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Totalità e Infinito - Scienze della Formazione

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Ecco quindi già una tesi. Se la relazione sociale è “causa” del soggetto (se il soggetto è una<br />

formazione locale di un fascio di relazioni che egli non è in grado di pensare), allora l’Altro c’è già<br />

sempre, e l’accoglienza è un fatto. Non si tratta di decidersi per l’accoglienza, né di “rispettare le<br />

differenze”, di optare per questa o quella politica dell’accoglienza. Non troverete mai in Lévinas<br />

delle prese di posizione sui problemi dell’immigrazione o del multiculturalismo: queste cose le fa lo<br />

Stato, sono oggetto <strong>della</strong> politica.<br />

In un’intervista, Lévinas ha sostenuto di non avere voluto elaborare un sistema di etica, ma di aver<br />

cercato di mostrarne il senso. Qual è il senso di un’etica? Non è la formulazione di un dover-essere,<br />

ma un esercizio fenomenologico: vale a dire la constatazione di un fatto, la sua descrizione e la sua<br />

analisi (la descrizione <strong>della</strong> sua struttura formale e delle circostanze fenomenologiche che ce lo<br />

fanno vivere). Il tono del discorso resta astratto, ma attraverso l’astrazione cerca di descrivere che<br />

cosa succede nei rapporti umani, cosa sono questi rapporti:<br />

«Si tratta di descrivere le “circostanze” fenomenologiche, la loro congiuntura<br />

positiva e come la “messa in scena” concreta di ciò che si dice in forma di<br />

astrazione». 1<br />

Il fatto è appunto quello dell’accoglienza nel suo nesso con la separazione, fatto che − abbiamo<br />

visto − si colloca al di là <strong>della</strong> mia libertà, che io insomma non scelgo.<br />

Allora: c’è accoglienza. Ma senza una separazione invalicabile non c’è accoglienza. La separazione<br />

non può essere ridotta, rimane sempre, anche nel contatto, nella stretta di mano, nella carezza.<br />

Anche nel contatto più intimo, io non posso fare a meno di avvertire una sproporzione, un vuoto, tra<br />

me e l’altra persona: avverto veramente la presenza di un’altra persona, ma a condizione di sentirmi<br />

solo (è un tema che è stato affrontato tra gli altri anche da Winnicott). Perché la separazione è e<br />

deve essere invalicabile?<br />

1. Se non vi fosse separazione, io non accoglierei nessuno. L’Altro sarebbe uguale a<br />

me, sarebbe me. In sostanza, accoglierei solo me stesso.<br />

2. L’impossibile fusione mi riguarda, mette in questione il carattere di nucleo<br />

identitario del soggetto. Io non posso ritrovarmi nell’Altro, ma da che c’è l’Altro (cioè da<br />

sempre), io non posso ritrovarmi in me stesso. Appunto perché io non sono una “cosa”, una<br />

sostanza, ma l’effetto di superficie di una struttura relazionale.<br />

1 E. Lévinas, Di Dio che viene all’idea, tr. it. di G. Zennaro, Jaca Book, Milano 1983, p. 9.<br />

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