n. 03/2012 <strong>Tolkien</strong> e la tecnica 17 di Errico Passaro J. R. R. <strong>Tolkien</strong> è uno di quei rari scrittori-mondo alla cui autorità morale e culturale molti si appellano, non sempre in buona fede, <strong>per</strong> trovare la propria via esistenziale, <strong>per</strong> supportare una propria visione del mondo già formata ma <strong>per</strong>icolante, oppure <strong>per</strong> fornire una patente di nob<strong>il</strong>tà ad un’ideologia rozza e triviale. È sempre con misura e cautela, dunque, che lo studioso si deve accostare alla vita e all’o<strong>per</strong>a del Nostro, saccheggiata da più mani, nel timore che ogni interpretazione anticonformista possa essere bollata come una mis-interpretazione, un fraintendimento strumentale a chissà quale oscuro disegno egemonico culturale o semplicemente ad una scarsa conoscenza diretta delle fonti biografiche, scientifiche e letterarie.
Queste note di premessa valgono anche <strong>per</strong> l’annosa questione del ruolo della “tecnica” nella Terra di Mezzo: è evidente che certificare carte alla mano <strong>il</strong> rifiuto totale della tecnica da parte di <strong>Tolkien</strong> può portare a rafforzare la nomea di ultraconservatore che <strong>il</strong> <strong>per</strong>sonaggio nel suo complesso si è guadagnato nel tempo da una parte tutt’altro che minoritaria della critica; viceversa, rinve- nire nel “legendarium” tolkieniano le tracce di una prudente accettazione della tecnica può ridimensionare questa lettura monolitica del <strong>per</strong>sonaggio. Nella vulgata popolare J. R. T. T. appare come una sorta di retrogrado vegliardo zavorrato ad una visione bucolica della vita. In realtà, come vedremo, questa posizione di radicale e insanab<strong>il</strong>e intolleranza verso i mezzi della tecnologia trova alcuni tem<strong>per</strong>amenti. In una lettera del 1951 indirizzata a M<strong>il</strong>ton Waldman, <strong>Tolkien</strong> parla della “Macchina” come del mezzo attraverso cui rendere più rapidamente efficace la Volontà e giungere al Potere. In questo senso, essa rappresenta lo strumento d’elezione attraverso cui <strong>il</strong> Male impone la sua volontà nel mondo: <strong>il</strong> mondo primario in cui l’Autore vive e <strong>il</strong> mondo secondario che esso fa vivere attraverso le sue o<strong>per</strong>e. In una lettera del 1944 alla figlia, tuttavia, l’oxoniense rimarca la differenza fra l’arte, che si accontenta di creare un <strong>nuovo</strong> mondo, e la tecnica, che cerca di realizzare i desideri e creare potere in questo mondo. Se non erriamo, questo significa che l’artista (lo scrittore, ma anche <strong>il</strong> pittore, lo scultore, l’architetto…) agisce <strong>per</strong> puro d<strong>il</strong>etto, senza <strong>per</strong>seguire scopi materiali, mentre <strong>il</strong> tecnico, spesso mascherato da artista, ha l’ambizione di agire sul mondo circostante senza scrupoli, piegandolo ai propri interessi egoistici. Già dalla lettura preliminare di questi due semplici estratti dalla corrispondenza di <strong>Tolkien</strong> ci sembra di poter ricavare, in prima approssimazione, un atteggiamento, se non di chiusura, certo di diffi denza di fronte alla modernità delle macchine novecentesche. Ma proseguiamo nell’analisi, invocando anche <strong>il</strong> magistero dei colleghi della critica specializzata. “ In Mordor e Isengard, emblemi della Modernità, vige <strong>il</strong> potere più spietato basato sul terrore, la Scienza si oppone alla natura e la devasta, le sue fucine sfornano non solo armi ma anche esseri nuovi, malvagi, mostruosi e crudeli ” 18 n. 03/2012 Il concetto fondamentale che sembra trapelare dalla generalità degli interventi sull’argomento è che esiste una tecnica “buona”, equiparab<strong>il</strong>e alla magia bianca o, con altro termine, all’arte, e una tecnica “cattiva”. Come abbiamo scritto in altra sede, “la magia può essere un atto di imposizione alla natura come un atto di sco<strong>per</strong>ta. Nel primo caso, abbiamo, la magia nera (Saruman che si fa creato- re della stirpe mutata degli orchetti Uruk-hai) (…). La magia nera, in quanto paragonab<strong>il</strong>e alla tecnologia, altera <strong>per</strong>versamente la materia, forza i suoi limiti e scimmiotta l’o<strong>per</strong>a del Creatore” (1). Una sub-creazione volta al negativo, dunque, che inverte <strong>il</strong> segno della creazione e ne snatura <strong>il</strong> senso profondo. Il concetto viene espresso in forma diversa da Agnoloni, che annota come “quella forma di magia fondata sul concetto di Macchina, e dunque sull’aspirazione al dominio sugli altri e al possesso, che caratterizza Sauron e i suoi schiavi, (…) [è] contrapposta alla virtù artistica degli Elfi (incantesimo)” (2). Da una parte, dunque, l’ut<strong>il</strong>izzo di un’appendice meccanica dell’essere vivente, in grado di ripetere in modo sistematico azioni elementari, aumentare la produttività e porre in essere realizzazioni in grado di avvantaggiare su tutti gli altri chi ne dispone; dall’altra, <strong>il</strong> ricorso a sapienze antiche, tramandate di generazione in generazione, fondate su una condivisione armonica con <strong>il</strong> Tutto, e non sulla sopraffazione e sullo sfruttamento. Idem Vaccari, con esplicito riferimento alla quintessenza dello “scienziato pazzo”, dominato dalla hybris che anche in altri generi collaterali alla fantasia eroica e ad essa uniti dalla comune radice mitica (la fantascienza, l’horror) ha avuto la sua dubbia fortuna. “Lo stregone Saruman esprime forse ancor meglio di Sauron <strong>il</strong> risultato della capacità distruttiva della tecnologia disumana così aborrita da <strong>Tolkien</strong>, <strong>per</strong>ché in grado di corrom<strong>per</strong>e <strong>per</strong>sino colui che un tempo era chiamato <strong>il</strong> saggio” (3). Ma, lungi dall’appiattirsi su un visione di J. R. R. T. tendente alla tecnofobia e al luddismo, lo specialista ricorda come, accanto
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