12.07.2015 Views

Appunti per il corso di Fisica Matematica Daniele Andreucci ...

Appunti per il corso di Fisica Matematica Daniele Andreucci ...

Appunti per il corso di Fisica Matematica Daniele Andreucci ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Appunti</strong> <strong>per</strong> <strong>il</strong> <strong>corso</strong> <strong>di</strong><strong>Fisica</strong> <strong>Matematica</strong><strong>Daniele</strong> <strong>Andreucci</strong>DipartimentoÒÖÙÑÑѺÙÒÖÓѽºØ<strong>di</strong> Meto<strong>di</strong> e Modelli MatematiciUniversità <strong>di</strong> Roma La Sapienzavia Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italya.a. 2011–2021versione provvisoria


fmm 20110928 22.09c○2009,2010,2011 <strong>Daniele</strong> <strong>Andreucci</strong>Tutti i <strong>di</strong>ritti riservati–All rights reserved


IntroduzioneQuesta è la versione provvisoria degli <strong>Appunti</strong> <strong>per</strong> <strong>il</strong> <strong>corso</strong> <strong>di</strong> <strong>Fisica</strong> <strong>Matematica</strong>,tenuto <strong>per</strong> <strong>il</strong> Corso <strong>di</strong> Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanicadell’Università La Sapienza <strong>di</strong> Roma, anno accademico 2011/2012.La versione definitiva verrà resa <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>e al termine del <strong>corso</strong>.LeAppen<strong>di</strong>cidegli<strong>Appunti</strong>(Parte8) contengonorisultatichepossonovenireusati nel <strong>corso</strong>, ma non ne fanno parte in senso proprio (prerequisiti,complementi tecnici, alcuni risultati <strong>di</strong> calcoli complicati).iii


In<strong>di</strong>ceIntroduzioneiiiParte 1. Formulazione dei problemi 1Capitolo 1. Formulazione delle equazioni 31.1. Legge <strong>di</strong> Fourier ed equazione del calore 31.2. Moto browniano: l’equazione della <strong>di</strong>ffusione 41.3. Il principio <strong>di</strong> Dirichlet 71.4. L’equazione della corda vibrante 91.5. Onde acustiche 101.6. Il significato locale del laplaciano 11Capitolo 2. Problemi al contorno 172.1. Significato dei problemi al contorno 172.2. Problemi al contorno <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace 182.3. Problemi al valore iniziale e al contorno <strong>per</strong> l’equazione delcalore 192.4. Problemi ai valori iniziali e al contorno <strong>per</strong> l’equazione delleonde 202.5. Il problema <strong>di</strong> Cauchy in tutto lo spazio 212.6. Dipendenza continua dai dati. 212.7. Con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>ità 222.8. Commenti e generalizzazioni 23Parte 2. Il principio <strong>di</strong> massimo 25Capitolo 3. Alcune soluzioni esplicite 273.1. Soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i nel caso uni<strong>di</strong>mensionale 273.2. Passaggio a coor<strong>di</strong>nate polari 293.3. L’equazione delle onde o della corda vibrante 31Capitolo 4. Principi <strong>di</strong> massimo 354.1. Principio <strong>di</strong> massimo <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace 354.2. Applicazioni al problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong>Laplace 374.3. Principio <strong>di</strong> massimo <strong>per</strong> l’equazione del calore 384.4. Applicazioni al problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione delcalore 394.5. Il lemma <strong>di</strong> Hopf <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace 404.6. Il lemma <strong>di</strong> Hopf <strong>per</strong> l’equazione del calore 40v


viDANIELE ANDREUCCIParte 3. Il metodo <strong>di</strong> Fourier 43Capitolo 5. Metodo della separazione delle variab<strong>il</strong>i 455.1. Soluzioni a variab<strong>il</strong>i separate 455.2. Autofunzioni del laplaciano 475.3. Sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong> autofunzioni 48Capitolo 6. Stime dell’energia 536.1. Equazione delle onde 536.2. Stime <strong>per</strong> l’equazione del calore 566.3. Stime <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace 596.4. Commenti e generalizzazioni 59Capitolo 7. Sistemi ortonormali 617.1. Prodotto scalare <strong>di</strong> funzioni 617.2. Funzioni ortogonali. Sistemi ortonormali 647.3. Approssimazione <strong>di</strong> funzioni con sistemi ortonormali 657.4. Sistemi ortonormali completi 66Capitolo 8. Serie <strong>di</strong> Fourier in N = 1 698.1. Serie <strong>di</strong> Fourier in (−π, π) 698.2. Serie <strong>di</strong> soli seni o soli coseni 708.3. Altri intervalli 728.4. Sv<strong>il</strong>uppi <strong>di</strong> funzioni regolari 738.5. Il fenomeno <strong>di</strong> Gibbs 758.6. Serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong>pendenti da un parametro 788.7. Prodotti <strong>di</strong> sistemi ortonormali completi 788.8. Serie <strong>di</strong> Fourier in forma complessa 80Capitolo 9. Sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong> autofunzioni 839.1. Convergenza dello sv<strong>il</strong>uppo in serie <strong>di</strong> autofunzioni 839.2. Il caso <strong>di</strong> dati al contorno non nulli 869.3. Il caso ‘sbagliato’: <strong>il</strong> sistema ortonormale non rispetta lecon<strong>di</strong>zioni al contorno 879.4. L’equazione <strong>di</strong> Laplace in coor<strong>di</strong>nate polari 889.5. Autofunzioni nel cerchio 93Parte 4. Formule <strong>di</strong> rappresentazione 97Capitolo 10. L’equazione delle onde 9910.1. Il problema ai valori iniziali <strong>per</strong> la corda infinita 9910.2. Il problema ai valori iniziali in N = 3 10010.3. Discesa al piano 10410.4. Dipendenza continua dai dati. 10510.5. Soluzioni deboli 10610.6. Alcuni problemi <strong>per</strong> altri domini: tecniche <strong>di</strong> riflessione 107Capitolo 11. Integrazione <strong>per</strong> convoluzione 11111.1. Convoluzioni 11111.2. Equazione <strong>di</strong> Laplace nel semispazio 11611.3. Il problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione del calore 119


INDICEvii11.4. Proprietà qualitative <strong>di</strong> soluzioni dell’equazione del calore 12311.5. Il problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace nella sfera126Capitolo 12. Problemi non omogenei 13112.1. Il principio <strong>di</strong> Duhamel 13112.2. Equazione delle onde 13112.3. Equazione del calore 134Parte 5. Comportamenti asintotici 135Capitolo 13. Comportamenti asintotici 13713.1. Problema della lunghezza critica 13713.2. Teorema <strong>di</strong> Liouv<strong>il</strong>le <strong>per</strong> funzioni armoniche 139Parte 6. Trasformate <strong>di</strong> funzioni 143Capitolo 14. Trasformata <strong>di</strong> Fourier 14514.1. Definizione 14514.2. Proprietà elementari della trasformata <strong>di</strong> Fourier 14514.3. Applicazione <strong>per</strong> la risoluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong>l’equazione del calore 14714.4. Applicazione <strong>per</strong> la risoluzione del problema nel semipiano<strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace 148Capitolo 15. Trasformata <strong>di</strong> Laplace 15115.1. Definizione 15115.2. Proprietà elementari della trasformata <strong>di</strong> Laplace 15115.3. Applicazioni alle equazioni <strong>di</strong>fferenziali or<strong>di</strong>narie 153Parte 7. Complementi 155Capitolo 16. Completezza del sistema <strong>di</strong> Fourier 15716.1. Le somme <strong>di</strong> Fejer 15716.2. Completezza del sistema <strong>di</strong> Fourier 159Capitolo 17. Classificazione delle equazioni lineari del secondoor<strong>di</strong>ne 16117.1. Equazioni a coefficienti costanti in due variab<strong>il</strong>i 16117.2. Forme quadratiche ed equazioni del secondo or<strong>di</strong>ne 16417.3. Equazioni a coefficienti non costanti 164Capitolo 18. Cenni alle soluzioni deboli 16518.1. Soluzioni deboli 16518.2. Ricerca <strong>di</strong> minimi <strong>per</strong> J 1 16718.3. Soluzioni deboli <strong>di</strong> equazioni non regolari 16818.4. Un caso concreto <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> soluzioni deboli 17018.5. Il metodo <strong>di</strong> Galerkin 176Capitolo 19. Equazioni a derivate parziali del primo or<strong>di</strong>ne 17919.1. Equazioni sem<strong>il</strong>ineari 17919.2. Curve caratteristiche e caratteristiche al suolo 18019.3. Esistenza e unicità <strong>di</strong> soluzioni 182


viiiDANIELE ANDREUCCI19.4. Equazioni quas<strong>il</strong>ineari 184Capitolo 20. Il teorema del trasporto 18720.1. Moto <strong>di</strong> un continuo 18720.2. Il teorema del trasporto 188Parte 8. Appen<strong>di</strong>ci 191Appen<strong>di</strong>ce A. Integrazione <strong>di</strong> funzioni non continue 193A.1. Insiemi <strong>di</strong> misura (<strong>di</strong> Lebesgue) nulla 193A.2. Funzioni integrab<strong>il</strong>i 194A.3. Lo spazio L 2 (E) 199Appen<strong>di</strong>ce B. Cambiamenti <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate 203B.1. Coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indriche 203B.2. Coor<strong>di</strong>nate sferiche 205B.3. Coor<strong>di</strong>nate polari in <strong>di</strong>mensione N 208Appen<strong>di</strong>ce C. Richiami e definizioni 211C.1. Funzioni 211C.2. Insiemi 211C.3. Identità trigonometriche 212C.4. Disuguaglianze 212C.5. Riflessioni 213C.6. Integrali 215Appen<strong>di</strong>ce D. Simboli e notazione usati nel testo 217D.1. Notazione 217D.2. Simboli usati nel testo 217Appen<strong>di</strong>ce E. Risposte agli esercizi 219Parte 9. In<strong>di</strong>ci 223In<strong>di</strong>ce analitico 225


Parte 1Formulazione dei problemi


CAPITOLO 1Formulazione delle equazioniIntroduciamo alcune equazioni alle derivate parziali (e.d.p.) comemodelli <strong>di</strong> vari fenomeni fisici. Lo scopo è quello <strong>di</strong> mostrarecome le e.d.p. intervengano nei modelli matematici più <strong>di</strong>versi,come quelli basati su leggi fenomenologiche o su argomenti <strong>di</strong> fisicastatistica (equazione del calore); principi variazionali (equazione<strong>di</strong> Laplace); leggi della meccanica dei continui (equazionedelle onde).Infine ci soffermiamo sul significato dell’o<strong>per</strong>atore laplaciano,che ricorre nelle e.d.p. che ci interessano.1.1. Legge <strong>di</strong> Fourier ed equazione del caloreLa legge <strong>di</strong> Fourier assume che <strong>il</strong> flusso <strong>di</strong> calore in un corpo sia dato daJ = −K∇u, (1.1)ove la K > 0 rappresenta la conduttività e u = u(x,t) la tem<strong>per</strong>atura.Quin<strong>di</strong> la densità <strong>di</strong> flusso entrante in un dominio spaziale A ⊂ R 3 èJ · ν interna = −K∇u·ν interna = K∇u·ν = K ∂u∂ν , (1.2)ove ν denoterà sempre la normale esterna al dominio A. Questa densità èdefinita, come è ovvio, sulla frontiera ∂A.Supponiamo dunque che <strong>il</strong> fenomeno <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del calore abbia luogoin un a<strong>per</strong>to Ω ⊂ R 3 , e obbe<strong>di</strong>sca la legge <strong>di</strong> Fourier.La variazione <strong>di</strong> energia termica in un qualunque sottodominio A ⊂ Ω,tra i due istanti t 0 e t 1 , è data dalla <strong>di</strong>fferenza∫A∫cρu(x,t 1 )dx−Acρu(x,t 0 )dx =∫ t 1 ∫t 0Acρ ∂u (x,t)dxdt, (1.3)∂tove le costanti c, ρ > 0 rappresentano <strong>il</strong> calore specifico e la densità.D’altra parte, in assenza <strong>di</strong> sorgenti <strong>di</strong> calore, tale variazione deve coinciderecon la quantità <strong>di</strong> calore scambiato attraverso la frontiera <strong>di</strong> Anell’intervallo dei tempi (t 0 ,t 1 ): tenendo presente la (1.2), si ha quin<strong>di</strong>∫ t 1 ∫t 0Acρ ∂u ∫t 1 ∫∂t (x,t)dxdt = K ∂ut 0∂A∫t 1 ∫∂ν dσdt = t 0ove si è usato <strong>il</strong> teorema della <strong>di</strong>vergenza in A.A<strong>di</strong>v(K∇u)dxdt, (1.4)3


4 DANIELE ANDREUCCIPoiché nella (1.4) sia A ⊂ Ω che gli istanti t 0 e t 1 sono arbitrari, ne segueche i due integran<strong>di</strong> devono essere uguali in ogni punto (x,t), ossia checρ ∂u∂t= <strong>di</strong>v(K∇u). (1.5)Se poi K è costante, si ottiene subito l’equazione del caloreoveprende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusività.∂u∂t= D ∆u, (1.6)D = K cρ(1.7)1.1.1. La legge <strong>di</strong> Fick. L’equazione (1.6) si ottiene, con gli stessi argomenti,come modello <strong>per</strong> la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> una concentrazione <strong>di</strong> massa u,a partire dalla legge <strong>di</strong> Fick, che è formalmente identica alla (1.1), ove <strong>per</strong>òu ha <strong>il</strong> significato appena ricordato, e J assume <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> flusso <strong>di</strong>massa. Il coefficiente K > 0 si chiama ancora <strong>di</strong>ffusività (nei calcoli soprasi prenda cρ = 1). In quest’ambito la (1.6) si <strong>di</strong>ce anche equazione della<strong>di</strong>ffusione.SivedalaSezione1.2<strong>per</strong>unaltroepiùdettagliatoapproccioall’equazionedella <strong>di</strong>ffusione.•1.2. Moto browniano: l’equazione della <strong>di</strong>ffusione1.2.1. Ipotesifondamentali. Consideriamouna<strong>di</strong>stribuzione<strong>di</strong>particellesospese in un liquido. Essenzialmente a causa dei continui urti con lemolecole del liquido, ogni singola particella segue un moto casuale, dettobrowniano dal nome <strong>di</strong> Robert Brown, botanico, che descrisse <strong>il</strong> moto <strong>di</strong>grani <strong>di</strong> polline nell’acqua in Ph<strong>il</strong>. Mag. (4) 1828, e Ann. d. Phys. u. Chem.14 1828. Si noti che in questo moto le particelle descrivono traiettoriemolto irregolari, tanto che l’usuale rappresentazionedelle traiettorie comecurve <strong>di</strong>fferenziab<strong>il</strong>i (sia pure a tratti) è inadeguata.Il moto delle particelle verrà descritto tramite una funzione <strong>di</strong>stribuzionef(x,t), che <strong>di</strong>a <strong>il</strong> numero <strong>di</strong> particelle <strong>per</strong> unità <strong>di</strong> volume, nel punto x altempo t. Inoltre assumeremo che:H.1 Il moto <strong>di</strong> ogni particella è in<strong>di</strong>pendente dal moto delle altre.H.2 Fissati ad arbitrio tre tempi t 1 < t 2 < t 3 , <strong>il</strong> moto <strong>di</strong> ciascuna particellanell’intervallo (t 2 ,t 3 ), relativo alla posizionecheessaoccupaaltempot 2 , è in<strong>di</strong>pendente dal moto della medesima particella nell’intervallo(t 1 ,t 2 ).È evidente che, nell’ambito della descrizione classica del moto, la H.2 sarebbefalsa: lo stato cinematico della particella in t = t 2 , secondo le leggidella meccanica, deve influire sul moto successivo. La H.2 quin<strong>di</strong> si puòinterpretare così: esiste un intervallo <strong>di</strong> tempo τ tale che <strong>il</strong> moto <strong>di</strong> ogniparticella successivo all’istante t 2 + τ è in<strong>di</strong>pendente dal moto precedentel’istante t 2 , nei limiti dell’approssimazione del modello. Inoltre τ è cosìpiccolo che, sempre nei limiti dell’approssimazione che accettiamo, si può


1.2. MOTO BROWNIANO: L’EQUAZIONE DELLA DIFFUSIONE 5supporre t 2 + τ = t 2 , ossia τ = 0 (“τ è molto piccolo rispetto all’intervallo<strong>di</strong> tempo osservato”, come osservò A.Einstein nel riferimento che quisoprattutto seguiamo, cioè Ann. d. Phys., 17 1905).I moti possib<strong>il</strong>i <strong>per</strong> ogni singola particella verranno descritti <strong>per</strong> via statistica,nell’impossib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> seguire singolarmente ogni moto. Si noti la <strong>di</strong>fficoltàche viene posta dalla non derivab<strong>il</strong>ità delle traiettorie. Dobbiamoquin<strong>di</strong> prescindere ad<strong>di</strong>rittura dai concetti <strong>di</strong> velocità e accelerazione.Introduciamo <strong>per</strong>tanto <strong>di</strong>rettamente lo spostamento z = (z 1 ,z 2 ,z 3 ) <strong>di</strong> unaparticella, e, in accordo con H.1 e H.2,H.3 Supponiamo che, <strong>per</strong> ogni istante t, ciascuna particella abbia probab<strong>il</strong>itàP(∆t,z) <strong>di</strong> subire uno spostamento z nell’intervallo (t,t+ ∆t).Si noti che P <strong>di</strong>pende solo da ∆t e da z. Si assume che <strong>il</strong> fenomenosia isotropico, cioè che <strong>per</strong> una opportuna funzione P 0 ,P(∆t,z) = P 0 (∆t,|z|), ∀z ∈ R 3 , ∀∆t > 0. (1.8)Inoltre, visto <strong>il</strong> significato probab<strong>il</strong>istico <strong>di</strong> P, dovrà essere∫R 3 P(∆t,z)dz = 1, ∀z ∈ R 3 , ∀∆t > 0. (1.9)1.2.2. L’equazione della <strong>di</strong>ffusione. È chiaro che all’istante t+∆t si troverannoin x le particelle che erano in punti x−z all’istante t, e che hannosubito uno spostamento z nell’intervallo <strong>di</strong> tempo (t,t+∆t). Perciò:∫f(x,t+ ∆t) = f(x−z,t)P(∆t,z)dz. (1.10)R 3Usiamo ora lo sv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> f, che assumeremo regolare quantobasta, <strong>per</strong> esempio <strong>di</strong> classe C 3 in (x,t). Valef(x−z,t) = f(x,t)−3∑i=1∂f∂x i(x,t)z i+ 1 23∑i,j=1Sostituendo (1.11) in (1.10), si ottiene∫f(x,t+ ∆t) = f(x,t)+ 1 23∑i,j=1∂ 2 f∂x i∂x j(x,t)∂ 2 f∂x i∂x j(x,t)z i z j +R 1 (x,z,t). (1.11)3∑i=1P(∆t,z)dz−R 3 ∫ ∫z i z j P(∆t,z)dz+R 3∫∂f(x,t)∂x iR 3 z i P(∆t,z)dzR 3 R 1 (x,z,t)P(∆t,z)dz. (1.12)Per (1.8) vale, cambiando la variab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> integrazione z in ζ = (ζ 1 , ζ 2 , ζ 3 ) =−z,∫ ∫∫z i P(∆t,z)dz = (−ζ i )P(∆t,−ζ)dζ = − ζ i P(∆t, ζ)dζ.R 3 R 3 R 3•


