realizzate al riguardo.


Concordo con Fabio Croccolo; penso che questo progetto debba proseguire<br />

perché su questa strada bisogna andare avanti. Fra l’altro ritengo che i dati<br />

acquisiti nel corso <strong>del</strong>la ricerca possano poi integrarsi con la banca dati <strong>del</strong>la<br />

Direzione Nazionale Antimafia che raccoglie tutti i dati giudiziari dei processi<br />

di criminalità organizzata di tipo mafioso. Dico questo perché vorrei far capire<br />

come dietro a tutto lo scenario di traffico di esseri umani dai paesi <strong>del</strong>l’est, ma<br />

anche da altri continenti, c’è sicuramente la presenza di una criminalità organizzata<br />

che non è sicuramente avventato definire di tipo mafioso. Noi<br />

dobbiamo cercare di superare il concetto secondo cui, quando parliamo di<br />

associazione mafiosa ci riferiamo soltanto a cosa nostra siciliana o alla<br />

n’drangheta o alla camorra, cioè a fenomeni regionali. Questo è un elemento<br />

spesso fuorviante rispetto alla realtà.Noi dobbiamo invece pensare ad una criminalità<br />

organizzata di tipo mafioso laddove vi siano dei fenomeni associativi<br />

che hanno determinate caratteristiche, che corrispondono a quelle di tipo<br />

mafioso. E se andiamo a vedere per un momento quali sono le caratteristiche<br />

<strong>del</strong>le associazioni criminali che si occupano <strong>del</strong>la tratta degli esseri umani,<br />

abbiamo la possibilità di verificare quanto ho detto sino a questo momento.<br />

Sono <strong>del</strong>le associazioni organizzate. Su questo ormai non c’è dubbio. Sono<br />

strutture organizzative stabili, consolidate, efficienti. Più che l’iniziativa individuale,<br />

come ci spiegava Enzo Ciconte questa mattina, <strong>del</strong> singolo albanese<br />

che fa prostituire la moglie o la sorella, si tratta di gruppi, la cui organizzazione,<br />

peraltro, si articola fra il territorio di origine, i territori di transito e i<br />

territori di destinazione. Sono organizzazioni che sono finalizzate alla commissione<br />

di <strong>del</strong>itti e di <strong>del</strong>itti particolarmente gravi, come appunto la tratta di<br />

esseri umani, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione, il<br />

traffico di organi, e così via. Sono organizzazioni soprattutto, e qui risiede il<br />

connotato mafioso su cui vorrei soffermarmi,che fondano la loro metodologia<br />

di azione sull’uso diffuso <strong>del</strong>l’intimidazione e <strong>del</strong>la violenza.<br />

E allora quando abbiamo la presenza di organizzazioni che dispongono di<br />

strutture organizzate finalizzate alla commissione di <strong>del</strong>itti e che si avvalgono<br />

<strong>del</strong>l’intimidazione e <strong>del</strong>la violenza, noi abbiamo praticamente realizzato il<br />

parametro <strong>del</strong>l’articolo 416 bis e cioè <strong>del</strong>l’<strong>del</strong>l’associazione di tipo mafioso.<br />

D’altra parte, nelle mafie moderne prevale l’aspetto mercantile. Accanto<br />

all’aspetto territoriale istituzionale, l’aspetto mercantile diventa sempre più<br />

prevalente. Cosa voglio dire? Che le mafie oggi si preoccupano di rifornire di<br />

merci,beni e servizi che sono vietati, di trasportare e distribuire queste merci,<br />

cioè di trasferirle dai paesi di origine ai paesi di destinazione. Questo vale per<br />

la droga, che viene trasportata dai paesi produttori, Colombia,Venezuela etc.<br />

fino all’Europa, vale per le armi, vale per gli esseri umani. Questo perché nei<br />

paesi occidentali c’è oggi una domanda per questo tipo di merci. Scusate se<br />

uso questa terminologia oscena, esseri umani appunto definiti come merci.<br />

173


174<br />

La “merce umana” viene prelevata dai “giacimenti” nei quali se ne trova<br />

ampia disponibilità, cioè i paesi <strong>del</strong>l’est europeo, viene acquisita in qualche<br />

modo, trasportata, gestita e poi distribuita nei paesi in cui è presente la<br />

richiesta. Questo è il tipo di traffico a cui oggi le mafie si dedicano, proprio<br />

perché hanno individuato in questo settore una possibilità di profitti illeciti di<br />

grosso spessore. Certo non paragonabili a quelli <strong>del</strong>la droga, ma sicuramente<br />

di spessore molto rilevante.<br />

Ora mi direte, ma l’intimidazione come si ravvisa? L’intimidazione è sicuramente<br />

di ampio raggio perché viene esercitata sia nei paesi di origine, nel<br />

momento <strong>del</strong>la captazione <strong>del</strong> “consenso”, sia durante il trasporto, nella fase<br />

<strong>del</strong>le vendite, nella preparazione <strong>del</strong>le donne a questo tipo di attività, sia<br />

infine nei paesi di destinazione, dove viene loro imposto di praticare determinati<br />

lavori, determinate professioni, prima fra tutte la prostituzione.Viene<br />

loro impedito di sganciarsi dalle associazioni, sia con minacce dirette sulla<br />

donna vittima, sia con minacce indirette, cioè nei confronti <strong>del</strong>le famiglie<br />

rimaste nei paesi di origine.Tutto ciò fa capire come le organizzazioni possano<br />

disporre di un armamentario di intimidazione molto ampio, molto diffuso,<br />

molto articolato.<br />

Mi direte che l’intimidazione però spesso sarebbe contraddetta dalla<br />

presenza <strong>del</strong> consenso. Intanto sia la legislazione nazionale, sia le decisioni<br />

quadro <strong>del</strong>l’Unione Europea, sia ancora la convenzione ONU di Palermo sulla<br />

tratta degli esseri umani impongono espressamente che si prescinda dal<br />

consenso per la previsione di questo tipo di reato. Dunque il consenso non<br />

esonera da responsabilità perché lo si considera in ogni caso un consenso<br />

estorto. E quand’anche fosse davvero libero, il consenso non sarebbe<br />

rilevante per un principio di carattere generale. La libertà e la dignità personale<br />

non sono beni disponibili. Sono beni indisponibili persino per chi ne è<br />

titolare, e dunque nessuno può disporre nè <strong>del</strong>la propria libertà, <strong>del</strong>la propria<br />

dignità nè vendere il proprio corpo definitivamente. Inoltre il consenso è<br />

sempre frutto di una intimidazione diffusa sui territori di origine che viene<br />

progressivamente meno man mano che si verificano i passaggi successivi, sia<br />

attraverso i territori, sia poi nel luogo di destinazione. Ecco perché non può<br />

avere nessuna rilevanza.<br />

Un ulteriore connotato di mafiosità è rappresentato dal contributo in questo<br />

tipo di attività <strong>del</strong>le così dette mafie tradizionali. Quando questo traffico<br />

investe, ad esempio, l’Italia, non può certamente prescindere dall’adesione,<br />

dalla compartecipazione <strong>del</strong>le mafie che operano sul territorio nazionale, le<br />

mafie tradizionali che siamo abituati a conoscere. Peraltro, spesso questo tipo<br />

di traffico si accompagna anche al traffico di droga. Le donne vittime <strong>del</strong>la<br />

prostituzione sono utilizzate anche come strumento di distribuzione <strong>del</strong>la<br />

droga nei locali nei quali operano. E infine, direi forse l’aspetto meno


approfondito ma più importante, l’elemento costituito dall’uso di documenti<br />

validi per l’espatrio e per l’introduzione sul territorio nazionale.<br />

Nel traffico di esseri umani, l’immigrazione clandestina, quella, tanto per<br />

intenderci, via gommone, non ha praticamente nessuna rilevanza. Non<br />

esistono persone utilizzate poi nello sfruttamento <strong>del</strong>la prostituzione che raggiungono<br />

il nostro territorio attraverso questo sistema.Sono tutte persone che<br />

si introducono nel nostro territorio con l’uso di documenti, di visti, passaporti,<br />

permessi di soggiorno, che in qualche caso sono falsi, in altri casi sono<br />

autentici ma sono stati concessi in maniera illegittima,o attraverso l’uso <strong>del</strong>la<br />

corruzione dei funzionari preposti al loro rilascio, o attraverso l’utilizzazione di<br />

strumenti fraudolenti: per esempio richieste di lavoro, in realtà inesistenti, da<br />

parte di imprese,oppure l’inganno sulla destinazione finale,come ad esempio<br />

permessi rilasciati per motivi di studio o di lavoro o di lavoro artistico o<br />

sportivo, che di fatto non corrispondono alla realtà. L’utilizzazione su larga<br />

scala di questo tipo di documenti, fa comprendere meglio come esista necessariamente<br />

sullo sfondo una organizzazione criminale ben strutturata che<br />

presuppone anche la complicità <strong>del</strong> personale preposto al rilascio o al controllo<br />

dei documenti. Penso al personale dei consolati, <strong>del</strong>le ambasciate, alla<br />

polizia di frontiera, e così via. È un’articolazione criminale molto vasta che<br />

utilizza anche in maniera determinante persino lo strumento <strong>del</strong>la corruzione<br />

di pubblici poteri. D’altra parte, che ci sia una correlazione molto stretta tra<br />

visti da una parte e flussi di immigrazione dall’altra, mi veniva in mente<br />

proprio guardando il lavoro fatto da Enzo Ciconte e dalle sue slide. Per<br />

esempio le donne rumene aumentano tra il 2000 e il 2003 e forse sarebbe il<br />

caso di capire perché questo avviene e allora il fenomeno non può non essere<br />

messo in relazione con il fatto che dall’aprile 2001 in Romania non è più<br />

necessario il visto; dunque c’è una stretta correlazione tra le discipline vigenti<br />

in ciascun paese e flussi di immigrazione. Diminuisce per contro il flusso <strong>del</strong>le<br />

donne albanesi perché in Albania, tra l’altro, la necessità <strong>del</strong> visto permane.<br />

