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J.R.R. Tolkien Un'epica per il nuovo millennio - Antarès, Prospettive ...

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della letteratura fantasy, all’invenzione dei giochi di ruolo, a<br />

una moltiplicazione delle identificazioni e (ahinoi e ahi<strong>Tolkien</strong>)<br />

a forzati appropriamenti ideologici.<br />

“Ho letto Il signore degli anelli quando avevo 18 anni, e<br />

appena finito non vedevo l’ora di vedere <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m. Sono passati<br />

quasi vent’anni e ho cominciato a diventare impaziente”.<br />

Quando si inizia a parlare di un adattamento <strong>per</strong> <strong>il</strong> grande<br />

schermo de Il signore degli anelli, nel 1995, Peter Jackson<br />

ha 34 anni, ha appena finito di girare Sospesi nel tempo ed<br />

è da poco approdato a Hollywood. Il signore degli anelli -<br />

Il f<strong>il</strong>m è un progetto semi abortito (se ne erano interessati<br />

<strong>per</strong>fino i Beatles e Stanley Kubrick!), più volte messo in<br />

cantiere e poi abbandonato: ne esiste una versione animata<br />

del 1978 (molto amata da Jackson) realizzata da Ralph Bakshi,<br />

<strong>il</strong> quale è riuscito sì a condensare in una sola pellicola<br />

i primi due volumi della “tr<strong>il</strong>ogia”, ma non a ottenere la<br />

possib<strong>il</strong>ità di girare l’ultima parte a degna conclusione. John<br />

Boorman avrebbe voluto provarci, ma rinunciò <strong>per</strong> l’eccessiva<br />

complessità del testo di partenza e ripiegò su “qualcosa di<br />

paradossalmente più semplice”, <strong>il</strong> Ciclo Bretone, firmando<br />

Excalibur. Peter Jackson, nel 1995, è un ragazzotto neozelandese<br />

decisamente sovrappeso, con i capelli arruffati e gli<br />

occhiali tondi a fondo di bottiglia. È un regista di genere<br />

(inizialmente, l’horror splatter): ancora meglio, è un regista<br />

di genere e un mago degli effetti speciali fatti a mano. I<br />

primi f<strong>il</strong>m, Bad Taste e Braindead, realizzati con maniacale<br />

controllo su ogni aspetto produttivo da parte del regista<br />

(che, soprattutto nel primo, fa anche l’attore, <strong>il</strong> montatore,<br />

l’addetto agli effetti) sono già piccoli cult, dal sapore irresistib<strong>il</strong>mente<br />

artigianale e genuinamente divertente, demenziale,<br />

iconoclasta. Ai circuiti d’autore è noto <strong>per</strong> Creature<br />

del cielo, Leone d’argento a Venezia, da un certo punto di<br />

vista più convenzionale nella forma, ma ugualmente proiettato<br />

in una dimensione inquietante, onirica, affascinante.<br />

Più di ogni altra cosa, Peter Jackson è un fan de Il signore<br />

degli anelli e dell’universo tolkieniano. La combinazione di<br />

tutti questi elementi accende la scint<strong>il</strong>la dell’imponderab<strong>il</strong>e:<br />

fare Il signore degli anelli <strong>per</strong> <strong>il</strong> cinema si può.<br />

Dunque, Peter Jackson, regista indipendente dall’eccellenza<br />

artigianale, si trova <strong>per</strong> le mani <strong>il</strong> suo primo blockbuster<br />

hollywoodiano, budget imponente, battage pubblicitario<br />

assordante, aspettative titaniche dall’alto (la produzione) e<br />

dal basso (<strong>il</strong> fandom). E quel che decide di fare è quanto<br />

di più anticommerciale ci si aspetti: tre f<strong>il</strong>m, da almeno tre<br />

ore l’uno, da distribuire in sala a un anno di distanza l’uno<br />

dall’altro. Oggi pare scontato che la tr<strong>il</strong>ogia cinematografica<br />

de Il signore degli anelli sia stata una straordinaria hit da<br />

botteghino, ma chi l’avrebbe mai detto, in quella fine anni<br />

‘90, che un f<strong>il</strong>m di genere lungo oltre nove ore (quasi dodici,<br />

<strong>per</strong> le versioni estese) si sarebbe rivelato <strong>il</strong> terzo incasso al<br />

box office di tutti i tempi? La prima scommessa di Jackson è<br />

questa: non cedere alla Miramax che pretende un solo f<strong>il</strong>m.<br />

Anzi, ampliare a tre capitoli – come i volumi cartacei – l’iniziale<br />

progetto diviso in due parti. F<strong>il</strong>mare la quasi totalità<br />

delle sequenze dei tre f<strong>il</strong>m tutta di seguito, quindici mesi<br />

intensissimi dal Nord al Sud della Nuova Zelanda, <strong>per</strong> evitare<br />

