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Novembre-Dicembre 2006 - Ordine dei Giornalisti

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Le due repliche del presidente dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia all’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema<br />

1) 2 dicembre 2005<br />

D’Alema vuole abolire l’<strong>Ordine</strong>.<br />

Rifletta anche sull’Inpgi: senza<br />

l’<strong>Ordine</strong> l’Istituto chiude<br />

e verrà assorbito dall’Inps!<br />

Massimo D’Alema, giornalista<br />

professionista, presidente<br />

<strong>dei</strong> Ds, già presidente del<br />

Consiglio, deputato europeo,<br />

ha confessato in tv che<br />

nel 1997 ha votato con<br />

Marco Pannella per l’abolizione<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

Quanta ingratitudine!<br />

L’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti (istituito<br />

con la legge “Gonella”<br />

n. 69/1963) è l’unico <strong>Ordine</strong><br />

che consente, ancora per<br />

poco tempo, a chi non ha<br />

una laurea, come D’Alema<br />

e tanti altri, di diventare professionista<br />

al pari degli avvocati,<br />

medici, ingegneri,<br />

commercialisti, eccetera.<br />

Eppure D’Alema ha rivendicato,<br />

con un certo tono, il titolo<br />

di professionista! L’Inpgi<br />

(istituito dal collega Benito<br />

Mussolini con Rd 838/1926)<br />

poi assicura, se richiesto dai<br />

parlamentari, la copertura<br />

previdenziale gratuita. La<br />

pensione dell’ente farà compagnia<br />

alla indennità riservata<br />

a chi ha ricoperto un<br />

ufficio pubblico. Con la differenza<br />

che la pensione<br />

dell’Inpgi è pagata ai parlamentari<br />

dai giornalisti.<br />

D’Alema ora vuole chiudere<br />

l’Inpgi per trasferirne il patrimonio<br />

(2 mila miliardi di vecchie<br />

lire) all’Inps: questa ipotesi<br />

diventerà realtà nel caso<br />

l’<strong>Ordine</strong> dovesse essere<br />

cancellato. In base al dlgs<br />

509/1994, le casse privatizdi<br />

Franco Abruzzo<br />

zate vivono se hanno alle<br />

spalle professioni regolamentate<br />

e organizzate con<br />

gli Ordini e i Collegi.<br />

Prima del 1963, l’Inpgi era<br />

legato all’Albo <strong>dei</strong> giornalisti<br />

istituito (dal collega Benito<br />

Mussolini) con il Rd<br />

384/1928.<br />

Un’altra legge del collega<br />

Mussolini prevedeva l’accesso<br />

alla professione giornalistica<br />

tramite scuola di<br />

formazione (rd 2291/1929)<br />

oppure con laurea (Scienze<br />

politiche a indirizzo giornalistico).<br />

La scuola e il corso<br />

universitario sono rimasti attivi<br />

tra il 1930 e il 1933, la<br />

prima a Roma e il secondo<br />

all’Università di Perugia. C’è<br />

da aggiungere che la caduta<br />

dell’Inpgi metterebbe in<br />

crisi drammatica la stessa<br />

Fnsi, che incassa annualmente,<br />

con le strutture regionali,<br />

contributi dall’Istituto<br />

per circa 3 miliardi di vecchie<br />

lire!<br />

Il giornalista D’Alema dovrebbe<br />

riflettere sull’autonomia<br />

della professione di<br />

giornalista: essa è fondata<br />

unicamente sulle regole<br />

deontologiche fissate per<br />

legge. Soltanto gli editori -<br />

spalleggiati dagli ottimi<br />

Eugenio Scalfari e Francesco<br />

Giavazzi - vogliono<br />

distruggere la legge della<br />

professione giornalistica per<br />

avere mano libera nel fabbricare<br />

giornali-bulloni oppure<br />

giornali-prodotti industriali<br />

di serie, possibilmente<br />

senza giornalisti professionisti.<br />

D’Alema, persona indubbiamente<br />

e notoriamente<br />

intelligente, non ha capito<br />

che, con le sue dichiarazioni<br />

avventate, ha dato una<br />

mano agli editori e a chi<br />

punta in questo Paese a distruggere<br />

le regole per<br />

creare una società in cui le<br />

parole magiche della sinistra<br />