Quindi anche questo è un elemento che va compreso. Sono aspetti che sui<br />

quali penso che la DNA potrebbe tentare un approfondimento.<br />

Altro elemento su cui vorrei richiamare la vostra attenzione è proprio l’incrocio<br />

tra uso dei documenti di questo genere e flussi riconducibili al terrorismo<br />

internazionale. Anche questo è un elemento che non può essere trascurato.<br />

D’altra parte,che il legislatore stesso abbia capito che sullo sfondo operano le<br />

organizzazioni criminali,è dimostrato dalla nuova normativa,dalla legge <strong>del</strong>l’agosto<br />

<strong>del</strong> 2003 numero 228, che nel ridefinire i reati di riduzione in<br />

schiavitù e tratta di esseri umani, ha assegnato la competenza per la trattazione<br />

di questi reati alle Direzioni Distrettuali Antimafia e alla Direzione<br />

Nazionale Antimafia, riconducendo questo tipo di reati all’apparato stru-<br />

175


176<br />

mentale di cui si avvalgono le associazioni di tipo mafioso, con le conseguenti<br />

necessità di coordinamento che sono riconducibili alla DNA.<br />

Chiudo questo mio breve intervento richiamando l’attenzione anche sulla<br />

necessità di un coordinamento normativo e operativo tra le varie discipline<br />

previste in tema di protezione <strong>del</strong>le vittime. Infatti, la protezione <strong>del</strong>le vittime<br />

è raccomandata sia dalla decisione quadro <strong>del</strong>l’Unione Europea, sia dalla<br />

convenzione ONU di Palermo, sia dalla nostra legislazione. Noi adesso<br />

disponiamo <strong>del</strong>l’articolo 18 <strong>del</strong>la legge sull’immigrazione e <strong>del</strong>l’articolo 13<br />

<strong>del</strong>la legge <strong>del</strong>l’agosto 2003 che prevede norme specifiche in materia.Tali<br />

norme andrebbero coordinate,e tuttora non lo sono,con la disciplina generale<br />

<strong>del</strong>la protezione di collaboratori e testimoni di giustizia prevista dalla legge<br />

45/2001. Raramente, forse mai, è stata applicata la disciplina dei testimoni<br />

di giustizia prevista in materia di mafia, per le vittime dei reati di tratta che<br />

collaborano con l’autorità giudiziaria. Un coordinamento di questo genere a<br />

me sembra indispensabile.<br />

Vi ringrazio.<br />

Daniele Barbieri<br />

Ringrazio Vincenzo Macrì e alle 13:14 Monia Guarino.<br />

Monia Guarino<br />

Buon giorno a tutti. Sono Monia Guarino, architetto, collaboro con l’associazione<br />

nazionale Ca.Mi.Na, Città Amiche <strong>del</strong>l’Infanzia e <strong>del</strong>l’Adolescenza,<br />

impegnata nella promozione dei diritti dei giovani e nella partecipazione degli<br />

stessi ai processi decisionali di governo <strong>del</strong>la città.<br />

L’essere architetto, la mia poca esperienza e il mio essere referente di un’associazione<br />

attiva nell’universo dei giovani, rende la mia presenza qui quasi<br />

“fuori luogo”.<br />

Dico quasi perché sono stata infatti invitata a dare una visione “altra” al<br />

problema <strong>del</strong>la “prostituzione”. Mi scuso fin da subito se userò nel corso di<br />

questa mia breve presentazione, alcuni termini (ad es.prostituzione) in modo<br />

non appropriato o troppo generalizzato.<br />

Cercherò di illustrare in poche parole quale può essere l’impatto “urbano”<strong>del</strong><br />

fenomeno “prostituzione”, soffermandomi in particolare sulla reazione <strong>del</strong>la<br />

città a questa “sollecitazione sociale”. Darò voce al territorio, evidenziando<br />

quindi un punto di vista specifico, spesso trascurato perchè ritenuto inappropriato<br />

al tema in esame...<br />

Prendo spunto da 3 concetti emersi stamattina:<br />

- sicurezza;<br />

- luoghi (o non luoghi);<br />

- partecipazione.


Sicurezza<br />

Nella progettazione e pianificazione <strong>del</strong>la città, architetti e urbanistici fanno<br />

riferimento al D.M. 1444/68 (oltre a tante altre norme e strumenti), il quale<br />

impone l’uso di parametri ben precisi nel dimensionamento degli spazi per<br />

parcheggi, verde pubblico, istruzione, attrezzature collettive: le così dette<br />

“aree pubbliche da standard”. Ad ogni bisogno/necessità vengono assegnati<br />

tot-mq/ab. È necessario garantire l’istruzione? Allora verranno impegnati<br />

tot-metri quadri di scuole per abitante. Servono servizi sanitari? Tot-metri<br />

quadri di ospedali e servizi per abitante. E così via.<br />

Si ragiona sull’unità abitante, l’individuo singolo, ma non sulle relazioni tra<br />

diverse etnie, tra ambiente e cittadino (fruitore <strong>del</strong>l’ambiente), tra diversi<br />

problemi. Nel corso degli anni, ci si è accorti che l’utilizzo di parametri squisitamente<br />

dimensionali non era in grado di garantire un pieno soddisfacimento<br />

dei bisogni. Si è dedotto che la qualità urbana non è proporzionale ad un<br />

numero (metri quadri disponibili). Per quanto riguarda la sicurezza, legato al<br />

tema prostituzione, ci sono due risposte che il territorio dà.<br />

La prima è quella che riguarda l’arredo urbano utile: l’illuminazione, per<br />

intenderci, aumenta la sicurezza.<br />

L’altra è una risposta in termini di spazi e di aree. Si tratta di spazi definiti<br />

esclusivi, secondo due accezioni: “esclusivamente per...” ed “esclusi a...”,<br />

luoghi in cui si ghettizzano in parte alcune figure.<br />

Spazi esclusivamente per... Esempi tipici di questi luoghi sono i quartieri per<br />

immigrati; oppure i quartieri per prostitute (vedi alcune esperienze al nord).<br />

Aree destinate ad un target problematico ben definito.<br />

Spazi esclusi a... L’ottica è ribaltata. Si tratta di luoghi “recintati”e video sorvegliati,<br />

per persone di ceto medio alto. Sono esclusi dall’area tutte le figure<br />

ritenute scomode, non idonee o che rappresentato una minaccia per la<br />

sicurezza. Ghetti bianchi insomma.<br />

Al problema <strong>del</strong>la sicurezza,bisogno non standardizzabile,si è risposto con un<br />

perimetro, un confine ben marcato.<br />

Luoghi<br />

La strada, gli spazi per l’accoglienza, pub e locali similari, sono alcuni degli<br />

spazi citati nel corso di questa mattinata insieme, luoghi dove effettivamente<br />

si evidenzia il problema.<br />

Parlo <strong>del</strong>la strada perché strettamente connessa con la mia professione. Fino<br />

a pochi anni fa la strada è stata considerata un non-luogo, non caratterizzabile,<br />

attraversata da una massa, non da un target specifico, un luogo di<br />

transito per collegare un punto A ad un punto B. Quando bisogni sociali, come<br />

quello <strong>del</strong>la sicurezza o <strong>del</strong>la prostitutzione, vengono enfatizzati dalla strada,<br />

o si manifestano sulla strada,l’urbanista o l’architetto si trova un po’spiazzato.<br />

177


178<br />

Attraverso un approccio che definirei allopatico, si tenta di curare il sintomo.<br />

Non si pone rimedio alla causa, perché di carattere sociale, non da<br />

architetto/urbanista quindi. Se la strada è caratterizzata dalla presenza di<br />

soggetti “problematici”, aumentiamo l’illuminazione e allontaniamo il<br />

problema,dislocandolo,o meglio,stoccandolo,in luoghi periferici e marginali.<br />

Nel caso in cui esistano luoghi “centrali”idonei ad accogliere questi soggetti<br />

(es.strutture di accoglienza), si scatena, nei dintorni, un contagio di marginalità:<br />

l’intero quartiere è a rischio, nell’arco di 10-15 anni, da quartiere<br />

centrale, diventerà area marginale.<br />

Vi cito come esempio solo i quartieri PEEP, quartieri per l’edilizia economica<br />

popolare: venne ritagliato spazio all’interno di aree, le quali subirono un<br />

processo di marginalizzazione e divennero interi quartieri ghetto, trappole<br />

sociali per chi vi risiedeva.<br />

Sono attualmente in corso impegnativi processi di recupero e rivitalizzazione<br />

di queste aree, per le quali la strategia è adesso di tipo olistico, integrata<br />

quindi: si affronta il problema urbano, quello sociale, a volte anche quello<br />

ambientale (dove necessario).<br />

Alcune direttive o iniziative comunitarie (es. Equal e Urban) promuovono<br />

interventi basati proprio su strategie di tipo integrato.<br />

Partecipazione<br />

Attualmente, in molte aree degradate, svuotate di molte funzioni utili,<br />

potenziali luoghi dove accantonare non-persone, si interviene con programmi<br />

partecipati (non più singoli progetti condivisi),in grado di rispondere all’esigenza<br />

di integrazione. Vengono chiamati allo stesso tavolo non solo<br />

architetti e urbanisti, ma anche sociologi, pedagogisti, assistenti: team versatili<br />

in grado di interagire in modo coerente con la complessità <strong>del</strong> problema.<br />

