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Paolo De Angelis<br />
1. Innanzitutto, la Corte precisa che il danno non<br />
patrimoniale costituisce voce piena e non suddivisibile<br />
in sottocategorie che, ove utilizzate (danno biologico,<br />
danno morale, danno esistenziale, danno estetico,<br />
danno da relazione) non possono che acquisire una<br />
valenza meramente descrittiva.<br />
2. Poi, analizza la figura del danno non patrimoniale<br />
e ribadisce che l’art. 2059 c.c. è strutturato quale<br />
norma di rinvio, che consente, cioè, la riparazione dei<br />
pregiudizi subiti solo in casi predeterminati e sempreché<br />
sussistano gli elementi dell’illecito (condotta lesiva,<br />
pregiudizio, nesso causale tra condotta e pregiudizio,<br />
ingiustizia del danno). Quanto all’identificazione<br />
delle disposizioni cui l’art. 2059 compie rinvio, la Corte<br />
fornisce un elenco non tassativo 4 , premettendo che lo<br />
stesso è sempre integrabile dal Legislatore (mediante<br />
emanazione di disposizioni normative) o dal Giudice<br />
(in considerazione del principio evolutivo espresso dall’art.<br />
2 della Carta Costituzionale che consente di considerare<br />
quali valori costituzionalmente rilevanti gli<br />
interessi come tali identificabili a seconda del momento<br />
storico e sociale concreto in cui si trovi ad adottare<br />
la decisione).<br />
3. Quindi, circa la configurabilità di una autonoma<br />
figura di danno non patrimoniale identificabile come<br />
danno esistenziale, la Corte ha precisato che la sua<br />
genesi era derivata dalla necessità di colmare dei vuoti<br />
di tutela che si sarebbero altrimenti potuti verificare;<br />
vuoti di tutela oramai colmati dalla successiva elaborazione<br />
giurisprudenziale che identifica il danno non<br />
patrimoniale quale figura di danno di pari valore e<br />
dignità rispetto al danno patrimoniale.<br />
Pertanto, alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale<br />
sopra riportata, deve concludersi che, allo stato attuale,<br />
il danno non patrimoniale costituisca categoria<br />
unica e onnicomprensiva, risarcibile solo laddove<br />
siano stati lesi interessi costituzionalmente garantiti.<br />
Infine, un brevissimo cenno merita la problematica<br />
inerente alla cd. responsabilità medica in équipe.<br />
Rispetto a questo tipo di responsabilità, la giurisprudenza<br />
era uniforme nel ritenere che ciascuno dei medici<br />
oltre a essere responsabile per la propria condotta (attiva<br />
o omissiva) potesse anche essere ritenuto responsabile<br />
per la condotta degli altri componenti l’équipe, solo<br />
nel caso in cui uno dei medici assuma neo confronti<br />
degli altri un ruolo di direzione o coordinamento<br />
(capo équipe). Solo in questo caso, cioè, taluno identificato<br />
come capo équipe poteva essere ritenuto responsabile<br />
anche per condotte poste in essere o omesse da<br />
parte degli altri medici; laddove non si versi in questa<br />
condizione, in base al principio dell’affidamento, cia-<br />
4 Elencazione comprendente: 1. le ipotesi di reato ex art. 185 c.p.; 2. altre<br />
leggi che espressamente prevedono la risarcibilità del danno non patrimoniale,<br />
quali, ad esempio, le seguenti: art. 2 L. 117/98 (privazione della<br />
libertà personale derivante da funzioni giudiziarie), art. 29 c. 9 L. 675/96<br />
– ora art. 15 D.Lgs. 196/03 (modalità illecite nella raccolta dei dati personali),<br />
art. 44 c. 7 D.Lgs. 286/98 (adozione di atti discriminatori), art. 2 L.<br />
89/01 (mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo);<br />
