Focus Italia N° 262 - Agosto 2014

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un cibo per il mondo Le “banane da dessert” che mangiamo in Occidente sono varietà del gruppo Cavendish (produttive e adatte al trasporto e all’export), che costituiscono il 41% delle coltivazioni mondiali. Ma ci sono molte varietà apprezzate per il consumo locale: Red con la buccia rossa in America Centrale, Lakatan nelle Filippine, o la “nostrana” Comune di Sicilia, introdotta nell’isola attorno al XV sec. e prodotta in piccole quantità. Un posto a parte merita il platano: non è dolce, si consuma cotto e da esso si ricavano farina e birra. In generale le banane sono importanti come cibo, dall’Africa all’India. Alamy La varietà più esportata fino agli Anni ’50 è già sparita: non resisteva all’attacco di un fungo SPL/Contrasto nemico nel terreno. Struttura riproduttiva del fungo Fusarium oxysporum. Più a sinistra, piantagione devastata dalla malattia causata da questo fungo. partenocarpico, cioè senza semi. «Se non fosse così sarebbe immangiabile, dato che nelle banane selvatiche i semi, grossi e duri, occupano l’80% dello spazio disponibile» spiega Pietro Piffanelli, ricercatore del Parco Tecnologico Padano di Lecco che ha studiato il genoma del banano al Centro per le ricerche agronomiche Cirad di Montpellier. Senza semi, però, significa anche sterile (v. riquadro alla pag. seguente). «I banani coltivati quindi vengono moltiplicati per talea, cioè staccandone un pezzo e facendolo radicare: di fatto, nelle piantagioni di tutto il mondo crescono cloni identici derivati dalla stessa pianta» continua Piffanelli. «Mentre gli agenti patogeni si evolvono e diventano sempre più resistenti, in questi banani non c’è alcuna varietà: quando un ceppo diventa aggressivo, tutta la piantagione è condannata». Questo spiega perché i banani sono così vulnerabili. Inoltre, le banane che mangiamo noi occidentali sono tutte varietà del gruppo Cavendish, benché nel mondo ne esistano molte altre (v. riquadro in alto). «La Cavendish è la classica banana che si trova al supermercato» spiega Gianluca Gondolini, segretario del World Banana Forum della Fao. «Ed è la più venduta in assoluto: il gruppo Cavendish costituisce il 95% del mercato d’esportazione, che ha un valore di 7 miliardi di dollari all’anno. È anche il primo frutto commercializzato per quantità: si può comprenderne facilmente l’importanza». E quali ripercussioni avrebbe la sua scomparsa, per l’attacco della Malattia di Panama, sull’economia dei Paesi esportatori. la storia si ripete. Si teme quindi che la banana “classica” possa sparire, per essere magari sostituita con una varietà meno saporita. Anche perché si è già verificata una “estinzione” (commerciale, almeno) della banana da esportazione: quello che sta succedendo alla Cavendish è infatti accaduto, alla fine degli Anni ’50, a un’altra varietà, la Gros Michel. Era la regina indiscussa dei mercati dall’Ottocento fino a che un ceppo della Malattia di Panama non l’ha decimata. L’unica soluzione è stata sostituirla con la Cavendish, più resistente ai funghi. Ma ci si è dovuti accontentare di un frut- to più piccolo, meno saporito e con più problemi di conservazione e trasporto. Oggi ad attaccare la Cavendish e altre varietà – minacciando quindi il mercato internazionale e il consumo locale – è una variante della Malattia di Panama battezzata Tropical Race 4 (TR4). «Aggredisce i tessuti della pianta ostacolando la circolazione della linfa» spiega Gondolini. «E non ci sono armi efficaci: una volta penetrato nel suolo, il patogeno rimane vitale per anni». La nuova Malattia di Panama è comparsa nel Sud-est asiatico più di 20 anni fa, e da allora i coltivatori di quei Paesi convivono con l’infezione. «Taiwan, che era uno dei grossi esportatori di banane, ora non lo è più per questo problema» osserva Gondolini. Negli ultimi tempi, la malattia ha bruciato le tappe: dopo Cina, Filippine, Taiwan, Australia, è di recente arrivata in parte dell’Africa e in Giordania. Il timore è che possa raggiungere l’America Latina, dove si concentra il 30% della produzione mondiale, ma l’80% di quella destinata all’esportazione. «È solo questione di tempo» dice Piffanelli. «L’unica contromisura che abbiamo è 50 | Focus Agosto 2014
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