Richiamo la vostra attenzione su ciò perché, considerando l’esperienza <strong>del</strong>l’associazione<br />

che oggi rappresento, il tema dei bambini viene affrontato allo<br />

stesso modo. Purtroppo, anche se è brutto assimilarli al problema <strong>del</strong>la prostituzione,<br />

in realtà vengono destinati ai bambini <strong>del</strong>le riserve: le scuole. I<br />

bambini hanno <strong>del</strong>le difficoltà ad affrontare l’ambiente urbano, non perché<br />

etichettati come persone negative, anzi, ben vengano i bambini, ma purtroppo<br />

perché non accessibile lo spazio per loro. Di conseguenza spesso si<br />

recintano le scuole, si demarcano le aree fruite dai bambini.<br />

Come intervenire su questo? Creando connessioni,lavorando sul confine e sul<br />

perimetro.<br />

Lo scopo è rendere l’interno meno duro e più accessibile per gli utenti esterni<br />

(ovviamente in modo controllato), e rendendo l’esterno contaminabile<br />

affinché il bambino ritrovi al di fuori <strong>del</strong>la scuola, alcune degli elementi che<br />

conosce meglio, come il colore e la sensazione di sicurezza.


Questa digressione serve a riflettere sul tema <strong>del</strong>la prostituzione: creare zone<br />

simili a riserve, mono-funzionali favorisce il sorgere di situazioni ghettizzanti,<br />

marginali e diseconomiche .<br />

Esiste una visione d’insieme,che è possibile promuovere tenendo presente un<br />

concetto oggi espresso più volte: sostenibilità.<br />

Attualmente, i programmi urbani di nuova generazione stanno incanalando<br />

energie e sforzi per affrontare problemi difficili come la prostituzione o l’immigrazione<br />

in modo non settoriale,elaborando interventi per la gestione <strong>del</strong>la<br />

complessità.<br />

Questo perché un sistema urbano è sostenibile quando è vitale, ed è vitale<br />

quando è complesso, e questa complessità ovviamente va organizzata e pianificata.<br />

Grazie.<br />

Daniele Barbieri<br />

Ringrazio molto Monia Guarino per questesto sguardo diverso e anche per<br />

aver ampiamente rispettato i tempi. Maria Grazia Gianmmarinaro.<br />

Maria Grazia Giammarinaro<br />

Grazie. Voglio innanzitutto ringraziare per questa occasione per me molto<br />

preziosa. Ho potuto sapere di più su questo progetto che mi sembra<br />

veramente straordinario, perché è veramente raro trovare questo mix di<br />

ricerca e di lavoro concreto. Costruisce e fa dei passi avanti rispetto a quello<br />

che io considero l’elemento di forza <strong>del</strong>l’esperienza italiana in materia di<br />

azione di prevenzione e di contrasto <strong>del</strong> traffico di esseri umani, che è la cooperazione<br />

tra soggetti sociali e soggetti istituzionali, cosa che non è mai stata<br />

facile. Ha richiesto anni di lavoro. Ha richiesto un vero e proprio processo di<br />

costruzione di fiducia reciproca.Mi capita di girare come esperta <strong>del</strong> Consiglio<br />

d’Europa trattando questi argomenti, soprattutto nei paesi <strong>del</strong>l’est,ma anche<br />

nei paesi <strong>del</strong>l’Europa occidentale, e vi devo dire che questa non è moneta<br />

corrente.È qualche cosa che possiamo considerare un elemento peculiare e di<br />

grande importanza, caratteristica <strong>del</strong>l’esperienza italiana.<br />

Costruire su questo significa ovviamente affrontare i problemi nuovi. Qui<br />

abbiamo sentito che problemi nuovi ce ne sono. Uno dei dati di cambiamento<br />

è il comportamento dei trafficanti,in particolare l’uso di modalità abusive che<br />

mirano all’acquisizione <strong>del</strong> consenso <strong>del</strong>la persona trafficata, sia pure di un<br />

consenso non valido, fondato sull’intimidazione. L’altro elemento di novità è<br />

la tendenza allo spostamento <strong>del</strong>la prostituzione al chiuso che,come abbiamo<br />

sentito, non significa affatto l’acquisizione di maggiori condizioni di<br />

autonomia, almeno con riferimento a questo segmento <strong>del</strong> mercato, che<br />

Claudio Dona<strong>del</strong> chiamava “mercato invisibile”.<br />

Voglio soffermarmi un attimo,anche perché di mestiere faccio la giudice,sulla<br />

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180<br />

cooperazione nel campo di quella che voi avete chiamato “tutela legale”.<br />

Dovremmo tutti essere più consapevoli – anche noi operatori <strong>del</strong> diritto – <strong>del</strong><br />

fatto che, se appena prendiamo sul serio il tema <strong>del</strong>la protezione dei diritti<br />

<strong>del</strong>le vittime nel processo, dobbiamo renderci conto che questa protezione<br />

non può essere assicurata restando solo all’interno <strong>del</strong> circuito giudiziario.<br />

Siamo di fronte ad un problema relativamente nuovo. Siamo abituati a<br />

pensare che il processo penale è una questione di confronto tra la pretesa<br />

punitiva <strong>del</strong>lo Stato, rappresentata dalla pubblica accusa, e i diritti <strong>del</strong>la<br />

difesa. Il giusto processo infatti viene rappresentato simbolicamente come un<br />

processo ad armi pari. Ma se prendiamo in considerazione la giurisprudenza<br />

recente <strong>del</strong>la Corte Europea dei Diritti Umani, o numerosissimi atti internazionali,<br />

non vincolanti e vincolanti, ci rendiamo conto che un terzo soggetto è<br />

ormai a pieno titolo sulla scena, che è la persona offesa dal reato. La vittima<br />

<strong>del</strong> reato ha – dice la Corte Europea dei Diritti Umani – un diritto suo proprio<br />

al procedimento penale, e non un qualsiasi procedimento, ma ad un procedimento<br />

che sia adeguato, efficace, e che quindi possa portare all’individuazione<br />

e alla punizione <strong>del</strong> responsabile, un procedimento che sia rapido e<br />

imparziale. Quindi la vittima ha un diritto proprio al processo. Noi non<br />

possiamo più guardare alla vittima come a uno strumento <strong>del</strong> processo o<br />

semplicemente come a una fonte di prova, nel caso in cui sia un/a testimone.<br />

Dobbiamo guardare alla vittima come a un protagonista <strong>del</strong> processo.Questo<br />

ruolo è particolarmente pregnante nel caso di reati gravissimi, ovviamente<br />

l’omicidio, nel qual caso questi diritti spettano ai prossimi congiunti <strong>del</strong>la<br />

vittima,ma anche nel caso di gravi reati di violenza che comportano un livello<br />

di sofferenza per la vittima comparabile con la tortura o con i trattamenti<br />

inumani e degradanti. Molte di queste decisioni sono state rese sull’articolo 3<br />

<strong>del</strong>la Convenzione Europea sui Diritti Umani, che concerne la proibizione<br />

<strong>del</strong>la tortura, o sotto l’articolo 8, che concerne la protezione <strong>del</strong>la vita privata<br />

e personale in cui la corte include anche l’integrità fisica e psicologica.<br />

Quindi in casi di gravi reati contro la persona, come sicuramente è il traffico di<br />

persone, la vittima è a pieno titolo un soggetto <strong>del</strong> processo.<br />

La vittima inoltre ha un diritto già riconosciuto – cito per tutte la decisione<br />

quadro <strong>del</strong> 2001 <strong>del</strong>l’Unione Europea sulla posizione dei diritti nelle vittime<br />

<strong>del</strong> processo, dunque un atto vincolante – alla protezione <strong>del</strong>la sua dignità<br />

personale. Alcune importanti specificazioni sono contenute nella stessa<br />

decisione quadro,e riguardano il modo in cui devono essere assunte le dichiarazioni<br />

<strong>del</strong>la vittima. Per esempio si dice nella decisione: alla vittima non<br />

possono essere poste domande se non nei limiti strettamente indispensabili<br />

per gli scopi <strong>del</strong> processo.Nel nostro codice di procedura penale c’è già un’importante<br />

specificazione di questo principio,laddove si prevede che alla vittima<br />

di particolari reati (tra cui sono stati inclusi i nuovi 600,601 e 602 dalla legge


