ITC “Tosi” Una scommessa che dura da 50 anni - Noi del Tosi
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10. 5 I favolosi <strong>anni</strong> S essanta al <strong>“<strong>Tosi</strong>”</strong><br />
Fu un giorno di settembre <strong>del</strong> 1964. Da qual<strong>che</strong> mese soltanto avevo lasciato la scuola media <strong>del</strong><br />
mio paese, Fagnano Olona, e i miei compagni di classe, con alcuni dei quali in particolare avevo<br />
condiviso, nei primi mesi di quell’anno, l’esaltazione <strong>del</strong>la “beatlesmania”, la sconvolgente novità<br />
di quei tempi. Mia zia, <strong>che</strong> è di Busto e <strong>che</strong> ero an<strong>da</strong>to a trovare, mi diede una vecchia bicicletta e<br />
mi portò a vedere l’edificio <strong>del</strong>la “ragioneria”, in via Volta. Mio padre mi aveva iscritto proprio a<br />
quella scuola per la fama di serietà di cui godeva già allora e perché an<strong>che</strong> lui aveva fatto studi “commerciali”.<br />
Il primo impatto con la Villa Tovaglieri non fu incoraggiante: la sua austerità monacale<br />
era l’esatto opposto <strong>del</strong>le atmosfere liberatorie <strong>del</strong>le canzoni dei Beatles. Ma dentro quelle fredde sale<br />
adibite ad aule c’erano tanti adolescenti pieni di entusiasmo (ci vuol ben altro <strong>che</strong> una vecchia villa<br />
per soffocare la naturale inclinazione dei giovanissimi alla gioia di vivere) e tanti insegnanti ricchi<br />
di umanità oltre <strong>che</strong> competenti: i miei li ricordo tutti con affetto. Quando, verso la fine degli <strong>anni</strong><br />
Sessanta, cominciò a spirare il vento <strong>del</strong>la contestazione e an<strong>che</strong> noi studenti <strong>del</strong> <strong>Tosi</strong> diventammo<br />
un po’ più irrequieti e un po’ più ribelli, i nostri insegnanti diedero prova di equilibrio e di tolleranza<br />
nei nostri confronti, puntando al dialogo anziché allo scontro.<br />
Preferisco però tralasciare la “grande” storia per rituffarmi nei flash <strong>del</strong>la memoria. Stranamente ho<br />
più ricordi <strong>del</strong> biennio <strong>che</strong> <strong>del</strong> triennio (è così per tutti?). Mi vengono in mente le materie ormai<br />
scomparse <strong>da</strong>l curriculum scolastico: la <strong>da</strong>ttilografia, la stenografia, la computisteria, la merceologia;<br />
tutte, tranne l’ultima, studiate nei primi due <strong>anni</strong>.<br />
La prova di <strong>da</strong>ttilografia era particolarmente temuta. La nostra insegnante esigeva <strong>che</strong> si usassero<br />
praticamente tutte le dieci dita <strong>del</strong>le mani: c’erano dei tasti <strong>che</strong> dovevano essere premuti con l’indice,<br />
altri con il medio, altri con l’anulare ed altri infine (sempre più difficile) con il mignolo. Ebbene,<br />
<strong>dura</strong>nte la prova ci passava accanto e controllava <strong>che</strong> non sbagliassimo: se l’irrefrenabile tendenza<br />
ad usare l’indice si imponeva an<strong>che</strong> per una sola battuta, lei metteva un segno sul nostro foglio e,<br />
a correzione ultimata, toglieva un punto <strong>da</strong>l voto finale. Se quell’esercizio fosse continuato an<strong>che</strong><br />
nel triennio, probabilmente sarei diventato un grande pianista. Ironia a parte, devo riconoscere <strong>che</strong><br />
mi è rimasta una positiva eredità: quando digito sulla tastiera <strong>del</strong> computer mi viene spontaneo utilizzare<br />
an<strong>che</strong> il medio e l’anulare (l’indice, quello no). Allo stesso modo, a trentacinque <strong>anni</strong> di<br />
distanza conosco ancora “l’alfabeto” <strong>del</strong>la stenografia – metodo Gabelsberger – e mi succede con<br />
naturalezza di corrre<strong>da</strong>re i testi <strong>che</strong> studio con note personali scritte in caratteri stenografici (per<br />
impedire alla “concorrenza” di leggerle?).<br />
Negli <strong>anni</strong> Sessanta, la vita dei ragazzi <strong>del</strong> <strong>Tosi</strong> scorreva simile un po’ a quella dei protagonisti <strong>del</strong>la<br />
famosa serie americana di telefilm “Happy <strong>da</strong>ys”: si studiava ma si pensava an<strong>che</strong> a divertirsi e a<br />
ritrovarsi fuori di scuola. Si trattava di divertimenti semplici e tradizionali: il pallone e le immancabili<br />
festicciole. La scuola non organizzava feste di Natale né di fine anno scolastico; la socializzazione<br />
non rientrava ancora nelle preoccupazioni <strong>del</strong>l’istituzione scolastica italiana. <strong>Una</strong> sola volta<br />
venne organizzata una partita di calcio tra professori e studenti. Protagonista di quella giornata fu<br />
un ragazzo <strong>che</strong> aveva studiato un anno negli USA e <strong>che</strong> ora, ritornato <strong>da</strong> noi, incarnava lo stile e il