L'idea di Dio nel Cristianesimo delle origini - Dott. Faustino Nazzi
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Deus; ego sum Alpha et Omega, principium et finis, <strong>di</strong>cit Dominus Deus, qui est et qui erat, et<br />
qui venturus est, Omnipotens; et regnaverunt cum Christo mille annis (20,4); ecce nova faccio<br />
omnia».<br />
Lettere <strong>di</strong> S. Giovanni (a. 95) ♣ La comunione col Figlio è comunione col Padre.<br />
Valutazioni ♣ In tutti questi testi neotestamentari riportati ed in particolare nei vangeli<br />
sinottici non appare mai il termine <strong>di</strong> Gesù Figlio <strong>di</strong> <strong>Dio</strong> con riferimento ad una sua natura<br />
<strong>di</strong>vina, ma secondo la tra<strong>di</strong>zione biblica già presente <strong>nel</strong>l'AT come del figlio pre<strong>di</strong>letto. Ci<br />
chie<strong>di</strong>amo: ma tutti costoro avevano un fede immatura in attesa che si sviluppassero i<br />
parametri ontologici della metafisica neoplatonica, già abbondantemente presenti come crisi<br />
dell'istituzione imperiale romana, oppure non lo hanno fatto per non compromettere l'essenza<br />
stessa del messaggio evangelico? È una domanda cui non si può sfuggire, perché il primo<br />
coinvolto sarebbe proprio Gesù con la sua pre<strong>di</strong>cazione "immatura" se non "equivoca". Si può<br />
solo <strong>di</strong>re che non si <strong>di</strong>sponeva ancora dei parametri <strong>di</strong> un'ontologia matura, schema <strong>di</strong><br />
pensiero per nulla superiore al linguaggio biblico e gravemente inficiato da un senso <strong>di</strong><br />
presunzione sempre più esplicito. L'unico modo <strong>di</strong> progre<strong>di</strong>re <strong>nel</strong>la fede è la santità <strong>di</strong> vita non<br />
la scappatoia <strong>di</strong> una sua reiterata e "aggiornata" acculturazione del messaggio evangelico<br />
senza un minimo <strong>di</strong> pudore e <strong>di</strong> prudenza. L'acculturazione ha un senso solo quando fa del<br />
credente un uomo nuovo.<br />
Vangelo <strong>di</strong> S. Giovanni (a. 95) ♣ Usa il titolo Figlio <strong>di</strong> <strong>Dio</strong> come intima unione del Figlio<br />
col Padre, in unione perfetta <strong>delle</strong> loro operazioni, in virtù della quale il Figlio riceve dal<br />
Padre il potere <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care e <strong>di</strong> conferire la vita; la fede in lui è la vita eterna e la figliolanza<br />
propria <strong>di</strong> Gesù è il principio <strong>di</strong> adozione dei cristiani. Da un capo all'altro degli scritti<br />
giovannei la preesistenza del Figlio in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>vina è presupposta in modo evidente<br />
(Db 349). A rigor <strong>di</strong> termini Gv 1,1 dovrebbe essere tradotto così: «La parola era con il <strong>Dio</strong><br />
(=il Padre), e la parola era un essere <strong>di</strong>vino».<br />
In questa apertura del vangelo <strong>di</strong> Giovanni attira l'attenzione l'uso ripetuto dell'imperfetto:<br />
«erat». Ciò suggerisce l'opportunità <strong>di</strong> prescindere da ogni accezione ontologica o metafisica<br />
che <strong>di</strong>r si voglia. L'apostolo Tommaso : «Mio Signore e mio <strong>Dio</strong>». «Io ed il Padre siamo uno»<br />
(10,30), ma «Pater maior me est» (14,28). A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Luca, che <strong>di</strong>pinge Gesù come un<br />
uomo innalzato a livello <strong>di</strong>vino, Giovanni ne fa un essere <strong>di</strong>vino <strong>di</strong>sceso temporaneamente<br />
sulla terra per assumere forma umana. Il vangelo <strong>di</strong> Giovanni rappresenta la transizione da<br />
una cristologia minore a una maggiore, a una visione sempre più alta <strong>di</strong> Gesù. Questa<br />
concezione cominciò <strong>nel</strong> I secolo e culminò <strong>nel</strong> Credo niceno che proclama Gesù «<strong>Dio</strong> da<br />
<strong>Dio</strong>, Luce da Luce, <strong>Dio</strong> vero da <strong>Dio</strong> vero» (PAGELS 2005, p. 39). Per Giovanni il regno <strong>di</strong> <strong>Dio</strong> è<br />
già arrivato, è una realtà spirituale imme<strong>di</strong>ata e continua e non più un'attesa <strong>nel</strong> prossimo<br />
futuro: il giorno del Signore «è questo» (Gv 5,25).<br />
Antico e Nuovo Testamento ♣ L'israelita conosce con il cuore. La <strong>di</strong>stinzione tra intelletto<br />
e appetito è imprecisa. In ebraico conoscere significa sperimentare: l'esperienza della battaglia<br />
(I Sam 14,12), della sterilità (Is 47,8), del dolore (Is 53,3), della mano e della forza <strong>di</strong> Yahweh (Gr<br />
16,21), della vendetta <strong>di</strong> Yahweh (Ez 25,14) ecc. Conoscere equivale a provare e la conoscenza<br />
sfocia <strong>nel</strong>l'azione. Conoscere qualcuno è prendersi cura, provvedere (Gn 39,6; Sl 50,11; 73,11;<br />
144,3). È riconoscere (Pr 29,7; Sl 50,11). Significativo l'uso del verbo "conoscere" per in<strong>di</strong>care il<br />
rapporto sessuale (Gn 4,1, 17,25 ecc.). Chi ha esperienza <strong>di</strong> un'altra persona ha fatto conoscenza<br />
con essa (Es 1,8; Dt 9,2). Conoscere i decreti <strong>di</strong> Yahweh è accettarli con obbe<strong>di</strong>enza (Sl 119,79).<br />
La conoscenza in assoluto è una capacità del saggio (Dn 1,4 ecc.). Non si può conoscere senza<br />
desiderare l'oggetto conosciuto. Così si conoscono le azioni salvifiche <strong>di</strong> Yahweh<br />
sperimentandole e riconoscendo che è lui che agisce (Dt 11,2; Is 41,20). Non conoscere che<br />
Yahweh è <strong>Dio</strong> è un rifiuto a Yahweh che si è già conosciuto (Sm 2,12).<br />
L'ampiezza del concetto <strong>di</strong> conoscenza lo rende <strong>di</strong>fficilmente definibile; in ogni caso va