228 <strong>del</strong> 2003, quindi adesso anche il reato di tratta) non possono essere<br />

poste domande sulla vita personale o sulla vita sessuale, salvo che non siano<br />

strettamente indispensabili all’accertamento dei fatti.<br />

Se teniamo presente che la vittima di tratta ha subito spesso un trauma gravissimo,<br />

che raggiunge talvolta lo standard <strong>del</strong> PTSD, (post traumatic stress<br />

disorder), comprendiamo che questa vittima, che è anche un/a testimone,<br />

non può essere trattata come tutti gli altri testimoni. Per esempio, qual è il<br />

momento opportuno per esaminare una vittima traumatizzata? In una prima<br />

fase <strong>del</strong> processo di riabilitazione questo tipo di persona offesa può anche non<br />

ricordare, può non essere in condizione di rendere una testimonianza attendibile,<br />

semplicemente perché ricorda a flash, perché non è in grado di ricostruire<br />

una vicenda in una maniera sistematica.<br />

Bisogna decidere quando sentirla. Chi sa qual è il momento più utile per<br />

sentirla? Ovviamente lo sa l’associazione che l’ha presa in carico, ovviamente<br />

lo sanno gli psicologi che hanno già fatto attività di counselling, ma per noi<br />

questo è nuovissimo. Rapportarci, anche da parte <strong>del</strong>la procura, con una<br />

entità che è al di fuori <strong>del</strong> circuito giudiziario, per assumere decisioni rilevanti<br />

nel il procedimento,è una novità.Vorrei riprendere una cosa che diceva Marco<br />

Bufo prima: forse dovremmo pensare a forme di raccordo strutturato con le<br />

Direzioni Distrettuali Antimafia che oggi hanno la competenza a investigare<br />

sui casi di tratta. Altra importante implicazione, per esempio, è come evitare<br />

la ripetizione <strong>del</strong>le dichiarazioni. Perché ogni volta che la vittima racconta la<br />

sua storia, questo è un rinnovamento <strong>del</strong> suo trauma. E allora, per esempio,<br />

quali criteri usare, quali parametri utilizzare per la richiesta da parte <strong>del</strong>la<br />

Procura, e per la decisione da parte <strong>del</strong> GIP sull’ammissione <strong>del</strong>l’incidente<br />

probatorio che,nella nostra procedura è una <strong>del</strong>le modalità che consentono di<br />

acquisire una dichiarazione valida come prova nel dibattimento. Ma anche lì,<br />

va acquisita nel momento giusto, nella fase in cui la persona è in grado di<br />

rendere una dichiarazione che può essere esaustiva<br />

E così naturalmente il discorso potrebbe essere esteso ad altri diritti. Oggi noi<br />

siamo in grado di estrapolare dagli strumenti internazionali,dalla nostra legislazione<br />

interna e anche dalla giurisprudenza internazionale, una sorta di<br />

catalogo di diritti <strong>del</strong>la vittima, in cui sicuramente ci sono il diritto all’informazione<br />

e il diritto alla sicurezza con ciò che ne consegue.Anche qui in termini<br />

di prassi giudiziaria quando noi chiamiamo una vittima di tratta a presentarsi<br />

in un’aula giudiziaria, dobbiamo sapere che è necessario adottare tutta una<br />

serie di accorgimenti: per esempio per evitare il contatto fisico, visivo, non<br />

soltanto tra la vittima e l’imputato, ma anche tra la vittima e i familiari <strong>del</strong>l’imputato,<br />

gli amici <strong>del</strong>l’imputato. Il che significa che dobbiamo avere dei<br />

percorsi protetti per la vittima anche soltanto per andare in aula di udienza.<br />

Fino a che punto noi abbiamo consapevolezza di dover fare tutto questo nella<br />

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182<br />

prassi quotidiana? Ecco perché io dico che abbiamo forse bisogno di fare un<br />

lavoro comune, tra associazioni, polizia, procuratori e giudici, allo scopo di<br />

adeguare la prassi giudiziaria a un apporccio fondato sulla protezione dei<br />

diritti umani <strong>del</strong>le vittime di gravi reati contro la persona.<br />

Moderatore<br />

Ringrazio Maria Grazia Gianmmarinaro, precisissima, 10 minuti esatti.<br />

L’ultima parola all’econiomista Jürgen Nautz.<br />

Jürgen Nautz<br />

Prima di tutto mi scuso, poiché leggerò la mia relazione, ma in questo<br />

modo spero di poter risparmiare qualche minuto. Il mio obiettivo è quello di<br />

dimostrare che i fenomeni contemporanei si fondano su processi storici,come<br />

ci insegnano anche gli economisti riguardo agli eventi passati. Come prima<br />

cosa vi fornirò una sorta di panoramica sulla cooperazione internazionale per<br />

la lotta contro il traffico di donne tra il 1890 e gli anni ’30 <strong>del</strong> XX secolo e in<br />

secondo luogo alcuni esempi che potrete trovare nei documenti storici<br />

austriaci. Non vi voglio annoiare con questioni teoriche ma alla fine vorrei<br />

dedicare due minuti ad una mia cornice teorica, in modo che possiate vedere<br />

come posso collegare la storia a problemi contemporanei. La mia attuale<br />

ricerca si concentra sul problema <strong>del</strong> traffico di donne in Austria nel periodo<br />

tra le due guerre, facendo alcuni passi indietro precedentemente alla prima<br />

guerra mondiale. Nell’ottica <strong>del</strong>la ricerca storica questo è soltanto un<br />

momento, anche se un momento ben preciso e collocato tra gli eventi. Dietro<br />

di me vedete un dipinto di Georg Grosz <strong>del</strong> 1918 che rappresenta in primo<br />

piano un uomo ben vestito, con una camicia bianca con un’orrenda macchia<br />

di sangue. Questo dipinto è intitolato “Mädchenhändler”, “trafficante di<br />

donne”. Potete notare la consapevolezza <strong>del</strong>la società, vi sono pezzi teatrali,<br />

romanzi che hanno per argomento il traffico di donne tra il 1890 e gli anni<br />

trenta <strong>del</strong> ‘900. Penso che sia un dato di fatto molto interessante. Oggi siamo<br />

di fronte al problema <strong>del</strong> traffico di donne nel senso che un gran numero di<br />

donne vengono “importate” nell’Unione Europea. Intorno al 1900 e nel<br />

periodo tra le due guerre la direzione era un’altra. Le nazioni europee più sviluppate<br />

o quelle che avevano élite europee come gli Stati Uniti o il Brasile,<br />

pensavano che i loro figli corressero il rischio di essere portati nelle colonie<br />

come vittime di schiavitù sessuale. Queste paure si concretizzarono con la<br />

definizione di “schiavitù bianca”. In tedesco si parlava di “Mädchenhan<strong>del</strong>”,<br />

“commercio di ragazze”se traduciamo letteralmente il termine: ciò ci porta ad<br />

un’ulteriore specificazione e cioè che fino agli anni 30 <strong>del</strong> ‘900 ci si concentrava<br />

soprattutto sulla lotta contro il traffico di minori. Donne di 25 o 30<br />

anni non erano tutelate dalla legge. Il problema divenne parte <strong>del</strong> dibattito


pubblico e politico in Europa grazie a qualcosa che oggi chiameremmo una<br />

ONG, un’organizzazione transnazionale non governativa. Negli anni settanta<br />

<strong>del</strong> XIX secolo in Gran Bretagna sorse un movimento guidato da Josephine<br />

Butler, che riformò le organizzazioni morali cittadine, conscio dei nuovi<br />

pericoli per la società e in particolare per le donne, quali il traffico di donne<br />

bianche, collegato al disastroso abuso sessuale dei bambini. Per combattere<br />

questi pericoli, l’organizzazione fondò in Inghilterra l’associazione nazionale<br />

degli abitanti di villaggio. Tale associazione che aveva come segretario<br />

generale Alexander Coat,fu in grado di lanciare una rete di comitati che combattevano<br />

il traffico di donne dal 1890 fino ai primi anni <strong>del</strong> XX secolo. Quasi<br />

in tutta Europa, le campagne e pubbliche relazioni dei Comitati Nazionali<br />

erano coordinate da un ufficio internazionale con sede a Londra e il loro lavoro<br />

ebbe successo.Il problema fu discusso a livello internazionale di fronte a reali,<br />

capi di polizia, ecc., e guadagnò sempre maggiore interesse nel dibattito<br />

politico. Nel 1904 e nel 1910 abbiamo le prime due convenzioni internazionali<br />

riguardanti il traffico di donne, che si occuparono <strong>del</strong>la tutela di donne<br />

di tutto il mondo fino all’età di 20 anni. Dopo la prima guerra mondiale,<br />

lottare contro il traffico di donne divenne un obbiettivo centrale <strong>del</strong>la Lega<br />

<strong>del</strong>le Nazioni. Ciò emerge dall’art. 23 <strong>del</strong>lo statuto. Le due nazioni sconfitte<br />

nella prima guerra mondiale, Germania ed Austria furono costrette dal<br />

trattato di pace di Versailles e St.Germain ad integrare nel loro diritto penale<br />

nazionale le convenzioni <strong>del</strong> 1904 e <strong>del</strong> 1910. Fu creato un comitato speciale<br />

<strong>del</strong>la Lega <strong>del</strong>le Nazioni che si occupò di due resoconti internazionali sull’argomento<br />

e fondò un segretariato speciale guidato da due teorici esperti <strong>del</strong><br />

problema. Nel 1921 abbiamo una nuova convenzione per proteggere la<br />

fascia di età dai 21 anni e fu aggiunto il problema <strong>del</strong> traffico di minori,<br />

chiamato traffico di bambini,perché non si voleva usare la definizione “traffico<br />

di bambini maschi”. A questo punto non vi sono limiti razziali nella tutela<br />

