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LE RAGIONI DELLA FILOSOFIA Volume II LA RIVOLUZIONE ...

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L’osservazione attraverso il cannocchiale rivela anche una differenza<br />

sostanziale tra le stelle e i pianeti: le prime -- punti luminosi circondati da<br />

“raggi brillanti” -- “si mostrano di uguale figura all’occhio nudo e viste al<br />

cannocchiale” (sono dunque lontanissime); i secondi invece, cambiano<br />

notevolmente di grandezza, “presentano i loro globi esattamente rotondi e<br />

definiti e, come piccole lune luminose perfuse ovunque di luce, appaiono<br />

circolari”.<br />

Ma vedere attraverso il cannocchiale porta anche, e soprattutto, a<br />

scoprire cose nuove, mai viste prima. Oltre all’improvviso popolarsi del<br />

cielo di innumerevoli stelle “invisibili alla vista naturale”, come nel caso di<br />

quelle componenti la Via Lattea, Galileo fa una delle sue più importanti<br />

scoperte astronomiche: “vede” le quattro lune o satelliti di Giove. La Terra<br />

non è più l’unico pianeta ad avere una sua “luna”: “il senso mostra quattro<br />

stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra”. Il<br />

pisano Galileo le battezzerà “stelle medicee” in onore del Granduca di<br />

Toscana Cosimo <strong>II</strong> dei Medici, che, offrendogli il posto di “Filosofo e<br />

matematico primario” a Firenze, gli permetterà di tornare nella regione<br />

d’origine dopo diciotto anni trascorsi a Padova (dove era arrivato nel 1592).<br />

Al Granduca Galileo dedica anche il volumetto dal titolo Sidereus<br />

Nuncius, pubblicato a Venezia nel marzo del 1610, nel quale annunciava le<br />

scoperte fatte con il cannocchiale e le conseguenze che ne derivavano per la<br />

filosofia naturale e la concezione del mondo. Galileo era da tempo un<br />

convinto sostenitore del sistema copernicano. Come aveva scritto nel 1597 a<br />

Keplero quando questi gli aveva mandato una copia del Mysterium<br />

cosmographicum, egli si era convertito da molti anni alla teoria di<br />

Copernico e aveva scritto “molte ragioni per preferirla e confutazioni agli<br />

argomenti contrari”, ma senza aver osato pubblicare nulla. Nel 1604, quando<br />

si era di nuovo verificato un evento analogo a quello della “stella nova”<br />

studiata nel 1572 da Tycho Brahe – fenomeni che mettevano in difficoltà la<br />

tesi aristotelica dell’immutabilità dei cieli --, Galileo aveva cominciato a<br />

esporre pubblicamente il proprio pensiero, sia in conferenze sia attraverso<br />

un opuscolo in dialetto padovano (di cui non figurava come autore)<br />

intitolato Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la<br />

Stella Nuova (stampato nel 1605), criticando la pretesa da parte di una certa<br />

filosofia di risolvere i problemi astronomici solo per mezzo di<br />

considerazioni metafisiche e non invece, come era opportuno, attraverso<br />

determinate misure.<br />

Le misure ottenute per mezzo del cannocchiale permisero a Galileo<br />

di aggiungere presto ai risultati esposti nel Sidereus Nuncius altre<br />

fondamentali scoperte astronomiche: da quella relativa alla particolare<br />

configurazione di Saturno, che gli risultava come formato da tre corpi sferici<br />

(Galileo non aveva uno strumento sufficientemente potente per visualizzare<br />

gli anelli di Saturno), alla scoperta delle fasi di Venere. Il fatto (non<br />

spiegabile nel sistema tolemaico) che il pianeta Venere “va mutando le<br />

figure nell’istesso modo che fa la Luna” fornisce, per Galileo, un argomento<br />

decisivo a favore della teoria copernicana: Venere, nel suo moto intorno<br />

alla Sole, doveva presentare fasi alterne di illuminazione come accadeva per<br />

la Luna. Dopo questi risultati Galileo lascia da parte ogni cautela: è ormai<br />

convinto di avere “sensate e certe dimostrazioni” delle due grandi questioni<br />

rimaste fino allora “dubbie tra’ maggiori ingegni del mondo”: cioè il fatto<br />

che i pianeti ruotino intorno al sole e che siano corpi opachi, che brillano<br />

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