Novembre-Dicembre 2006 - Ordine dei Giornalisti
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LIBRERIA DI TABLOID<br />
Giampaolo Pansa<br />
Sconosciuto 1945<br />
di Emilio Pozzi<br />
Il paragone può sembrare banale<br />
e può darsi che sia già<br />
stato usato ma pensare a<br />
Giampaolo Pansa come al<br />
dottor Jekill e a Mister Hyde -<br />
lui stesso nella prefazione a<br />
Sconosciuto 1945 scrive di<br />
un alter ego di se stesso, un<br />
immaginario avvocato Giorgio<br />
Alberti del quale si è servito<br />
per motivare dialetticamente<br />
le ragioni che l'hanno spinto<br />
a scrivere il libro - viene<br />
quasi spontaneo. Anche se<br />
può dare fastidio. Perché mister<br />
Hyde, vittima di furori incontrollati,<br />
frutto di una sperimentazione<br />
scientifica del<br />
dottor Jekill, può anche rappresentare<br />
la proiezione di un<br />
inconscio che c'è in ognuno.<br />
E per quanto riguarda l’uomo<br />
Pansa, autore di narrativa e di<br />
inchieste che lo qualificano<br />
come alfiere, da anni di un revisionismo<br />
accanito, mi sono<br />
interrogato spesso, conoscendolo<br />
da molti anni, sul<br />
dove si collocasse il confine<br />
tra l’analisi delle vicende dolorose<br />
della storia italiana fra il<br />
’43 e il ‘45 rivissuta, da antifascista,<br />
attraverso le testimonianze<br />
partigiane e quelle per<br />
lo più raccolte da figli e nipoti<br />
direttamente o attraverso lettere<br />
(duemila ne ha ricevute,<br />
dopo Il sangue <strong>dei</strong> vinti) di coloro<br />
che erano dall’altra parte.<br />
Di questo nuovo volume<br />
Pansa stesso dice (pagina<br />
302) dialogando con l’immaginario<br />
Giorgio Alberti, a proposito<br />
di un episodio ambientato<br />
a Masone: “ Questa storia<br />
è un altro esempio di come<br />
il libro che stiamo leggendo,<br />
sia il figlio di Sangue <strong>dei</strong><br />
vinti.<br />
E sul senso del volume, una<br />
risposta, anzi cinque, che<br />
Pansa chiama semplici<br />
verità, le ho trovate proprio<br />
nelle prime pagine di Sconosciuto<br />
1945. La citazione<br />
testuale è doverosa. “La prima<br />
è che, come accade in<br />
tutte le guerre, le parti coinvolte<br />
sono sempre due: i vincitori<br />
e i vinti. La seconda è<br />
che nessuna guerra si può<br />
raccontare senza tenere<br />
conto del punto di vista di entrambi<br />
i contendenti. La terza<br />
è che ascoltare e riferire le ragioni<br />
degli sconfitti non significa<br />
condividerle. La quarta è<br />
che, anche volendolo,è impossibile<br />
costringere al silenzio<br />
le migliaia e migliaia di<br />
persone che hanno messo in<br />
gioco la loro esistenza e<br />
quella <strong>dei</strong> loro famigliari in<br />
una battaglia che per quel<br />
che mi riguarda ho sempre<br />
ritenuto sbagliata. La quinta è<br />
ultima verità è che in una società<br />
democratica, nata dalla<br />
vittoria contro una dittatura,<br />
tappare la bocca a chi ha perso<br />
significa contraddire un<br />
principio che tutti dovremmo<br />
aver caro: la superiorità del<br />
sistema liberale rispetto a<br />
qualunque regime autoritario,<br />
nero o rosso che sia”.<br />
Tutto, o quasi, condivisibile.<br />
Quindi, rimossa la tentazione<br />
di fare un processo alle intenzioni<br />
(confesso che qualche<br />
ragione la troverei) rendiamo<br />
conto al lettore di questa nuova<br />
fatica letteraria e cronisticamente<br />
storica di Giampaolo<br />
Pansa. Gli episodi raccolti<br />
( molto spesso sulla base<br />
di lettere ricevute) sono affidati<br />
alla narrazione diretta di testimoni<br />
o di parenti di personaggi,<br />