<strong>del</strong>le donne.Nel 1933 ecco una nuova importante convenzione che includeva<br />

tutte le donne senza limiti di età. In questo quadro il governo e l’amministrazione<br />

austriaci continuarono a lavorare quasi in sordina, ma dalle ricerche<br />

storiche emerge che il traffico di donne divenne un problema centrale nella<br />

politica austriaca, europea e nel lavoro <strong>del</strong>le forze di polizia. L’ufficio centrale<br />

per la lotta contro il traffico di donne fu aperto poco dopo la fine <strong>del</strong>la guerra<br />

a Vienna, e grazie alle regolamentazioni <strong>del</strong>la Lega <strong>del</strong>le Nazioni, tale ufficio<br />

doveva preparare dei resoconti annuali, per cui noi ora abbiamo una prima<br />

panoramica <strong>del</strong> suo sviluppo e sufficienti fonti. Al momento non vi posso<br />

fornire informazioni sicure sulla quantità di casi,perché questo è un problema<br />

riguardante le diverse definizioni <strong>del</strong> traffico di donne. La maggior parte dei<br />

casi che troviamo dopo la prima guerra mondiale riguardano il traffico<br />

di donne austriache all’estero, non nella direzione est-ovest, ma viceversa.<br />

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184<br />

Le destinazioni più citate sono gli stati balcanici, l’oriente, la Grecia, la<br />

Spagna,l’Argentina,l’Egitto,le città di Alessandria,Barcellona,Buenos Aires,<br />

Budapest, Cairo, Salonicco, Sofia,Teheran. Ma i Balcani e l’Ungheria sono le<br />

destinazioni preferite <strong>del</strong> traffico di donne. A Vienna vi era un mercato <strong>del</strong>la<br />

prostituzione quasi <strong>del</strong> tutto viennese, ad esempio la tipica prostituta<br />

viennese nel 1919 era cattolica. Proveniva da una famiglia normale, genitori<br />

regolarmente sposati,di mestiere domestici.La maggior parte <strong>del</strong>le prostitute<br />

non era sposata, ma il 10-15% lo era. Questa era la situazione di Vienna e<br />

<strong>del</strong>la Bassa Austria, non di altri luoghi. Come ho già detto abbiamo un<br />

problema di definizioni fino al 1933, e ho anche detto che solo le donne fino<br />

ai 21 anni erano monitorate.Abbiamo diverse definizioni da parte <strong>del</strong>la Legge<br />

Criminale Nazionale, casi che sono definiti come traffico di donne dalla Lega<br />

<strong>del</strong>le Nazioni erano quelli che “causavano Zuhälterei,Kuppelei”,o pornografia<br />

e abuso sessuale”, come cita la Legge Criminale Austriaca. La strategia dei<br />

trafficanti di donne era quella di offrire un lavoro all’estero e le donne spesso<br />

ottenevano veramente un lavoro, ma solo per un breve periodo, poi lo perdevano<br />

e a questo punto erano obbligate alla prostituzione o costrette a prostituirsi<br />

dal loro datore di lavoro.Tali casi non venivano considerati come<br />

traffico di donne in quel periodo, per cui occorre raccogliere molti casi per<br />

poter giungere a fissare date precise. Le vittime descrivono la situazione nel<br />

momento in cui cadono in trappola, come uno stato di miseria caratterizzato<br />

da mancanza di cibo, di un riparo, problemi famigliari certi o presunti. Come<br />

dicono gli adolescenti: “I miei genitori non mi capiscono”. Questo e la<br />

mancanza di un futuro in Austria,il desiderio di libertà,il piacere <strong>del</strong>la fuga dal<br />

proprio mondo angusto,si ritrovano nei verbali <strong>del</strong>la polizia.I trafficanti allora<br />

le prelevavano proprio a questo punto, lo sappiamo dalle odierne ricerche.<br />

Le strategie contro il traffico sono le stesse che discutiamo ancora oggi: il rimpatrio<br />

<strong>del</strong>le donne vittime <strong>del</strong> traffico, il sostegno ai minori all’interno di<br />

strutture terapeutiche, la prevenzione nel dialogo specialmente con ragazze<br />

che intendono emigrare, la supervisione di agenzie di collocamento, di<br />

agenzie di au pair, porti, stazioni ferroviarie, centri massaggi, case d’appuntamento,<br />

agenzie di spettacolo e così via.<br />

Ora vorrei collegarmi alla situazione odierna parlando <strong>del</strong>la definizione di<br />

globalizzazione storica,vorrei descrivere l’estensione dei network,l’intensità<br />

<strong>del</strong>le interconnessioni,la velocità dei flussi,l’impatto <strong>del</strong>la propensione <strong>del</strong>le<br />

interconnessioni: questo framework ci dà la base per una valutazione quantitativa<br />

e qualitativa degli schemi <strong>del</strong>la storia.Posso confrontare questa localizzazione<br />

e regionalizzazione e su questa base spero di poter analizzare l’estensione<br />

<strong>del</strong> network di relazioni e connessioni, l’intensità dei flussi, i livelli<br />

di attività all’interno <strong>del</strong>le reti di traffico, la velocità degli scambi e l’impatto<br />

di questi fenomeni su comunità particolari. Grazie <strong>del</strong>la vostra attenzione.


Daniele Barbieri<br />

Ringrazio anche Jürgen Nautz.<br />

Allora, abbiamo una decina di minuti, un quarto, d’ora per domande,<br />

interventi. Anche se siamo un po’ stanchi da per il lavoro molto intenso, vi<br />

inviterei ad usare questo spazio per due ragioni. Uno, l’importanza dei temi e<br />

degli spunti di questa mattinata, e secondo per motivi strettamente personalei.<br />

Io ho martirizzato le persone qui al tavolo per garantirvi questo<br />

spazio,e anche se si tratta di persone civilissime,non vorrei mai che se voi non<br />

intervenite si abbandonassero a gesti inconsulti nei miei confronti.<br />

Congressista<br />

Buonasera. Vengo dalla Nigeria. Continuo anche a porre questa<br />

domanda per quello che riguarda il sud <strong>del</strong> mondo, l’Africa, che è così<br />

vicina, dove arrivano le ragazze già vittime, come avete spiegato qui; molti<br />

muoiono nel Mediterraneo dopo tanti giorni di viaggio, arrivano qui, portati<br />

da conoscenti dal sud mondo. Volevo chiedere al rappresentante <strong>del</strong><br />

Ministero: avete qualche desiderio o <strong>del</strong>le azioni o siete proprio pronti a<br />

trattare questa questione <strong>del</strong>l’Africa, o la tratterete solamente conattraverso<br />

le ambasciate, eccetera? C’è possibilità di una vera collaborazione<br />

per fare un lavoro di vera prevenzione dalle nazioni da dove provengono<br />

questeste ragazze, in particolare la Nigeria? È vero che oggi parliamo <strong>del</strong><br />

trafficking <strong>del</strong>l’est europeo, però quello <strong>del</strong>l’Africa è la stessa cosa. Può<br />

darsi che l’est europeo sia più vicino a voi, o si interessa di più perché molti<br />

Paesi stanno per entrare o si pensa che entreranno nella Comunità<br />

Eeuropea, mentre il sud è tuttora ancora più lontano. Ma da certi paesi <strong>del</strong>l’Europa,<br />

ci vogliono anche otto ore per arrivare. Dall’Africa ci vogliono solo<br />

cinque ore per arrivare qua. E questa è la domanda che faccio al rappresentante<br />

<strong>del</strong> Ministero, grazie.<br />

Daniele Barbieri<br />

Grazie. Mi sembra che ci fosse una signora, qui, che voleva intervenire.<br />

Congressista<br />

Vorrei chiedere una spiegazione su quello che è stato detto, cioè di<br />

allargare, di utilizzare la legge sui collaboratori di giustizia anche per le<br />

vittime, e quindi di collegarle all’articolo 18. Vorrei chiedere che cosa<br />

potrebbe significare in pratica oltre ad alcune cose di cui parlava Maria Grazia<br />

Gianmmarinaro,cioè maggiore protezione durante i processi,le udienze,e via<br />

dicendo. Che cosa potrebbe significare in pratica? Grazie.<br />

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Congressista<br />

Io volevo ringraziare i relatori e mi spiace il tempo limitato che c’è stato,<br />

perché anche quando si riportano dei dati, rispetto a <strong>del</strong>le ricerche, è molto<br />

importante invece, sapere i pensieri che porta questa ricerca, ciò che non è<br />

messo nella slide ma è messo nella parola. Quindi mi spiace dei tempi stretti.<br />

Ho seguito molto bene l’intervento <strong>del</strong>la dottoressa Giammarinaro che è<br />

sempre bravissima, e credo che tutto questo aspetto <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong>la vittima<br />

sempre stato uno degli aspetti più nascosti. Adesso probabilmente abbiamo<br />

più strumenti, però è eccome se diventasse difficile capire come aggredire<br />

affrontare questa cosa. Cioè nel senso che ci si dice: “il magistrato è<br />

autonomo”,e quindi tutte le volte che parliamo esiste questa difficoltà nel dire,<br />

allora, “dove ci mettiamo attorno a un tavolo?”. Poi dove c’è il magistrato<br />

disponibile basta una telefonata anche con l’operatore. Però il problema di<br />

come queste cose che lei ha detto possano trovare spazio di informazione e poi<br />

di confronto, a partire dal nazionale per poi arrivare anche al locale. Grazie.<br />

