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San Marco in SyIvis - Istituto studi atellani

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In Sicilia, purtroppo, le cose andarono diversamente. Il 13 aprile del 1837 il colera<br />

recidivava a Napoli ed a giugno ricompariva <strong>in</strong> Sicilia; subito si com<strong>in</strong>ciò a parlare di<br />

veleno che sarebbe stato importato dai napoletani.<br />

L’autosuggestione si sostituì al razioc<strong>in</strong>io e l’Arcivescovo di Palermo, dopo avere<br />

resp<strong>in</strong>to ogni soccorso medico, morì dicendo: - Non vi è rimedio per questo veleno -.<br />

I tumulti più gravi avvennero a Siracusa: molti <strong>in</strong>nocenti vennero massacrati come<br />

avvelenatori, altri furono ristretti <strong>in</strong> carcere ed il s<strong>in</strong>daco istituì una commissione di<br />

cittad<strong>in</strong>i probi e preparati perché li giudicasse.<br />

Ma il rimedio fu peggiore del male: uno di essi, l’avvocato Adorno, conv<strong>in</strong>to assertore<br />

dell’esistenza del veleno, redasse un lunghissimo proclama da leggersi alla folla,<br />

adunata <strong>in</strong> piazza della Cattedrale, <strong>in</strong> cui, tra l’altro si confermava che il nitrato<br />

d’arsenico era il responsabile di tanti lutti.<br />

Il proclama, <strong>in</strong> data 21 luglio 1837, venne firmato dal s<strong>in</strong>daco Pancali; il che significa<br />

che tutti i probi cittad<strong>in</strong>i condividevano la tesi dell’avvocato. Ignoranza o calcolo? Si<br />

può soltanto dire che l’avvocato Adorno fu acceso carbonaro nel 1820.<br />

Il 24 luglio fu proclamato lo stato d’assedio, le autorità furono arrestate, mentre la<br />

plebaglia provvedeva a saccheggiare le loro case e sulla piazza della Cattedrale gli<br />

<strong>in</strong>felici reclusi furono messi a morte con efferata crudeltà.<br />

Disarmati gli agenti di polizia, un gruppo di liberali conv<strong>in</strong>se il popolo a costituire un<br />

comitato di salute pubblica, da trasformarsi poi <strong>in</strong> governo provvisorio, nell’illusione<br />

che l’isola fosse matura per la rivoluzione. Ovunque si chiedeva l’<strong>in</strong>dipendenza per<br />

l’isola; fra il crepitare di mortaretti, si issò una bandiera nazionale, si abbatté una statua<br />

di Francesco I e si fece circolare un bando con l’affermazione che il colera era stato<br />

diffuso dai Borboni.<br />

Poco dopo, però, arrivava il maresciallo Del Carretto, già noto per la fermezza con la<br />

quale aveva represso la rivolta del Cilento: dopo aver diramato un bando con cui si<br />

<strong>in</strong>vitava i cittad<strong>in</strong>i a tornare nella legge e nell’ord<strong>in</strong>e, istituì varie commissioni militari.<br />

Ottanta furono le condanne capitali: fra i condannati, il vecchio avvocato Mario Adorno,<br />

il quale per un’ora e mezza perorò la sua difesa, sostenendo sempre la tesi del veleno.<br />

Contemporaneamente a Penne, <strong>in</strong> Abruzzi, il 23 luglio i patrioti disarmavano la<br />

guarnigione, occupavano la caserma e, tra la generale esultanza, dichiaravano decaduto<br />

Ferd<strong>in</strong>ando e proclamavano la Costituzione del 1820.<br />

Anche a Penne ci furono otto condanne capitali.<br />

Come si vede, il mito del veleno che a Napoli non aveva resistito a lungo, era stato dai<br />

liberali abilmente sfruttato <strong>in</strong> altri luoghi e, come giustamente scrive Harold Acton, «il<br />

colera, la cospirazione e il brigantaggio» furono i tre moschettieri del momento 4 .<br />

La versione del colera politico va vista con una certa riserva. In quasi tutti i piccoli<br />

centri la politica non c’entra per niente tranne che non ci si voglia riferire alla politica<br />

paesana.<br />

Nicola Nisco, che passò tanti anni <strong>in</strong> galera, vede le cose attraverso una esasperata ottica<br />

politica. Martiri politici i condannati che avevano sulla coscienza tanto sangue di poveri<br />

<strong>in</strong>nocenti, tanti saccheggi, tante violenze. Tra l’altro scrive il Nisco che tra i fucilati ci fu<br />

un fanciullo, reo di aver gridato, a Misilmeri - Viva l’Italia -.<br />

A Misilmeri ci fu la notte di <strong>San</strong> Valent<strong>in</strong>o, ma l’Italia non c’entrava per niente.<br />

Sfruttando abilmente la favola del veleno, <strong>in</strong> parecchi luoghi si diede sfogo a vecchi<br />

rancori e si cercò di perseguire dei f<strong>in</strong>i strettamente personali.<br />

Abbiamo scelto Misilmeri proprio perché la politica non c’entra per niente e perché ci<br />

offre quei motivi sfuggiti all’analisi del Nisco e dell’Acton per cui si può<br />

tranquillamente parlare di colera sociale.<br />

4 H. ACTON, Gli ultimi Borboni di Napoli, Milano, 1962.<br />

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