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OSSERVATORIO SULL'INDUSTRIA METALMECCANICA - Fiom - Cgil

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persone, imprese e istituzioni – sarebbe sufficiente.<br />

Ma il nostro non è tanto un problema di ottima allocazione,<br />

è un problema di assunzione di rischio per<br />

fare gli investimenti che servono a esplorare il futuro<br />

possibile. L’assunzione di rischio non nasce meramente<br />

da un calcolo allocativo tra alternative date: nasce<br />

da una valutazione del contesto in conta moltissimo<br />

quanto faranno o si impegnano a fare gli altri. Il<br />

modo migliore per affrontare il rischio di investimento<br />

è di mettere insieme convinzioni e forze, condividendo<br />

progetti, assumendo rischi comuni, creando reciproci<br />

impegni e responsabilità.<br />

Dunque non basta, a questo fine, de-costruire l’edificio<br />

di legami e vincoli ereditato dalla storia e dalla<br />

modernizzazione fordista. Se vogliamo che persone,<br />

piccole imprese e territori investano sul proprio futuro<br />

bisogna usare le risorse che il mercato ha sciolto<br />

dai vincoli precedenti come materiali utili a ri-costruire<br />

altri legami e altre forme di condivisione.<br />

La flessibilità non è tutto. Anche nei rapporti di lavoro,<br />

come abbiamo visto, non serve la precarizzazione<br />

dei giovani che allontana da un piano di vita a<br />

lungo termine, ma c’è bisogno di un quadro dove i<br />

giovani siano incentivati a investire su se stessi e sul<br />

proprio futuro. E questo non può essere un quadro<br />

privo di garanzie, di aspettative, di impegni reciproci.<br />

Anche per «lavorare in rete» come subfornitore,<br />

lavoratore part time o con partita Iva serve un quadro<br />

di impegni e di regole che incentivi l’investimento<br />

sulla stabilità del rapporto nel lungo periodo.<br />

La disponibilità di investire a rischio nella formazione<br />

di nuovo capitale intellettuale e relazionale non<br />

nasce, infatti, da una situazione anarchica, in cui<br />

ognuno fa per sé e Dio per tutti. Al contrario, diventa<br />

conveniente investire se ciascuno è in grado di impegnare<br />

gli altri e se stesso nella realizzazione di progetti<br />

condivisi.<br />

Quali sono le cornici in cui questa condivisione dei costi<br />

e dei rischi può prendere forma nel nostro paese?<br />

In primo luogo, possono essere valorizzati i territori,<br />

intesi come sistemi produttivi e società locali allo<br />

stesso tempo. La definizione di una identità territoriale<br />

originale e riconoscibile diventa oggi un asset<br />

immateriale non solo per chi vende beni di consumo<br />

in qualche modo riferibili al territorio, ma anche per<br />

chi fornisce servizi, significati, stili di vita, prodotti<br />

52<br />

Politiche nuove per i sistemi produttivi in Italia<br />

materiali dotati di una storia e di un proprio retroterra<br />

culturale, opportunamente «rintracciabile». Il<br />

territorio integra settori diversi, che hanno nella localizzazione<br />

territoriale un punto di complementarità,<br />

da usare nella comunicazione e nell’impegno<br />

verso gli altri. Nelle identità locali rientra anche la<br />

piattaforma dell’accesso che fornisce, in ogni territorio,<br />

la possibilità di partecipare – come cittadino e<br />

come produttore – alla vita economica e culturale<br />

che si svolge nella grande rete mondiale.<br />

In secondo luogo, bisogna vedere nel proliferare delle<br />

comunità e delle attività di «terzo settore» l’emergere,<br />

nella modernità di oggi, di un prepotente bisogno<br />

di senso, che motiva il lavoro, le professioni, l’imprenditorialità,<br />

il consumo, la cittadinanza anche al di<br />

là della convenienza economica calcolabile. Esistono<br />

ormai molte comunità professionali, molti circuiti associativi,<br />

molte comunità di consumatori in cui spesso<br />

si incrociano interessi delle aziende e interessi dei<br />

clienti che usano i loro beni e servizi. Ed esiste un «terzo<br />

settore» in crescita, che sta un po’sul mercato e un<br />

po’fuori. Queste comunità e queste imprese sociali sono<br />

la risposta – per ora spontanea e spesso occasionale<br />

– a un bisogno di servizi condivisi e di senso che nasce<br />

dal basso, dalle pieghe della società in cui il mercato<br />

non è ancora arrivato o in cui non ha la convenienza<br />

(utilitaristica) ad arrivare.<br />

La condivisione comunitaria, in tutte le forme in cui<br />

viene esercitata, produce senso. E la condivisione di<br />

senso produce quei legami che consentono di ridurre<br />

il rischio e di incentivare gli investimenti immateriali<br />

da fare.<br />

Una politica di promozione delle comunità e delle<br />

identità collettive è il complemento necessario a una<br />

politica di liberalizzazione e di mercato: essa ri-personalizza<br />

ciò che il mercato rende impersonale, rendendo<br />

responsabili e affidabili i rapporti tra persone<br />

e imprese che si riconoscono in valori e in comportamenti<br />

affini.<br />

È certamente un potente stimolo agli investimenti immateriali,<br />

supplendo al deficit di convenienza individuale<br />

e di calcolabilità che essi spesso registrano; ma è<br />

anche un modo di ricostruire il welfare partendo dal basso:<br />

dalla condivisione dei bisogni e dei rischi e dal «darsi<br />

da fare» dei diretti interessati per trovare risposte mutualistiche,<br />

solidali e, al tempo stesso, di qualità.

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