Marco Bufo<br />

Una piccola puntualizzazione rispetto al termine che ho sentito più volte<br />

emergere oggi. La distinzione tra prostitute e prostituite. Questo mi ha fatto<br />

pensare al rischio, che sicuramente qui non c’è, ma che in generale bisogna<br />

tener presente, di fare distinzioni troppo nette tra la persona che sceglie in<br />

maniera volontaria l’attività prostitutiva, e chi invece questa scelta non la<br />

compie ed è quindi forzata.<br />

Credo che il lavoro che è stato illustrato qui oggi, e su cui si è ragionato,<br />

dimostri proprio, in quanto progetto trans-frontaliero, come siamo sempre di<br />

più chiamati a lavorare sul confine e come cioè queste distinzioni tra bianco e<br />

nero non possano essere il paradigma <strong>del</strong> nostro lavoro, <strong>del</strong>la nostra visione,<br />

ma come invece dobbiamo considerare tutte quelle sfumature di grigio che<br />

esistono. E questo incide su tutti gli aspetti <strong>del</strong> nostro lavoro, in termini di<br />

ricerca, di osservazione e di analisi <strong>del</strong> fenomeno, in termini di comprensione<br />

<strong>del</strong>le storie <strong>del</strong>le persone,e quindi poi in termini <strong>del</strong>l’operatività.Maria Grazia<br />

Giammarinaro diceva <strong>del</strong>l’importanza di strutturare procedure operative,<br />

apparentemente semplici, quasi banali, ma che in realtà poi, se non vengono<br />

attuate, incidono pesantemente sulla vita e sulla storia <strong>del</strong>le persone. Questa<br />

credo che sia la strada da seguire su vari fronti. Ora mi dispiace che non ci sia<br />

l’interlocutore <strong>del</strong> Ministero <strong>del</strong>l’Interno, perché il tema che risottolineo, è<br />

proprio quello <strong>del</strong>l’identificazione <strong>del</strong>le vittime. Cioè se le storie non sono<br />

bianco o nero,se le vittime non hanno la faccia tumefatta,se le organizzazioni<br />

criminali sono sempre più sottili nella loro strategia di reclutamento, di trasporto,di<br />

sfruttamento,allora sempre più raffinati devono essere gli strumenti<br />

di comprensione dei meccanismi <strong>del</strong> trafficking, di individuazione e relazione


con le vittime,e sempre più raffinate devono essere le strategie di raccordo tra<br />

i soggetti che lavorano in questo settore.<br />

Congressista<br />

Io mi chiamo Silvana e faccio parte <strong>del</strong> gruppo degli operatori per la<br />

sicurezza. Quindi vengo dall’esperienza fatta anche con Pietro Basso 1 . Una<br />

cosa che ho ascoltato con immenso piacere è quella di tutelare le vittime<br />

attraverso i collegamenti <strong>del</strong>la normativa in materia con quelli dei collaboratori<br />

di giustizia. Questo problema era già uscito durante il corso di base per<br />

operatori <strong>del</strong>la sicurezza: perché creare una discriminazione? Vedo che questo<br />

tema è uscito anche dalla platea quindi mi auspico che ciò possa avvenire.<br />

Poi approfitto anche per altre due cose prima di chiudere. La prima è quella<br />

di far sì che tutto il lavoro che abbiamo fatto fino ad oggi, che per me è fondamentale<br />

e importante, perché il progetto W.E.S.T. ha dato tantissimo, non<br />

finisca nel vuoto. A mio avviso ognuno di noi tornerà a casa con un suo<br />

bagaglio di informazioni, con tanta voglia di impegnarsi, però vanno stimolate<br />

le pubbliche amministrazioni affinché questi progetti poi non<br />

decadano. Cioè, una volta rientrati in sede, è opportuno che le istituzioni a<br />

livello nazionale si impegnino anche in questo senso.Quindi io parlo sia <strong>del</strong>la<br />

<strong>Regione</strong>, sia <strong>del</strong>lo Stato.<br />

Per ultimo, e qui parlo anche a nome dei miei colleghi, operatori <strong>del</strong>la<br />

sicurezza, auspico che a chi ha seguito il progetto fino ad oggi, non venga poi<br />

precluso il secondo percorso di formazione congiunta di secondo livello,<br />

perché poi se si parla di rete, il discorso non può essere interrotto qui. Grazie.<br />

Congressista<br />

Io ho due domande secche di approfondimento. Sono funzionario di<br />

Polizia locale. La prima rispetto all’intervento di Vincenzo Macrì, quando<br />

parlava di organizzazioni, associazioni a <strong>del</strong>inquere di stampo ex 416 o 416<br />

bis. Chiedo a lui se il poter sviluppare i traffici e quindi i proventi <strong>del</strong> loro<br />

guadagno nelle nazioni di provenienza può lo stesso integrare il reato previsto<br />

dall’articolo 416 bis.<br />

La seconda domanda è al magistrato, Gianmmarinaro. Io ho seguito passo<br />

passo il suo intervento e l’ho trovata molto attenta sulla questione <strong>del</strong>la salvaguardia<br />

dei diritti <strong>del</strong>la persona vittima <strong>del</strong> reato. Ho un’esperienza<br />

limitata, ma non limitatissima sull’argomento e voglio dire questo: i processi<br />

molto spesso si trasformano in un atto molto pesante nei confronti <strong>del</strong>la<br />

vittima <strong>del</strong> reato. Perché allora non utilizzare, (credo che in molte parti si<br />

faccia già) non istituzionalizzare l’incidente probatorio, che forse è uno<br />

1 Corso di formazione per operatori <strong>del</strong>la sicurezza urbana realizzato dalla <strong>Regione</strong> Veneto.<br />

187


188<br />

strumento che abbiamo già in mano per salvaguardare la vittima <strong>del</strong> reato,<br />

visto che anticipiamo la formazione <strong>del</strong>la prova? Grazie.<br />

Congressista<br />

Io volevo esprimere una certa impotenza di fronte al fenomeno <strong>del</strong>la prostituzione,<br />

un’impotenza che forse è condivisao da molti che lavorano nel<br />

sociale e anche nelle associazioni che combattono questo fenomeno. Sembra<br />

che facciamo un po’ le crocerossine, nel senso che sì, si salvano alcune<br />

persone, però comunque sono subito sostituite da tantissime altre ragazze.<br />

Sembra un fiume inarrestabile e sembra di lottare contro l’onnipotenza <strong>del</strong>le<br />

organizzazioni criminali. Forse quindi dobbiamo un po’ riflettere sulle cause,<br />

cioè sulla prevenzione,e collocare di più il fenomeno in un contesto economico<br />

e politico. Per esempio in Romania ci sono 12000 industriali italiani da una<br />

ventina d’anni.Gli stipendi medi dati agli operai sono 10 volte inferiori a quelli<br />

italiani: 50, 100 euro al mese per un costo <strong>del</strong>la vita che è quasi uguale. In<br />

Moldavia il 50% <strong>del</strong>la popolazione non ha sufficientemente da mangiare.<br />

Quindi siamo noi con le nostre scelte economiche e politiche a consegnare le<br />

ragazze nelle mani <strong>del</strong>la malavita, a buttarle nelle strade. Con la complicità<br />

degli stati <strong>del</strong>la periferia <strong>del</strong> mondo,che sia nell’est europeo o che sia in Africa,<br />

che molto spesso sono corrotti, sono soddisfatti, in un certo senso, di questi<br />

redditi, di questi soldi che arrivano o dalla mafia o dai soldi mandati dalle<br />

ragazze e che diventano, come in Moldavia per esempio, la principale fonte di<br />

soldi <strong>del</strong> paese.Tutto questo mi sembra molto grave: per il nostro benessere e<br />

anche per il divertimento di molti uomini italiani noi non permettiamo alle<br />

ragazze dei paesi poveri di avere un’esistenza libera e dignitosa. Io vorrei che<br />

si parlasse <strong>del</strong> “diritto a non prostituirsi”. Mi chiedo se l’ingresso nella<br />

Comunità Europea di alcuni paesi <strong>del</strong>l’est modificherà questo stato di cose.<br />

Congressista<br />

Ho una domanda per la giustizia ora: per esempio i soldati italiani sono di<br />

stanza anche nei Balcani ora. Che dire di loro? Anche loro sono clienti <strong>del</strong>le<br />

prostitute. C’è la possibilità di perseguirli penalmente? Sono clienti, c’è la<br />

possibilità di portarli in tribunale oppure non esiste affatto? Grazie.<br />

Congressista<br />

Volevo far presente che il nostro paese non ha ancora firmato né la Convenzione<br />

di Palermo, né i due protocolli, nonostante sia la commissione<br />

antimafia, sia il comitato per i diritti civili abbiano fatto due importantissime<br />

relazioni per denunciarne l’esistenza di questo e nonostante che l’Italia abbia<br />

tante cose da insegnare relativamente al contrasto alle mafie che operano in<br />

diversi mercati illeciti.


