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L'idea di Dio nel Cristianesimo delle origini - Dott. Faustino Nazzi

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con l'affermazione della superiorità del suo insegnamento fino a proporre se stesso come<br />

modello normativo. Il contrasto nasceva dal rifiuto <strong>di</strong> particolari versioni <strong>delle</strong> verità cristiane<br />

in via <strong>di</strong> chiarificazione, come la risurrezione della carne, ma apparirà ben presto inevitabile<br />

come supporto <strong>nel</strong>la lotta alle eresie.<br />

Testi patristici ♣ Chi è <strong>Dio</strong>, secondo i Padri della Chiesa? La risposta è molto complessa<br />

variando secondo i perio<strong>di</strong> e gli autori e secondo l'indole dei loro scritti apologetici od<br />

omiletici. Al <strong>Dio</strong> unico dell'AT si aggiungono ben presto il Figlio e lo Spirito Santo secondo<br />

la formula battesimale (Mt 28,19).<br />

Didaché (fine I sec.) ♣ L'autore giudeo-cristiano della Siria occidentale ha unito vari<br />

contributi considerati utili a comunità dove erano presenti dei cristiani venuti dal paganesimo.<br />

Propone l'insegnamento <strong>delle</strong> due vie: della vita e della morte, insieme a tra<strong>di</strong>zioni liturgiche<br />

sul battesimo, <strong>di</strong>giuno, preghiera e cena eucaristica. Pur risentendo gli influssi <strong>di</strong> Qumrân non<br />

ne ha conservato lo spiccato dualismo e d'altronde documenta come buona parte dell'etica<br />

cristiana potesse basarsi sulla tra<strong>di</strong>zione giudaica (Dp 948).<br />

Nicolaiti (a. 94) ♣ È un movimento eretico <strong>di</strong> "falsi apostoli" (Ap 2,2) o pre<strong>di</strong>catori<br />

itineranti senza titolo (I Tm 5,20) che hanno lasciato tracce agli inizi del II secolo (Ign. Eph. 9,1).<br />

Non si facevano scrupolo <strong>di</strong> partecipare ai banchetti sacri dei pagani (Ap 2,14), che spesso<br />

erano accompagnati da pratiche immorali. Una specie <strong>di</strong> pregnostici che in nome <strong>di</strong> una<br />

"sapienza interiore" praticavano un certo lassismo teorico e pratico spingendo alle estreme<br />

conseguenze gli insegnamenti <strong>di</strong> Paolo sulla libertà del cristiano, partecipando ai banchetti<br />

sacri pagani con la giustificazione che l'idolo è nulla, e una certa compiacenza nei riguar<strong>di</strong> del<br />

culto imperiale, perché <strong>nel</strong>l'atto cultuale non era adorata la persona dell'imperatore, ma il suo<br />

genio protettore. Nel Me<strong>di</strong>oevo sotto il titolo <strong>di</strong> Nicolaiti furono compresi tutti coloro che<br />

avversavano il celibato ecclesiastico (Db 2401).<br />

Questa "eresia", dal nostro punto <strong>di</strong> vista, è <strong>di</strong> estremo interesse. Al centro del contrasto sta<br />

la tolleranza nei confronti della prassi pagana: banchetti, idolotiti, culto imperiale e lasciamo<br />

la fornicazione, contorno ormai classico per «s-qualificare» l'eretico. La religione romana era<br />

essenzialmente pubblica, politica ed i suoi dei non avevano carattere trascendente: «Nessuno<br />

per proprio conto abbia dei né nuovi né forestieri se non riconosciuti dallo Stato» (CICERONE,<br />

Ap., leg. 2,19, LIVIO, ved. Liv. 39,16,7). «La Repubblica, o Cesare, ha su tua proposta pattuito con<br />

gli dèi la tua salute e incolumità, purché tu garantisca gli stessi beni agli altri dèi» (PLINIO,<br />

Panegyricus, 67,5). Compito dello Stato era assicurare il culto agli dèi, senza che ciò<br />

comportasse alcuna interferenza <strong>nel</strong>la vita privata del singolo: perché la religione romana si<br />

rivolgeva ai citta<strong>di</strong>ni e non agli in<strong>di</strong>vidui. «Era una religio senza pietas, una devotio senza<br />

fede» (SCHEID 2001, p. 9), una «concezione dello Stato che è insieme religiosa e<br />

aconfessionale» (SORDI 1991, p. 8). Da qui una pratica religiosa civile ed esteriore, il pantheon<br />

romano multietnico e meticcio che accoglieva integrava ed assimilava le <strong>di</strong>vinità straniere:<br />

«Deos ignotos quaerunt et suos faciunt» (MINUCIO FELICE, Octavius 6,2) e innalzano altari<br />

persino agli dèi ignoti e ai Mani, da cui la condanna del cristianesimo come religio illicita in<br />

quanto, non riconoscendo pubblicamente gli dèi pagani, violava il principio giuri<strong>di</strong>co-politicoistituzional-statale<br />

della pax deorum e per questo erano cattivi citta<strong>di</strong>ni (DIONIGI 2006, p. 20).<br />

I nostri Nicolaiti intendevano proprio questo: non condurre la loro fede cristiana ad un uno<br />

scontro con l'impero tale da sovvertirne l'or<strong>di</strong>ne costituito. Tutto questo non aveva nulla a che<br />

fare con la loro fede in Cristo. Dire che gli dèi sono nulla significava proprio affermare<br />

l'inoffensività del culto pubblico; la cosiddetta <strong>di</strong>vinità dell'imperatore non era altro che il suo<br />

genius che si identificava con il riconoscimento della personalità dello Stato. L'incompatibilità<br />

scaturiva dal progressivo storicizzarsi del concetto <strong>di</strong> <strong>Dio</strong> che da ineffabile, <strong>di</strong>veniva sempre<br />

più antropomorfico <strong>nel</strong> suo risvolto intellettualistico e perciò sempre più "pagano" fino a<br />

risultare incompatibile con i sacrifici agli dèi percepiti come "concorrenti" falsi-veri e tanto<br />

più al culto dell'imperatore ormai "deificato", in<strong>di</strong>scutibilmente un uomo e spesso neppure

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