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eazioni e interpretazioni degli osservatori riflettono la loro personalità e sensibilità. La<br />
campagna Obey Giant entusiasma anche critici d’<strong>art</strong>e: il newyorkese Carlo McCormick, la<br />
collega allo strapotere della pubblicità: “Viviamo in un mondo sovraccarico di pubblicità.<br />
Non c’è modo di evitarle quando cammini per strada. [Obey Giant] ti dice di comprare e<br />
obbedire, ma non sai che cosa comprare o a chi obbedire. Funziona al livello elementare di<br />
catturare l’attenzione delle persone e fargli chiedere cosa sia un segno. Una volta che inizi<br />
a chiederti cosa sia quel segno, allora forse puoi iniziare a mettere in discussione tutti i<br />
segni”.<br />
Palese ed inquieta fonte d’ispirazione di Obey è il film <strong>cult</strong> They Live di John Carpenter,<br />
in cui il protagonista, tramite degli occhiali speciali, riesce a decodificare i c<strong>art</strong>elloni<br />
pubblicitari che contengono messaggi subliminali.<br />
“Ho creato il progetto Obey per costringere le persone a confrontarsi con se stesse. Ho<br />
l’impressione che molti non capiscano che nella vita agiscono come individui obbedienti e<br />
disciplinati. Forse i miei poster possono farli riflettere sulla loro condizione. E molti<br />
potrebbero non tollerare questa cosa.”<br />
Inevitabile intravedere un senso politico e sociale nelle parole e nelle azioni di Obey.<br />
Impegno politico che è diventato palese nel 2008 quando Fairey crea la serie di posters in<br />
supporto alla candidatura di Barack Obama, inclusi i ritratto-icona HOPE e PROGRESS,<br />
considerati dal critico d’<strong>art</strong>e Peter Schjeldahl “i manifesti politici più efficaci in USA dai<br />
tempi di Uncle Sam Wants You’”.<br />
Nonostante la legittimazione da p<strong>art</strong>e del sistema dell’<strong>art</strong>e ufficiale, con mostre in musei e<br />
gallerie, nonché la realizzazione di merchandising commerciale, l’intento di Obey resta<br />
quello di essere spunto di riflessione sociale, innescando la consapevolezza collettiva. Ne è<br />
una prova la sua recente p<strong>art</strong>ecipazione al progetto www.<strong>art</strong>istsforpeaceandjustice.com i<br />
cui proventi ricavati dalla vendita delle opere vanno a supportare le opere di ricostruzione<br />
ad Haiti.<br />
Dopo la collettiva al MACRO Fut<strong>ure</strong>, Apocalypse Wow!, Obey approda a Napoli con il<br />
lavoro Peace and Revolution, presso la giovane Un’opera Gallery, mutuata dalla<br />
galleria Piece Unique di Parigi da cui prende in prestito l’idea di esporre un unico pezzo<br />
per <strong>art</strong>ista.<br />
PEACE AND REVOLUTION – Shepard Fairey, Un’Opera Gallery.<br />
Dal 28 al 15 giugno 2010. A cura di Mariano Ipri, Giuseppe Ruffo, Pietro Tatafiore<br />
Commenti a: "Obey, impegno sociale, Peace and<br />
Revolution | di Emiliana Mellone"<br />
#1 Commento: di giampaolo@unipg.it il 13 giugno 2010<br />
molto ben condotto, brava.<br />
#2 Commento: di pino boresta il 15 giugno 2010<br />
E allora io no?<br />
pino boresta<br />
#3 Commento: di boh il 29 aprile 2012<br />
Lo leggo a due anni di distanza ma condividi più di metà <strong>art</strong>icolo con XL di