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Impatto Magazine: Dubbi su Spotify // N. #8 // 25 novembre 2014

www.impattomagazine.it // info@impattomagazine.it // Impatto Magazine: Dubbi su Spotify. Questa settimana in primo piano: La società moderna e la psicoeconomia spiegate con i Peanuts. Follow Us on Facebook: https://www.facebook.com/impattomagazine

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Feuilleton!<br />

N.8 | <strong>25</strong> Novembre <strong>2014</strong><br />

Gli occhi nella notte<br />

Il volto di The Ripper.<br />

Era <strong>su</strong>fficiente. Feci un altro<br />

passo, e la vidi <strong>su</strong>s<strong>su</strong>ltare.<br />

Spalancò ancora di più gli<br />

occhi.<br />

«Vi prego, no… farò tutto<br />

ciò che volete», implorò. Un<br />

leggero velo di <strong>su</strong>dore aveva<br />

iniziato a imperlarle la fronte.<br />

Allungai una mano,<br />

afferrandola malamente per<br />

una spalla. Tremante, si lasciò<br />

trattare come una bambola di<br />

pezza. Poggiai il coltello <strong>su</strong>l<br />

comodino, fissandola. Cercava<br />

di ricoprirsi alla meglio ed<br />

evitava il mio sguardo. La<br />

prima puttana pudica che<br />

avessi mai incontrato.<br />

«Spogliati», ordinai. Lei<br />

tentennò. Non avevo la<br />

pazienza per aspettare i <strong>su</strong>oi<br />

comodi e ripresi il coltello.<br />

Distruggere quel <strong>su</strong>o orribile<br />

vestito tra le <strong>su</strong>e proteste e<br />

singhiozzi fu soddisfacente,<br />

ma mai quanto lo sarebbe stato<br />

ciò che le avrei fatto dopo.<br />

«Vi prego, non uccidetemi…»<br />

pigolò. Posai di nuovo l’arma,<br />

prendendole il volto tra le<br />

mani<br />

«Prima che abbia finito con te,<br />

mi implorerai di ucciderti»,<br />

dissi, per poi spingerla <strong>su</strong>l<br />

letto. «Oh, se mi implorerai»,<br />

aggiunsi, slacciandomi le<br />

braghe.<br />

Non ebbi bisogno di<br />

ordinarglielo: Zenzero<br />

spalancò le gambe senza<br />

indugi. Non era pronta e non<br />

mi interessava che lo fosse. Più<br />

dolore le infliggevo, maggiore<br />

sarebbe stata la soddisfazione<br />

finale. La possedei con forza,<br />

gioendo dei <strong>su</strong>oi singhiozzi<br />

e delle lacrime. E più lei<br />

esprimeva disagio e sconforto,<br />

più io mi eccitavo. Ma non<br />

era abbastanza. Mancava<br />

qualcosa. Qualcosa di<br />

fondamentale. C’era un solo<br />

difetto: era ancora viva.<br />

Uscii da lei e afferrai il coltello.<br />

Zenzero notò il gesto e lanciò<br />

un grido. Fu breve. La lama<br />

le penetrò nel collo come<br />

se fosse burro, una, due, tre<br />

volte, aprendo una voragine e<br />

innaffiandomi copiosamente<br />

di sangue. Non vi badai. Non<br />

badai nemmeno al <strong>su</strong>o sguardo<br />

sempre più vitreo, ma solo alla<br />

<strong>su</strong>a carne che si raffreddava<br />

nella fredda mattina di<br />

<strong>novembre</strong>, mentre scopavo il<br />

cadavere di Mary Jane Kelly,<br />

prostituta irlandese meglio<br />

nota come Zenzero.<br />

Le afferrai i fianchi – quei<br />

fianchi che non avrebbero più<br />

ondeggiato per nes<strong>su</strong>no – e<br />

la presi ancora, e ancora, e<br />

ancora…<br />

«Sei mia, ora, sgualdrina!»<br />

grugnii, riversando il mio<br />

seme nel <strong>su</strong>o ventre freddo.<br />

Col fiato corto, mi alzai dal<br />

letto e osservai la donna che<br />

mi aveva dato il tormento,<br />

avvelenandomi l’anima. Nuda.<br />

Bianca. Rossa.<br />

E ancora così maledettamente<br />

invitante.<br />

Non doveva essere invitante.<br />

Non doveva esserlo per<br />

nes<strong>su</strong>no.<br />

Iniziai dal volto, affondando<br />

il coltello più e più volte.<br />

Nemmeno <strong>su</strong>a madre<br />

l’avrebbe riconosciuta. Poi, le<br />

tagliai le orecchie, lasciandole<br />

<strong>su</strong>l comodino.<br />

Poco. Troppo poco.<br />

Percorsi il <strong>su</strong>o corpo con<br />

lo sguardo, alla ricerca<br />

di ispirazione. Proseguii<br />

incidendole le braccia. Poi mi<br />

concentrai <strong>su</strong>i seni. Quei seni<br />

che mai, mai più avrebbero<br />

provocato qualcuno, rotondi<br />

e ammiccanti, soffocati dal<br />

corsetto. Sollevai il primo<br />

e iniziai, lentamente e<br />

minuziosamente, a incidere<br />

la carne alla base. Tagli<br />

piccoli e lenti, come affettare<br />

del roastbeef, ognuno più<br />

profondo del precedente,<br />

fino a poter tenere tra le<br />

mani l’ambito premio,<br />

viscido di sangue e flaccido<br />

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