non sempre con i nomi<br />
autentici, o sono riassunti dal<br />
curatore, in dialogo sempre<br />
con l’avvocato Alberti. Sono<br />
una cinquantina e, nel comune<br />
dolore per la perdita di familiari,<br />
presentati con l’affetto<br />
che quasi sempre assolve la<br />
vittima e condanna i giustizieri,<br />
riecheggiano avvenimenti<br />
<strong>dei</strong> quali la storia ha tracciato<br />
le linee generali o rivelano<br />
particolari ignorati, toccando<br />
diversi luoghi del nostro<br />
Paese. Analoga ricognizione,<br />
circoscritta a Milano e ai giorni<br />
attorno al 25 aprile 1945, è<br />
stata compiuta da Edgarda<br />
Ferri nel libro L’alba che<br />
aspettavamo. Per il fatto che<br />
questo articolo è destinato a<br />
<strong>Ordine</strong> Tabloid mi pare opportuno<br />
citare tre capitoli che<br />
si riferiscono proprio a giornalisti.<br />
Uno riguarda Salvatore<br />
Caprino, giornalista fascista<br />
ucciso a Milano nel maggio<br />
1945. Il giornale nel quale lavorava,<br />
da ultimo, era Repubblica<br />
fascista e l’ultimo numero<br />
recava la data del 26<br />
aprile 1945. La lucida testimonianza,<br />
è della figlia Giovanna<br />
Caprino Picciau che sa distinguere<br />
tra l’amore filiale e gli<br />
errori politici (“Quando ho visto<br />
il documentario di Alain<br />
Resnais Notti e nebbia sulla<br />
deportazione e lo sterminio<br />
degli ebrei, mi sono detta che<br />
anche il fascismo era responsabile<br />
dell’Olocausto, che anche<br />
mio padre pur senza avere<br />
una colpa diretta, aveva fatto<br />
parte di quel sistema.<br />
L’effetto è stato terribile. Però<br />
non mi sono vergognata di lui,<br />
mai. Mi sono vergognata del<br />
fascismo, questo sì. Per papà<br />
provavo soprattutto amore. In<br />
fondo lui aveva pagato, era<br />
stato ucciso”). Di Salvatore<br />
Caprino ha anche scritto<br />
Gianni Bongioanni nel libro<br />
rievocativo delle esperienze<br />
di Radio Tevere.<br />
Il secondo giornalista di cui<br />
parla Pansa è Giorgio Morelli,<br />
detto Il solitario, partigiano<br />
bianco di Reggio Emilia, fondatore<br />
di un giornaletto partigiano,<br />
vissuto per quattro numeri,<br />
tirati al ciclostile, insieme<br />
con Eugenio Corezzola.Si<br />
chiamava La Penna. E insieme<br />
, dopo la fine della guerra<br />
fondarono La nuova penna<br />
che non aveva nulla contro la<br />
Resistenza, della quale volevano<br />
difendere la purezza <strong>dei</strong><br />
valori, ma che si occupò coraggiosamente<br />
e con accanimento,<br />
in numerose inchieste<br />
contro ‘le bande che infestavano<br />
il Reggiano’. Contro il<br />
Solitario ci fu un agguato: sei<br />
colpi di rivoltella. E per i postumi<br />
di quel tentato omicidio,<br />
Morelli, sei mesi dopo morì.<br />
Aveva 21 anni e sette mesi. Il<br />
terzo giornalista di cui si parla<br />
che, per fortuna non morì tragicamente,<br />
ma fu allontanato<br />
dal Corriere della Sera e poi<br />
anche arrestato è Ciro Poggiali.<br />
Poggiali, padre di Vieri,<br />
che ne rievoca la figura in un<br />
capitolo, era un professionista<br />
serio, maestro di tanti giornalisti.<br />
Fra l’altro si deve a lui il<br />
merito se Dino Buzzati che lavorava<br />
nella cronaca del<br />
Corriere, della quale Poggiali<br />
era responsabile, poté pubblicare<br />
il suo primo romanzo Il<br />
deserto <strong>dei</strong> tartari. Poggiali<br />
finì dignitosamente la sua carriera<br />
negli anni cinquanta come<br />
capocronista del quotidiano<br />
cattolico di Milano L’Italia.<br />
L’affettuosa e devota rievocazione<br />
del figlio Vieri si conclude<br />
