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Quanto vale l’<strong>art</strong>e contemporanea indiana dopo il deboom | di<br />

Fernanda Moneta<br />

di Fernanda Moneta 13 giugno 2010 In appr<strong>of</strong>ondimenti,aste e mercato | 1.952 lettori | 2<br />

Comments<br />

All’incirca dal 2004, grazie ai nuovi ricchi creati dalle economie emergenti di India, Cina,<br />

Russia e Medio Oriente, il mercato dell’<strong>art</strong>e si è globalizzato sia in termini di vendita che di<br />

acquisto. Fatto decisamente positivo è che ciò ha reso il settore meno sensibile alla<br />

recessione. Di contro, i prezzi delle opere tendono ad alzarsi anche senza un giustificato<br />

motivo. Nel 2007, il noto collezionista italiano Marino Golinelli ha ceduto per 5 milioni di<br />

sterline, 138 opere della sua collezione, dichiarando di voler investire il ricavato in opere di<br />

<strong>art</strong>isti cinesi, singaporiani, coreani ed indiani. La quotazione di questi ultimi varia<br />

sensibilmente. Si va da un minimo di 50.000 euro a un massimo di 300.000 per le opere<br />

di Subodh Gupta, le più quotate. Un’opera di Anita Dude, invece, si può acquisire con una<br />

cifra che varia dai 25.000 ai 100.000 euro. Shilpa Gupta va dai 20.000 agli 80.000 euro.<br />

Ancora alla portata di molti, ma è in crescendo, Tejal Shah: dagli 8.000 ai 12.000 euro. In<br />

un’asta da Sotheby’s, una tecnica mista tra smalto dipinto su tapparella metallica, polvere<br />

di marmo e acrilico su tela, Father (Padre, 2000) di Atul Dodija, è stata venduta a 432.500<br />

euro da una stima di p<strong>art</strong>enza di circa 200.000 euro.<br />

Se, una volta, i collezionisti erano pochi ed appassionati d’<strong>art</strong>e, con un elevato livello<br />

<strong>cult</strong>urale e con spiccate conoscenze specifiche, oggi invece ad essi si è affiancata una<br />

nuova generazione con molto denaro da investire e scarse conoscenze specifiche. I nuovi,<br />

facoltosi clienti globali, comprano per ragioni di puro investimento, per acquisire prestigio,<br />

per moda o per spirito di nazionalismo. È gente come questa, dai grandi portafogli sempre<br />

aperti, che ha fatto gonfiare i prezzi, soprattutto dell’<strong>art</strong>e contemporanea, anche se erano<br />

stati ridimensionati dalla recente crisi delle borse. Molti hanno comprato <strong>art</strong>e come<br />

investimento alternativo o per dare equilibrio al portafoglio dei propri beni. Altri,<br />

semplicemente non hanno mai smesso di comprare senza farsi prendere dal panic selling.<br />

È grazie a questa gente che l’<strong>art</strong>e è stata protetta dall’attuale crisi economica, che ha<br />

colpito soprattutto l’America e l’Europa, i più vecchi e principali luoghi del mercato<br />

dell’<strong>art</strong>e, nonostante la globalizzazione. La crisi ha reso il mercato dell’<strong>art</strong>e più credibile.<br />

Contro una flessione dell’<strong>art</strong>e asiatica, inflazionata, l’interesse internazionale per il<br />

contemporaneo indiano è in forte crescita. D’altra p<strong>art</strong>e, l’India della modernizzazione<br />

investe tanto sulla comunicazione della propria <strong>art</strong>e e <strong>cult</strong>ura. Lo sviluppo dell’economia<br />

indiana ha (anche) fatto lievitare i prezzi delle opere, trasformando l’<strong>art</strong>e contemporanea<br />

in uno status symbol per i nuovi ricchi del Paese.<br />

Secondo il Sole24ore,[1] nel 2007 il totale delle vendite di <strong>art</strong>e indiana è stato di 243<br />

milioni di euro, di cui il 30% acquisto sul territorio indiano e il restante 70% tra Londra,

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