Oltre al dato economico - che presupponeva la possibilità, tutta da verificare, disostituire una fonte energetica con un’altra - a sorreggere la tesi di Nitti era un sentimentonazionale diffuso, che vedeva di buon occhio ogni intervento teso a ridurre lasciagurata dipendenza dell’Italia dall’estero, causata dalla continua importazione dicarbone. Al di là delle considerazioni epistemologiche sulla tesi nittiana, il ruolo propulsivoche questa ebbe nell’incoraggiare la produzione elettrica fu indubbiamentenotevole.Di parere diverso a proposito di questa interpretazione è in tempi recenti il Bardini,che ha criticato sia la tesi di Nitti, secondo cui il carbone poteva essere sostituitodall’energia idroelettrica, sia un’impostazione generale del problema riguardante lafungibilità delle risorse energetiche. Questa impostazione, suggerita fra l’altro dallascuola “termodinamica” del Cipolla, è risultata essere utile solo per analisi di lungoperiodo, ma totalmente inservibile per quelle di breve. L’ipotesi del Bardini si servìin primo luogo del modello di P. David riguardante i processi di localized learning. Attraversoquesto modello, applicato al caso italiano, l’autore dimostra come, neglianni precedenti la prima guerra mondiale, la mancanza di carbone rappresentasseun gap insormontabile. <strong>Il</strong> carbone consentiva infatti di ottenere lo stesso prodottoimpiegando minori quantità di fattori rispetto a fonti alternative. In secondo luogol’ipotesi di Bardini si servì della definizione dei general purpose technology (GPT), uninsieme di principi tecnici comuni che agiscono da veri e propri mattoni del progressotecnico. Quando una fonte energetica viene utilizzata come GPT, generamolteplici opportunità tecnologiche che ne fanno una fonte sempre meno sostituibileda altre fonti energetiche.In campo produttivo, lo sviluppo dell’energia idroelettrica portò ad una ridistribuzionedella geografia industriale. Ad essere valorizzati furono in primo luogo icorsi d’acqua, che furono indicizzati per portate, pendenze e costanza dell’erogazione.La risposta non si fece attendere tanto che già nel 1905, in Italia, il 70%dell’energia era prodotta idroelettricamente. Varie industrie italiane si legarono aquesto sviluppo: a Milano le officine Marelli e a Genova l’Ansaldo inauguravanonuovi reparti. La Riva & Monneret si specializzò nella costruzione di turbine mentreper quanto riguarda, rispettivamente, la produzione di conduttori ed isolatori dobbiamoricordare la Pirelli e la Richard Ginori.Non tutte le regioni si prestavano, del resto, al medesimo sfruttamento. I corsid’acqua alpini avevano a loro vantaggio portate maggiori rispetto a quelli appenninicie soprattutto possibilità di sfruttare salti più elevati. I corsi d’acquaappenninici al contrario, oltre ad essere caratterizzati da portate sensibilmente inferioririspetto a quelli alpini, soffrivano di lunghi e frequenti periodi di seccadurante i mesi estivi. Queste particolari caratteristiche idro-geologiche, sebbenepermettessero in alcuni casi grandi applicazioni, come il bacino del Brasimone, costruitonel 1911, portavano più di frequente alla diffusione di impianti didimensioni medio-piccole. Mentre nel 1901 la Società Lombarda e l’azienda elettricamunicipale di Milano iniziavano la scalata alle valli alpine, inaugurando così il73
periodo dei grandi serbatoi artificiali, i territori appenninici studiati in questo librovedevano la nascita di piccole aziende elettro-commerciali legate ad un’utenza limitata.Nella ricostruzione di Pavese e Toninelli 8 , la dimensione medio-piccola nel 1884rappresentava il 67% delle imprese elettro-commerciali italiane, nel 1901 il 42%, nel1907 il 53% e nel 1914 il 49%. Nonostante la tendenza alla concentrazione, che iniziòad emergere durante la prima guerra mondiale, le imprese di dimensioni medio-piccoleerano nel 1915 il 49,7%, nel 1919 il 48% e nel 1924 il 59,1%. Dati simili sonosostanzialmente confermati anche da rilevazioni successive: le piccole imprese risultanoessere nel 1925 il 58,3%, nel 1929 il 55,1%, nel 1932 il 42,9% , nel 1935 il 56,6% deltotale. Questa consistente tendenza alla piccola dimensione non è mai stata approfonditadalla ricerca storica.Le aree interessate allo sviluppo della piccola impresa elettro-commerciale sembranoessere state perlopiù quelle periferiche: bacini di utenza che, per numero econcentrazione di aggregati umani, non attraevano gli appetiti delle società maggiori.In questi vuoti geografici le piccole imprese si inserirono ed iniziarono ad operare.Tali nicchie d’utenza possono in gran parte spiegare, assieme alle peculiarità idrogeologichedegli Appennini, il fenomeno della dimensione medio piccola dellesocietà elettro-commerciali italiane fra la fine dell’Ottocento ed i primi quarant’annidel Novecento; tali imprese furono di dimensioni ridotte sia per quanto riguarda ilnumero sia per la loro durata nel tempo. <strong>Il</strong> terzo e fondamentale fattore riguardava illuogo in cui tali imprese vennero installate, che in moltissimi casi fu un mulino 9 . Nonci sono studi sufficienti che permettano di generalizzare il ruolo avuto da questastruttura a livello nazionale, ma per quanto riguarda l’Appennino Tosco-Emiliano lenostre ricerche non lasciano adito a dubbi: la quasi totalità delle piccole imprese elettro-commercialitrovò la propria sede di produzione in un mulino. Questo avvenivaper tre ordini di motivi. In primo luogo per ragioni di struttura architettonica; il mulinoinfatti era già dotato di opere per la derivazione: gora, bottaccio, sfioratori,opere di restituzione, le quali potevano, con piccoli aggiustamenti, essere adattateall’installazione di un piccolo impianto idroelettrico. In secondo luogo i proprietaridi un mulino erano già depositari di una concessione di derivazione, e questo fatto liponeva al riparo dai lenti e macchinosi iter burocratici indispensabili per ottenere exnovo tali concessioni. Infine questa struttura ha da sempre goduto di un rapportoprivilegiato con le comunità vicine, e ciò lo collocava in primo piano nell’erogazionedel servizio elettrico. Non dobbiamo però considerare solamente gli aspetti positivi8C. Pavese, P.A. Toninelli, Anagrafe delle società elettriche, in Storia dell’industria elettrica in Italia. Le origini,pp. 761-826; C. Pavese, P.A. Toninelli, Anagrafe delle società elettriche, in Storia dell’industria elettrica inItalia. <strong>Il</strong> potenziamento tecnico e finanziario. 1914-1925, a cura di L. de Rosa, Bari, Laterza, 1992, pp. 719-804;C. Pavese, P. A. Toninelli, Anagrafe delle società elettriche, in Storia dell’industria elettrica in Italia. Espansione eoligopolio, pp. 1065-1156.9Augusto De Benedetti, Energia e produzione: un intreccio naturale, in L’industria nella provincia di Pesaroe Urbino, a cura di Sergio Anselmi, Urbino, 1995, pp. 55-69.74
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