con una riflessione che è<br />
emblematica della complessa<br />
situazione nella quale hanno<br />
vissuto tante famiglie italiane.<br />
È bene leggerla: “Riepilogando.<br />
Un primo cugino morto di<br />
stenti in un lager tedesco. Un<br />
prozio ebreo nascosto in casa,<br />
con molti pericoli e per cinque<br />
anni. Un altro prozio infoibato<br />
dagli jugoslavi. Due gemelli<br />
arruolati in eserciti avversi.<br />
Una quasi epurazione professionale<br />
di mio padre, con<br />
rischi per la pelle. Ecco il contributo<br />
di partecipazione di<br />
una seminormale famiglia italiana<br />
alle vicende belliche, e<br />
politiche del 1940-45” .La memorialistica<br />
è di moda. E il libro<br />
di Pansa, nella sua disarticolata<br />
narrazione, è soffuso<br />
di pietas. I racconti in prima<br />
persona di coloro che hanno<br />
racchiuso per anni il dolore<br />
<strong>dei</strong> loro lutti, le morti ingiuste,<br />
tragici eventi legati al caso,<br />
casi isolati di ferocia e di vendetta,<br />
compongono un panorama<br />
desolante.Va letto, data<br />
per scontata onestà intellettuale,<br />
e non ricerca dell’effetto<br />
a tutti i costi, (anche se il sottotitolo<br />
del libro che mi auguro<br />
sia attribuibile al marketing<br />
editoriale lascia qualche perplessità)<br />
con rispetto,non dimenticando<br />
però quanti casi<br />
analoghi sono avvenuti sul<br />
fronte opposto e che non<br />
hanno trovato narratori. Non<br />
si tratta di mettere sulla bilancia<br />
i libri scritti sugli anni bui di<br />
un passato non dimenticato,<br />
(la Resistenza ha, nell’ambito<br />
<strong>dei</strong> sentimenti ‘privati’ alcuni<br />
volumi che andrebbero riletti<br />
come Lettere di condannati a<br />
morte curato da Giovanni<br />
Pirelli e Piero Malvezzi).<br />
Tuttavia sono personalmente<br />
convinto che molte storie<br />
umane sono rimaste nell’ombra.<br />
Per pudore <strong>dei</strong> protagonisti.<br />
E ormai i sopravvissuti sono<br />
pochi. O perché, nella<br />
Resistenza, c’era la regola<br />
del silenzio. E i figli non sapevano<br />
<strong>dei</strong> padri, e i padri <strong>dei</strong> figli.<br />
Giampaolo Pansa,<br />
Sconosciuto 1945.<br />
(Ventimila scomparsi,<br />
torturati e uccisi:<br />
le vendette dopo<br />
il 25 aprile<br />
nella memoria <strong>dei</strong> vinti),<br />
Sperling e Kupfer Editori,<br />
Milano 2005,<br />
pagine 476, euro 18,00<br />
papa Giovanni Paolo II.<br />
Che valenza storica hanno<br />
quelle testimonianze insieme<br />
a quelle <strong>dei</strong> più potenti<br />
uomini della terra e <strong>dei</strong> rappresentanti<br />
di tutte le più<br />
importanti religioni della<br />
terra<br />
Massimo Franco si muove<br />
con abilità e sicurezza nell’archivio<br />
segreto vaticano.<br />
Fa affiorare documenti inediti<br />
su un mondo a cavallo<br />
tra il Settecento e<br />
l’Ottocento e risale la china<br />
della storia fino ai nostri<br />
giorni, indagando realtà<br />
complesse popolate da papisti<br />
e cow boys, ambasciatori<br />
e spie, pontefici e presidenti,<br />
impegnati in un gioco<br />
di potere sottile e, a volte<br />
brutale. Indaga sui motivi<br />
per cui gli Usa non hanno<br />
avuto, appunto, un’ambasciata<br />
presso la Santa<br />
Sede fino al 1984, con<br />
Ronald Reagan alla Casa<br />
Bianca. Racconta l’irriducibilità<br />
vaticana contro la<br />
guerra in Iraq e lo scandalo<br />
<strong>dei</strong> preti pedofili negli Usa.<br />
Complesse alchimie di poteri<br />
e contropoteri, il grande<br />
confronto tra i forti richiami<br />
spirituali e la troppa materialità<br />
del pensiero nordamericano,<br />