Detto questo,volevo chiedere un parere ai magistrati relativamente alla legge<br />

228. Innanzitutto ci sono volute due legislature affinché questa legge<br />

entrasse in vigore, ma vi volevo chiedere se questa legge ha aiutato e aiuterà<br />

effettivamente a migliorare il contrasto alla criminalità che è coinvolta nel<br />

traffico degli esseri umani o se, come dice qualcuno, la normativa esistente<br />

era già sufficiente ma occorre anche un cambiamento culturale verso la valutazione<br />

<strong>del</strong> reato di schiavitù. Grazie.<br />

Daniele Barbieri<br />

Allora, io direi che potremmo fare così. Darei nell’ordine un paio di minuti<br />

a Croccolo, Macrì e a Gianmmarinaro per rispondere, almeno in parte, (non<br />

mancheranno altre occasioni), alle domande, agli interventi. E poi darei un<br />

60, 70 secondi alla persona più censurata stamattina, cioè me stesso, per<br />

salutarvi e ringraziarvi.<br />

Fabio Croccolo<br />

Premetto che il Ministero <strong>del</strong>le Infrastrutture e dei Trasporti non è direttamente<br />

responsabile per le problematiche di prevenzione di immigrazione<br />

illegale, prevenzione <strong>del</strong>la prostituzione e così via. È certamente corresponsabile,insieme<br />

con tutti gli altri ministeri,dei problemi di sviluppo sostenibile,<br />

dei problemi di unificazione europea, dei problemi di marginalità <strong>del</strong> mondo.<br />

Delle varie domande che ho sentito,trovo che alcune osservazioni siano quasi<br />

ovvie, nel senso che, per esempio, è evidente che nessun tipo di intervento<br />

può dirsi funzionale se non innesca cambiamenti culturali; nessun intervento<br />

di cura è efficace senza interventi di prevenzione; nessun intervento in loco ha<br />

senso se non si avvia anche un’azione di riorganizzazione, di riallineamento,<br />

di riduzione <strong>del</strong>le differenze che esistono tra le nazioni, tra i paesi, tra i redditi.<br />

I fondi di coesione <strong>del</strong>l’Unione Europea hanno esattamente questo significato:<br />

cercare di rendere più coesa l’Unione Europea. I fondi esterni hanno lo<br />

stesso senso per i paesi esterni: cercare di ridurre il divario,in modo da ridurre<br />

alla fonte le motivazioni che portano a tutta una serie di problematiche che<br />

qui oggi voi state trattando, quali quella <strong>del</strong>la prostituzione e quella <strong>del</strong><br />

traffico di esseri umani.<br />

Ma ci sono tantissime altre problematiche, riguardo alla protezione <strong>del</strong>l’ambiente<br />

o riguardo all’istruzione, che nello stesso identico modo devono venire<br />

trattate. Allora, se è giusto dal punto di vista intellettuale, dal punto di vista<br />

<strong>del</strong>l’impegno di ciascuno – come laico, o come cattolico quale sono io –<br />

sforzarsi per ridurre le differenze, è anche assolutamente inutile chiedersi se<br />

questa riduzione <strong>del</strong>le differenze sia prioritaria rispetto all’intervento sul<br />

campo per curare i risultati che le differenze producono. Bisogna fare tutte e<br />

due le cose. Bisogna fare le leggi e bisogna realizzare il cambiamento cul-<br />

189


190<br />

turale. Bisogna operare qui, per correggere le deviazioni, e bisogna operare<br />

nei luoghi di provenienza, per andare a migliorare la situazione di chi sta lì.<br />

Allora, piuttosto che farsi domande teoriche, bisogna lavorare, e credo che<br />

questo sia il primo messaggio: rimbocchiamoci tutti le mani e cerchiamo di<br />

lavorare, che è la cosa migliore.<br />

Per quello che riguarda la domanda sul lato sud,ovviamente ci sono,come ho<br />

detto, fondi di coesione e questi fondi esistono anche per il lato sud <strong>del</strong>l’Europa.<br />

Purtroppo, però, i fondi, nella situazione attuale, sono territorializzati.All’interno<br />

<strong>del</strong> sistema Interreg,e quindi dei fondi strutturali,la Nigeria<br />

in quanto tale non è compresa. Ma sono compresi, o stanno per essere<br />

compresi con le stesse modalità di CADSES, i paesi <strong>del</strong>la sponda sud <strong>del</strong><br />

Mediterraneo, perché un concetto molto importante che l’Unione Europea sta<br />

acquisendo è il riconoscimento <strong>del</strong>la frontiera marittima come frontiera a tutti<br />

gli effetti. Noi sappiamo bene che l’Italia ha perso l’ultima frontiera esterna<br />

che aveva,la frontiera con la Slovenia,ma era una frontiera terrestre.In realtà<br />

noi abbiamo una frontiera marittima estesissima, la più estesa d’Europa. Ed<br />

è la frontiera più pericolosa. Il grosso <strong>del</strong> traffico, il grosso dei problemi, il<br />

grosso <strong>del</strong>l’immigrazione clandestina, avviene attraverso la frontiera<br />

marittima. L’Europa ha preso coscienza di tutto ciò e, per esempio, nello<br />

spazio MEDOCC, spazio <strong>del</strong> Mediterraneo occidentale, i fondi UE verranno<br />

agganciati coi fondi Meda e quindi i paesi maghrebini potranno partecipare ai<br />

progetti. Lo stesso vale per il programma Archimed, che riguarda il Mediterraneo<br />

orientale: tutti i paesi – Libia, Egitto, Palestina, Striscia di Gaza, Siria<br />

– potranno partecipare nello stesso modo ai progetti. Una cosa che io personalmente<br />

faccio è incoraggiare molto l’utilizzo di questi fondi per mettere in<br />

atto anche progetti di cooperazione che contrastino l’immigrazione clandestina.<br />

È chiaro che qui non stiamo parlando di problematiche legate direttamente<br />

alla prostituzione, perché come lei aveva ricordato, sono più i paesi<br />

<strong>del</strong>l’Africa centrale che non quelli <strong>del</strong>l’Africa sahariana ad essere coinvolti<br />

direttamente in questo fenomeno. Esistono altri fondi <strong>del</strong>l’Unione Europea<br />

per intervenire in questi paesi, ma non sono in questo momento connessi con<br />

i fondi Interreg. Ciononostante ritengo che già riuscire a ridurre il traffico e<br />

l’ingresso clandestino in Italia anche utilizzando i fondi Interreg, con riferimento<br />

alla frontiera a sud <strong>del</strong> Mediterraneo, sarebbe un successo enorme.<br />

Tutto ciò è parzialmente possibile già da oggi e lo sarà sicuramente molto di<br />

più a partire dal 2007. Grazie.<br />

Vincenzo Macrì<br />

Rispondo per flash in maniera molto rapida vista l’ora tarda.<br />

Allora, per quanto riguarda la Nigeria, vorrei ricordare che recentemente il<br />

Procuratore Nazionale Antimafia Vigna si è recato in Nigeria proprio per


cercare dei protocolli di intesa con l’autorità Nigeriana sui problemi relativi<br />

alle mafie nigeriane operanti in Italia e ai problemi <strong>del</strong>l’immigrazione clandestina<br />

di donne nigeriane nel nostro paese.<br />

Per quanto riguarda il problema <strong>del</strong>le parti offese, dei testimoni di giustizia,<br />

nell’esprimere il mio massimo apprezzamento per l’intervento <strong>del</strong>la collega<br />

circa la necessità <strong>del</strong>la ricostruzione di uno status <strong>del</strong>la parte offesa nel nostro<br />

processo che è la parte processuale meno tutelata, meno considerata e più<br />

trascurata anche dalla dottrina, devo dire che il mio intervento voleva essere<br />

un richiamo alla necessità di un coordinamento tra le varie norme che<br />

esistono adesso nella nostra legislazione in materia di parti offese e testimoni<br />

di giustizia.<br />

Noi abbiamo l’articolo 18 <strong>del</strong>la legge sull’immigrazione, che prevede la concessione<br />

di permessi di soggiorno originariamente ispirati alla necessità di<br />

assicurare la presenza <strong>del</strong>le persone offese nel processo.E quindi di assicurare<br />

anche forme di assistenza e di tutela durante questo periodo. È intervenuta<br />

poi la legge 228 <strong>del</strong> 2003 che nell’articolo 3 prevede anch’essa forme di assistenza<br />

nei confronti <strong>del</strong>le persone offese. A mio avviso questi due livelli non<br />

sono stati coordinati, così come non c’è un coordinamento con la legge <strong>del</strong><br />

2001 sui collaboratori o testimoni di giustizia. Badate bene che quando si<br />

parla di testimoni di giustizia si parla anche di parti offese che divengono<br />

testimoni di giustizia perché collaborano con la giustizia. Per questi ultimi<br />

sono previste <strong>del</strong>le forme di tutela,oltre che di assistenza,perché mentre nelle<br />

norme che ho citato prima non è prevista la tutela solo l’assistenza. Invece la<br />

legge <strong>del</strong> 2001, n.45, su collaboratori e testimoni, prevede un programma di<br />

protezione all’interno <strong>del</strong> quale vi è assistenza legale, assistenza economica,<br />

assistenza sanitaria, tutela <strong>del</strong>la propria attività lavorativa. Capisco che in<br />

questo caso ovviamente si tratta invece di trovare una sistemazione lavorativa.<br />