6 DANIELE ANDREUCCIDunque quest’integrale è nullo, <strong>per</strong> i = 1, 2, 3. Consideriamo poi gliintegrali che appaiono nella parte quadratica dello sv<strong>il</strong>uppo (1.12), in particolarequelli ove i ̸= j. Supponiamo <strong>per</strong> definitezza i = 1, j = 2. Vale,introducendo la variab<strong>il</strong>e ζ = (ζ 1 , ζ 2 , ζ 3 ) = (z 1 ,−z 2 ,z 3 ),∫ ∫∫z 1 z 2 P(∆t,z)dz = ζ 1 (−ζ 2 )P 0 (∆t,|ζ|)dζ = − ζ 1 ζ 2 P(∆t, ζ)dζ,R 3 R 3 R 3ovesièancorausato(1.8). Perciòanchequestiintegralisononulli <strong>per</strong>ogniscelta della coppia (i,j) con i, j = 1, 2, 3, con i ̸= j.Gli integrali dello stesso tipo, ma con i = j, risultano tutti uguali tra d<strong>il</strong>oro, ossia∫ ∫ ∫z 2 1 P(∆t,z)dz = z 2 2 P(∆t,z)dz = z 2 3P(∆t,z)dz =: a(∆t).R 3 R 3 R 3Si ha infatti <strong>per</strong> esempio, ponendo ζ = (ζ 1 , ζ 2 , ζ 3 ) = (z 2 ,z 1 ,z 3 ),∫ ∫ ∫z 2 1 P(∆t,z)dz = z 2 1 P 0(∆t,|z|)dz = ζ2 2 P 0(∆t,|ζ|)dz.R 3 R 3 R 3Infine si ottiene, usando anche (1.9) nel primo termine del membro <strong>di</strong>destra <strong>di</strong> (1.12),f(x,t+ ∆t) = f(x,t)+ 1 2 a(∆t) ∆ f(x,t)+E 1(x,t, ∆t), (1.13)ove E 1 (x,t, ∆t) coincide con l’ultimo integrale <strong>di</strong> (1.12).D’altra parte, ancora <strong>per</strong> la formula <strong>di</strong> Taylor,f(x,t+∆t) = f(x,t)+ ∆t ∂f∂t (x,t)+R 2(x,t, ∆t). (1.14)Confrontando quin<strong>di</strong> (1.13) e (1.14), si ottiene∂f a(∆t)(x,t) = ∆ f(x,t)+ 1 ∂t 2∆t∆t {E 1(x,t, ∆t)−R 2 (x,t, ∆t)}. (1.15)Vogliamo prendere <strong>il</strong> limite ∆t → 0. Dobbiamo stipulare l’ipotesiH.4 Esiste un D > 0 tale chea(∆t)lim = D.∆t→0 2∆tInoltre dobbiamo assumere che f e P siano abbastanza regolari da avereE 1 (x,t, ∆t) Rlim = 2 (x,t, ∆t)0, lim = 0. (1.16)∆t→0 ∆t∆t→0 ∆tSostituendo queste relazioni in (1.15), si arriva subito ache è la classica equazione della <strong>di</strong>ffusione.∂f(x,t) = D ∆ f(x,t), (1.17)∂t•


1.2.3. Cammino me<strong>di</strong>o. Si può verificare cheΓ(x,t) =1.3. IL PRINCIPIO DI DIRICHLET 714Dt , x ∈ R 3 , t > 0, (1.18)(4πDt) 3/2e−|x|2è una soluzione <strong>di</strong> (1.17). È in effetti una soluzione molto importante,detta anche soluzione fondamentale, <strong>per</strong> i motivi spiegati nella Sezione 11.3.Si potrebbe anche vedere chee anz<strong>il</strong>im Γ(x,t) = 0, <strong>per</strong> x ̸= 0, limt→0+∫Γ(0,t) = +∞,t→0+R 3 Γ(x,t)dx = 1, <strong>per</strong> ogni t > 0.In altri termini, se interpretiamo Γ come densità,in modoanalogo aquantofatto sopra <strong>per</strong> f, si vede che essa corrisponde all’evoluzione <strong>di</strong> unamassa unitaria concentrata all’istante iniziale t = 0 nell’origine x = 0.Tuttavia, è possib<strong>il</strong>e un’altra interpretazione <strong>di</strong> Γ: supponiamo <strong>di</strong> avereuna particella, che all’istante iniziale occupa la posizione x = 0, e poisegue un moto casuale come quello descritto sopra. La probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong>trovare la particella nella posizione x al tempo t si può approssimare, inlinea <strong>di</strong> principio, eseguendo un grande numero <strong>di</strong> es<strong>per</strong>imenti analoghi,liberando sempre la particella singola in x = 0, e poi calcolando la me<strong>di</strong>aaritmetica dei risultati s<strong>per</strong>imentali, secondo la tra<strong>di</strong>zionale definizionefrequentista <strong>di</strong> probab<strong>il</strong>ità. Si otterrebbe, al limite, esattamente la Γ(x,t).Questa interpretazione <strong>di</strong> Γ in termini probab<strong>il</strong>istici <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> calcolare<strong>il</strong> cosiddetto cammino me<strong>di</strong>o ¯l della particella, cioè la ra<strong>di</strong>ce quadrata delvalore atteso <strong>di</strong> |x| 2 (|x| è la <strong>di</strong>stanza <strong>per</strong>corsa dalla particella che si troviall’istante t nella posizione x). Si intende qui che <strong>il</strong> cammino me<strong>di</strong>o èriferito a un fissato intervallo <strong>di</strong> tempo (0,t). In conclusione si ottiene,me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> cambiamento <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i ζ = x/(2 √ Dt),∫ ∫¯l 2 = |x| 2 Γ(x,t)dx =R 3R 3|ζ| 2 4Dt(4πDt) 3/2e−|ζ|2 (4Dt) 3/2 dζ= 4Dtπ 3/2 ∫R 3 |ζ| 2 e −|ζ|2 dζ = 6Dt,ove l’ultima uguaglianza si ottiene passando a coor<strong>di</strong>nate sferiche in R 3 .Perciò <strong>il</strong> cammino me<strong>di</strong>o ¯l èproporzionalea √ t. Questorisultato in effettinon sorprende, data l’ipotesi H.4, ove, in termini euristici, si assume che,almeno <strong>per</strong> ∆t piccoli, gli spostamenti (probab<strong>il</strong>i) vanno come √ ∆t. •1.3. Il principio <strong>di</strong> DirichletConsideriamo una membrana, soggetta a tensione uniforme, sottopostaa piccoli spostamenti ortogonali dal piano R 2 . In<strong>di</strong>chiamo con u(x) lospostamento della membrana dal piano, e supponiamo che u ∈ C 2 (Ω).Supponiamo anche <strong>di</strong> fissare la posizione della membrana sulla frontiera∂Ω, in modo cheu(x) = u 0 (x), x ∈ ∂Ω. (1.19)


8 DANIELE ANDREUCCIL’energia potenziale della membrana è proporzionale alla sua area, che èdata da ∫ √ ∫ [1+|∇u| 2 dx ≃ 1+ 1 2 |∇u|2] dx.ΩSisache la posizione <strong>di</strong>equ<strong>il</strong>ibrio dellamembrana corrispondeaun minimodell’energia potenziale. Dunque la u corrispondente all’equ<strong>il</strong>ibrio dà<strong>il</strong> minimo del funzionaledefinito daJ : K → R,ΩK := {v ∈ C 2 (Ω) | v = u 0 su ∂Ω},∫J(v) = |∇v(x)| 2 dx.ΩDimostriamo che trovare <strong>il</strong> minimo del funzionale J equivale a trovare lasoluzione del problema <strong>di</strong> Dirichlet:L’equazione (1.20) si <strong>di</strong>ce equazione <strong>di</strong> Laplace.∆u = 0, in Ω, (1.20)Teorema 1.1. (Principio <strong>di</strong> Dirichlet)1) Sia u ∈ C 2 (Ω) la soluzione <strong>di</strong> (1.20)–(1.21). AlloraossiaΩΩu = u 0 , su ∂Ω. (1.21)J(u) = minv∈KJ(v), (1.22)∫ ∫|∇u(x)| 2 dx ≤ |∇v(x)| 2 dx, <strong>per</strong> tutte le v ∈ K. (1.23)2) Viceversa, se u ∈ K e sevale (1.22) (o, <strong>il</strong> che èlo stesso, (1.23)), allora u risolve<strong>il</strong> problema (1.20)–(1.21).Dimostrazione. 1) Sia v ∈ K. Allora vale∆(u−v) = − ∆v, in Ω.Moltiplicando <strong>per</strong> u−v e integrando<strong>per</strong> partisiottiene(visto che u−v =0 su ∂Ω)∫ ∫∫ ∫− |∇(u−v)| 2 dx = ∇v·∇(u−v)dx = − |∇v| 2 dx+ ∇u·∇vdx.ΩΩΩΩ(1.24)D’altronde, qualunque sia v ∈ K, sempre integrando <strong>per</strong> parti,∫ ∫ ∫∇u·∇vdx = − v ∆udx+ v ∂u ∫ ∫∂ν dσ = ∂uu 0∂ν dσ = |∇u| 2 dx.∂Ω(1.25)Unendo le (1.24) e (1.25) si ottiene∫ ∫ ∫ ∫|∇u| 2 dx = |∇v| 2 dx− |∇(u−v)| 2 dx ≤ |∇v| 2 dx. (1.26)ΩΩΩΩ∂ΩΩΩΩ


1.4. L’EQUAZIONE DELLA CORDA VIBRANTE 9Perciò valgono le (1.22) e (1.23). Se in quest’ultima vale l’uguaglianza(ossia se v ∈ K è un’altro punto <strong>di</strong> minimo <strong>per</strong> J), segue da (1.26) che∇(u−v) ≡ 0 in Ω. Poiché u = v su ∂Ω, allora u ≡ v in Ω.2) Supponiamo invece che esista <strong>il</strong> minimo <strong>di</strong> J in K; denotiamolo conu ∈ K. Allora <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 2 (Ω), ϕ = 0 su ∂Ω, vale cheu+tϕ ∈ K, <strong>per</strong> ogni t ∈ R,cosicché la funzione∫Φ(t) = J(u+tϕ) = |∇(u+tϕ)| 2 dx, t ∈ R,Ωha minimo, pari a J(u), in t = 0. Un calcolo esplicito mostra che∫ ∫ ∫Φ(t) = t 2 |∇ ϕ| 2 dx+2t ∇u·∇ϕdx+ |∇u| 2 dx,ΩΩΩe quin<strong>di</strong> Φ ∈ C 1 (R) e deve essere∫Φ ′ (0) = 2 ∇u·∇ ϕdx = 0. (1.27)Ripetiamo che la (1.27) deve valere <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 2 (Ω) con ϕ = 0 su ∂Ω.Dato che <strong>per</strong> ipotesi u ∈ C 2 (Ω), si può integrare <strong>per</strong> parti nella (1.27) eottenere∫0 = 2Ω∫∇u·∇ ϕdx = −2ΩΩϕ ∆udx, (1.28)<strong>per</strong> ogni ϕ come sopra. Questocome è noto implica che ∆u ≡ 0 in Ω, cioèche u risolve (1.20)–(1.21).□Osservazione 1.2. Sopra abbiamo assunto, in riferimento al significatomodellistico dello schema matematico, che Ω ⊂ R 2 ; tuttavia è chiaro che<strong>il</strong> Teorema 1.1 vale senza mo<strong>di</strong>fiche in qualsiasi <strong>di</strong>mensione N ≥ 2. □1.4. L’equazione della corda vibranteConsideriamo una corda che a riposo occupa <strong>il</strong> segmento0 ≤ x 1 ≤ L, x 2 = 0, x 3 = 0.Supponiamo che gli spostamenti u = u(x 1 ,t) dalla posizione <strong>di</strong> riposoavvengano solo nel piano x 3 = 0, siano ortogonaliall’asse x 1 , e così piccoliche si possa approssimare <strong>il</strong> versore tangente della corda come segue:(1,u x1 ,0)√1+u 2 x 1≃ (1,u x1 ,0), (1.29)ove appunto u = u(x 1 ,t) denota lo spostamento nel punto <strong>di</strong> ascissa x 1 altempo t.La tensione S è <strong>di</strong>retta lungo la tangente alla corda (cioè la corda è <strong>per</strong>fettamenteflessib<strong>il</strong>e), e sod<strong>di</strong>sfa la legge <strong>di</strong> Hooke. Quin<strong>di</strong> <strong>per</strong> la nostraipotesiche non ci siano spostament<strong>il</strong>ungo x 1 , si deve avere <strong>per</strong> ogni scelta


10 DANIELE ANDREUCCI<strong>di</strong> x1 ′ e x′′ 1 che le componenti lungo tale asse della tensione nei punti x′ 1 ex1 ′′ si cancellano, ossia S(x 1 ′) = S(x′′ 1 ),oveabbiamo usato(1.29). Infinela tensionenon può<strong>di</strong>penderedaltempo,<strong>per</strong> la legge <strong>di</strong> Hooke, e <strong>per</strong>ché, <strong>per</strong> la nostra ipotesi <strong>di</strong> approssimazione,la lunghezza del tratto <strong>di</strong> corda compresotra due ascisse arbitrarie x1 ′ e x′′ 1non varia:∫x 1′′√lunghezza = 1+u 2 x 1dx 1 ≃ x 1 ′′ −x 1 ′ .x ′ 1Perciò S = ¯S costante.Scriviamo poi la legge <strong>di</strong> moto <strong>per</strong> un tratto arbitrario <strong>di</strong> corda: l’unicacomponente significativa delle tre è quella lungo x 2 :∂ 2 ∫x 1′′∂t 2x ′ 1u(ξ,t)ρ(ξ)dξ = S(x ′′1 )u x 1(x ′′∫x 1′′1 )−S(x′ 1 )u x 1(x 1 ′)+ = ¯S[u x1 (x ′′1)−u x1 (x ′ 1)]+x ′ 1x ′′∫ 1x ′ 1F(ξ,t)dξF(ξ,t)dξ, (1.30)ove ρ è la densitàdella corda, e F quella delle forze applicate. Scambiandola derivata con l’integrale, e poi <strong>di</strong>videndo (1.30) <strong>per</strong> x1 ′′ −x′ 1 e prendendo<strong>il</strong> limite x1 ′′ → x′ 1 si ottiene ρu tt − ¯Su x1 x 1= F. (1.31)Se la densità è costante, si ottiene l’usuale equazione delle onde in <strong>di</strong>mensione1, o della corda vibranteu tt −c 2 u xx = F ρ , (1.32)ove si è denotata come d’uso l’ascissa con x. Si noti che√¯Sc =ρ > 0ha le <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> una velocità.1.5. Onde acusticheConsideriamo un gas, e denotiamo con v la sua velocità, con ρ la densità,con p la pressione, con F la densità <strong>di</strong> forze esterne.È noto che valgono l’equazione <strong>di</strong> Eulero∂v∂t +(v∇)v = F−ρ−1 ∇ p, (1.33)e l’equazione <strong>di</strong> continuità∂ρ∂t+<strong>di</strong>v(ρv) = 0, (1.34)


1.6. IL SIGNIFICATO LOCALE DEL LAPLACIANO 11cui aggiungiamo l’equazione <strong>di</strong> statop = P(ρ). (1.35)Trascuriamolepotenze<strong>di</strong>gradosu<strong>per</strong>iorealprimo<strong>di</strong>v,delsuogra<strong>di</strong>ente,e <strong>di</strong> ρ−ρ 0 , essendo ρ 0 <strong>il</strong> valore della densità all’equ<strong>il</strong>ibrio. Con questeipotesi, l’equazione (1.33) <strong>di</strong>viene∂v∂t = F−ρ−1 0∇ p = F−ρ0 −1 P′ (ρ 0 )∇ρ, (1.36)mentre la (1.34) dà∂ρ∂t + ρ 0<strong>di</strong>vv = 0. (1.37)Prendendo la <strong>di</strong>vergenza nella (1.36), derivando in t la (1.37), e poi sostituendo<strong>il</strong> termine comune <strong>di</strong>vv t si ottiene∂ 2 ρ∂t 2 = −ρ 0<strong>di</strong>vF+P ′ (ρ 0 ) ∆ ρ, (1.38)che <strong>di</strong> solito si scrive come∂ 2 u∂t 2 −c2 ∆u = f , (1.39)e prende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> equazione delle onde (in questo caso acustiche) in <strong>di</strong>mensione3. Nella (1.39) si è posto√c = P ′ (ρ 0 ) > 0.1.6. Il significato locale del laplacianoL’o<strong>per</strong>atore <strong>di</strong>fferenziale laplaciano è comparso più volte nelle equazioniviste sopra. Cerchiamo qui <strong>di</strong> comprenderne <strong>il</strong> significato dal punto <strong>di</strong>vista del comportamento locale della funzione.Teorema 1.3. (Identità <strong>di</strong> Green) Siano u, v ∈ C 2 (Ω). Vale∫∫ ((v ∆u−u ∆v)dx = v ∂u ∂v)−u dσ. (1.40)∂ν ∂νΩDimostrazione. Si ha∂Ωv ∆u−u ∆v = <strong>di</strong>v(v∇u)−<strong>di</strong>v(u∇v). (1.41)Integrando la (1.41) si ottiene subito la (1.40), in virtù del teorema della<strong>di</strong>vergenza.□Osservazione 1.4. È fac<strong>il</strong>e verificare con i calcoli <strong>di</strong>retti che le funzioni1Ψ N (x−x 0 ) =|x−x 0 | N−2 , x ̸= x 0,N ≥ 3, (1.42)Ψ 2 (x−x 0 ) = −ln|x−x 0 |, x ̸= x 0 ,N = 2, (1.43)sod<strong>di</strong>sfano∆ Ψ N = 0, x ̸= x 0 .Qui x 0 ∈ R N è un punto fissato.Queste funzioni vengono dette soluzioni fondamentali dell’equazione <strong>di</strong> Laplace.


