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Focus Italia N° 262 - Agosto 2014

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Frame dal video Floating World Productions di Cathal Gurrin<br />

VITA A COLORI.<br />

Il flusso continuo di immagini della vita<br />

quotidiana di Cathal Gurrin (a sinistra) è<br />

riprodotto in un murale digitale, con le<br />

diverse attività raggruppate per colore.<br />

di multinazionali del cibo e dei media<br />

hanno fatto esperimenti per scoprire<br />

con telecamere e altri gadget indossabili<br />

squarci inediti nella vita dei consumatori.<br />

A partire dai prodotti sugli scaffali che<br />

per primi attirano il loro sguardo.<br />

A CHE SERVE? La domanda, ineludibile<br />

ma per ora senza risposta (soprattutto<br />

nel caso del lifelogging in senso stretto),<br />

è: che cosa ce ne facciamo di questo<br />

ocea no sconfinato di dati su noi stessi,<br />

una volta che li abbiamo raccolti? C’è un<br />

fascino sicuro nell’idea di poter rivedere<br />

il momento del primo incontro con uno<br />

sconosciuto che magari diventerà una<br />

persona importante nella vita, o di fissare<br />

per sempre l’attimo fuggente in cui<br />

un figlio ha pronunciato all’improvviso<br />

la prima parola. Banalmente, farebbe a<br />

volte comodo pigiare “replay” per vedere<br />

dove sono finite le chiavi della macchina.<br />

In campo.<br />

Marcelinho Huertas, dell’FC Barcellona<br />

di basket, si allena con i Google Glasses.<br />

EB/Getty Images Science Foundation Ireland<br />

Il paradosso è il tempo: o viviamo o ci<br />

riguardiamo vivere. La sfida è trovare quel<br />

che ci serve nelle copie della vita digitale<br />

Il paradosso. Ma la possibilità di un<br />

simile archivio è anche fonte di paradossi.<br />

Uno è quello del tempo. O viviamo, o<br />

ci “riguardiamo” vivere. Non c’è modo di<br />

fare entrambe le cose, come sperimentiamo<br />

spesso già ora. Alcuni ricercatori,<br />

tra cui Daniela Petrelli che alla Sheffield<br />

Hallam University in Gran Bretagna<br />

studia il nostro modo di interagire con<br />

i contenuti digitali, hanno verificato<br />

che anche chi ammassa migliaia di foto<br />

in formato elettronico, raramente va a<br />

riguardarle. E meno del 2 per cento dei<br />

ricordi citati come significativi tra quelli<br />

in casa propria sono “digitali”.<br />

Il problema pratico maggiore, invece, è<br />

come gestire i dati. Recuperare da questo<br />

database sterminato l’informazione che<br />

serve quando serve, equivale a cercare<br />

il proverbiale ago nel pagliaio. Secondo<br />

una stima fornita da Gurrin, in due casi<br />

su tre, in un archivio di soli due anni e<br />

mezzo, la ricerca fallisce.<br />

Gli entusiasti del lifelogging non si fanno<br />

scoraggiare. La loro risposta è più o meno<br />

riassumibile in “intanto raccogliamo i<br />

dati, come utilizzarli lo capiremo in futuro”.<br />

Gordon Bell dice di sentirsi molto<br />

più libero e leggero, sapendo di avere<br />

uno “schiavo digitale” che tiene tutto a<br />

memoria per lui e gli lascia spazio per la<br />

creatività. E confessa di essere diventato<br />

in famiglia l’arbitro capace di risolvere<br />

le controversie: Chi c’era a cena…? Che<br />

cosa disse chi…?<br />

Gurrin dichiara di non riguardare mai<br />

quello che va a finire nell’archivio. «So<br />

che c’è, ed è lì. Magari mi servirà quando<br />

sarò più vecchio: ho il doppio del rischio<br />

di una persona normale di sviluppare<br />

l’Alzheimer» dice. Il lifelogging è<br />

già stato testato proprio come possibile<br />

stampella per la memoria nei malati di<br />

demenza. Da primi studi sembra che<br />

rivedere alcuni momenti della giornata<br />

ripresi con una telecamera indossabile li<br />

aiuti a ricordare meglio.<br />

QUESTIONE DI PRIORITÀ. Per risolvere il<br />

problema del recupero dati, in particolare<br />

per le immagini, Gurrin sta ora studiando<br />

con il suo gruppo un algoritmo<br />

per classificarli in base alla loro importanza,<br />

in modo che quelli utili vengano<br />

fuori per primi nella ricerca. Già è pronto<br />

il software che riconosce ed etichetta le<br />

immagini in base a una trentina di attività<br />

che più o meno tutti svolgiamo nell’arco<br />

della giornata. Nel progetto Colour of<br />

life, il flusso di immagini della vita quotidiana<br />

ripreso dalla telecamera è riprodotto<br />

in una visualizzazione su schermo<br />

con le attività raggruppate in base ai colori<br />

attribuiti dal lifelogger. Se il tempo<br />

passato in ufficio diventa un’onda grigia,<br />

per esempio, si sa dove guardare per trovare<br />

qualcosa che ha a che fare con il lavoro.<br />

In futuro, potrebbe essere un picco<br />

nell’attività cerebrale registrata da sensori<br />

indossabili a segnalare, durante la<br />

fase stessa di registrazione, che quello<br />

che stiamo vedendo o facendo è qualcosa<br />

di importante per noi.<br />

Chiara Palmerini<br />

108 | <strong>Focus</strong> <strong>Agosto</strong> <strong>2014</strong>

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