(libertà, uguaglianza,<br />

solidarietà, dignità della persona)<br />

non abbiano alcuna<br />

cittadinanza. Si spera in un<br />

ravvedimento operoso.<br />

D’Alema nel ‘97 affermò che<br />

i professionisti sono gli organizzatori<br />

<strong>dei</strong> saperi della<br />

Nazione. Appunto! Quel discorso<br />

valeva anche per i<br />

giornalisti professionisti o<br />

no<br />

Nota/I compagni dirigenti<br />

della Fnsi e dell’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />

sono pregati di spiegare<br />

all’illustre parlamentare<br />

europeo: a) le ricadute<br />

pessime delle sue parole e<br />

delle sue iniziative; b) le finalità<br />

del progetto ordinistico<br />

“laureare l’esperienza”!<br />

2) 5 dicembre 2005<br />

Le due contraddizioni<br />

di Massimo D’Alema<br />

(la “sua” legge 4/1999<br />

e una lettera di Gramsci)<br />

di Franco Abruzzo<br />

Massimo D’Alema, giornalista<br />

professionista, presidente<br />

<strong>dei</strong> Ds, deputato europeo,<br />

ha confessato in tv che nel<br />

1997 ha votato con Marco<br />

Pannella per l’abolizione<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

D’Alema è stato anche presidente<br />

del Consiglio dall’ottobre<br />

1998 all’aprile 2000: fu<br />

proprio il suo Governo a sostenere<br />

e a far approvare la<br />

legge 4/1999, che consente<br />

l’aggancio, con regolamento,<br />

tra l’esame di stato delle professioni<br />

regolamentate<br />

(compresa ovviamente quella<br />

giornalistica) e le lauree<br />

della riforma Berlinguer/-<br />

Zecchino. Una svolta, che,<br />

con la riscrittura del Dpr<br />

328/2001, verrà consacrata<br />

sul piano operativo, tra poche<br />

settimane, grazie alla tenace<br />

volontà del sottosegretario<br />

Maria Grazia Siliquini<br />

(An) sostenuta dai ministri<br />

Letizia Moratti e Roberto<br />

Castelli “vigilanti” sulle professioni<br />

intellettuali.<br />

A Massimo D’Alema dedichiamo<br />

un “recupero” storico<br />

sotto forma di articolo (a firma<br />

Emilio Pozzi) apparso su<br />

Tabloid (n. 3/1997), perché<br />

possa riflettere in maniera<br />

approfondita sulla professione<br />

di giornalista (rafforzata<br />

dalla legge 4/1999) nonché<br />

sulle sue contraddizioni rispetto<br />

a quella legge e a una<br />

lettera di Antonio Gramsci<br />

dal carcere (sul giornalismo)<br />

tolta dall’oblio dall’articolo di<br />

Pozzi. Pozzi cita in particolare<br />

una lettera dal carcere di<br />

Antonio Gramsci scritta nel<br />

1930. Proprio in quell’anno<br />

(il 1930) era diventato realtà<br />

il progetto di una scuola di<br />

formazione per giornalisti,<br />

progetto realizzato con il Rd<br />

2291/1929 dopo otto anni di<br />

dibattito.<br />

Gramsci, che coglieva la forza<br />

innovativa dell’idea del regime<br />

mussoliniano di creare<br />

“nuovi” giornalisti, sostenne<br />

che, comunque, il “giornalismo<br />

è da insegnare”, che insomma<br />

ci fosse già una professione<br />

di giornalista a prescindere<br />

dai fini non tanto<br />

occulti del regime fascista.<br />

Sono passati 75 anni.<br />

D’Alema mette oggi in discussione<br />

le conquiste <strong>dei</strong><br />

giornalisti italiani, contraddicendo<br />

anche la sua azione<br />

di Governo. Non è uno spettacolo<br />

decente. Anche la sinistra<br />

francese al Governo<br />

nel 1981 pensava di cancellare<br />

gli Ordini. Poi Francois<br />

Mitterrand promosse una<br />

riforma degli Ordini.<br />

Il nostro <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

- (costituzionalmente<br />

legittimo come ha più volte<br />

scritto la Consulta dal 1968 in<br />

poi, organizzando soltanto<br />

coloro che manifestano il<br />

pensiero per professione) - è<br />

in linea con quello che chiede<br />

l’Europa: possesso (da<br />

parte degli iscritti professionisti)<br />

di “una” laurea almeno<br />