12 DANIELE ANDREUCCIIn situazioni che non <strong>di</strong>ano luogo ad ambiguità talvolta in<strong>di</strong>cheremo conun abuso <strong>di</strong> notazioneΨ N (|x−x 0 |) = Ψ N (x−x 0 ).Teorema 1.5. (Identità <strong>di</strong> Stokes) Sia u ∈ C 2 (Ω). Per ogni x ∈ Ω valeu(x) = 1γ N∫Qui si è posto∂Ω(Ψ N (x−y) ∂u∂ν (y)−u(y) ∂Ψ N∂ν (x−y) )dσ y− 1γ N∫Ω□Ψ N (x−y) ∆u(y)dy. (1.44)γ N = (N−2)σ N , N ≥ 3; γ 2 = 2π, N = 2.Dimostrazione. Applichiamo l’identità <strong>di</strong> Green alle due funzioni u eΨ N , nell’a<strong>per</strong>toΩ\B ε (x)∂ΩΩ\B ε (x),ove ε > 0 è scelto abbastanza piccolo da rendere B ε (x) ⊂ Ω. Si ottiene,osservando che ∆ Ψ N = 0 nell’a<strong>per</strong>to considerato,∫ ∫ (∂uΨ N ∆udy = Ψ N∂ν −u ∂Ψ ) ∫ (N∂udσ y + Ψ N∂ν∂ν −u ∂Ψ )Ndσ y .∂ν∂B ε (x)(1.45)Calcoliamo <strong>il</strong> limite dell’ultimo integrale sopra<strong>per</strong> ε → 0. Si notianzituttoche∣ ∣∣∫∂B ε (x)∂uΨ N ∂ν∣≤ σ N ε N−1 Ψ N (ε)max|∇u| → 0, ε → 0, (1.46)Ω<strong>per</strong> ogni N ≥ 2. Poi osserviamo che su ∂B ε (x) si ha∂∂ν = − ∂ ∂r , r = |x−y|.Quin<strong>di</strong> si ha, se N ≥ 3,∫u ∂Ψ ∫N∂νdσ y = −(2− N)ε 1−N∂B ε (x)∂B ε (x)u(y)dσ y . (1.47)A parte un fattorecostantequestaèla me<strong>di</strong>aintegrale <strong>di</strong> u sulla su<strong>per</strong>ficie∂B ε (x), che tende come è noto a u(x) <strong>per</strong> ε → 0, <strong>per</strong> la continuità <strong>di</strong> u.Si noti infine che <strong>il</strong> primo membro della (1.45) converge <strong>per</strong> ε → 0 a∫Ψ N ∆udy,Ωdato che l’integrando, <strong>per</strong> quanto <strong>il</strong>limitato, è comunque integrab<strong>il</strong>e in Ω(ve<strong>di</strong> Capitolo A, in particolare l’Esempio A.12).


1.6. IL SIGNIFICATO LOCALE DEL LAPLACIANO 13Quin<strong>di</strong>, <strong>per</strong> ε → 0 si ha da (1.45)∫ ∫ (∂uΨ N ∆udy = Ψ N∂ν −u ∂Ψ )Ndσ y −(N−2)σ N u(x), (1.48)∂νΩ∂Ωcioè la (1.44) nel caso N ≥ 3.Il caso N = 2 richiede solo qualche mo<strong>di</strong>fica formale in (1.47).Teorema 1.6. Sia u ∈ C 2 (Ω). Per ogni x ∈ Ω e <strong>per</strong> ogni B R (x) ⊂ Ω vale∫1u(x) =σ N R N−1 u(y)dσ y − 1 ∫(Ψ N (x−y)−Ψ N (R)) ∆u(y)dy.γ N∂B R (x)B R (x)Dimostrazione. Scegliamo Ω = B R (x) in (1.44). Si ottieneu(x) = 1γ NΨ N (R)∫∂B R (x)∂u∂ν (y)dσ y − 1 ∫∂Ψ Nγ N ∂r (R)− 1γ N∫B R (x)∂B R (x)u(y)dσ y□(1.49)Ψ N (x−y) ∆u(y)dy. (1.50)Applicando <strong>il</strong> teorema della <strong>di</strong>vergenza al primo integrale <strong>di</strong> su<strong>per</strong>ficienella (1.50), si ottiene la (1.49).□Si noti che nell’ultimo integrale nella (1.49) valeΨ N (x−y)−Ψ N (R) ≥ 0,e quin<strong>di</strong> tale integrale ha <strong>il</strong> segno opposto a quello del laplaciano <strong>di</strong> u, sequesto ha un segno costante. Più in particolare si haCorollario 1.7. (Formula della me<strong>di</strong>a) Se u ∈ C 2 (Ω) sod<strong>di</strong>sfa ∆u = 0 inΩ, allora vale∫1u(x) =σ N R N−1 u(y)dσ y , (1.51)∂B R (x)<strong>per</strong> ogni x ∈ Ω e <strong>per</strong> ogni B R (x) ⊂ Ω.Se invece ∆u ≤ 0 [∆u ≥ 0] in Ω, allora <strong>il</strong> segno <strong>di</strong> uguaglianza nella (1.51)deve essere sostituito con ≥ [≤].Osservazione 1.8. Il Corollario 1.7 stab<strong>il</strong>isce che − ∆u ha <strong>il</strong> significato <strong>di</strong>‘eccesso’ <strong>di</strong> u(x) rispetto alla sua me<strong>di</strong>a integrale. Dunque sia l’equazionedel calore (1.6), che quella delle onde (1.39), pre<strong>di</strong>cono che lo scostamento<strong>di</strong> u dalla sua me<strong>di</strong>a si traduce in un termine ‘cinetico’ (<strong>di</strong> primo o secondoor<strong>di</strong>ne in t rispettivamente) che guida l’evoluzione della soluzione neltempo.Nel caso stazionario (1.20), tale scostamento è nullo (o potrebbe risultareassegnato in presenza, ad esempio, <strong>di</strong> carichi <strong>di</strong>stribuiti sulla membrana).□


14 DANIELE ANDREUCCIEsercizio 1.9. Sia u ∈ C 2 (Ω); si <strong>di</strong>mostri che <strong>per</strong> ogni x ∈ Ω vale1[ ∫1]limR→0 R 2 u(x)−σ N R N−1 u(y)dσ y = − ∆u(x)2N . (1.52)Soluzione∂B R (x)Definizione 1.10. Una funzione u ∈ C 2 (Ω) che sod<strong>di</strong>sfi ∆u = 0 [rispettivamente∆u ≤ 0; ∆u ≥ 0] in Ω, si <strong>di</strong>ce armonica [rispettivamentesu<strong>per</strong>armonica; subarmonica] in Ω.□La terminologia della Definizione 1.10, in apparenza in contrasto con l’intuizione,trova spiegazione nel Corollario 1.7.Osservazione 1.11. Il laplaciano è l’unico o<strong>per</strong>atore lineare del second’or<strong>di</strong>nea coefficienti costanti che risulta invariante <strong>per</strong> rotazioni (ve<strong>di</strong> Esercizio1.12). D’altra parte in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> isotropia l’equazione che regola<strong>il</strong> fenomeno deve risultare appunto invariante <strong>per</strong> rotazioni. Questochiarisce la presenza del laplaciano nelle e.d.p. fondamentali introdottesopra.□Esercizio 1.12. Mostrare che i multipli scalari del laplaciano sono gli unicio<strong>per</strong>atori <strong>di</strong>fferenziali lineari a coefficienti costanti del secondo or<strong>di</strong>ne cherimangono invarianti <strong>per</strong> rotazioni.In termini più espliciti, poniamoLu =con b ij = b ji ∈ R, e poniamo ancheN∑ b ij u xi x j,i,j=1v(x) = u(Ax),con A matrice reale unitaria N×N, cioè tale che A −1 = A t .Allora si deve <strong>di</strong>mostrare cheLu(x) = Lv(x), <strong>per</strong> ogni A come sopra, (1.53)se e solo se b ij = bδ ij <strong>per</strong> un b ∈ R. Qui δ ij = 1 se i = j e δ ij = 0 se i ̸= j.Soluzione□Conclu<strong>di</strong>amo la Sezione <strong>di</strong>mostrando che nel Corollario 1.7 le me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>su<strong>per</strong>ficie possono essere sostituite da me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> volume.Lemma 1.13. Una u ∈ C(Ω) sod<strong>di</strong>sfa la (1.51) se e solo se <strong>per</strong> ogni x ∈ Ω eogni sfera chiusa B ρ (x) ⊂ Ω valeu(x) = 1 ∫ω N ρ N u(y)dy. (1.54)B ρ (x)Dimostrazione. A) Supponiamo che u ∈ C(Ω) sod<strong>di</strong>sfi la (1.51). Fissiamox ∈ Ω. Assumendo, come è sempre possib<strong>il</strong>e, x = 0, e passando acoor<strong>di</strong>nate polari in R N , si ha∫B ρ (0)u(y)dy =∫ ρ0∫∂B r (0)udσdr =∫ ρ0σ N r N−1 u(0)dr = ω N ρ N u(0).□


1.6. IL SIGNIFICATO LOCALE DEL LAPLACIANO 15Quin<strong>di</strong> (1.54) è <strong>di</strong>mostrata.B) Se viceversa si assume la (1.54), la (1.51) siricava derivando in ρ l’uguaglianza∫ ∫ ρ ∫ω N ρ N u(0) = u(y)dy = u(y)dσdr.B ρ (0)0∂B r (0)Osservazione 1.14. Un analogo del Lemma 1.13 vale anche se <strong>il</strong> segno <strong>di</strong>uguaglianza nella (1.51) è sostituito da una <strong>di</strong>suguaglianza. La parte A)della <strong>di</strong>mostrazione vale senza mo<strong>di</strong>fiche sostanziali anche <strong>per</strong> funzionisu<strong>per</strong>armonicheesubarmoniche, mentrela parte B) richiede un approccio<strong>di</strong>verso (<strong>per</strong>ché le <strong>di</strong>suguaglianze si possono integrare, ma non derivare).□□


CAPITOLO 2Problemi al contornoSpieghiamo <strong>il</strong> significato generale dei problemi al contorno, chesono posti in un dominio spaziale, o spazio temporale nel casodelle equazioni <strong>di</strong> evoluzione, noto a priori.Sulla frontiera del dominio (o su parti <strong>di</strong> essa) vanno prescrittidati opportuni. Nelle applicazioni e nella teoria appaiono inmodo naturale problemi corrispondenti a dati poco regolari, adesempio <strong>di</strong>scontinui sulla frontiera.2.1. Significato dei problemi al contornoUna classe importante <strong>di</strong> problemi <strong>per</strong> e.d.p. del secondo or<strong>di</strong>ne è costituitadai problemi ai valori al contorno. Questi problemi sono detti ancheai valori iniziali e al contorno quando siano posti <strong>per</strong> equazioni <strong>di</strong> evoluzione(come l’equazione del calore o quella delle onde). Infatti in questocaso è necessario prescrivere anche dei dati al tempo iniziale.Neiproblemial contornosi assegnaapriori <strong>il</strong> dominio sucui dovràesseredefinita la soluzione, e questa richiesta è in genere essenziale nel risolvere<strong>il</strong> problema. Si consideri <strong>per</strong> esempio <strong>il</strong> problema∆u = 0, in Ω ⊂ R 2 , (2.1)u(x,y) = 0, x 2 +y 2 = 1. (2.2)Se si chiede solo che Ω sia un a<strong>per</strong>to che contiene la curva che porta <strong>il</strong>dato, cioè la circonferenza <strong>di</strong> centro l’origine e raggio 1, questo problemaha (almeno) l’infinità <strong>di</strong> soluzioniu(x,y) = αln ( x 2 +y 2) , in Ω = R 2 \{(0,0)}, (2.3)al variare del parametro α ∈ R.Prendendo <strong>il</strong> punto <strong>di</strong> vista dei problemi al contorno, cerchiamo invecele soluzioni definite in tutto <strong>il</strong> dominio <strong>di</strong> cui la curva che porta <strong>il</strong> dato èfrontiera, ossia <strong>il</strong> cerchio{(x,y) | x 2 +y 2 < 1}.Si <strong>di</strong>mostra allora che esiste una unica soluzione del problema, che quin<strong>di</strong>come è ovvio è quella identicamente nulla.Quin<strong>di</strong> nei problemi al contorno è sufficiente prescrivere un solo dato alcontorno; quando questo è prescritto come <strong>il</strong> valore dell’incognita u siparla <strong>di</strong> problema <strong>di</strong> Dirichlet, mentre se è prescritto <strong>il</strong> valore della derivatanormale <strong>di</strong> u sulla frontiera <strong>di</strong> Ω si parla <strong>di</strong> problema <strong>di</strong> Neumann.Si tenga presente che una seconda informazione sulla soluzione è comunqueassegnata, come restrizione sul suo dominio <strong>di</strong> definizione.17


18 DANIELE ANDREUCCINel caso dei problemi posti <strong>per</strong> le equazioni <strong>di</strong> evoluzione, <strong>di</strong>ciamo in unintervallo temporale (0,T), è chiaro che <strong>il</strong> valore della soluzione (e dellesue derivate) al tempo finale T risulta determinato dai dati prescritti <strong>per</strong> itempi precedenti t < T. Quin<strong>di</strong> non appare necessario, dal punto <strong>di</strong> vistadell’intuizione modellistica, prescrivere dati sulla parte della frontiera deldominio che giace su t = T; anzi appare impossib<strong>il</strong>e. Questa considerazioneintuitiva è infatti confermata dall’analisi matematica deiproblemi inquestione.È infine possib<strong>il</strong>e prescrivere <strong>il</strong> valore dell’incognita su una parte dellafrontiera del dominio, e invece <strong>il</strong> valore della derivata normale sulla parterimanente. Si hanno in questo caso problemi con con<strong>di</strong>zioni miste.Osservazione 2.1. (Significato modellistico delle con<strong>di</strong>zioni al contorno)Le con<strong>di</strong>zioni del tipo <strong>di</strong> Dirichlet sono <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata interpretazione,conseguenteal significato dell’incognita u. Peresempioin problemi<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del calore, ove in genere u rappresenta una tem<strong>per</strong>atura, lacon<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Dirichlet si assegna quando la frontiera del dominio vienemantenuta a una tem<strong>per</strong>atura nota.Le con<strong>di</strong>zioni del tipo <strong>di</strong> Neumann possono avere <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni<strong>di</strong> flusso: sempre nel caso dell’equazione del calore, è infatti notoche <strong>il</strong> flusso <strong>di</strong> calore nel corpo è dato da−D∇u,almeno secondo la legge <strong>di</strong> Fourier. Oppure, nel caso dell’equazione delleonde, questecon<strong>di</strong>zioni sono legate a vincoli <strong>di</strong> tipo meccanico (corda conestremo libero).□Osservazione 2.2. (Interpretazione matematica delle con<strong>di</strong>zioni alcontorno) Nel seguito scriveremo formalmente con<strong>di</strong>zioni del tipo (2.5),o (2.13), o ancora (2.16). Se le funzioni coinvolte in queste uguaglianzesono tutte continue (fino sul contorno compreso), <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> talicon<strong>di</strong>zioni è chiaro; tuttavia la teoria matematica <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> considerareanche casi in cui i dati non siano continui. Si noti che in effetti le applicazioniconducono a trattare anche problemi con dati irregolari; <strong>per</strong>esempio spesso le ‘con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>ità’ non sono sod<strong>di</strong>sfatte (ve<strong>di</strong>Sezione 2.7).□2.2. Problemi al contorno <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace2.2.1. Problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace. Il problema <strong>di</strong>Dirichlet in un a<strong>per</strong>to limitato Ω ⊂ R N con frontiera regolare è:PD L : Assegnata u 0 : ∂Ω → R, determinare u ∈ C 2 (Ω) tale che∆u = 0, in Ω, (2.4)u = u 0 , su ∂Ω. (2.5)Questo problema ha un’unica soluzione sotto ipotesi ragionevoli sul datoal contorno (ve<strong>di</strong> Teorema 6.12, e Teorema 4.5).•


2.3. PROBLEMI PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 192.2.2. Problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace. Il problema <strong>di</strong>Neumannin un a<strong>per</strong>tolimitato e connesso Ω ⊂ R N , con frontieraregolareè:PN L : Assegnata f : ∂Ω → R, determinare u ∈ C 2 (Ω) tale che∆u = 0, in Ω, (2.6)∂u∂ν= f , su ∂Ω. (2.7)Osservazione2.3. Unacon<strong>di</strong>zionenecessaria <strong>per</strong>larisolub<strong>il</strong>itàdelproblema<strong>di</strong> Neumann è:∫f dσ = 0. (2.8)∂ΩInfatti <strong>per</strong> <strong>il</strong> teorema della <strong>di</strong>vergenza, ammesso che una soluzione uesista,∫ ∫ ∫∂uf dσ =∂ν dσ = ∆udx = 0.∂Ω∂ΩOsservazione2.4. Èchiarocheseurisolve<strong>il</strong>problema<strong>di</strong>Neumann,ancheu+costante lo risolve. Non può quin<strong>di</strong> esservi unicità <strong>di</strong> soluzioni <strong>per</strong>PN L , almeno nelsensopienodeltermine. Si<strong>di</strong>mostratuttaviachetuttelesoluzionisitrovano<strong>per</strong>ad<strong>di</strong>zione<strong>di</strong>unacostante(ve<strong>di</strong>Teorema6.12). □Ω□•2.3. Problemi al valore iniziale e al contorno <strong>per</strong> l’equazione del calore2.3.1. Problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione del calore. Usiamo la notazioneQ T = Ω×(0,T) = {(x,t) | x ∈ Ω, 0 < t < T},∂ p Q T = (∂Q T )\{(x,T) | x ∈ Ω},Q ∗ T = Q T \ ∂ p Q T = Ω×(0,T].Q ∗ T si <strong>di</strong>ce anche interno parabolico <strong>di</strong> Q T (si noti che Q ∗ T ̸⊂ Q T), e ∂ p Q T si<strong>di</strong>ce frontiera parabolica <strong>di</strong> Q T .Il problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione del calore nel c<strong>il</strong>indro Q T è:PD C : Assegnata u 0 : ∂ p Q T → R, determinare u ∈ C 2,1 (Q ∗ T) tale cheu t −D ∆u = 0, in Q T , (2.9)u(x,t) = u 0 (x,t), su ∂ p Q T . (2.10)Questo problema ha un’unica soluzione sotto ipotesi ragionevoli sui datial contorno e iniziale (ve<strong>di</strong> Teorema 6.6, e Teorema 4.12). •


