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La chiarezza narrativa, il ritmo della sequenza delle immagini e lo studio dei personaggi<br />

sono stati i suoi obiettivi, facendo p<strong>art</strong>icolarmente attenzione alla logica del cinema,<br />

diversa dall’approccio concettuale dell’installazione e della video<strong>art</strong>e. “Abbiamo<br />

praticamente scritto duecento sceneggiat<strong>ure</strong> e montato duecento film, tutti finiti nel<br />

secchio della spazzatura, perché il problema era trovare il giusto equilibrio tra il cinema e<br />

l’<strong>art</strong>e.”. Anche lavorare con una produzione che contava circa 80 persone al giorno e<br />

duecento attori non è stata cosa semplice, avendo soprattutto a che fare con quattro<br />

protagoniste. “Ho dovuto modificare anche l’idea della rappresentazione dell’essere<br />

umano, non più come una s<strong>cult</strong>ura. Sono stata costretta ad entrare nella mente e nel<br />

corpo degli attori.”.<br />

Un altro punto fondamentale è stato l’equilibrio tra la natura <strong>art</strong>istica del film e la politica.<br />

Il film parla del colpo di stato del ’53, sostenuto dalle potenze anglo-americane, con cui<br />

Mohammed Mossadegh, primo capo di governo democraticamente eletto, fu rovesciato e<br />

tornò al potere lo Scià Reza Pahlevi. Un periodo storico da ricordare all’Iran e all’occidente.<br />

“D’altra p<strong>art</strong>e volevo fare un film, non un documentario, per cui ho cercato di raccontare<br />

quegli eventi storici attraverso una lettura che fosse anche fiction.”. “Curiosamente” –<br />

continua l’<strong>art</strong>ista – “quelle dimostrazioni, le marce di piazza del ’53 hanno avuto una<br />

ripetizione la scorsa estate, nel 2009. Questo ci ha dimostrato che non ci eravamo<br />

sbagliati: gli eventi di quel periodo storico avevano un grandissimo significato. Gli iraniani<br />

potevano guardare indietro e ricordarsi, o imparare se non lo sapevano, che gli anni ’50<br />

erano stati un periodo in cui era esistita la libertà nel nostro paese. Abbiamo anche<br />

finalmente ricordato all’occidente che esisteva un Iran prima della Rivoluzione Islamica<br />

che aveva una democrazia.”.<br />

Gli eventi sono filtrati attraverso lo sguardo femminile. Il racconto, infatti, si snoda sia<br />

attraverso la coralità delle donne che p<strong>art</strong>ecipano alle manifestazioni, sia attraverso le<br />

quattro protagoniste femminili. “Ho sempre trovato le donne iraniane eroiche. Nonostante<br />

il fatto che siano, forse, le donne in assoluto più con le spalle al muro, riescono ad essere<br />

le più forti. Quelle che riescono ad affrontare e sfidare gli altri. In occidente c’è l’immagine<br />

delle donne iraniane come vittime, in realtà, è esattamente il contrario. Questo vale per<br />

mia madre, mia nonna, per le donne moderne. Ho sempre tratto ispirazione dalla<br />

letteratura o dalle opere di donne forti, da un punto di vista emotivo e intellettuale. Anche<br />

l’autrice del romanzo da cui è tratto il film è una donna che ha trascorso cinque anni in<br />

prigione per il suo lavoro.”.<br />

In ognuna delle protagoniste c’è un pezzetto di Shirin Neshat. “Si dice che il lavoro<br />

dell’<strong>art</strong>ista non sia altro che la proiezione della sua personalità. Devo dire che, in quanto<br />

donna sono occidentale, quindi condivido valori che sono comuni a tutte quante voi, e al<br />

contempo, sono orientale: ho molte cose in comune con le donne iraniane. Sono fragile e<br />

vulnerabile, e allo stesso tempo dura e forte, aspetti fondamentali in una donna. Mi piace<br />

ammettere questo dualismo. Molto spesso tendiamo a negare, nascondere il nostro lato<br />

emotivo. Invece è bello poter esprime questo spazio emotivo-psicologico. Le quattro<br />

protagoniste sono diverse sfaccettat<strong>ure</strong> di tutto ciò. Munis è un’attivista politica, una<br />

donna che desidera la giustizia sociale e questa sono io. Dentro di me sono un’attivista<br />

politica, non posso fare a meno di combattere e lottare per quello in cui credo.<br />

Nel romanzo Munis è soltanto una donna molto curiosa, sono io che ho deciso di<br />

trasformarla in un’attivista. Zarin è una prostituta. E’ una ragazza che ha enormi problemi<br />

con il suo corpo, non si accetta. Ha problemi che la spingono ad autopunirsi. Anch’io da<br />

bambina ho sempre avuto problemi con il mio corpo, e ad un certo punto della mia vita<br />

sono stata anoressica, per cui capisco quest’idea del punirsi per via di questo stigma<br />

sociale che le viene imposto. La terza donna, Fakhri, è una donna di cinquant’anni che<br />

vuole cominciare tutto di nuovo, vuole continuare ad essere bella e affascinante: anche in<br />

questo c’è una p<strong>art</strong>e di me che continua a volere essere bella, ammirata. Poi c’è Faezeh<br />

che non cerca altro che una vita normale, ma poi subisce una violenza sessuale che rompe<br />

questi suoi valori tradizionali. Anche in lei c’è qualcosa di me, perché io una vita “normale”<br />

non l’ho mai avuta, con la famiglia nucleare, ma ho sempre cercato di averla. Tutti questi<br />

elementi sono all’interno dei personaggi. Il mio lavoro è un modo per mostrarmi allo

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