triennale, tariffe indicative<br />

(vincolanti soltanto sotto il<br />

profilo deontologico), facoltà<br />

<strong>dei</strong> cittadini comunitari di diventare<br />

giornalisti italiani sostenendo<br />

l’esame di stato<br />

nella loro lingua, facoltà per i<br />

giornalisti extracomunitari<br />

(che lavorano in Italia) di<br />

chiedere l’iscrizione nei nostri<br />

Albi anche per godere<br />

della tutela previdenziale e<br />

assistenziale (Inpgi e Casagit).<br />

Quello che i giornalisti<br />

italiani hanno creato dal<br />

1877 ad oggi (Fnsi, <strong>Ordine</strong>,<br />

Inpgi 1 e 2, Casagit, Fondo)<br />

è un unicum, che non ha<br />

eguali nel mondo. Il perno<br />

del sistema è la legge<br />

69/1963 sulla professione di<br />

giornalista, che, sostituendo<br />

il Rd 384/1928 sull’Albo,<br />

rafforza il contratto, consente<br />

l’esistenza dell’Inpgi e fissa<br />

soprattutto le regole deontologjche.<br />

Le regole deontologiche<br />

sono norma e su queste<br />

regole si fonda l’autonomia,<br />

la libertà, l’indipendenza<br />

della professione. Gli editori<br />

(con la presentazione di<br />

una contropiattaforma reazionaria<br />

e ai limiti della legalità)<br />

vogliono smontare questo<br />

sistema.<br />

Colpisce che persone della<br />

intelligenza di Massimo<br />

D’Alema, Eugenio Scalfari e<br />

Francesco Giavazzi partecipino<br />

oggettivamente a tale<br />

manovra, che in sostanza toglie<br />

diritti non solo ai giornalisti<br />

ma anche ai cittadini della<br />

Repubblica (tra cui quello<br />

fondamentale a una informazione<br />

corretta garantita oggi<br />

da giornalisti, che - grazie alla<br />

deontologia/norma - possono<br />

dissentire nelle loro<br />

aziende senza pagare il<br />

prezzo della perdita del posto).<br />

Non si deve e non si può<br />

consentire che restino soltanto<br />

gli ordini degli editori.<br />

L’<strong>Ordine</strong> è soprattutto la<br />

deontologia.<br />

Segnalazione 18 novembre 2005 dell’Antitrust a Parlamento e Governo<br />

Dall’abrogazione<br />

della legge<br />

cinque rischi<br />

per i giornalisti<br />

L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento<br />

della professione di giornalista comporterà questi<br />

rischi:<br />

1) quella <strong>dei</strong> giornalisti non sarà più una professione intellettuale<br />

riconosciuta e tutelata dalla legge.<br />

2) risulterà abolita la deontologia professionale fissata<br />

nell’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963.<br />

3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori)<br />

la norma che impone il rispetto del “segreto professionale<br />

sulla fonte delle notizie”. Nessuno in futuro<br />

darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del<br />

segreto professionale.<br />

4) senza la legge professionale, direttori e redattori saranno<br />

degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un<br />

articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi<br />

di fedeltà verso l’azienda. Il direttore non sarà giuridicamente<br />

nelle condizioni di garantire l’autonomia<br />

della sua redazione. Quell’autonomia, che, come si<br />

legge nell’articolo 1 del Contratto nazionale di lavoro<br />

Fnsi/Fieg, poggia sulle regole deontologiche fissate<br />

nell’articolo 2 della legge n. 69/1963 istitutiva<br />

dell’<strong>Ordine</strong>. Perdita conseguente da parte <strong>dei</strong> giornalisti<br />

del diritto al dissenso garantito oggi dalla deontologia<br />

(= norma di legge) e potere dell’editore di sottoporre<br />

i dipendenti giornalisti a procedimento disciplinare:<br />

tra le sanzioni previste dalla legge 300/1970 anche il<br />

licenziamento. Senza la legge professionale, nelle<br />

aziende resteranno soltanto gli ordini degli editori!<br />

5) abolizione dell’Inpgi e passaggio <strong>dei</strong> giornalisti alla previdenza<br />