20 DANIELE ANDREUCCI2.3.2. Problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione del calore. Il problema <strong>di</strong>Neumann <strong>per</strong> l’equazione del calore nel c<strong>il</strong>indro Q T = Ω×(0,T), èPN C : Assegnate u 0 : Ω → R, f : ∂Ω ×(0,T) → R determinare u ∈C 2,1 (Q ∗ T ), tale che u t −D ∆u = 0, in Q T , (2.11)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω, (2.12)D∇u(x,t)·ν = f(x,t), su ∂Ω×(0,T). (2.13)Osservazione 2.5. Il problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione del calore hauna soluzione unica, a <strong>di</strong>fferenza del problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione<strong>di</strong> Laplace (ve<strong>di</strong> Teorema 6.6). Questo è dovuto all’imposizione deldato iniziale, che proibisce la ‘traslazione’ <strong>per</strong> costanti ad<strong>di</strong>tive arbitrarie,possib<strong>il</strong>e invece nel caso dell’equazione <strong>di</strong> Laplace. □2.4. Problemi ai valori iniziali e al contorno <strong>per</strong> l’equazione delle ondeNel caso dell’equazione delle onde, che contiene la derivata temporaledel secondo or<strong>di</strong>ne dell’incognita, vanno prescrittidue dati iniziali, ossia ivalori dell’incognita, e della sua derivata temporale prima.2.4.1. Problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione delle onde. Il problema <strong>di</strong>Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione delle onde, posto nel c<strong>il</strong>indro Q T = Ω×(0,T) è:PD O : Assegnate u 0 , u 1 : Ω → R, f : ∂Ω × (0,T) → R determinareu ∈ C 2 (Q T ), tale cheu tt −c 2 ∆u = 0, in Q T , (2.14)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω, (2.15)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ Ω, (2.16)u(x,t) = f(x,t), su ∂Ω×(0,T), (2.17)Questo problema ha un’unica soluzione sotto ipotesi ragionevoli sui datial contorno e iniziali (ve<strong>di</strong> Teorema 6.4).•2.4.2. Problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione delle onde. Il problema <strong>di</strong>Neumann <strong>per</strong> l’equazione delle onde, posto nel c<strong>il</strong>indro Q T = Ω×(0,T)è:PN O : Assegnate u 0 , u 1 : Ω → R, f : ∂Ω × (0,T) → R determinareu ∈ C 2 (Q T ), tale cheu tt −c 2 ∆u = 0, in Q T , (2.18)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω, (2.19)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ Ω, (2.20)∂u(x,t) = f(x,t), su ∂Ω×(0,T). (2.21)∂ν•


2.6. DIPENDENZA CONTINUA DAI DATI. 21Vale <strong>per</strong> <strong>il</strong> problema PN O un’osservazione sim<strong>il</strong>e all’Osservazione 2.5. Inparticolare, questo problema ha un’unica soluzione sotto ipotesi ragionevolisui dati al contorno e iniziali (ve<strong>di</strong> Teorema 6.4). •2.5. Il problema <strong>di</strong> Cauchy in tutto lo spazioUn caso particolare <strong>di</strong>problemapostoin un dominio <strong>il</strong>limitato sihaquando<strong>il</strong> dominio è tutto lo spazio. Soprattutto quando l’equazione è <strong>di</strong> tipoevolutivo (delle onde o del calore) <strong>il</strong> problema si <strong>di</strong>ce allora problema <strong>di</strong>Cauchy.2.5.1. Problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione del calore.PC C : Assegnata u 0 : R N → R determinare u ∈ C 2,1 (R N ×(0,T]) tale cheu t −D ∆u = 0, in R N ×(0,T), (2.22)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R N . (2.23)Per assicurare l’unicità della soluzione, occorre imporre qualche restrizionesul comportamento <strong>per</strong> |x| → ∞ della medesima, <strong>per</strong> esempio che simantenga limitata.•2.5.2. Problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione delle onde.PC O : Assegnate u 0 , u 1 : R N → R determinare u ∈ C 2 (R N ×(0,T)), talecheu tt −c 2 ∆u = 0, in R N ×(0,T), (2.24)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R N , (2.25)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ R N . (2.26)In questo caso non occorrono particolari restrizioni <strong>per</strong> ottenere unicità <strong>di</strong>soluzioni.•2.6. Dipendenza continua dai dati.Un problema <strong>per</strong> e.d.p. che debba essere ut<strong>il</strong>izzato come modello matematiconelle applicazioni dovrebbe essere ben posto nel senso <strong>di</strong> Hadamard.Questo significa che le soluzioni del problema devono esistere (quandoi dati sono scelti in modo ragionevole), e che esse devono <strong>di</strong>pendere concontinuità dai dati stessi. La <strong>di</strong>pendenza continua dai dati in sostanzaequivale alla richiesta che le soluzioni corrispondenti a dati sim<strong>il</strong>i sianoa loro volta sim<strong>il</strong>i tra <strong>di</strong> loro. Un modo più formale <strong>di</strong> esprimere questoconcetto, se <strong>di</strong>st sol in<strong>di</strong>ca una opportuna ‘<strong>di</strong>stanza’ tra soluzioni, e <strong>di</strong>st datiuna ‘<strong>di</strong>stanza’ tra dati, è:<strong>di</strong>st sol (u,ū) ≤ C<strong>di</strong>st dati (d, d), ¯ (2.27)ove u [ū]èla soluzionecorrispondentealdato d [ d], ¯ e C > 0èunacostantein<strong>di</strong>pendente dai dati. Si noti che la (2.27), e in genere la <strong>di</strong>pendenzacontinua, implicano l’unicità della soluzione (assegnato <strong>il</strong> dato).La buona posizione <strong>di</strong> un modello matematico garantisce, tra l’altro, chegli inevitab<strong>il</strong>i errori <strong>di</strong> misura che si compiono nel determinare i dati siriflettano in modo controllab<strong>il</strong>e sulla soluzione.


22 DANIELE ANDREUCCIRisultati <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza continua sono ad esempio: i Teoremi 6.1, 6.5, 6.7,10.18, 4.7, 4.14, 4.22.2.7. Con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>itàLa regolarità possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong> le soluzioni <strong>di</strong> problemi ai valori iniziali e alcontorno <strong>di</strong>pende come è ovvio da quella dei dati del problema.Inoltre, nel caso <strong>di</strong> problemi posti in un dominio spaziale <strong>di</strong>verso da tuttolo spazio, possono nascere problemi <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>ità tra i dati, in generesulla frontiera del dominio all’istante iniziale, a prescindere dalla regolarità<strong>di</strong> ciascuno dei dati iniziali e al contorno. Consideriamo <strong>per</strong> esempio<strong>il</strong> problemau tt −c 2 u xx = 0, a < x < b,t > 0, (2.28)u(x,0) = u 0 (x), a < x < b, (2.29)u t (x,0) = u 1 (x), a < x < b, (2.30)u(a,t) = α(t), t > 0, (2.31)u(b,t) = β(t), t > 0. (2.32)Supponiamo <strong>di</strong> cercare soluzioni <strong>di</strong> classe C 2( [a,b] × [0, ∞) ) . Intanto èsubito ovvio che dovrà essereu 0 ∈ C 2( [a,b] ) , u 1 ∈ C 1( [a,b] ) , α, β ∈ C 2( [0, ∞) ) . (2.33)C 0 : Inoltre, se la soluzione è continua nella chiusura del suo dominio <strong>di</strong>definizione, deve essereu 0 (a) = α(0), u 0 (b) = β(0). (2.34)C 1 : Imponiamoorala regolarità C 1 : su x = a, x = b e t = 0siègiàassuntanella (2.33) la corrispondente regolarità dei dati. Come si è visto <strong>per</strong> la(2.34), i dati si ‘sovrappongono’ nei due estremi dell’intervallo iniziale.Quin<strong>di</strong> si deve richiedereu 1 (a) = α ′ (0), u 1 (b) = β ′ (0). (2.35)La u x (a,0) (<strong>per</strong> esempio) si può in effetti determinare come u0 ′ (a), manon è possib<strong>il</strong>e ottenerla in altro modo in termini dei dati, e quin<strong>di</strong> nonnascono qui altre questioni <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>ità tra i dati (le cose stanno inmodo <strong>di</strong>verso se si considera <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Neumann).C 2 : Infine, occupiamoci delle con<strong>di</strong>zioni che nascono dalla richiesta dellaregolarità C 2 . Pren<strong>di</strong>amo <strong>per</strong> cominciare un punto (x,0) ∈ (a,b) ×{0}.Qui deve valereu tt (x,0) = c 2 u xx (x,0) = c 2 u 0(x), ′′ (2.36)ossia la u tt è determinata in modo <strong>di</strong>retto dal dato iniziale. Si noti chequesta determinazione è in<strong>di</strong>pendente dagli altri dati e quin<strong>di</strong> non possononascerne questioni <strong>di</strong> compatib<strong>il</strong>ità tra i dati. Si prenda invece <strong>il</strong> punto(a,0). Qui, proprio <strong>per</strong> la (2.36), deve essereu tt (a,0) = c 2 u xx (a,0) = c 2 u ′′0(a).


2.8. COMMENTI E GENERALIZZAZIONI 23Però la u tt (a,0) si può ricavare anche dalla (2.31), come α ′′ (0). Siamoquin<strong>di</strong> condotti a imporre chec 2 u 0(a) ′′ = α ′′ (0), c 2 u 0(b) ′′ = β ′′ (0). (2.37)Segueinfine dai risultati delCapitolo 10 e delCapitolo 12 che sottoquesteipotesi la soluzione <strong>di</strong> (2.28)–(2.32) ha la regolarità voluta.2.8. Commenti e generalizzazioniOsservazione 2.6. Soprasièsempreassuntoche la e.d.p.fosseomogenea,ossiacon secondomembronullo; èfac<strong>il</strong>e estendereledefinizionial casoincui siano presenti termini noti non nulli, detti anche funzioni sorgente. □Esercizio 2.7. Trovare la con<strong>di</strong>zione necessaria <strong>per</strong> la risolub<strong>il</strong>ità del problema<strong>di</strong> NeumannRisposta∆u = g, in Ω,∂u∂ν = f ,su ∂Ω.□


Parte 2Il principio <strong>di</strong> massimo


CAPITOLO 3Alcune soluzioni espliciteIntroduciamo alcune soluzioni esplicite alle e.d.p. già incontrate.Le soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i, e le loro combinazioni,giocheranno un ruolo importante nella teoria (metodo <strong>di</strong>Fourier).Altre soluzioni <strong>il</strong>lustrano in modo esplicito certe proprietà delleequazioni. Quando sia <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>e un principio <strong>di</strong> massimo,soluzioni esplicite possono essere usate come termini <strong>di</strong>confronto.3.1. Soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i nel caso uni<strong>di</strong>mensionale3.1.1. Equazionedelleonde. Risolviamo l’equazionedelleonde<strong>per</strong>separazionedelle variab<strong>il</strong>i, ossia cerchiamone soluzioni della forma X(x)T(t).Si arriva subito aX(x)T ′′ (t)−c 2 X ′′ (x)T(t) = 0,da cui, supponendo XT ̸= 0, si passa, come visto sopra, aX ′′ (x)X(x) = T′′ (t)c 2 T(t)= −λ ∈ R.Con calcoli elementari si ottengono le soluzioni:λ < 0:λ = 0:λ > 0:X(x) = c 1 e√−λx+c 2 e −√ −λx ,T(t) = k 1 e√−λct+k 2 e −√ −λct .X(x) = c 1 x+c 2 ,T(t) = k 1 t+k 2 .X(x) = c 1 cos( √ λx)+c 2 sin( √ λx),T(t) = k 1 cos( √ λct)+k 2 sin( √ λct).Si può verificare <strong>per</strong> sostituzione <strong>di</strong>retta che queste funzioni sono soluzionivalide in tutto <strong>il</strong> piano, dette soluzioni elementari. •27


28 DANIELE ANDREUCCI3.1.2. Equazione del calore. Per l’equazione del calore, se si cercano soluzioninella forma X(x)T(t), esse devono sod<strong>di</strong>sfareda cui subito, supponendo XT ̸= 0,X(x)T ′ (t)−DX ′′ (x)T(t) = 0,X ′′ (x)X(x) = T′ (t)= −λ ∈ R,DT(t)proprio come sopra. Si ottengono le soluzioni:λ < 0:λ = 0:λ > 0:X(x) = c 1 e√ −λx+c 2 e −√ −λx ,T(t) = k 1 e −λDt .X(x) = c 1 x+c 2 ,T(t) = k 1 .X(x) = c 1 cos( √ λx)+c 2 sin( √ λx),T(t) = k 1 e −λDt .Siverificachequestesoluzionielementari risolvonolae.d.p.intutto<strong>il</strong>piano.Soluzioni non identicamente nulle, che si annullano agli estremi <strong>di</strong> unintervallo limitato, si hanno solo <strong>per</strong> λ > 0. Soluzioni che sod<strong>di</strong>sfinocon<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Neumann nulle agli estremi <strong>di</strong> un intervallo limitato, manon siano identicamente nulle, si hanno solo <strong>per</strong> λ ≥ 0. •3.1.3. Equazione <strong>di</strong> Laplace. Per l’equazione <strong>di</strong> Laplace le soluzioni nellaforma X(x)Y(y) devono sod<strong>di</strong>sfareda cui se XY ̸= 0,Segue:λ < 0:λ = 0:λ > 0:X ′′ (x)Y(y)+X(x)Y ′′ (y) = 0,X ′′ (x)X(x) = (y)−Y′′Y(y)X(x) = c 1 e√−λx+c 2 e −√ −λx ,= −λ ∈ R.Y(y) = k 1 cos( √ −λy)+k 2 sin( √ −λy).X(x) = c 1 x+c 2 ,Y(y) = k 1 y+k 2 .X(x) = c 1 cos( √ λx)+c 2 sin( √ λx),Y(y) = k 1 e√λy+k 2 e −√ λy .


3.2. PASSAGGIO A COORDINATE POLARI 29Queste soluzioni risolvono l’equazione in tutto <strong>il</strong> piano; ora la scelta dellesoluzioni che sod<strong>di</strong>sfano certe con<strong>di</strong>zioni al bordo <strong>di</strong>pende dalla formadel bordo medesimo (x =costante, o y =costante). •3.2. Passaggio a coor<strong>di</strong>nate polariIl passaggio a coor<strong>di</strong>nate polari ha senso nel piano delle coor<strong>di</strong>nate spaziali(x,y); noi ci limitiamo a considerarlo <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace, <strong>per</strong>semplicità.Sia dunquev(r, ϕ) = u(rcos ϕ,rsin ϕ) (3.1)la rappresentazione in coor<strong>di</strong>nate polari <strong>di</strong> una funzione u ∈ C 2 (R 2 ).Come è noto <strong>il</strong> passaggio a coor<strong>di</strong>nate polari introduce certe <strong>di</strong>fficoltà,<strong>per</strong> esempio in r = 0 si <strong>per</strong>de la biunivocità della trasformazione. Perchiarezza, osserviamo in dettaglio chev ∈ C 2( (0, ∞)×[−π, π] ) ,e che le derivate prime e seconde <strong>di</strong> v si mantengono limitate anche <strong>per</strong>r → 0. Infatti( ) ( )cos ϕ −rsin ϕv r = ∇u· , vsin ϕ ϕ = ∇u· ,rcos ϕ( ) t ( ) ( ) t ( )cos ϕv rr = Dsin ϕ2 cos ϕ −rsin ϕu , vsin ϕ ϕϕ = Drcos ϕ2 −rsin ϕu .rcos ϕInoltre, dalla (3.1),v(0, ϕ) = u(0,0), − π ≤ ϕ ≤ π, (3.2)v(r,−π) = v(r, π), r ≥ 0, (3.3)v ϕ (r,−π) = v ϕ (r, π), r ≥ 0, (3.4)v ϕϕ (r,−π) = v ϕϕ (r, π), r ≥ 0. (3.5)Tuttavia <strong>il</strong> gra<strong>di</strong>ente e <strong>il</strong> laplaciano, espressi nelle coor<strong>di</strong>nate polari, presentanodelle singolarità nell’origine (che qui e nel seguito intenderemonel senso <strong>di</strong> ‘origine nel piano (x,y)’, corrispondente al segmento {0}×[−π, π] nel piano (r, ϕ)). Si veda l’Appen<strong>di</strong>ce B. In particolare, <strong>per</strong> r > 0,∆u(rcos ϕ,rsin ϕ) = v rr (r, ϕ)+ 1 r v r(r, ϕ)+ 1 r 2v ϕϕ(r, ϕ) (3.6)(si valuti la (3.6) da un punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>mensionale).È chiaro tuttavia che la singolarità nell’origine deve essere apparente, nelsenso chev rr (r, ϕ)+ 1 r v r(r, ϕ)+ 1 r 2v ϕϕ(r, ϕ) → ∆u(0,0), r → 0.Se la u è definita e <strong>di</strong> classe C 2 in un dominio <strong>di</strong>verso da tutto <strong>il</strong> piano, leconsiderazioni sopra valgono con le necessarie mo<strong>di</strong>fiche.


