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dell’intervento sott<strong>il</strong>e di un Principio trascendente nelle maglie stesse della realtà, <strong>per</strong> quanto tragica essa possa apparire. È quanto <strong>Tolkien</strong> stesso chiama eucatastrofe. Pensiamo assieme alla parte fi nale de Il signore degli anelli e cerchiamo di capire meglio come funzioni questa Apocalisse positiva in <strong>Tolkien</strong>. In una lettera (n. 89) del 7 novembre 1944 (5) a Christopher, uno dei suoi fi gli, <strong>il</strong> fi lologo spiega quali sono <strong>per</strong> l’autore le ragioni del valore de Lo Hobbit e de Il signore degli anelli. La missiva contiene <strong>il</strong> racconto del miracolo accaduto ad un bambino assai malato che, andato a Lourdes, non era stato inizialmente guarito, ma che sul treno del ritorno presentò i segni della guarigione; in riferimento a ciò l’autore prosegue: “Per questa situazione ho coniato la parola «eucatastrofe »: l’improvviso lieto fi ne di una storia che ti trafi gge con una gioia da farti venire le lacrime agli occhi (che io argomentavo essere <strong>il</strong> sommo risultato che una fi aba possa produrre). E nel saggio [Sulle Fiabe] esprimo l’opinione che produce questo eff etto particolare <strong>per</strong>ché è un’improvvisa visione della Verità, <strong>il</strong> tuo intero essere legato dalla catena di causa ed eff etto, la catena della morte, prova un sollievo improvviso come se un anello di quella catena saltasse. Si intuisce che così è fatto <strong>il</strong> Grande Mondo <strong>per</strong> <strong>il</strong> quale è fatta la nostra natura. E concludevo dicendo che la Resurrezione è la più grande «eucatastrofe» possib<strong>il</strong>e nella più grande Fiaba (...). Naturalmente non voglio dire che i Vangeli raccontano solo fi abe; ma sostengo con forza che raccontano una fi aba: la più grande. L’uomo, narratore, deve essere redento in modo consono alla sua natura: da una storia commovente. Ma dato che <strong>il</strong> suo autore è l’artista supremo e l’autore di tutta la realtà, questa storia è fatta <strong>per</strong> essere vera anche al primo livello”. Qui è esposto <strong>il</strong> punto chiarifi catore del realismo delle fi abe, cioè la capacità di raccontare in modo semplice la dinamica della Verità. La sorpresa dell’autore è grande nel realizzare questo fatto: <strong>per</strong> <strong>Tolkien</strong> diventa chiaro che <strong>il</strong> suo lavoro non ha alcuna ragione di rimanere chiuso nella propria cerchia fam<strong>il</strong>iare se è in grado di suscitare nel lettore la visione – e la passione – del Vero (6). Nella dinamica della salvezza nell’o<strong>per</strong>a tolkieniana potremmo dire che in realtà <strong>il</strong> mondo viene salvato unicamente dalla “Provvidenza”, che tuttavia agisce attraverso la pietà esercitata dai suoi Eroi nei momenti della maggiore diffi coltà, e <strong>per</strong>sino nei confronti dei peggiori erranti, ossia i Servi dell’Oscuro Signore; oppure realizzandosi in “situazioni sacrifi cali” in cui la vita stessa dei protagonisti è off erta <strong>per</strong> espiazione e <strong>per</strong> Amore. In che senso si debba intendere questa Provvidenza ce lo conferma lo stesso <strong>Tolkien</strong>: essa è l’azione dell’“unica <strong>per</strong>sona sempre presente che non è mai assente e mai viene nominata – in verità ci si riferiva a lui come all’Unico”, nome che designa <strong>il</strong> Dio creatore del S<strong>il</strong>mar<strong>il</strong>lion (lettera 192). Sulla presenza di questo “decimo <strong>per</strong>sonaggio della Compagnia” si gioca <strong>il</strong> terzo aspetto fondamentale del libro – anche se normalmente viene ritenuto secondario rispetto alla questione della Morte ed Immortalità e della sub-creazione: “Nel Signore degli Anelli <strong>il</strong> confl itto fondamentale non riguarda la libertà, che tuttavia è compresa. Riguarda Dio, e <strong>il</strong> diritto che Lui solo ha di ricevere onori divini”. Si rammentino le parole dello Starez Giovanni all’Anticristo in Solov’ëv, le uniche parole che riescono ad incrinare <strong>il</strong> suo trionfo e scatenano la sua 16 n. 03/2012 ira, rivelandone al contempo la natura compiutamente diabolica: “Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare <strong>per</strong> noi, eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Gesù Cristo fi glio di Dio che si è incarnato, che è resuscitato e che verrà di <strong>nuovo</strong>; confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come <strong>il</strong> vero precursore del Suo secondo avvento”. Quis ut deus? Conclusione La narrazione non può fac<strong>il</strong>mente liberarsi dal suo spessore simbolico, che non è aff atto una sovrastruttura ideologica, come certa critica neomarxista oggi in modo invero su<strong>per</strong>fi ciale cerca non di dimostrare, ma di asserire. In essa pare troppo spesso rispuntare, senza che nemmeno gli autori stessi se ne rendano pienamente conto, una rete di signifi cati senza tempo, che rimandano ad un tessuto culturale profondo nei cui fi li l’eredità culturale e spirituale europea e cristiana non scompare. Abbiamo <strong>per</strong>ò anche constatato come questa eredità si frammenti e deformi: ne è un esempio la cupezza della letteratura apocalittica anglosassone (sia di fantascienza che horror), di evidenti radici protestanti, in cui <strong>il</strong> senso del necessario e provvidenziale decadimento del mondo non sfocia in alcuna s<strong>per</strong>anza di rigenerazione che vada al di là dell’individuo e della sua salvezza materiale, e quindi aff oga nella paura e nell’angoscia, disegnando fi gure di dèi oscuri e terrifi ci, o completamente otiosi. Gli altri Autori che abbiamo esaminato, cattolici ed ortodossi, hanno coscienza di altro. Ad una necessaria fi ne corrisponde un <strong>nuovo</strong> inizio, ed i dolori del parto in cui l’universo geme sono buoni in quanto funzionali alla nascita di un <strong>nuovo</strong> mondo ri-ordinato, giovane e pulito. Né questa coscienza di altro giunge a noi <strong>per</strong> la prima volta dalla letteratura del ‘900: nella letteratura cavalleresca medievale la Battaglia fi nale – l’Apocalisse arturiana, con tutti i suoi orrori – non <strong>per</strong>de mai una sfumatura di fondamentale felicità, poiché è <strong>il</strong> tempo in cui si realizza l’antica Profezia che accompagna l’uomo in tutti i suoi tempi: “Quel giorno <strong>il</strong> Re verrà, e la Spada sorgerà di <strong>nuovo</strong>”. (1) Cfr. M. Eliade, Occultismo, stregoneria e mode culturali, Sansoni, Firenze 2004. (2) V. Solov’ëv, I tre dialoghi e <strong>il</strong> Racconto dell’Anticristo, Marietti 1820, Genova-M<strong>il</strong>ano 1975, anche se devo segnalarne presso lo stesso Editore una signifi cativa traduzione più recente, a cura di Aldo Ferrari. (3) Ivi, p. 45. (4) Ivi, p. 47. (5) In J. R. R. <strong>Tolkien</strong>, La Realtà in trasparenza, Rusconi, M<strong>il</strong>ano 1990. (6) Sul tema, vedi anche l’esegesi di A. Mordini, Il segreto cristiano delle fi abe, Il Cerchio, Rimini 2007.
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