Inps.<br />

“Troppi privilegi<br />

ai professionisti, urge riforma”<br />

La riforma delle professioni è improcrastinabile anche alla luce<br />

delle sollecitazioni degli organismi internazionali. Lo afferma<br />

l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella segnalazione<br />

18 novembre 2005 inviata a Parlamento e Governo<br />

che accompagna la Relazione sul settore.<br />

La Relazione, che è stata approvata nella riunione del 16 novembre<br />

2005, è frutto di due anni di lavoro nel corso <strong>dei</strong> quali<br />

l’Autorità ha promosso incontri con i rappresentanti di alcuni<br />

Ordini professionali per analizzare le restrizioni della concorrenza<br />

che ancora caratterizzano il settore. Ne è emersa, in<br />

molti casi, la disponibilità <strong>dei</strong> professionisti a modificare le regole<br />

ritenute obsolete a fronte invece di un atteggiamento del<br />

legislatore volto a tutelare posizioni conservative.<br />

Nel documento, che sarà esaminato nell’incontro degli esperti<br />

delle autorità di concorrenza degli Stati membri Ue, si auspica<br />

che la riforma venga messa a punto con un coinvolgimento<br />

dell’Autorità. Occorre uno sforzo in termini di dialogo da<br />

parte di tutti i soggetti interessati. Ma se l’attività di confronto<br />

non dovesse condurre a risultati soddisfacenti, l’Autorità potrà<br />

valutare la possibilità di utilizzare, nelle ipotesi di lesione della<br />

concorrenza, i poteri di intervento istruttori che la legge le riconosce,<br />

ricorrendo, grazie al primato del diritto comunitario,<br />

alla disapplicazione delle norme interne.<br />

Nella Relazione l’Autorità individua quattro aree critiche che<br />

frenano la concorrenza (ruolo degli ordini, tariffe inderogabili,<br />

limiti alla pubblicità, eccesso di regolazione normativa) e suggerisce<br />

le possibili misure.<br />

ORDINI E CODICI DEONTOLOGICI<br />

L’Autorità propone un profondo ripensamento del ruolo degli<br />

Ordini, il cui compito deve essere quello di promuovere la formazione<br />

(per garantire l’aggiornamento <strong>dei</strong> professionisti a<br />

vantaggio degli utenti) e di vigilare sulla correttezza <strong>dei</strong> comportamenti<br />

degli iscritti. Bisogna quindi contrastare la tendenza<br />

a far ricadere nei codici deontologici aspetti spiccatamente<br />

regolatori dell’esercizio delle professioni, che non hanno niente<br />

a che vedere con questioni di ordine etico.<br />

LE TARIFFE<br />

Occorre eliminare le tariffe predeterminate inderogabili. Si tratta<br />

di un tassello fondamentale nella riforma delle professioni<br />

per consentire lo svolgersi della concorrenza proprio a beneficio<br />

di un continuo miglioramento <strong>dei</strong> servizi professionali.<br />

La qualità minima della prestazione professionale è infatti garantita<br />

dalle regole di accesso alle professioni mentre i prezzi<br />

prefissati non costituiscono né un parametro di riferimento per<br />

gli utenti né un valido incentivo per i professionisti.<br />

Il risultato è che i costi <strong>dei</strong> servizi professionali sostenuti dalle<br />

imprese italiane sono sensibilmente superiori a quelli sostenuti<br />

per altri fattori della produzione, pur soggetti a regolamentazione.<br />

LA PUBBLICITÀ<br />

A parere dell’Autorità occorre introdurre il principio della libertà<br />

di mezzi e contenuti pubblicitari perché la pubblicità rappresenta<br />

uno strumento fondamentale di concorrenza. Le limitazioni<br />

sui contenuti dell’informazione pubblicitaria potrebbero<br />

essere giustificati solo in casi particolari.<br />

Ad esempio, potrebbero essere contemplate forme di regolamentazione<br />

della pubblicità per evitare la creazione di bisogni<br />

artificiali.<br />

I FRENI NORMATIVI<br />

In Italia esiste una regolamentazione normativa in molti casi<br />

sproporzionata, che attribuisce ingiustificati privilegi ai professionisti:<br />

si limita così l’accesso al mercato e se ne riduce l’efficienza<br />

complessiva a danno <strong>dei</strong> consumatori.Vanno perciò eliminate<br />

alcune riserve di attività, come le certificazioni di alcuni<br />

atti notarili o la vendita di medicinali da banco e occorre ripensare<br />

il sistema di accesso alle attività professionali riservate.<br />

È necessario eliminare i vincoli allo svolgimento delle professioni<br />

in forma societaria ed è indispensabile porre un argine alla<br />

domanda di regolamentazione espressa dalle professioni<br />

non protette.<br />

14 ORDINE 1 <strong>2006</strong>

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