30 DANIELE ANDREUCCI3.2.1. Soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i. Risolviamo l’equazionev rr (r, ϕ)+ 1 r v r(r, ϕ)+ 1 r 2v ϕϕ(r, ϕ) = 0 (3.7)<strong>per</strong> separazione delle variab<strong>il</strong>i, ossia cerchiamo soluzioni dell’equazione<strong>di</strong> Laplace della forma R(r)Φ(ϕ). Si arriva subito aR ′′ (r)Φ(ϕ)+ 1 r R′ (r)Φ(ϕ)+ 1 r 2R(r)Φ′′ (ϕ) = 0,da cui, supponendo RΦ ̸= 0, si passa ar 2R′′ (r) (r)R(r) +rR′ R(r) = − Φ′′ (ϕ)= −λ ∈ R, (3.8)Φ(ϕ)ove l’ultima uguaglianza è dovuta al fatto che <strong>il</strong> valore comune dei duemembri precedenti non può <strong>di</strong>pendere né da r né da ϕ.La (3.8) dà <strong>il</strong> sistemaR ′′ (r)+ 1 r R′ (r)+ λ r2R(r) = 0, (3.9)Φ ′′ (ϕ)−λΦ(ϕ) = 0. (3.10)L’equazione <strong>per</strong> R è deltipo <strong>di</strong> Eulero, mentre quella <strong>per</strong> Φ è a coefficienticostanti.Con calcoli elementari si ottengono le soluzioni:λ < 0:λ = 0:λ > 0:R(r) = c 1 r√−λ+c 2 r −√ −λ ,Φ(ϕ) = k 1 cos( √ −λϕ)+k 2 sin( √ −λϕ).R(r) = c 1 +c 2 lnr,Φ(ϕ) = k 1 +k 2 ϕ.R(r) = c 1 cos( √ λlnr)+c 2 sin( √ λlnr),Φ(ϕ) = k 1 e√λϕ+k 2 e −√ λϕ .Si noti che la con<strong>di</strong>zione RΦ ̸= 0 non è sempre verificata da queste soluzioni;tuttavia si può verificare <strong>per</strong> sostituzione <strong>di</strong>retta che esse dannosoluzioni valide in tutto r > 0, −π < ϕ < π.Osservazione 3.1. (Soluzioni in corone circolari)Lesoluzionichecorrispondonoa funzioni regolari u(x,y), definite in corone circolari centratenell’origine, devono sod<strong>di</strong>sfare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità (3.3)–(3.5) datesopra. Questo seleziona, tra tuttele soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i trovate,lev(r, ϕ) = ( c 1 r n +c 2 r −n)( k 1 cos(nϕ)+k 2 sin(nϕ) ) , n = 1,2,3,... (3.11)v(r, ϕ) = c 1 +c 2 lnr. (3.12)Se poi vogliamo anche che la u corrispondente sia regolare nell’origine(ve<strong>di</strong> la (3.2)), dobbiamo prendere c 2 = 0 nelle (3.11), (3.12). □


3.3. L’EQUAZIONE DELLE ONDE O DELLA CORDA VIBRANTE 31Osservazione 3.2. (Soluzioni in settori <strong>di</strong> piano) Consideriamo β ∈(0,2π], e <strong>il</strong> settore <strong>di</strong> pianoLe funzioni della formaQ β := {(rcos ϕ,rsin ϕ) | r > 0,0 < ϕ < β}.corrispondono a soluzioni del problema(v(r, ϕ) = c 1 r π β π)sinβ ϕ , (3.13)∆u = 0, (x,y) ∈ Q β , (3.14)u(x,y) = 0, (x,y) ∈ ∂Q β . (3.15)In genere esistono anche altre soluzioni. Per esempio, se β = 2π, esisteanche la soluzionev(r, ϕ) = rsin ϕ,ossia u = y.□L’equazione3.3. L’equazione delle onde o della corda vibranteu tt −c 2 u xx = 0, (3.16)è un modello <strong>per</strong> la propagazione <strong>di</strong> onde in un mezzo uni<strong>di</strong>mensionale,ove c > 0 è la velocità <strong>di</strong> propagazione delle onde, e u può assumere significati<strong>di</strong>versi. Per esempio, se la (3.16) rappresentale piccole vibrazioni<strong>di</strong> una corda tesa, la u si interpreta come scostamento dalla posizione <strong>di</strong>riposo della corda. Il punto (x,t) ∈ R 2 varia in domini determinati dalparticolare problema al contorno che stiamo risolvendo.A <strong>di</strong>fferenza che nel caso dell’equazione del calore, o <strong>di</strong> Laplace, o dellastessa equazione delle onde in <strong>di</strong>mensione N > 1, <strong>per</strong> la (3.16) si riesce atrovare un’espressionerelativamente semplice che caratterizza tutte e solele soluzioni.Teorema 3.3. Sia u ∈ C 2 (Q) una soluzione <strong>di</strong> (3.16) in Q = (a,b)×(α, β).Allora esistono due funzioni f e g <strong>di</strong> una variab<strong>il</strong>e, <strong>di</strong> classe C 2 , tali cheu(x,t) = f(x−ct)+g(x+ct), in Q. (3.17)Dimostrazione. Introduciamo la trasformazione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nateξ = x−ct, η = x+ct, (3.18)e definiamo v come la u r<strong>il</strong>etta nelle nuove variab<strong>il</strong>i, ossia( ξ + ηv(ξ, η) = u , −ξ + η ), u(x,t) = v(x−ct,x+ct). (3.19)2 2cSi noti che v è definita e C 2 nel rettangolo Q racchiuso dalle retteξ + η = 2a, ξ + η = 2b, −ξ + η = 2αc, −ξ + η = 2βc.Calcoli elementari mostrano che la vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> (3.16) in Q implicav ξη = 0, in Q. (3.20)•


32 DANIELE ANDREUCCIPoiché Q è normale rispetto ai due assi ξ ed η, segue da (3.20) chev(ξ, η) = f(ξ)+g(η), in Q, (3.21)con f e g funzioni <strong>di</strong> classe C 2 . Tornando alle variab<strong>il</strong>i originali, si ottienela (3.17).□Osservazione 3.4. Più in generale <strong>il</strong> Teorema 3.3 vale in ogni a<strong>per</strong>to Q <strong>il</strong>cui trasformato Q nelle (3.18) sia normale rispetto agli assi ξ ed η. □Proposizione 3.5. Le due funzioni f e g <strong>di</strong> (3.17) sono uniche nel senso che sevale ancheu(x,t) = ϕ(x−ct)+ψ(x+ct), (x,t) ∈ Q,allora esiste una costante K tale che f = ϕ+K, g = ψ−K.Dimostrazione. Oltre alla (3.21) si ha anchev(ξ, η) = ϕ(ξ)+ψ(η). (3.22)Derivando queste due eguaglianze prima in ξ e poi in η, si ha f ′ = ϕ ′e g ′ = ψ ′ . Dunque f = ϕ + K, g = ψ + C. Infine C = −K segueconfrontando ancora (3.21) e (3.22).□Osservazione 3.6. Si vede subito con <strong>il</strong> calcolo <strong>di</strong>retto che ogni u nellaforma (3.17) risolve l’equazione (3.16).□Esercizio 3.7. Supponiamo che l’equazioneAu xx +Bu xt +Cu tt +Du x +Eu t +Fu = 0,ove A, B, C, D, E, F ∈ R sono costanti non tutte nulle, ammetta tutte lesoluzioni nella forma (3.17), con c > 0 fissato e f, g ∈ C 2 (R) arbitrarie.Dimostrare che allora si tratta della (3.16), ossiaA = −c 2 C, B = D = E = F = 0.3.3.1. Armoniche. Nel caso dell’equazione della corda vibrante, <strong>per</strong> ciascunL > 0 fissato, le soluzioni elementari( nπ)[ ( nπ) ( nπ)]u(x,t) = sinL x k 1 cosL ct +k 2 sinL ct , (3.23)si <strong>di</strong>cono anche armoniche, o onde stazionarie. La frequenza dell’n-esimaarmonica è data daν n = c nπ 1L 2π = cn2L ,e la sua lunghezza d’onda ècν n= 2L n .L’armonica fondamentale è data da (n = 1)( π)[sinL x k 1 cos( πL ct )+k 2 sin( πL ct )],mentre le altre onde stazionarie si <strong>di</strong>cono armoniche su<strong>per</strong>iori.Perogniondastazionariasidefinisconono<strong>di</strong>ipunti ¯x<strong>di</strong>[0,L] oveu(¯x,t) ≡0. Si verifica subito che i no<strong>di</strong> dell’n-esima armonica sono dati dagli n+1□


3.3. L’EQUAZIONE DELLE ONDE O DELLA CORDA VIBRANTE 33punti x i = iL/n, i = 0, ..., n. Il fatto che <strong>il</strong> luogo degli zeri <strong>di</strong> u simantienecostanteneltempospiegal’originedelladenominazione<strong>di</strong>ondastazionaria.Esercizio 3.8. Si spieghi <strong>per</strong>ché la soluzione in (3.23) non contrad<strong>di</strong>ce <strong>il</strong>Teorema 3.3.□•


CAPITOLO 4Principi <strong>di</strong> massimoIl principio <strong>di</strong> massimo, in sostanza, fornisce una stima del massimo(o del minimo) <strong>di</strong> una soluzione in funzione dei dati, anchesenzaavertrovatonessunarappresentazionepiùomenoesplicitadella soluzione stessa.I principi <strong>di</strong> massimo hanno uso vastissimo sia nella teoria chenelle applicazioni.4.1. Principio <strong>di</strong> massimo <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> LaplaceIl principio <strong>di</strong> massimo nella sua formulazione più semplice stab<strong>il</strong>isce cheuna funzione che sod<strong>di</strong>sfa una certa equazione o <strong>di</strong>sequazione <strong>di</strong>fferenzialein un dominio assume <strong>il</strong> suo massimo sulla frontiera del dominio.Teorema 4.1. Sia u ∈ C 2 (Ω)∩C(Ω), e sia ∆u ≥ 0 in Ω, ove Ω è a<strong>per</strong>to elimitato. AlloraDimostrazione. SiamaxΩu = maxu. (4.1)∂Ωv(x) = u(x)+εx 2 1 ,con ε > 0 arbitrario. Qui x 1 è la prima coor<strong>di</strong>nata. Se v avesse un punto<strong>di</strong> massimo ¯x in Ω si avrebbementre∆v(¯x) ≤ 0,∆v = ∆u+2ε ≥ 2ε > 0, in Ω.Quin<strong>di</strong> v non può assumere punti <strong>di</strong> massimo in Ω, ossiamaxΩu ≤ maxΩv = max v ≤ max∂Ω ∂Ω u+εξ2 ,se ξ = max ∂Ω |x 1 |. Per ε → 0 si ottiene la (4.1).□In realtà, sotto le ipotesi del Teorema 4.1 vale <strong>il</strong> seguente (migliore) risultato.Teorema 4.2. Principio <strong>di</strong> massimo forte. Sia u ∈ C(Ω) subarmonica inΩ. Allora <strong>per</strong> ogni x ∈ Ωu(x) ≤ maxu. (4.2)∂ΩSe poi esiste un x ∈ Ω tale che in (4.2) valga l’uguaglianza, u è costante su Ω.35


36 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Definiamo <strong>il</strong> sottoinsieme <strong>di</strong> ΩA = {x ∈ Ω | u(x) = M},M := maxu.ΩSe A = ∅, allora u assume <strong>il</strong> suo massimo solo su ∂Ω, e quin<strong>di</strong> la (4.2)è <strong>di</strong>mostrata con <strong>il</strong> segno stretto <strong>di</strong> <strong>di</strong>suguaglianza. Noi mostreremo chese A ̸= ∅, allora A = Ω, e quin<strong>di</strong> u è costante su Ω, completando così la<strong>di</strong>mostrazione del Teorema.Sia dunque ¯x ∈ A, e ȳ un altro arbitrario punto <strong>di</strong> Ω. Dobbiamo solo<strong>di</strong>mostrare che anche ȳ ∈ A, cioè che u(ȳ) = M. Poiché Ω è un a<strong>per</strong>toconnesso, esiste una curva γ ⊂ Ω <strong>di</strong> estremi ¯x e ȳ. Definiamoρ = 1 <strong>di</strong>st(γ, ∂Ω) > 0;2allora è fac<strong>il</strong>e vedere che γ è contenuta nell’unione <strong>di</strong> un numero finito<strong>di</strong> sfere B ρ (x i ) con x i ∈ γ, i = 1, ..., n, e tali che |x i − x i+1 | < ρ. Si puòsupporre che x 1 = ¯x.Dimostriamo ora che se u(z) = M, z ∈ Ω, allora u ≡ M in tutta la sferaB ρ (z) ⊂ Ω. Scegliamo un qualunque 0 < r < ρ. Si ha, visto che u èsubarmonica, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Corollario 1.7,∫∫110 ≥ u(z)−σ N r N−1 u(x)dσ x =σ N r N−1 [u(z)−u(x)]dσ x∂B r (z)=∂B r (z)∫1σ N r N−1∂B r (z)[M−u(x)]dσ x ≥ 0.L’ultima <strong>di</strong>suguaglianza segue dalla definizione <strong>di</strong> M. Perciò l’integralesi annulla e, essendo l’integrando non negativo, si deve avere u ≡ M su∂B r (z). Per l’arbitrarietà <strong>di</strong> r segue in effetti u ≡ M in B ρ (z).Applicando questo risultato, si ha: u ≡ M su B ρ (¯x), <strong>per</strong>ché ¯x ∈ A <strong>per</strong>ipotesi. Poiché x 2 ∈ B ρ (¯x), segue che u(x 2 ) = M. Nello stesso modoallora, u ≡ M su B ρ (x 2 ), e quin<strong>di</strong> u(x 3 ) = M, e così via. Si <strong>di</strong>mostra cosìche u ≡ M su γ, e quin<strong>di</strong> che u(ȳ) = M, concludendo che ȳ ∈ A. □Corollario 4.3. Principio <strong>di</strong> minimo forte. Sia u ∈ C(Ω) su<strong>per</strong>armonicain Ω. Allora <strong>per</strong> ogni x ∈ Ωu(x) ≥ minu. (4.3)∂ΩSe poi esiste un x ∈ Ω tale che in (4.3) valga l’uguaglianza, u è costante su Ω.Dimostrazione. Basta osservare che, se u è su<strong>per</strong>armonica, allora −u èsubarmonica, e quin<strong>di</strong> applicare <strong>il</strong> Teorema 4.2 a −u. □Corollario 4.4. Sia u ∈ C(Ω) armonica in Ω. Allora <strong>per</strong> ogni x ∈ Ωmin∂Ωu ≤ u(x) ≤ maxu. (4.4)∂ΩSe poi esiste un x ∈ Ω tale che in una delle due relazioni <strong>di</strong> (4.4) valga l’uguaglianza,u è costante su Ω.In particolare queste conclusioni si applicano a soluzioni u ∈ C 2 (Ω))∩C(Ω) <strong>di</strong>∆u = 0.


4.2. APPLICAZIONI ALL’EQUAZIONE DI LAPLACE 374.2. Applicazioni al problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> LaplaceVale <strong>il</strong> teoremaTeorema4.5. Seu 0 ∈ C(∂Ω), esisteun’unicasoluzionedel problemaPD L dellaSezione 2.2.Dimostrazione. Unicità: Date due soluzioni u 1 , u 2 , definiamo v = u 1 −u 2 . Basta allora applicare <strong>il</strong> Teorema 4.1 a v e −v <strong>per</strong> ottenere v ≡ 0 in Ω.L’esistenza si trova <strong>di</strong>mostrata nel caso particolare in cui Ω è un cerchionella Sezione 11.5; ve<strong>di</strong> anche la Sezione 11.2 <strong>per</strong> <strong>il</strong> caso in cui Ω è <strong>il</strong>semipiano.□Osservazione 4.6. Se <strong>il</strong> dato u 0 non è continuo su ∂Ω, ma solo continuoa tratti, esiste ancora una soluzione u ∈ C 2 (Ω) <strong>di</strong> PD L , unica nella classedelle soluzioni limitate su Ω. Per queste soluzioni vale ancora <strong>il</strong> principiodel massimo, nella forma u ≤ sup ∂Ωu 0 in Ω.□4.2.1. Dipendenza continua dai dati.Teorema 4.7. Sianou 1 e u 2 duesoluzioni <strong>di</strong> PD L , corrispondenti aduedati u 01 ,u 02 ∈ C(∂Ω). Alloramax|u 1 −u 2 | ≤ max |u 01−u 02 |. (4.5)Ω∂ΩDimostrazione. Segue subito dal Teorema 4.1 (principio <strong>di</strong> massimo).□4.2.2. Stime <strong>di</strong> soluzioni me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> metodo delle soprasoluzioni. Volendoottenere maggiorazioni <strong>di</strong> u, quando la soluzione non può esserecalcolata in modo esplicito, si può fare uso del principio del confronto: se∆v ≤ 0, in Ω, (4.6)v(x) ≥ u 0 (x), su ∂Ω, (4.7)allora v ≥ u in Ω (questo segue da una semplice applicazione del principiodel massimo a v−u). Per questo funzioni v ∈ C 2 (Ω)∩C(Ω) chesod<strong>di</strong>sfino le relazioni (4.6)–(4.7) si <strong>di</strong>cono soprasoluzioni.È <strong>per</strong>tanto ut<strong>il</strong>e <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> soluzioni esplicite <strong>di</strong> (2.4).Per esempio in R 2v(x,y) = e αx sin(αy), v(x,y) = e αx cos(αy), ... α ∈ R,v(x,y) = 1, v(x,y) = x, v(x,y) = xy, v(x,y) = x 2 −y 2 ,e loro combinazioni lineari sono tutte soluzioni.Altresoluzioniesplicitesipossonoottenereincoor<strong>di</strong>natepolari; sisa(ve<strong>di</strong>Appen<strong>di</strong>ce B) che in queste coor<strong>di</strong>nate (r, ϕ)∆ f = 1 r∂∂r(r ∂f∂r)+ 1 r 2 ∂ 2 f∂ϕ 2 .Dunque si verifica subito che, <strong>per</strong> ogni α ∈ R, le funzioniv(x,y) = r α sin(αϕ),v(x,y) = r α cos(αϕ),•


38 DANIELE ANDREUCCIsono soluzioni in R 2 privato <strong>di</strong> una semiretta <strong>per</strong> l’origine. Ve<strong>di</strong> anche <strong>il</strong>Capitolo 3.•4.3. Principio <strong>di</strong> massimo <strong>per</strong> l’equazione del caloreTeorema 4.8. Sia u ∈ C 2,1 (Q ∗ T )∩C(Q T) tale cheu t −D ∆u ≤ 0, in Q ∗ T .AlloraDimostrazione. SiamaxQ Tu = max∂ p Q Tu. (4.8)v(x,t) = u(x,t)+εx 2 1 ,con ε > 0 arbitrario. Qui x 1 denota la prima coor<strong>di</strong>nata. Se v avesse unpunto <strong>di</strong> massimo (¯x,¯t) in Q ∗ Tsi avrebbe∆v(¯x,¯t) ≤ 0, v t (¯x,¯t) = u t (¯x,¯t) ≥ 0,<strong>il</strong> che condurrebbe alla contrad<strong>di</strong>zione (nel punto (¯x,¯t))0 ≤ v t −D ∆v = u t −D ∆u−2Dε ≤ −2Dε < 0.Quin<strong>di</strong> v non può assumere punti <strong>di</strong> massimo in Q ∗ T , ossiamaxQ Tu ≤ maxQ Tv = max∂ p Q Tv ≤ max∂ p Q Tu+εξ 2 ,se ξ = max ∂Ω |x 1 |. Per ε → 0 si ottiene la (4.1).□I seguenti corollari sono <strong>di</strong> derivazione imme<strong>di</strong>ata.Corollario 4.9. Sia u ∈ C 2,1 (Q ∗ T )∩C(Q T) tale che u t − D ∆u ≥ 0 in Q ∗ T .AlloraminQ Tu ≥ min∂ p Q Tu. (4.9)Corollario 4.10. Sia u ∈ C 2,1 (Q ∗ T )∩C(Q T) tale che u t − D ∆u = 0 in Q ∗ T .Alloramin∂ p Q Tu ≤ u(x,t) ≤ max∂ p Q Tu, <strong>per</strong> ogni (x,t) ∈ Q ∗ T . (4.10)Osservazione 4.11. In realtà vale anche <strong>per</strong> l’equazione del calore <strong>il</strong> principiodel massimo forte, nel senso che se, <strong>per</strong> u come in Corollario 4.10,esiste un (¯x,¯t) ∈ Q ∗ Ttale che in esso una delle <strong>di</strong>suguaglianze in (4.10)vale come uguaglianza, allora u è costantein Q¯t. La<strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong>questoteorema, che è più <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e <strong>di</strong> quella del corrispettivo Teorema 4.2 <strong>per</strong>l’equazione <strong>di</strong> Laplace, viene omessa.□


