OSSERVATORIO SULL'INDUSTRIA METALMECCANICA - Fiom - Cgil
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disposizione capitale intellettuale e relazionale originale<br />
(precluso ad altri, per un certo periodo di tempo),<br />
frutto di investimenti a rischio fatti dalle famiglie, dalle<br />
imprese, dai territori e dal sistema nazionale. Ma, per<br />
rendere reale questo passaggio – dall’importazione all’autoproduzione<br />
– bisogna superare lo stallo dovuto<br />
al fatto che, in passato, lo sviluppo ha minimizzato per<br />
tutti gli attori in gioco gli investimenti in conoscenze<br />
autoprodotte, limitandosi a importare conoscenza di<br />
base altrui e a elaborare innovazioni di uso incrementali<br />
(poco costose e a rapido ritorno).<br />
Poteva bastare allo scopo l’uso di una capacità di assorbimento<br />
(delle conoscenze importate) disponibile<br />
a costo zero o a costi molto bassi, perché ancorata alle<br />
facoltà biologiche e culturali degli uomini e dei territori.<br />
Fino a che la tecnologia meccanica è stata la base<br />
della produzione industriale, era facile assorbire le conoscenze<br />
altrui comprando macchine e prototipi e<br />
smontandoli nel garage sotto casa fino a capire il loro<br />
funzionamento, magari migliorandoli in qualche passaggio.<br />
Bastavano poi pochi investimenti per mettere<br />
su fabbrica e capannone, ricavando qualche innovazione<br />
di uso dalla conoscenza assorbita.<br />
Ma oggi? Per assorbire il nuovo, e applicarlo a qualche<br />
problema originale, bisogna creare una capacità di<br />
assorbimento adeguata alla natura delle nuove conoscenze<br />
da «catturare» e delle innovazioni da fare. Le<br />
tecnologie che sono arrivate dopo l’epoca della meccanica<br />
classica – elettronica, informatica, biotecnologia<br />
ecc. – hanno reso impenetrabile il contenuto tecnologico<br />
per chi non padroneggia i linguaggi formali<br />
della scienza, dell’ingegneria, dell’informatica, della<br />
genetica ecc. Il rischio è che il nostro paese non solo<br />
non faccia ricerca nella produzione di nuove conoscenze,<br />
ma non riesca nemmeno più a importare efficacemente<br />
quelle degli altri. Qui c’è un grosso investimento<br />
da fare: bisogna partire dalla cultura meccanica,<br />
aggredita in passato senza mediatori particolari,<br />
a culture tecnologiche più complesse che richiedono<br />
un investimento diffuso in linguaggi formali.<br />
L’investimento in autoproduzione di conoscenze e in<br />
capacità di assorbimento non deve riguardare solo, o<br />
principalmente, gli aspetti tecnologici o i settori high<br />
tech, ma deve riguardare tutti gli assets immateriali che<br />
– se opportunamente potenziati – possono rendere competitivo<br />
il sistema industriale che c’è. Dal lato delle forniture<br />
a monte, bisogna investire nella costruzione di<br />
reti, ossia nel capitale relazionale da usare per la co-<br />
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Politiche nuove per i sistemi produttivi in Italia<br />
municazione, la logistica e la garanzia. Dal lato degli<br />
sbocchi a valle, invece, bisogna investire nei marchi<br />
commerciali, nella rete di vendita, nei canali di interazione<br />
col cliente, oltre che, come abbiamo detto, nel<br />
design, nella progettazione e nella pubblicità.<br />
Infine, per uscire dal guado, bisogna mettere al lavoro<br />
tutta la filiera, inducendo i diversi attori a realizzare innovazioni<br />
complementari, che possono avere successo<br />
solo se gli specialismi vengono integrati. Serve, in<br />
altri termini, una divisione del lavoro tra grandi e piccole<br />
imprese, tra committenti e subfornitori, tra produttori<br />
locali e produttori internazionalizzati e, infine,<br />
tra manifattura e terziario. Non c’è bisogno di immaginare<br />
che tutte le imprese – anche le piccole – si globalizzino<br />
e si smaterializzino, ma, piuttosto, bisogna<br />
avere in mente che l’esplorazione del nuovo sarà assunta<br />
da alcuni – le imprese più dinamiche – e che il<br />
resto della filiera dovrà adattarsi di conseguenza.<br />
L’importante è che le attuali filiere mantengano la loro<br />
coesione, senza interrompere il rapporto tra il gruppetto<br />
di testa e gli altri. I fornitori di componenti, lavorazioni,<br />
servizi possono imparare molto dal cambiamento<br />
di atteggiamento del committente che domanda oggi<br />
cose diverse da ieri. Molti subfornitori sono spinti a<br />
trovare sbocchi alternativi, a proporre prodotti e marchi<br />
propri, a cambiare la loro funzione di risposta ai<br />
committenti (più servizio, meno fabbricazione).<br />
È importante, nella filiera, anche il rapporto tra fornitori<br />
di servizi terziari (finanziari, commerciali, logistici,<br />
energetici ecc.) e imprese industriali. Man mano<br />
che l’industria evolve, c’è bisogno di servizi diversi<br />
e più efficienti. Ma non sempre, in Italia, i servizi<br />
sono offerti in condizioni competitive, che premino<br />
l’efficienza e l’innovazione. I servizi nel nostro<br />
paese vengono da una tradizione di protezione e inefficienza.<br />
Da questo punto di vista, l’economia della<br />
filiera – che integra le funzioni manifatturiere con<br />
quelle terziarie – è legata alla lotta alle rendite e ai<br />
processi di liberalizzazione dei mercati. La filiera industriale<br />
non può infatti competere con quella di altri<br />
paesi se su di essa grava il peso di settori protetti, che<br />
sono scarsamente efficienti e molto costosi.<br />
3. Export, subfornitura e occupazione: emergenze<br />
da affrontare, ma guardando avanti<br />
La crisi sta generando situazioni di emergenza, tra cui:<br />
• l’emergenza export (perdita di quote che annunciano<br />
un indebolimento negli sbocchi esteri);