<strong>il</strong> rischio, in caso di flop commerciale, di incorrere nello<br />

stesso destino di Bakshi.<br />

Ma non è solo una questione di “tempo”. Nove, dieci, dodici<br />

ore di pellicola non celano una verità evidente: Il signo-<br />

48<br />

n. 03/2012<br />

re degli anelli non è materia cinematografica (“è inf<strong>il</strong>mab<strong>il</strong>e”,<br />

dice Jackson). Ci sono singole scene che durano cinquanta<br />

pagine, intere linee narrative riportate solo attraverso<br />

lunghi dialoghi, descrizioni fitte di dettagli, progressione<br />

ondivaga, digressioni vertiginose. Per trasporre Il signore<br />

degli anelli in immagini è impensab<strong>il</strong>e riprodurre pedissequamente<br />

la narrazione tolkieniana. E soggiacere a dettami<br />

hollywoodiani, a tagli indiscriminati in nome dell’entertainment,<br />

dell’accessib<strong>il</strong>ità, del ritmo da blockbuster movie<br />

equivarrebbe a un fallimento. È necessario ri-raccontare la<br />

storia. Inventarsi un linguaggio, agganciandosi a quello cinematografico,<br />

proprio come fece <strong>Tolkien</strong> con <strong>il</strong> Quenya e i<br />

tanti dialetti elfici, la lingua dei nani e quella oscura di Mordor.<br />

Nell’equ<strong>il</strong>ibrio innovativo e spiazzante tra registro cinematografico<br />

e letterario risiede probab<strong>il</strong>mente <strong>il</strong> vero miracolo<br />

della saga cinematografica. Jackson riesce a dare forma<br />

a tre <strong>per</strong>iodi di un discorso f<strong>il</strong>mico ininterrotto, limitando<br />

se non eliminando del tutto la punteggiatura grammaticale<br />

e narrativa solitamente atta a scandire la progressione dei<br />

capitoli di qualunque ciclo hollywoodiano. Dagli autosufficienti<br />

episodi di franchise produttivi quali Frankenstein,<br />

Sherlock Holmes, Alien, Nightmare, ai testi concatenati di<br />

Star Wars o Harry Potter, <strong>il</strong> format del blockbuster seriale si<br />

è da sempre misurato con i parametri della coerenza e della<br />

coesione, nel primo caso rinunciandovi in larga parte, nel<br />

secondo anelando (invano) f<strong>il</strong>ologicamente alla totale orizzontalità<br />

del mondo convocato. Nelle dinamiche produttive<br />

(tre o<strong>per</strong>e concepite e f<strong>il</strong>mate simultaneamente) e nel<br />

registro sintattico, Il signore degli anelli scardina <strong>il</strong> limite e<br />

tracima nel linguaggio letterario <strong>per</strong> immagini, anticipando<br />

alcune dinamiche proprie su schermo soltanto alla serialità<br />

televisiva.<br />

L’universo di segni messo in quadro da Jackson non soltanto<br />

è coerente e coeso (lo erano, a conti fatti, anche quelli<br />

di Star Wars e Ritorno al futuro; lo saranno quelli di Harry<br />

Potter e Tw<strong>il</strong>ight), ma su<strong>per</strong>a i <strong>per</strong>sonaggi che lo popolano e<br />

le loro singole vicende a beneficio della totale compattezza<br />

estetica e linguistica. Pur nel totale rispetto degli standard<br />

mainstream – alta spettacolarizzazione, registri enfatici su<br />

storie di amore, sacrificio ed eroismo, ellissi narrative su<br />

passaggi particolarmente prolissi del testo di <strong>Tolkien</strong> – <strong>il</strong><br />

creatore di mondi riesce a trasformare la carta in celluloide<br />

e a rendere <strong>il</strong> testo f<strong>il</strong>mico “sfogliab<strong>il</strong>e” in un possib<strong>il</strong>e<br />

continuum fruitivo. Se lo spettatore di Star Wars è naturalmente<br />

indotto a dividere la visione della saga in sei momenti<br />

(temporali e/o emotivi), a quello de Il signore degli anelli<br />

viene lasciata – come avviene nella lettura di un libro – la<br />

possib<strong>il</strong>ità ideale di <strong>per</strong>sonalizzarla senza coercizioni narrative.<br />

La verticalità delle singole microstorie è collocata in un<br />

macrotesto (concetto assolutamente postmoderno), i cui tre<br />

testi che ne fanno parte scorrono secondo modalità di flusso<br />

(altro concetto postmoderno) ininterrotto, ma interrompib<strong>il</strong>e<br />

in qualunque momento: una nuova tipologia di interazione<br />

mediale, profondamente interattiva e letteraria. Mai<br />

un’o<strong>per</strong>azione blockbuster aveva osato tanto, soprattutto se<br />

proveniente dal territorio “inf<strong>il</strong>mab<strong>il</strong>e” dell’epica su carta.<br />

Nel S<strong>il</strong>mar<strong>il</strong>lion la creazione inizia con la musica e la parola.<br />

La sceneggiatura della tr<strong>il</strong>ogia cinematografica prende<br />

<strong>il</strong> via da un trattamento scritto da Peter Jackson e da sua<br />

moglie Fran Walsh che condensa in un centinaio di pagine

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