4.4. APPLICAZIONI ALL’EQUAZIONE DEL CALORE 394.4. Applicazioni al problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione del caloreVale <strong>il</strong> teoremaTeorema 4.12. Se u 0 ∈ C(∂ p Q T ), esiste un’unica soluzione <strong>di</strong> PD C .L’unicità si <strong>di</strong>mostra in modo sim<strong>il</strong>e al Teorema 4.5, oppure segue dalTeorema 4.14.Osservazione4.13. Se<strong>il</strong>datou 0 nonècontinuosu ∂ p Q T , masolocontinuoa tratti, esiste ancora una soluzione u ∈ C 2,1 (Q ∗ T ) <strong>di</strong> PD C, unica nellaclasse delle soluzioni limitate su Q T . Per queste soluzioni vale ancora <strong>il</strong>principio del massimo, nella forma u ≤ sup ∂p Q Tu 0 in Q T . □4.4.1. Dipendenza continua dai dati.Teorema 4.14. Siano u 1 e u 2 due soluzioni <strong>di</strong> PD C , corrispondenti a due datiu 01 , u 02 ∈ C(∂ p Q T ). AlloramaxQ T|u 1 −u 2 | ≤ max∂ p Q T|u 01 −u 02 |. (4.11)Dimostrazione. Segue subito dal Teorema 4.8 (principio <strong>di</strong> massimo).□4.4.2. Stime <strong>di</strong> soluzioni me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> metodo delle soprasoluzioni. Volendootteneremaggiorazioni<strong>di</strong>u(x,t),quandolasoluzionenonpuòesserecalcolata in modo esplicito, si può fare uso del principio del confronto:sev t −D ∆v ≥ 0, in Q ∗ T, (4.12)v(x,t) ≥ u 0 (x,t), su ∂ p Q T , (4.13)allora v ≥ u in Q T (questo segue da una semplice applicazione del principiodel massimo a v−u). Per questo funzioni v ∈ C 2,1 (Q ∗ T )∩C(Q T) chesod<strong>di</strong>sfino le relazioni qui sopra si <strong>di</strong>cono soprasoluzioni <strong>di</strong> PD C .È <strong>per</strong>tanto ut<strong>il</strong>e <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un certo numero <strong>di</strong> soluzioni esplicite <strong>di</strong> (2.9).Per esempiov(x,t) = e −α2 Dt sin(αx), v(x,t) = e −α2 Dt cos(αx), α ∈ R,v(x,t) = 1, v(x,t) = x, v(x,t) = x 2 +2Dt,elelorocombinazion<strong>il</strong>inearisonotuttesoluzioni. Ve<strong>di</strong>anche<strong>il</strong>Capitolo3.Esempio 4.15. Consideriamo <strong>il</strong> caso in cui Ω = (0, π),u 0 (x,t) = 1−2x∣1− π ∣ , 0 ≤ x ≤ π,t = 0,u 0 (x,t) = 0, x ∈ {0, π},t > 0.Dato che v = e −Dt sinx sod<strong>di</strong>sfa (4.12), (4.13), si ottiene0 ≤ u(x,t) ≤ e −Dt sinx, 0 < x < π,0 < t.•□


40 DANIELE ANDREUCCIEsempio 4.16. Consideriamo <strong>il</strong> caso in cui Ω = (−π/2, π/2),u 0 (x,t) = 1, − π 2 ≤ x ≤ π ,t = 0,{2u 0 (x,t) = 0, x ∈ − π 2 , π },t > 0.2In questo caso <strong>il</strong> dato u 0 non è continuo. Definiamov(x,t) = Ce −α2 Dt cos(αx),con α ∈ (0,1), C > 0 da scegliere. Intanto è chiaro che v ≥ u 0 <strong>per</strong> t > 0 e|x| = π/2. Per ottenere v(x,0) ≥ u 0 (x,0) = 1, occorre che(min Ccos(αx) = Ccos α π )1≥ 1, cioè C = ( ) .|x|≤ π 22cos α π 2Pertanto0 ≤ u(x,t) ≤ e −α2 t cos(αx)( ) , − πcos 2 < x < π 2α π 2,0 < t.Si noti che qui la scelta <strong>di</strong> α ∈ (0,1) è arbitraria.□•4.5. Il lemma <strong>di</strong> Hopf <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> LaplaceLemma 4.17. (Hopf) Sia u : Ω → R regolare come richiesto alla soluzione <strong>di</strong>PN L . Se u sod<strong>di</strong>sfa ∆u ≤ 0 in Ω, non è costante in Ω, e assume <strong>il</strong> minimo in¯x ∈ ∂Ω, allora ∂u∂ν(¯x) < 0. Questosein ¯x lafrontiera <strong>di</strong> Ω èabbastanza regolare,ossia se esiste una sfera a<strong>per</strong>ta B ⊂ Ω, tale che ∂B∩∂Ω = {x}.(La <strong>di</strong>mostrazione viene omessa.)Si noti che la <strong>di</strong>suguaglianza non stretta ∂u∂ν(¯x) ≤ 0 è ovvia: <strong>il</strong> contenutodel lemma <strong>di</strong> Hopf sta proprio nella <strong>di</strong>mostrazione della <strong>di</strong>suguaglianzastretta. Un enunciato analogo vale se u sod<strong>di</strong>sfa ∆u ≥ 0 in Ω, e assume <strong>il</strong>massimo in ¯x ∈ ∂Ω.Con questo risultato si può ottenere una <strong>di</strong>mostrazione del teorema <strong>di</strong>unicità (a meno <strong>di</strong> costanti ad<strong>di</strong>tive) <strong>per</strong> soluzioni <strong>di</strong> PN L .4.6. Il lemma <strong>di</strong> Hopf <strong>per</strong> l’equazione del caloreLemma 4.18. (Hopf parabolico) Sia u : Q T → R regolare come richiesto allasoluzione <strong>di</strong> PN C . Se u sod<strong>di</strong>sfa u t − D ∆u ≥ 0 in Q T , assume <strong>il</strong> minimo in(¯x,¯t), con ¯t > 0, ¯x ∈ ∂Ω, e non è costante in Q¯t, allora ∂u∂ν (¯x,¯t) < 0. Questose in ¯x la frontiera <strong>di</strong> Ω è abbastanza regolare, ossia se esiste una sfera a<strong>per</strong>taB ⊂ Ω, tale che ∂B∩∂Ω = {x}.(La <strong>di</strong>mostrazione viene omessa.)Si noti che la <strong>di</strong>suguaglianza non stretta ∂u∂ν (¯x,¯t) ≤ 0 è ovvia: <strong>il</strong> contenutodel lemma <strong>di</strong> Hopf sta proprio nella <strong>di</strong>mostrazione della <strong>di</strong>suguaglianzastretta. Un enunciato analogo vale se u sod<strong>di</strong>sfa u t − D ∆u ≤ 0 in Q T , eassume <strong>il</strong> massimo <strong>per</strong> t > 0.


4.6. IL LEMMA DI HOPF PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 414.6.1. Stime <strong>di</strong> soluzioni me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong> metodo delle soprasoluzioni. Unafunzione v (regolare come la soluzione del problema PN C ) che sod<strong>di</strong>sfav t −D ∆v ≥ 0, in Q T , (4.14)v(x,0) ≥ u 0 (x), x ∈ Ω, (4.15)D ∂v (x,t) ≥ f(x,t), x ∈ ∂Ω,0 < t < T, (4.16)∂νsi <strong>di</strong>ce soprasoluzione <strong>di</strong> PN C , <strong>per</strong>chéTeorema 4.19. Se u risolve PN C , e v risolve (4.14)–(4.16), si ha v ≥ u in Q T .Dimostrazione. Sia w = v−u. Allora w sod<strong>di</strong>sfaw t −D ∆w ≥ 0, in Q T ,w(x,0) ≥ 0, x ∈ Ω,D ∂w (x,t) ≥ 0, x ∈ ∂Ω,0 < t < T.∂νPer <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> massimo, w deve assumere <strong>il</strong> minimo su ∂ p Q T . D’altraparte, se lo assumesse su un punto (¯x,¯t), con ¯t > 0, si dovrebbe avere∂w∂ν (¯x,¯t) < 0, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Lemma 4.18, contro la con<strong>di</strong>zione ∂w∂ν≥ 0. Perciò <strong>il</strong>minimo è assunto <strong>per</strong> t = 0, ove w ≥ 0. Quin<strong>di</strong> w ≥ 0 su tutto Q T . □Osservazione 4.20. Il Teorema 4.19 implica subito un risultato <strong>di</strong> unicità<strong>per</strong> PN C .□Esempio 4.21. Si consideri la soluzione u <strong>di</strong>u t −Du xx = 0, in (0,L)×(0,T), (4.17)u(x,0) = x, 0 ≤ x ≤ L, (4.18)−Du x (0,t) = 0, 0 < t < T, (4.19)Du x (b,t) = cos 2 t, 0 < t < T. (4.20)Allora, u nonpuòavereminimi omassimi su x = 0<strong>per</strong> t > 0, <strong>per</strong><strong>il</strong>lemma<strong>di</strong> Hopf. Su x = L, si ha u x ≥ 0. Dunque u può assumervi un massimo,ma non un minimo; si noti che abbiamo bisogno del lemma <strong>di</strong> Hopf <strong>per</strong>escludere che <strong>il</strong> minimo possa essere assunto <strong>per</strong> t = (2k+1)π/2, k ∈ N,ove u x = 0. Perciò <strong>il</strong> minimo <strong>di</strong> u è assunto <strong>per</strong> t = 0, e anzi solo <strong>per</strong>(x,t) = (0,0), <strong>per</strong> <strong>il</strong> principio del massimo forte. Dunque u > 0 in ognialtro punto del suo dominio <strong>di</strong> definizione.□4.6.2. Dipendenza continua dal dato iniziale.Teorema 4.22. Siano u 1 e u 2 due soluzioni del problema <strong>di</strong> Neumann PN C .Supponiamo che <strong>il</strong> dato al bordo f coincida <strong>per</strong> le due soluzioni, mentre i datiiniziali siano due qualunque funzioni u 01 , u 02 ∈ C(Ω). Alloramax|u 1 −u 2 | ≤ max|u 01 −u 02 |. (4.21)Q T Ω•


42 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Per <strong>il</strong> Lemma 4.18 <strong>di</strong> Hopf parabolico <strong>il</strong> massimo, o <strong>il</strong>minimo, della <strong>di</strong>fferenza w = u 1 −u 2 non possono essere presi sul bordo∂Ω <strong>per</strong> t > 0, <strong>per</strong>ché ∂w∂ν= 0 su tale bordo. La (4.21) segue subito <strong>per</strong> <strong>il</strong>principio del massimo.□•


Parte 3Il metodo <strong>di</strong> Fourier


CAPITOLO 5Metodo della separazione delle variab<strong>il</strong>iLe soluzioni <strong>di</strong> equazioni <strong>di</strong> evoluzione in cui la variab<strong>il</strong>e tempoe quella spazio appaiono in fattori separati sono importanti <strong>per</strong>vari motivi: oltre a fornire esempi espliciti <strong>di</strong> soluzioni, possonoessere combinate in serie <strong>per</strong> esprimere ogni altra soluzione.Questo approccio, noto come metodo <strong>di</strong> Fourier, introduceinoltre le autofunzioni del laplaciano.5.1. Soluzioni a variab<strong>il</strong>i separate5.1.1. Equazione del calore. Consideriamo una soluzione u dell’equazionedel calore, definita e regolare nel c<strong>il</strong>indro Q T , conossiaCerchiamo le soluzioni nella formaQ T = Ω×(0,T), (5.1)u t −D ∆u = 0, in Q T . (5.2)u(x,t) = X(x)T(t), (5.3)cosicché, sostituendo nella (5.2) e supponendo XT ̸= 0, si ottiene, <strong>per</strong> unacostante λ ∈ R opportuna,∆X(x)X(x)= T′ (t)DT(t)= −λ ∈ R,ove l’ultima uguaglianza è dovuta al fatto che <strong>il</strong> valore comune <strong>di</strong> ∆X/Xe T ′ /DT non può <strong>di</strong>pendere né da t né da x.Quin<strong>di</strong> le soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i dell’equazione del calore hanno<strong>di</strong> necessità la forma (5.3), coneT(t) = T(0)e −Dλt , t ≥ 0, (5.4)∆X = −λX, x ∈ Ω. (5.5)La costante λ deve essere la stessa in (5.4) e in (5.5).5.1.2. Equazionedelleonde. Consideriamounasoluzioneudell’equazionedelle onde, definita e regolare nel c<strong>il</strong>indro Q T come in (5.1), ossiau tt −c 2 ∆u = 0, in Q T . (5.6)45•


46 DANIELE ANDREUCCICerchiamo le soluzioni nella forma a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i (5.3), cosicché,sostituendo nella (5.6) e supponendo XT ̸= 0, si ottiene, <strong>per</strong> una costanteλ ∈ R opportuna,∆X(x)= T′′ (t)X(x) c 2 = −λ ∈ R,T(t)ove l’ultima uguaglianza è dovuta al fatto che <strong>il</strong> valore comune <strong>di</strong> ∆X/Xe T ′ /c 2 T non può <strong>di</strong>pendere né da t né da x.Quin<strong>di</strong>, supponendoche λ > 0(ve<strong>di</strong>Teorema5.7<strong>per</strong>questaipotesi),lesoluzionia variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i dell’equazione delle onde hanno <strong>di</strong> necessitàla forma (5.3), conT(t) = T(0)cos(c √ λt)+ T′ (0)c √ λ sin(c√ λt), t ≥ 0, (5.7)e X tale che valga (5.5). La costante λ deve essere la stessa in (5.7) e in(5.5). •Osservazione 5.1. Una funzione nella forma (5.3), (5.4), (5.5) risolve l’equazionedel calore (5.2) anche se si annulla in qualche punto <strong>di</strong> Q T ; questosegue dal calcolo <strong>di</strong>retto. Dunque l’ipotesi XT ̸= 0 che pure era statastipulata non è in realtà necessaria.Nello stesso modo, una funzione nella forma (5.3), (5.7), (5.5) risolve l’equazionedelle onde (5.6) anche se si annulla in qualche punto <strong>di</strong> Q T . □Osservazione5.2. UnavoltacheXèfissata,ivaloriiniziali<strong>di</strong>u<strong>di</strong>pendonosolo da T(0), e da T ′ (0) nel caso dell’equazione delle onde. A sua voltaX <strong>di</strong>pende da λ, e dalle con<strong>di</strong>zioni al contorno che vengono prescritte su∂Ω×(0,T). Non è affatto detto che una soluzione X <strong>di</strong> (5.5) esista <strong>per</strong>ogni scelta <strong>di</strong> λ e delle con<strong>di</strong>zioni al contorno.□Esercizio 5.3. Si determini <strong>per</strong> separazione delle variab<strong>il</strong>i la soluzione delproblemaRispostau tt −c 2 u xx = 0, 0 < x < π,t > 0,u(0,t) = 0, t > 0,u(π,t) = 0, t > 0,u(x,0) = 0, 0 < x < π,u t (x,0) = sin(3x), 0 < x < π.Esercizio 5.4. Si determini <strong>per</strong> separazione delle variab<strong>il</strong>i la soluzione delproblemaQuiRispostau t −D ∆u = 0, x ∈ Ω,t > 0,u(x,t) = 0, x ∈ ∂Ω,t > 0,u(x,0) = sin(x 1 )sin(2x 2 ), x ∈ Ω.Ω = {(x 1 ,x 2 ) | 0 < x 1 < π,0 < x 2 < π}.□□


5.2. AUTOFUNZIONI DEL LAPLACIANO 475.2. Autofunzioni del laplacianoNellaSezione5.1abbiamo chiaritochelaparte<strong>di</strong>pendentedaltempodellesoluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>i delle equazioni del calore e delle onde è insostanza elementare.Il fattore <strong>di</strong>pendente dalla variab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> spazio x ∈ R N non lo è affatto.Considereremo qui <strong>per</strong> esteso solo i due casi seguenti.Definizione 5.5. Si <strong>di</strong>ce che la funzione ϕ, non identicamente nulla, ela costante λ ∈ R, sono rispettivamente un’autofunzione e <strong>il</strong> corrispondenteautovalore del problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> <strong>il</strong> laplaciano in Ω se essesod<strong>di</strong>sfano∆ ϕ = −λϕ, in Ω, (5.8)ϕ = 0, su ∂Ω. (5.9)Definizione 5.6. Si <strong>di</strong>ce che la funzione ϕ, non identicamente nulla, ela costante λ ∈ R, sono rispettivamente un’autofunzione e <strong>il</strong> corrispondenteautovalore del problema <strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> <strong>il</strong> laplaciano in Ω se essesod<strong>di</strong>sfano∆ ϕ = −λϕ, in Ω, (5.10)∂ϕ∂ν= 0, su ∂Ω. (5.11)Teorema 5.7. Tutti gli autovalori λ sono non negativi.In particolare λ = 0 è autovalore <strong>per</strong> <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Neumann, ma non <strong>per</strong> <strong>il</strong>problema <strong>di</strong> Dirichlet.Dimostrazione. Moltiplichiamo <strong>per</strong> ϕ l’equazione (5.8), o (5.10), e integriamo<strong>per</strong> parti (ossia applichiamo <strong>il</strong> teoremadella <strong>di</strong>vergenza) ricordandoche<strong>di</strong>v(ϕ∇ ϕ) = ϕ ∆ ϕ+|∇ ϕ| 2 .Si ottiene∫−λΩ∫ϕ 2 dx =Ω∫ϕ ∆ ϕdx = −Ω∫|∇ ϕ| 2 dx+∂Ωϕ ∂ϕ∂ν dσ.In ciascuno dei due casi nelle due Definizioni 5.5, e 5.6, <strong>il</strong> termineϕ ∂ϕ∂νsi annulla su ∂Ω <strong>per</strong> (5.9) o (5.11). Dunque si haλ =∫Ω |∇ ϕ|2 dx∫Ω ϕ2 dxSe λ = 0 è un autovalore, da (5.12) segue chee dunque che ϕ è costante in Ω.∇ ϕ(x) = 0, x ∈ Ω,□□≥ 0. (5.12)