l’avidità protestante<br />
per la ricchezza e il<br />
denaro, il sapere secolare<br />
della Chiesa, i grandi segreti<br />
che il Vaticano da<br />
sempre conserva, vengono<br />
indagati da Massimo Franco<br />
con sapiente ritmica,<br />
senza mai sfociare nel facile<br />
giudizio, nella banalizzazione<br />
degli eventi, nella<br />
sottovalutazione <strong>dei</strong> grandi<br />
misteri che muovono la storia.<br />
Due secoli di rapporti, anche<br />
agitati, non sono facili<br />
da raccontare, dall’epopea<br />
delle colonie, ai fantasmi<br />
del Ku Klux Klan, ai complessi<br />
eventi della prima e<br />
seconda guerra mondiale,<br />
al triangolo anticomunista<br />
del dopoguerra, ai Kennedy<br />
e a Jacqueline che si<br />
presenta tutta di nero, vestita<br />
quasi da monaca, nel<br />
1962, all’udienza con<br />
Giovanni XXIII, come a riconfermare<br />
la profonda devozione<br />
<strong>dei</strong> cattolici americani<br />
verso la Chiesa di<br />
Roma, fino alla guerra con<br />
l’Iraq. Una carrellata di<br />
aneddoti e di riflessioni.<br />
L’intrecciarsi di eventi tra<br />
due imperi che Massimo<br />
Franco definisce fin da subito<br />
“paralleli”. E poi «la<br />
preoccupazione palpabile<br />
delle gerarchie cattoliche»,<br />
che ritengono che «la strategia<br />
imperiale statunitense<br />
possa accentuare la<br />
“cristianofobia” emersa dopo<br />
la guerra in Iraq nell’universo<br />
islamico».<br />
Il libro di Massimo Franco<br />
cerca di fotografare le fasi<br />
storiche dell’alleanza e del<br />
conflitto fra gli «imperi paralleli»<br />
occidentali nel corso<br />
di oltre duecento anni. Di<br />
raccontare gli alti e bassi di<br />
un processo di conoscenza<br />
e di riconoscimento reciproci,<br />
che rappresenta l’aspetto<br />
meno indagato tra<br />
Vaticano e Nuovo Mondo,<br />
fra un Vaticano passato<br />
dall’eurocentrismo a una<br />
visione mondiale <strong>dei</strong> problemi,<br />
e un’America prima<br />
isolazionista, poi “gendarme<br />
del mondo”, e alla fine<br />
aspirante “demiurgo della<br />
storia”. È una vicenda lunga<br />
e tormentata, destinata<br />
a rimanere aperta ancora<br />
di più dopo la morte di<br />
Giovanni Paolo II e l’elezione<br />
di Benedetto XVI. La trama<br />
che collega Washington<br />
con la Roma di Giovanni<br />
Paolo II, insomma, e ora<br />
con Benedetto XVI è il riflesso<br />
della forza e della<br />
debolezza dell’identità occidentale<br />
e di due destini<br />
intrecciati.<br />
Massimo Franco<br />
Imperi paralleli.<br />
Vaticano e Stati Uniti:<br />
due secoli di alleanza e<br />
conflitto (1788-2005),<br />
Mondadori,<br />
pagine 229, euro 17,50<br />
Hélen Blignaut, Luisa Ciuni,<br />
Maria Grazia Persico<br />
Comunicare la moda<br />
di Franz Foti<br />
L’emozione è l’essenza primaria<br />
della comunicazione. La<br />
moda è seduzione, capacità di<br />
attrarre attraverso modalità<br />
particolari, il più delle volte<br />
orientate verso l’enfasi del dettaglio.Per<br />
comunicare la moda<br />
devono mescolarsi le due<br />
componenti essenziali del<br />
messaggio:l’emozione e il dettaglio<br />
seduttivo, che rappresenta<br />
l’espressione estetica<br />
più voluttuosa di ciò che genera<br />
il desiderio e l’immaginazione<br />
del possesso, preludio del<br />
gesto finale, prima di fare proprio<br />
l’oggetto desiderato. La<br />
moda è teatro, atmosfera, esasperazione<br />
del reale, estremismo<br />
estetico che sfila in passerella,<br />
che si mostra nelle sue<br />
forme suggestive e baluginanti,<br />
che sfida l’immaginario cromatico,<br />
culturale e sociale. Ma<br />