Tutela anche nel processo attraverso per esempio <strong>del</strong>la video-conferenza<br />

per raccogliere le dichiarazioni. Quindi sono norme che vanno<br />

integrate e utilizzate.<br />

Vero è che finora in questo tipo di processi non ci sono stati programmi di protezione<br />

in favore dei testimoni di giustizia. C’è un problema economico. Voi<br />

sapete che la commissione centrale che si occupa di collaboratori e testimoni<br />

di giustizia oggi sta introducendo dei criteri restrittivi nella concessione dei<br />

programmi, anche per motivi economici e di spesa. Invece l’estensione a<br />

queste categorie comporterebbe un ampliamento <strong>del</strong> numero <strong>del</strong>le persone<br />

assistite con problemi anche di carattere economico. Però certo è residua l’esigenza<br />

di un coordinamento.<br />

Per quanto riguarda la convenzione ONU di Palermo, è vero che l’Italia è oggi<br />

tra i paesi che non hanno ancora aderito, però è anche vero che molte di<br />

quelle norme inserite nella convenzione ONU hanno già trovato attuazione<br />

191


192<br />

nella nostra legislazione. Per esempio la legge <strong>del</strong> 2003 sulla tratta e<br />

riduzione in schiavitù. Per quanto riguarda la valutazione di questa legge,<br />

tenete conto che è stata introdotta nell’agosto <strong>del</strong> 2003 e che quindi non c’è<br />

stato ancora il tempo di formare una giurisprudenza. Valuteremo quando ci<br />

saranno le prime sentenze. A mio avviso gli effetti dovrebbero essere positivi,<br />

soprattutto in materia di coordinamento <strong>del</strong>le indagini da parte <strong>del</strong>la procura<br />

nazionale, di accentuazione <strong>del</strong>le indagini sul versante associativo. Certo si<br />

rischia di perdere esperienze in materia di tutela <strong>del</strong>le persone offese, di reati<br />

contro la libertà sessuale, e così via. Però a questo si può sempre porre<br />

rimedio attraverso una più stretta collaborazione tra procure territoriali e<br />

procure distrettuali. A mio avviso, ripeto, la valutazione da dare a questa<br />

legge è sicuramente positiva, però un giudizio definitivo lo potremo dare tra<br />

qualche anno.<br />

Maria Grazia Gianmmarinaro<br />

Anch’io per flash. Allora, polizia, associazioni.<br />

È proprio l’articolo 18 <strong>del</strong>la legge sull’immigrazione che ha introdotto una<br />

registrazione <strong>del</strong>le associazioni che vengono finanziate in parte dal governo e<br />

in parte dagli enti locali, quindi anche dalle municipalità, per svolgere le<br />

attività di sostegno e di supporto alle vittime. Questo da una parte comporta<br />

che la polizia, quando riceve la denuncia di una persona che ha bisogno di<br />

protezione e di assistenza, sa quali sono le associazioni registrate, quindi che<br />

hanno una forma di riconoscimento formale, che operano sul territorio. E<br />

quindi possono evitare che accada ciò che un tempo era la regola: la persona<br />

offesa sporgeva denuncia e ritornava sulla strada, trovandosi con ciò esposta<br />

a ritorsioni o vendette da parte dei trafficanti e degli sfruttatori. Per contro,<br />

l’articolo 18 prevede anche un altro circuito,il cosiddetto circuito sociale in cui<br />

le vittime, anche senza sporgere denuncia (perché sappiamo che spesso non<br />

c’è fiducia nelle istituzioni, perché il background culturale è quello che tutti<br />

conosciamo), possono rivolgersi all’associazione, chiedere di essere accolte in<br />

una casa di fuga. In questo caso è l’associazione che a nome <strong>del</strong>la vittima<br />

presenta le richieste di permesso di soggiorno alle autorità di polizia. Quindi<br />

questo rapporto si può attivare dall’uno e dall’altro versante.<br />

Naturalmente, come dicevo prima, non è stato facile costruire una cooperazione<br />

e una fiducia reciproca fra polizia e associazioni,ma possiamo dire che<br />

in molte realtà questo percorso ha funzionato, e ha funzionato bene.<br />

Per quanto riguarda l’incidente probatorio, è vero che si tratta di uno<br />

strumento fondamentale per evitare la cosiddetta vittimizzazione secondaria,<br />

cioè il fatto che il procedimento sia esso stesso un’altra occasione di stress e<br />

di rinnovamento <strong>del</strong> trauma per la vittima. Devo dire che io non ho un quadro<br />

preciso al livello nazionale. Per quello che riguarda Roma l’incidente pro-


atorio ormai viene usato in molti casi di traffico. La prassi di evitare la ripetizione<br />

<strong>del</strong>la testimonianza si era già affermata nei procedimenti per violenza<br />

sessuale, per violenza domestica e per abuso sessuale nei confronti dei<br />

minori. Il gruppo specializzato <strong>del</strong>la Procura di Roma aveva già avviato<br />

questa importante innovazione <strong>del</strong>la prassi, cioè chiedere (non dico sempre,<br />

ma nella grande maggioranza dei casi), l’incidente probatorio per questo tipo<br />

di reati, in cui la persona offesa ha subito un trauma.<br />

L’incidente probatorio, per i nostri ospiti stranieri, è una testimonianza<br />

assunta in una fase precoce <strong>del</strong> procedimento, davanti al giudice <strong>del</strong>le<br />

indagini preliminari, ma con le stesse forme <strong>del</strong> dibattimento, che, secondo il<br />

nostro codice di procedura, significa cross examination. Quindi la persona<br />

viene esaminata sulla base di domande poste dal Pubblico Ministero e dai<br />

difensori di tutte e due le parti.È un momento quindi molto stressante,perché<br />

la vittima viene sottoposta al tentativo di screditarla come testimone, e<br />

comunque al tentativo di metterla in contraddizione,di mettere in discussione<br />

la validità <strong>del</strong> suo racconto.Quindi è un momento di grande <strong>del</strong>icatezza.L’uso<br />

<strong>del</strong>la telecamera a circuito chiuso consente che la persona stia in una camera<br />

a parte, che non debba sostenere il confronto visivo con l’imputato, fatto che<br />

spesso costituisce un fattore di rievocazione e rinnovazione <strong>del</strong> trauma subito<br />

in passato. Vi posso dire che ho avuto anche casi in cui la ragazza aveva detto<br />

che era in grado di sostenere questo confronto, poi nel momento in cui si è<br />

trovata di fronte all’imputato, detenuto, quindi non in grado di esercitare<br />

un’attività intimidatoria concreta,per il solo fatto di vederlo in faccia ha avuto<br />

una reazione di forte emotività, al punto da dire che non era in grado di<br />

rendere la testimonianza. Quindi oggi tendiamo ad allargare l’uso <strong>del</strong>la telecamera,<br />

in funzione di tutela dei diritti <strong>del</strong>la persona offesa.<br />

Che fare per promuovere la crescita di consapevolezza sui diritti <strong>del</strong>la vittima?<br />

Naturalmente ci sono i canali istituzionali che vanno percorsi, quelli di formazione<br />

dei procuratori e dei giudici. Il Consiglio Superiore ha già cominciato<br />

ad inserire nei corsi di formazione questa tematica, però credo che potrebbe<br />

essere utile, almeno nelle realtà territoriali più di prima linea, costruire un<br />

modulo, non dico formativo, ma perlomeno seminariale, che possa poi essere<br />

diffuso in altre realtà, che metta insieme diverse competenze, diverse esperienze.<br />

Nella fattispecie associazioni che gestiscono programmi di assistenza<br />

per le vittime, Direzioni Distrettuali Antimafia, organi di polizia che hanno in<br />

carico questo problema, giudici, quelli che possono essere più interessati<br />

perché i giudici non sono specializzati, a differenza dei Pubblici Ministeri.<br />

Quindi bisogna contare su una sensibilizzazione individuale,ma che consenta<br />

di mettere insieme queste esperienze per costruire una forma di consapevolezza<br />

dei ruoli reciproci e di ciò che si può fare insieme. Da qui forse si<br />

potrebbe arrivare a memorandum of understanding,forse è troppo presto per<br />

193


194<br />

pensare a ciò ma questi moduli seminariali potrebbero essere una buona<br />

tappa di avvicinamento.<br />

Vi ringrazio.<br />

Daniele Barbieri<br />

Allora,mi dò 80,90 secondi per dire una cosa personale,come giornalista<br />

su quell'intreccio tra fatti e immaginario che tanto ci condiziona anche su<br />

questi temi.<br />

Qualche tempo fa, presentando il libro di uno scrittore nigeriano assassinato<br />

9 anni fa, ho chiesto alle 40 persone in sala: “dico Nigeria e cosa vi fa venire<br />

in mente”e quasi tutti hanno detto prostitute. E questo è importante perché<br />

ad altre persone, ad esempio a me, verrebbero in mente altre cose. Verrebbe<br />

in mente una serie di lunghe dittature che sono servite a garantire che il<br />

petrolio in questa parte <strong>del</strong> mondo costasse poco. Oppure quel fatto talmente<br />

vergognoso a cui molti rifiutano addirittura di credere, ma che purtroppo è<br />

vero,che nei container degli aiuti umanitari che l'Italia ha mandato in Nigeria,<br />

c'erano le nostre scorie radioattive. Quindi quando parliamo di qualsiasi<br />

problema, dipende sempre molto dall'informazione che abbiamo e dall'immaginario<br />

che con questa si intreccia.Ci sarebbero tante altre cose da dire ma<br />

il tempo che mi sono dato è scaduto. Quindi torno a fare il moderatore. Ringrazio<br />

tutti, ringrazio soprattutto le persone da questa parte <strong>del</strong> tavolo che ho<br />

martirizzato con l'orologio, ringrazio voi per aver ascoltato, per gli interventi e<br />

per il lavoro. Sapete che uscendo dove c'era il coffee break c'è un buffet. Non<br />

mancheranno occasioni di rivederci e di lavorare insieme.<br />

Grazie a tutti e a tutte.


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