48 DANIELE ANDREUCCINel caso del problema <strong>di</strong> Neumann, è imme<strong>di</strong>ato infatti verificare cheλ = 0 è autovalore corrispondente a ϕ = C, C ̸= 0.Nelcaso delproblema <strong>di</strong>Dirichlet, invece, poiché vale la (5.9), si dovrebbeavere ϕ ≡ 0 in Ω, contro l’ipotesi che ϕ non sia identicamente nulla. □Teorema 5.8. Siano ϕ i , λ i , i = 1, 2, due coppie <strong>di</strong> autofunzione e relativo autovalore,entrambe <strong>per</strong> lo stesso problema, <strong>di</strong> Dirichlet o <strong>di</strong> Neumann.Allora, se λ 1 ̸= λ 2 , vale∫ϕ 1 ϕ 2 dx = 0. (5.13)Dimostrazione. Visto cheda (1.40) segue∫0 =da cui la tesi.ΩΩϕ i∂ϕ j∂ν = 0,∫(ϕ 1 ∆ ϕ 2 − ϕ 2 ∆ ϕ 1 ) = (λ 1 − λ 2 )Ωϕ 1 ϕ 2 ,Osservazione5.9. IlTeorema5.8vaconfrontatoconl’analogorisultato<strong>per</strong>gli autovettori <strong>di</strong> una matrice simmetrica. Anche la (5.13) prende <strong>il</strong> nome<strong>di</strong> relazione <strong>di</strong> ortogonalità (ve<strong>di</strong> Sezione 7.2).□Osservazione 5.10. Dalle definizioni, segue subito che se ϕ è un’autofunzione,anche Cϕ lo è, <strong>per</strong> ogni C ̸= 0. Si può quin<strong>di</strong> sempre assumere,come faremo nel seguito salvo <strong>di</strong>verso avviso, che l’autofunzione sod<strong>di</strong>sfi∫ϕ(x) 2 dx = 1. (5.14)ΩLa (5.14) si <strong>di</strong>ce con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> normalizzazione, e va confrontata con l’omonimacon<strong>di</strong>zione <strong>per</strong> gli autovettori <strong>di</strong> una matrice quadrata. □Osservazione 5.11. Data una successione <strong>di</strong> autofunzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti{ϕn } sipuòsempreassumereche essesianonormalizzate eortogonalidueadue,<strong>per</strong>finoquellechecorrispondonoallostessoautovalore(ve<strong>di</strong> <strong>il</strong> Lemma 9.2).□Esercizio 5.12. Trovare tutte le autofunzioni (normalizzate) del problema<strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace nell’intervallo (0,L). Risposta □Esercizio 5.13. Trovare tutte le autofunzioni (normalizzate) del problema<strong>di</strong> Neumann <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace nell’intervallo (0,L). Risposta □5.3. Sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong> autofunzioniÈ chiaro, <strong>per</strong> linearità, che una somma finita <strong>di</strong> soluzioni a variab<strong>il</strong>i separab<strong>il</strong>idella forma (5.3) è ancora soluzione della stessa e.d.p., con le stessecon<strong>di</strong>zioni omogenee al bordo. Sotto opportune con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> convergenza,anche la somma <strong>di</strong> una serie infinita <strong>di</strong> tali soluzioni è soluzione.□


Supponiamo dunque che5.3. SVILUPPI IN SERIE DI AUTOFUNZIONI 49u(x,t) =∞∑ α n (t)ϕ n (x), (5.15)n=1siaunasoluzione<strong>di</strong>questotipo,ovele ϕ n sonoautofunzionidell’opportunoproblema <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace. Procedendo formalmente, ossiaassumendo che lo scambio <strong>di</strong> serie e integrale sia valido, si ha∫Ωu(x,t)ϕ m (x)dx =∞∑n=1∫α n (t)Ωϕ n (x)ϕ m (x)dx∫= α m (t)Ωϕ m (x) 2 dx = α m (t), (5.16)ove si è usata l’ipotesi (5.14), e si è anche assunto che∫ϕ n (x)ϕ m (x)dx = 0, n ̸= m, (5.17)Ωipotesi non irragionevole: <strong>il</strong> Teorema 5.8 anzi <strong>di</strong>mostra la (5.17) se le dueautofunzioni corrispondono ad autovalori <strong>di</strong>versi.Daquestocalcoloabbiamo imparatoche<strong>il</strong>coefficiente α m coincide,ameno<strong>di</strong>unfattorecostante,con<strong>il</strong>primointegralein(5.16); l’ipotesi(5.17)èstatacruciale.Cerchiamo <strong>di</strong> applicare questo tipo <strong>di</strong> approccio a problemi più generali.Consideriamo <strong>per</strong> definitezza <strong>il</strong> problema <strong>per</strong> l’equazione del calore condati <strong>di</strong> Dirichlet, e con una funzione sorgente F non nulla, ossiau t −D ∆u = F(x,t), x ∈ Ω,0 < t < T, (5.18)D ∂u (x,t) = 0,∂νx ∈ ∂Ω,0 < t < T, (5.19)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω. (5.20)Cerchiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppare la soluzione u in serie come in (5.15),ove le funzioni ϕ n sono autofunzioni del laplaciano, mentre i coefficientiα n sono da determinare. Non è affatto evidente in questa fase che siapossib<strong>il</strong>e farlo, <strong>per</strong> la presenza del termine non omogeneo <strong>di</strong> sorgente.Definiamo intanto, <strong>per</strong> como<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> notazione, le seguenti funzioni, chesono note una volta assegnati i dati:∫F n (t) = F(x,t)ϕ n (x)dx.ΩPoi ricor<strong>di</strong>amo che la (5.16) è conseguenza <strong>di</strong>retta della (5.15), e dunquedeve valere anche in questo caso, <strong>per</strong> qualunque possib<strong>il</strong>e scelta dellefunzioni α n .Cerchiamo <strong>per</strong>tanto <strong>di</strong> ottenere informazioni sul primo integrale nella(5.16); queste non possono che venire dalle (5.18)–(5.20). Moltiplichiamo


50 DANIELE ANDREUCCIla (5.18) <strong>per</strong> ϕ n e usiamo l’identità <strong>di</strong> Green (1.40), ottenendo∫ ∫α ′ n(t) = u t (x,t)ϕ n (x)dx = D ∆u(x,t)ϕ n (x)dx+F n (t)Ω∫∫= D u(x,t) ∆ ϕ n (x)dx+DΩΩ∂Ω(∂uϕ n∂ν −u ∂ϕ )ndσ+F n (t).∂ν(5.21)Si tratta ora <strong>di</strong> imporre con<strong>di</strong>zioni adatte su ϕ n <strong>per</strong> portare a termine <strong>il</strong>nostro programma. Dato che le ϕ n sono autofunzioni, si ha <strong>per</strong> opportuniλ n ∈ R∆ ϕ n = −λ n ϕ n , x ∈ Ω, (5.22)e la (5.21) si riduce a∫∫α ′ n(t) = −Dλ n u(x,t)ϕ n (x)dx+DΩ∫= −Dλ n α n (t)+D∂Ω∂Ω(∂uϕ n∂ν −u ∂ϕ )ndσ+F n (t)∂ν(∂uϕ n∂ν −u ∂ϕ )ndσ+F n (t).∂ν(5.23)Questa uguaglianza sarebbe una e.d.o. nell’incognita α n , se non fosse <strong>per</strong>l’integrale <strong>di</strong> frontiera, che appare non esprimib<strong>il</strong>e in modo semplice intermini della stessa incognita. Però abbiamo ancora un grado <strong>di</strong> libertànella scelta <strong>di</strong> ϕ n , ossia le con<strong>di</strong>zioni al bordo.Si noti che in realtà nell’integrale su ∂Ω contenuto nella (5.23), si haϕ n∂u∂ν ≡ 0,<strong>per</strong> la (5.19). Quin<strong>di</strong> <strong>per</strong> annullare l’integrale basterà assumere∂ϕ n(x) = 0, x ∈ ∂Ω, (5.24)∂νossia che ϕ n sia un’autofunzione del problema <strong>di</strong> Neumann. Siamo arrivatialla e.d.o.α ′ n(t) = −Dλ n α n (t)+F n (t). (5.25)La determinazione <strong>di</strong> α n risulta completa quando ricor<strong>di</strong>amo che devevalere la (5.20), <strong>per</strong> cui si avrà∫α n (0) = u 0 (x)ϕ n (x)dx. (5.26)ΩI problemi <strong>di</strong>Cauchy (5.25)–(5.26) in<strong>di</strong>viduano i coefficienti della seriecherappresenta u, e quin<strong>di</strong> concludono, salvo la loro effettiva risoluzione, <strong>il</strong>nostro metodo.Resta tuttavia una <strong>di</strong>fficoltà piuttosto sott<strong>il</strong>e, ma essenziale: gli argomentisvolti sopra <strong>di</strong>mostrano (con l’intesa che alcuni passaggi sarebbero ancorada rendere rigorosi) che la serie in (5.15) è una soluzione, se valgono(5.25)–(5.26). Non è invece chiaro che ogni soluzione possa essere rappresentatacome in (5.15). Considerando con attenzione la cosa, si vede


5.3. SVILUPPI IN SERIE DI AUTOFUNZIONI 51che questa <strong>di</strong>fficoltà in realtà si presenta già al tempo iniziale: abbiamoassunto sopra che valgau 0 (x) =∞∑ α n (0)ϕ n (x), (5.27)n=1<strong>per</strong> un’opportuna successione {α n (0)} (che <strong>di</strong> fatto deve allora sod<strong>di</strong>sfarela (5.26)). Quest’ipotesi è in genere falsa se non si fanno ipotesi ulteriorisulla successione <strong>di</strong> autofunzioni {ϕ n }.Come vedremo nel Capitolo 7 bisognerà richiedere che la {ϕ n } costituiscaun sistema ortonormale completo.Osservazione 5.14. Qualora la (5.19) venga sostituita dalla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>Dirichletu(x,t) = 0, x ∈ ∂Ω,t > 0, (5.28)con calcoli in tutto analoghi ai precedenti si vede che occorre sostituire incorrispondenza la (5.24) con laϕ n (x) = 0, x ∈ ∂Ω. (5.29)In altri termini, la corretta con<strong>di</strong>zione al bordo <strong>per</strong> ϕ n coincide con quella<strong>per</strong> u, <strong>il</strong> che è del resto naturale, in vista della (5.15). Si veda a questoproposito anche la Sezione 9.3.□


CAPITOLO 6Stime dell’energiaIlmetododell’energiaconsisteneltrovarestime<strong>di</strong>integraliincuiappaiono la soluzione dell’e.d.p., e le sue derivate prime. È cosìchiamato <strong>per</strong>ché tali integrali possono essere interpretati, da unpunto <strong>di</strong> vista modellistico, come misure dell’energia possedutadal sistema fisico modellato.La tecnica che useremo <strong>per</strong> ottenere queste stime, in sostanza, siriduce a moltiplicare la e.d.p. <strong>per</strong> la soluzione medesima (o <strong>per</strong>una sua derivata), e integrare <strong>per</strong> parti.6.1. Equazione delle ondeConsideriamo funzioni z che sod<strong>di</strong>sfinoz tt −c 2 ∆z = 0, in Q T . (6.1)Teorema 6.1. Sia z una soluzione <strong>di</strong> (6.1), e sod<strong>di</strong>sfiVale alloraz(x,t) ∂z (x,t) = 0, (x,t) ∈ ∂Ω×(0,T). (6.2)∂ν∫Ωz(x,t) 2 dx ≤ e T2 { ∫Ω∫z(x,0) 2 dx+Ωz t (x,0) 2 dx}, (6.3)<strong>per</strong> ogni 0 ≤ t ≤ T.Dimostrazione. Fissiamo ¯t ∈ (0,T). Introduciamo la funzioneZ(x,t) =∫¯ttz(x, τ)dτ,53(x,t) ∈ Q¯t.


54 DANIELE ANDREUCCIMoltiplichiamo la (6.1) <strong>per</strong> Z e integriamo <strong>per</strong> parti su Ω × (0,¯t). Siottiene, osservando anche che Z t = −z,0 =∫¯t ∫0∫=tΩΩ[Zz tt −c 2 Z ∆z]dxdt[Z(x,t)zt (x,t) ] ∫¯tt=¯tt=0 dx+∫¯t−c 20∫¯t+c 20∫∂Ω∫Ω0∫Ω[Z(x,t)∂z∂ν (x,t)] dσdt[∫ ¯tt∇z(x, τ)dτOsserviamo ora che Z(x,¯t) = 0, e che[∫ ¯t ]∇z(x, τ)dτ ·∇z(x,t) = − 1 ∂2 ∂t∣Dunque∫0 = −Ω∫¯t−c 20Z(x,0)z t (x,0)dx+ 1 2∫∂Ω=: −J 0 (¯t)+ 1 2∫Ω]z(x,t)z t (x,t)dxdt·∇z(x,t)dxdτ.∫¯tz(x,¯t) 2 dx− 1 2[Z(x,t)∂z∂ν (x,t)] dσdt+ 1 2 c2 ∫∫Ωz(x,¯t) 2 dx− 1 2∫ΩtΩ∇z(x, τ)dτ∣∣∫¯t0∫Ω2.z(x,0) 2 dx∇z(x, τ)dτ∣z(x,0) 2 dx− J 1 (¯t)+ J 2 (¯t).Vale J 2 (¯t) ≥ 0, e, sotto le nostre ipotesi, J 1 (¯t) = 0. Segue, <strong>per</strong> le osservazioni7.5 e 7.6, che∫ ∫z(x,¯t) 2 dx ≤ z(x,0) 2 dx+2J 0 (¯t)ΩΩ∫≤Ω∫≤Ω∫z(x,0) 2 dx+Ω∫z(x,0) 2 dx+∫¯t=: K 0 + ¯t0∫ΩΩ∫z t (x,0) 2 dx+Ω∫z t (x,0) 2 dx+ ¯tz(x, τ) 2 dxdτ.Ω[∫ ¯t0∫¯t02dxz(x, τ)dτ] 2dxz(x, τ) 2 dτdx(6.4)


Dato che ¯t ∈ (0,T) è arbitrario, ponendola (6.4) implica la6.1. EQUAZIONE DELLE ONDE 55y(t) =∫ t ∫0Ωz(x, τ) 2 dxdτ,y ′ (t) ≤ K 0 +Ty(t), 0 < t < T,che come è noto (<strong>per</strong> esempio integrando <strong>per</strong> separazione delle variab<strong>il</strong>i,e supponendo senza <strong>per</strong><strong>di</strong>ta <strong>di</strong> generalità K 0 > 0) <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> ricavaree dunqueln K 0+Ty(t)K 0≤ Tt,K 0 +Ty(t) ≤ K 0 e T2 0 < t < T. (6.5)Usando la (6.5) nella (6.4) si ottiene infine la (6.3). □Teorema 6.2. Sia z come nel Teorema 6.1. Vale allora∫ ∫1z t (x,t) 2 dx+ c2|∇z|(x,t) 2 dx =2 2Ω<strong>per</strong> ogni 0 ≤ t ≤ T.Ω∫12Ωz t (x,0) 2 dx+ c22∫Ω|∇z|(x,0) 2 dx. (6.6)Dimostrazione. Moltiplichiamo la (6.1) <strong>per</strong> z t e integriamo <strong>per</strong> parti suQ t . Si ottiene0 =∫ t ∫0= 1 2= 1 2Ω∫Ω∫t+c 2∫Ω[z τ z ττ −c 2 z τ ∆z]dxdτ[zt (x, τ) 2] ∫tτ=tτ=0 dx−c20∫t−c 2∫Ω0∫∂Ω∂ (∇z)(x, τ)·∇z(x, τ)dxdτ∂τ[zt (x, τ) 2] τ=t c2dx+τ=0 20∫∂Ω∫Ω[zτ (x, τ) ∂z∂ν (x, τ)] dσdτ.Da qui e dall’ipotesi (6.2) segue la tesi.[zτ (x, τ) ∂z∂ν (x, τ)] dσdτ[|∇z(x, τ)|2 ] τ=tτ=0 dxOsservazione 6.3. Le <strong>di</strong>mostrazioni in questo paragrafo suppongono chez ∈ C 2 (Q T ). Questa ipotesi <strong>di</strong> regolarità può essere indebolita con latecnica usata nella <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 6.5. □□


56 DANIELE ANDREUCCI6.1.1. Applicazioni ai problemi al contorno.Teorema 6.4. (Unicità) Siano u 1 , u 2 ∈ C 2 (Q T )∩C 1 (Q T ) entrambe soluzioni<strong>di</strong> PN O , o entrambe soluzioni <strong>di</strong> PD O . Allora u 1 = u 2 .Dimostrazione. Poniamo z = u 1 −u 2 , e applichiamo a z <strong>il</strong> Teorema 6.1.Si ottiene ∫z(x,t) 2 dx ≤ 0,<strong>per</strong> ogni 0 ≤ t ≤ T, e dunque z = 0 in tutto Q T .Cosideriamo soluzioni <strong>di</strong>Ω6.2. Stime <strong>per</strong> l’equazione del calorez t −D ∆z = 0, in Q T . (6.7)Teorema 6.5. Sia z una soluzione <strong>di</strong> (6.7), tale che valga (6.2). Assumiamo laregolarità z ∈ C 2,1 (Q ∗ T )∩C(Q T), e z ∈ C 1( Ω×(0,T] ) .Allora vale <strong>per</strong> ogni 0 ≤ t ≤ T,∫ ∫∫1z(x,t) 2 dx+D |∇z(x, τ)| 2 dxdτ = 1 ∫z(x,0) 2 dx. (6.8)22Ω Q t ΩDimostrazione. Per motivi <strong>di</strong> regolarità (cioè <strong>per</strong> essere sicuri che tuttigli integrali siano definiti) proce<strong>di</strong>amo approssimando Q t con dei c<strong>il</strong>indricontenuti nell’interno parabolico, ossia conQ ε,θt = Ω ε ×(θ,t),ove ε, θ > 0 sono abbastanza piccoli, e Ω ε è un’approssimazione <strong>di</strong> Ωdall’interno, ossiaΩ ε = {x ∈ Ω | <strong>di</strong>st(x, ∂Ω) > ε}.Moltiplichiamo (6.7) <strong>per</strong> z e integriamo <strong>per</strong> parti in Q ε,θt∫∫0 = [zz τ −zD ∆z]dxdτ = 1 ∫z(x,t) 2 dx− 1 ∫2 2Ω εQ ε,θt∫ t+θ∫∂Ω εz(x, τ)D ∂z∂ν (x, τ)dσdτ+D ∫∫Q ε,θtΩ εz(x, θ) 2 dx|∇z(x, τ)| 2 dxdτ.Man<strong>di</strong>amo ora ε → 0, ottenendo, visto che z e ∇z sono continue fino sulbordo laterale <strong>di</strong> Q T , almeno <strong>per</strong> t > 0,∫12Ω∫ tz(x,t) 2 dx+D= 1 2∫Ωθ∫Ω∫ tz(x, θ) 2 dx−θ|∇z(x, τ)| 2 dxdτ∫∂Ωz(x, τ)D ∂z∂ν (x, τ)dσdτ = 1 ∫z(x, θ) 2 dx,2Ω□•