è anche teatro della vita. In alcune<br />
sue manifestazioni è sintesi<br />
di storia, anticipazione del<br />
futuro dove confluiscono i mille<br />
rivoli dell’anima e dell’agire: la<br />
sensibilità, il colore, la tecnologia,<br />
il tessuto, la poesia, la narrazione,<br />
il narcisismo, l’esasperazione<br />
del sé. La moda è<br />
anche storia. Hélene Blignaut,<br />
una delle autrici del volume<br />
Comunicare la moda, avverte<br />
che ogni cosa comincia da un<br />
inizio, il punto zero, ma prima<br />
di questo punto ce ne sono altri<br />
da percorrere prima di decollare<br />
dal punto zero.Bisogna<br />
capire sempre cosa c’era prima,<br />
perché da questo si capisce<br />
come penetrare l’anima e i<br />
sentimenti degli altri. È così<br />
che si risponde al bisogno d’emozioni<br />
degli altri. È in questo<br />
territorio che bisogna ricercare<br />
l’inafferrabile emotivo del: “mi<br />
piace, lo voglio, non mi piace<br />
più, mi piace ancora, non lo<br />
voglio”.<br />
Partendo da questi preliminari<br />
della costruzione psicologica<br />
dell’altro, conficcando le mani<br />
dentro l’anima <strong>dei</strong> nostri interlocutori,<br />
si stabilisce una buona<br />
comunicazione, il feeling<br />
della consonanza. Tutto questo<br />
vale soprattutto nell’ambito<br />
della moda, dove si viaggia sul<br />
confine invisibile fra desiderio<br />
e immaginazione, realtà e<br />
astrazione, visione del fantastico<br />
e condizione interiore. È<br />
dentro questo spazio che s’insinua<br />
la concezione “dell’abito<br />
parlante”, che t’insidia nel<br />
profondo, che morde il gusto di<br />
una nuova dimensione estetica<br />
sino a farla diventare dimensione<br />
mentale. Per gestire<br />
questa complessa macchina<br />
della comunicazione della moda<br />
non è sufficiente conoscere<br />
la psicologia del desiderio e<br />
del gusto. Serve anche la tec-<br />
nica della comunicazione. Per<br />
questo vengono esplorati alcuni<br />
modelli di comunicazione,<br />
come l’AIDA: Attenzione,<br />
Interesse, Desiderio, Azione. Il<br />
tutto, presumo, in un quadro<br />
d’intuizione ed esperienza.<br />
Nella comunicazione della<br />
moda non poteva mancare la<br />
descrizione e l’articolazione di<br />
una campagna del settore. Ci<br />
ha pensato un’altra autrice del<br />
volume, Maria Grazia Persico<br />
che puntualizza le varie sequenze<br />
di una campagna<br />
orientata al prodotto moda.<br />
Vengono descritti i presupposti<br />
principali, la pianificazione<br />
progettuale e operativa. Si tratta<br />
di un vero e proprio vademecum,<br />
di un piano di lavoro<br />
corredato di dieci pagine di<br />
schede esemplificative. In<br />
questo lavoro dedicato alla<br />
moda sono ben visibili i tratti<br />
del ruolo e delle funzioni del<br />
giornalista di settore e dell’ufficio<br />
stampa. Molto interessanti<br />
si mostrano i consigli e i particolari<br />
di Luisa Ciuni.<br />
Insegna a impostare un articolo<br />
di giornale, a strutturare un<br />
efficace comunicato stampa,<br />
a tratteggiare i volti della pubblicità.<br />
Tecnica, partecipazione,<br />
pazienza e curiosità, unitamente<br />
a un pizzico di fortuna,<br />
sono i ferri del mestiere.<br />
Affinandoli con buone letture,<br />
corredandoli di una discreta<br />
dose di spirito d’osservazione,<br />
avremo costruito buona parte<br />
del nostro successo comunicativo.<br />
Hélen Blignaut,<br />
Luisa Ciuni,<br />
Maria Grazia Persico,<br />
Comunicare la moda,<br />
Manuali Franco Angeli<br />
euro 12,50<br />
ORDINE 1 <strong>2006</strong><br />
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