3. gli interessi costituzionalmente rilevanti espressi nella Carta<br />
Costituzionale, quali: art. 32 (tutela della salute), artt. 2, 29 e 30 (tutela<br />
della famiglia), artt. 2 e 3 (tutela della persona).<br />
2066 Med. Chir. <strong>47</strong>, 2064-2067, 2009<br />
scuno sarebbe responsabile per le azioni o omissioni<br />
compiute non potendosi ritenere incombente su ciascuno<br />
dei medici un più ampio obbligo di diligenza<br />
volto a verificare e sorvegliare l’operato altrui.<br />
Al riguardo, recente giurisprudenza ha precisato che<br />
nell’ambito di un’operazione chirurgica, i ruoli ed i<br />
compiti di ciascun elemento della équipe, possono essere<br />
svolti singolarmente o in équipe; nel primo caso “…<br />
dell’errore o della omissione ne risponde il singolo operatore<br />
che abbia in quel momento la direzione dell’intervento<br />
o l’errore sia riferibile ad una specifica competenza<br />
medica: l’anestesista non potrà certo rispondere<br />
dell’errore del chirurgo, come questi non risponderà di<br />
una inidonea somministrazione di anestetico da parte<br />
del primo. Nel caso, invece, in cui l’attività dell’equipe<br />
è corale, cioè riguarda quelle fasi dell’intervento chirurgico<br />
in cui ognuno esercita il controllo del buon<br />
andamento di esso, non si può addebitare all’uno l’errore<br />
dell’altro e viceversa …”: pertanto, in questo caso,<br />
tutta l’équipe medica è chiamata a rispondere integralmente<br />
dell’attività svolta collegialmente (C. Cass., sez.<br />
IV pen., 21.09.09, n. 36580).<br />
La responsabilità medica penale<br />
Quanto alla responsabilità medica di natura penalistica,<br />
essa può concernere sia la condotta omissiva che<br />
l’erronea diagnosi.<br />
È noto che affinchè possa addebitarsi a taluno una<br />
responsabilità penale, è necessario che ricorrano<br />
determinati presupposti; per sintetizzare al massimo,<br />
può dirsi che taluno ponga in essere una condotta che<br />
si verifichi un evento che il codice penale o altra legge<br />
speciale penale prevedono come reato, che tra la condotta<br />
e l’evento vi sia un nesso causale (ossia, che l’evento<br />
sia conseguenza effettiva di quella specifica condotta).<br />
Molto controverso, nel caso oggetto del presente<br />
scritto, è il tema relativo al nesso di causalità, specificamente<br />
in relazione alla cd. condotta omissiva.<br />
Inizialmente di era ritenuto che affinchè si potesse<br />
individuare un nesso causale fossero sufficienti anche<br />
solo poche possibilità di successo (Cass., IV, 02.05.83,<br />
n. 4320). Successivamente, al fine di non rendere praticamente<br />
impossibile la difesa del medico, si elaborò<br />
un diverso concetto, ritenendosi necessario che l’esistenza<br />
del nesso causale sia riscontrata con un grado<br />
tale di certezza da fondare su basi solide un’affermazione<br />
di responsabilità (Cass., IV, 16.11.93, n. 10437).<br />
Poi, si ancorò il giudizio a criteri scientifici e si distinse<br />
la probabilità statistica (astratta) da quella logica<br />
(concreta) ritenuta, quest’ultima, maggiormente<br />
rispondente a identificare il grado di probabilità del<br />
verificarsi di un determinato evento quale conseguenza<br />
di una specifica condotta (Cass., IV, 09.03.01, n.<br />
9780). Infine, con sentenza a Sezioni Unite, sono stati<br />
individuati specifici criteri affinchè possa dirsi sussistente<br />
il nesso causale tra condotta ed evento: 1) deve<br />
accertarsi che ipotizzandosi compiuta dal medico la<br />
doverosa condotta l’evento non si sarebbe realizzato;<br />
2) questo accertamento va compiuto non sulla base di