6.2. STIME PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 57ove si è usata anche la (6.2).Infine, ricordando che z è continua nella chiusura <strong>di</strong> Q T si può prendereθ → 0 e ottenere la tesi (6.8).□6.2.1. Applicazioni ai problemi al contorno.Teorema 6.6. (Unicità) Siano u 1 e u 2 nella stessa classe <strong>di</strong> regolarità <strong>di</strong> z nelTeorema 6.5, e siano entrambe soluzioni <strong>di</strong> PN C , o entrambe soluzioni <strong>di</strong> PD C .Allora u 1 = u 2 .Dimostrazione. Se u 1 , u 2 sono due soluzioni, allora z = u 1 −u 2 sod<strong>di</strong>sfale ipotesi del Teorema 6.5, con z(x,0) ≡ 0. Ne segue che∫z(x,t) 2 dx = 0, <strong>per</strong> ogni 0 < t ≤ T,provando così che z ≡ 0 in Q T .ΩSi intende nel Teorema 6.6 che i dati iniziali e al contorno <strong>per</strong> le due u isiano i medesimi. Ammettendo che i dati iniziali possano essere <strong>di</strong>versi,si haTeorema 6.7. (Dipendenza continua dai dati) Siano u 1 e u 2 come nelTeorema 6.6, ove si ammette che i dati iniziali u 01 e u 02 possano <strong>di</strong>fferire. Allora∫∫|u 1 (x,t)−u 2 (x,t)| 2 dx ≤ |u 01 (x)−u 02 (x)| 2 dx, 0 < t ≤ T. (6.9)ΩΩDimostrazione. La (6.9) è una conseguenza imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> Teorema 6.5.□Osservazione 6.8. Con riferimento alla Sezione 2.6 delCapitolo 2, nel precedenterisultato <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza continua la <strong>di</strong>stanza tra soluzioni, e dati,è quella definita dagli integrali in (6.9).□6.2.2. Il caso <strong>di</strong> equazioni con sorgente non nulla. Consideriamo <strong>il</strong> casoin cui l’equazione contenga un termine noto <strong>di</strong>verso da zero, cioè <strong>il</strong> casoin cui (6.7) sia sostituita daValez t −D ∆z = F(x,t), in Q T . (6.10)Teorema 6.9. Sia z regolare come in Teorema 6.5, soluzione della (6.10), ove siassume che F sia integrab<strong>il</strong>e e limitata in Q T . Supponiamo anche che z sod<strong>di</strong>sfi lacon<strong>di</strong>zione (6.2).Vale allora <strong>per</strong> ogni 0 ≤ t ≤ T∫Ωz(x,t) 2 dx ≤ e t { ∫Ω∫ tz(x,0) 2 dx+0∫ΩF(x, τ) 2 dxdτ}□. (6.11)•


58 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Possiamo limitarci al caso in cui z ∈ C 2,1 (Q T ); nel casogenerale si ragiona come nella <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 6.5.Moltiplichiamo la (6.10) <strong>per</strong> z, e proce<strong>di</strong>amo come nel Teorema 6.5. Siottiene∫12Ω∫∫z(x,t) 2 dx+DQ t|∇z(x, τ)| 2 dxdτ= 1 2∫Ω∫ tz(x,0) 2 dx+da cui, applicando la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Cauchy-Schwarz0∫ΩF(x, τ)z(x, τ)dxdτ,si haFz ≤ F22 + z22 ,∫∫z(x,t) 2 dx ≤∫ tz(x,0) 2 dx+∫F(x, τ) 2 dxdτΩΩ0Ω∫ t+∫z(x, τ) 2 dxdτ. (6.12)0ΩDefinendola (6.12) implica lay(t) =∫ t ∫0 Ωz(x, τ) 2 dxdτ,ovey ′ (t) ≤ K 0 +y(t), 0 < t < T,∫K 0 = z(x,0) 2 dx+Ω∫ T ∫0ΩF(x, τ) 2 dxdτ.Ragionando come nella <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 6.1, si arriva aK 0 +y(t) ≤ K 0 e T 0 < t < T. (6.13)Sostituendola (6.13) nella (6.12) siottieneinfine la (6.11). Infatti<strong>il</strong> secondoestremo T nell’integrale <strong>di</strong> F 2 può in realtà, nella <strong>di</strong>mostrazione, esserefissato ad arbitrio, <strong>per</strong> esempio uguale a ¯t, ragionando <strong>per</strong> 0 < t < ¯t. Inquesto modo si <strong>per</strong>viene alla (6.11) scritta <strong>per</strong> t = ¯t, da cui appunto la tesi<strong>per</strong> l’arbitrarietà <strong>di</strong> ¯t.□•


Consideriamo soluzioni <strong>di</strong>6.4. COMMENTI E GENERALIZZAZIONI 596.3. Stime <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace∆z = 0, in Ω. (6.14)Teorema 6.10. Sia z una soluzione <strong>di</strong> (6.14). Vale allora∫ ∫|∇z(x)| 2 dx = z ∂z dσ. (6.15)∂νΩDimostrazione. Un’applicazione del teorema della <strong>di</strong>vergenza dà∫ ∫ ∫0 = z ∆zdx = − |∇z| 2 dx+ z ∂∂ν zdσ,da cui la tesi.Segue subitoΩCorollario 6.11. Sia z come in Teorema 6.10, e si abbia ancheVale alloraΩ∂Ω6.3.1. Applicazioni ai problemi al contorno.∂Ωz(x) ∂z (x) = 0, x ∈ ∂Ω. (6.16)∂ν∫Ω|∇z(x)| 2 dx = 0. (6.17)Teorema 6.12. (Unicità) Siano u 1 , u 2 entrambe soluzioni <strong>di</strong> PN L . Allorau 1 −u 2 è costante in Ω.Se sono invece entrambe soluzioni <strong>di</strong> PD L , allora u 1 = u 2 .Dimostrazione. Si applica <strong>il</strong> Corollario 6.11, e si ottiene∫|∇(u 1 −u 2 )| 2 dx = 0,Ωossia che ∇(u 1 −u 2 ) ≡ 0 in Ω, da cui u 1 −u 2 costante in Ω, essendo Ωconnesso.Nelcasoche u 1 e u 2 risolvano <strong>il</strong>problema<strong>di</strong>Neumann,nonpossiamo<strong>di</strong>re<strong>di</strong> più. Se tuttavia u 1 e u 2 risolvono <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Dirichlet, allora u 1 −u 2si annulla sulla frontiera ∂Ω, e quin<strong>di</strong> deve essere nulla in tutto Ω. □6.4. Commenti e generalizzazioniOsservazione 6.13. Le (6.6), (6.8) e (6.15) sono tutte uguaglianze, comeanche la (6.17). Tuttavia, in situazioni appena più generali, l’applicazionedelle idee usate sopra conduce in effetti a <strong>di</strong>suguaglianze.Per esempio, se z ≥ 0 risolvez t −D ∆z ≤ 0,□•


60 DANIELE ANDREUCCIsi può vedere che la (6.8) continua a valere in una versione ove <strong>il</strong> segno<strong>di</strong> uguaglianza è sostituito da ≤. La stessa cosa si può <strong>di</strong>re se z è unasoluzione <strong>di</strong> (6.7), con con<strong>di</strong>zioni al bordoD ∂z (x,t) = −αz(x,t), (x,t) ∈ ∂Ω×(0,T), (6.18)∂νcon α > 0 (con<strong>di</strong>zioni al contorno del terzo tipo, o <strong>di</strong> Robin). □Esercizio 6.14. Spesso si cercano, nel caso <strong>di</strong> problemi evolutivi, stimein<strong>di</strong>pendenti dal tempo. Si <strong>di</strong>mostri che la (6.8) conduce a∫ ∫∫sup z(x,t) 2 dx+D |∇z(x,t)| 2 dxdt ≤ 3 ∫z(x,0) 2 dx.0≤t≤T2Q TΩOsservazione 6.15. Altreapplicazioni delmetododell’energiasonoaccennatenel Capitolo 18; ve<strong>di</strong> anche la Sottosezione 11.3.1. □Ω□


CAPITOLO 7Sistemi ortonormaliIntroduciamo la teoria dei sistemi ortonormali che ci è necessaria<strong>per</strong> le applicazioni alle e.d.p..Questo viene fatto nell’ambito <strong>di</strong> un opportuno spazio vettorialeicuielementisonofunzioni, piuttostochepunti<strong>di</strong> R N ; l’analogiacon gli spazi vettoriali elementari è comunque notevole, anche senon completa.Notazione 7.1. In questo capitolo le funzioni, salvo <strong>di</strong>verso avviso, sonosempre assunte essere in L 2 (I) (ve<strong>di</strong> Sezione A.3). Identificheremo duefunzioni f e g uguali quasi ovunque, ossia tali che∫|f(x)−g(x)| 2 dx = 0.I7.1. Prodotto scalare <strong>di</strong> funzioniDefinizione 7.2. Il prodotto scalare <strong>di</strong> due funzioni f e g è definito da∫(f,g) = f(x)g(x)dx.La norma <strong>di</strong> una funzione f è‖f‖ =I√(f, f) =( ∫If(x) 2 dx) 1/2.□Questa norma si <strong>di</strong>ce anche la norma <strong>di</strong> f in L 2 (I), o norma L 2 <strong>di</strong> f (ve<strong>di</strong>Appen<strong>di</strong>ce A).Infine si definisce <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> f e g la quantità‖f −g‖ =( ∫I|f(x)−g(x)| 2 dx) 1/2.Il prodottoscalare godedelle elementariproprietàdel prodottoscalare travettori:(f,g) = (g, f)(simmetria),(c 1 f 1 +c 2 f 2 ,g) = c 1 (f 1 ,g) +c 2 (f 2 ,g) (linearità),(f, f) ≥ 0, e (f, f) = 0 ⇔ f ≡ 0Qui le c i sono costanti reali.61(positività).□


62 DANIELE ANDREUCCIOsservazione 7.3. L’implicazione presente nella proprietà <strong>di</strong> positività vaintesa nel senso dell’identificazione spiegata nelle osservazioni all’iniziodel Capitolo.□Due proprietà ancora elementari, ma che richiedono una <strong>di</strong>mostrazione,sono contenute nel seguente lemma.Lemma 7.4. Valgono la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Cauchy-Schwarze la <strong>di</strong>suguaglianza triangolare|(f,g)| ≤ ‖f‖‖g‖, (7.1)‖f +g‖ ≤ ‖f‖+‖g‖. (7.2)Dimostrazione. La <strong>di</strong>mostrazione usa solo le proprietà elementari vistesopra. Per <strong>di</strong>mostrareentrambe le <strong>di</strong>suguaglianze possiamo assumerechesia f che g non siano identicamente nulle, altrimenti la tesi è ovvia.Anzitutto si ha0 ≤ (f −g, f −g) = ‖f‖ 2 −2(f,g) +‖g‖ 2 , (7.3)da cui|(f,g)| ≤ 1 2(‖f‖ 2 +‖g‖ 2) (7.4)(<strong>per</strong> ottenere <strong>il</strong> valore assoluto cambiare f in −f). Applichiamo questa<strong>di</strong>suguaglianza a f/‖f‖, g/‖g‖, ottenendo( ∥∥∥∥1‖f‖‖g‖ |(f,g)| ≤ 1 f22 ‖f‖ ∥ +g) 2 ∥‖g‖∥ = 1+1 = 1;2la (7.1) segue subito.Poi si ha, usando (7.1),‖f +g‖ 2 = (f +g, f +g) = ‖f‖ 2 +2(f,g) +‖g‖ 2≤ ‖f‖ 2 +2‖f‖‖g‖+‖g‖ 2 =(‖f‖+‖g‖) 2,ossia la (7.2).□Osservazione 7.5. Per le definizioni <strong>di</strong> norma e prodotto scalare, la <strong>di</strong>suguaglianza(7.1) coincide con∫( )1 ∫ 2( ∫ 2 f(x)g(x)dx∣ ∣ ≤ f(x) 2 dx g(x) dx)1 2 . (7.5)II IIn particolare, se I è limitato,∫I|f(x)|dx ≤ ( misura(I) )1 2( ∫If(x) 2 dx)12. (7.6)□


7.1. PRODOTTO SCALARE DI FUNZIONI 63Osservazione 7.6. L’idea (7.3) è esattamente la stessa che si applica <strong>per</strong><strong>di</strong>mostrare la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Cauchy-Schwarz <strong>per</strong> numeri reali α, β:che implica<strong>per</strong> ogni α, β ∈ R e ε > 0.0 ≤ (α− β) 2 = α 2 −2αβ+β 2 , (7.7)αβ = √ εα× β √ ε≤ ε α22 + β22ε , (7.8)□Corollario 7.7. Vale∣∣‖f‖−‖g‖ ∣ ≤ ‖f −g‖. (7.9)Dimostrazione. Usando la (7.2)‖f‖ ≤ ‖f −g‖+‖g‖,‖g‖ ≤ ‖f −g‖+‖f‖,da cuiossia la (7.9).−‖f −g‖ ≤ ‖f‖−‖g‖ ≤ ‖f −g‖,□Seguesubitochela convergenzain L 2 implica la convergenzadellenorme:Corollario 7.8. Se valeallora vale anchelim ‖f n − f‖ = 0, (7.10)n→∞lim ‖f n‖ = ‖f‖.n→∞Dimostrazione. Basta osservare che, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Corollario 7.7,∣∣‖f n ‖−‖f‖ ∣ ≤ ‖f n − f‖.Un’altra osservazione importante è data dal seguenteCorollario 7.9. Se vale f n → f in L 2 (I), cioè se vale la (7.10), allora vale anchelim (f n,g) = (f,g),n→∞<strong>per</strong> ogni g ∈ L 2 (I). In particolare, se la serie ∑F n converge in L 2 (I), alloraDimostrazione. Infatti( ∞ ) ∞∑ F n ,g = ∑ (F n ,g).n=1 n=1|(f n ,g) −(f,g)| = |(f n − f,g)| ≤ ‖f n − f‖‖g‖ → 0.□□


64 DANIELE ANDREUCCI7.2. Funzioni ortogonali. Sistemi ortonormaliDefinizione 7.10. Due funzioni f e g si <strong>di</strong>cono ortogonali se∫(f,g) = f(x)g(x)dx = 0.Proposizione 7.11. Se le funzioniI{f 1 ,... , f n }sono ortogonali, e se ciascuna è non nulla, allora sono anche linearmente in<strong>di</strong>pendenti.Dimostrazione. Se valen∑c i f i = 0, c i ∈ R,i=1segue, moltiplicando <strong>per</strong> f j , j ∈ {1,... ,n} fissato,n0 = ∑c i (f i , f j ) = c j (f j , f j ) = c j ‖f j ‖ 2 .i=1Dato che f j ̸= 0 <strong>per</strong> ipotesi, segue che c j = 0, <strong>per</strong> ogni j ∈ {1,... ,n}. □Corollario 7.12. Lo spazio L 2 (I) ha <strong>di</strong>mensione infinita come spazio vettoriale.Dimostrazione. Per semplicità svolgiamo la <strong>di</strong>mostrazione solo nel casoN = 1. Non è poi restrittivo considerare solo <strong>il</strong> caso in cui I è limitato.Infine, ci possiamo sempre ricondurre al caso in cui I = (−π, π), conopportune trasformazioni lineari affini <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate. Si consideri allorala successione f n (x) = cos(nx), <strong>per</strong> n ≥ 1. Si verifica subito che questasuccessioneèortogonale;quin<strong>di</strong> costituisce un sistemainfinito <strong>di</strong> funzion<strong>il</strong>inearmente in<strong>di</strong>pendenti, <strong>per</strong> la Proposizione 7.11. □Definizione 7.13. Una successione (finita o infinita) {ϕ n } <strong>di</strong> funzioni si<strong>di</strong>ce un sistema ortonormale se <strong>per</strong> ogni scelta <strong>di</strong> n e m vale{0, n ̸= m,(ϕ n , ϕ m ) =(7.11)1, n = m.La seguente Proposizione è in un certo senso un’inversa della Proposizione7.11.Proposizione 7.14. (Gram-Schmidt) Sia V ⊂ L 2 (I) generato da una successione(finita o no) <strong>di</strong> funzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti {f n }. Allora V è anchegenerato dal sistema ortonormale {ϕ n } (conlostesso numero<strong>di</strong> elementi <strong>di</strong> {f n })definito daoveψ 1 = f 1 ,ϕ n = ψ n, n ≥ 1, (7.12)‖ψ n ‖n−1ψ n = f n −∑i=1□□(f n , ϕ i )ϕ i , n ≥ 2. (7.13)


7.3. APPROSSIMAZIONE DI FUNZIONI CON SISTEMI ORTONORMALI 65Dimostrazione. A) Dato che ciascun ψ n è definito come combinazionelineare a coefficienti non tutti nulli delle f i , non può essere 0, e quind<strong>il</strong>e ϕ n sono ben definite (e in numero uguale alle f n <strong>per</strong> costruzione).L’ortonormalità del sistema {ϕ n } si verifica subito in modo <strong>di</strong>retto.B) Sia U <strong>il</strong> sottospazio <strong>di</strong> L 2 (I) generato dai ϕ n . Dato che ciascun ϕ n ècombinazione linearedelle f i ,risultaovviocheU ⊂ V. Viceversa,ciascunaf k risulta combinazione lineare delle ϕ 1 , ..., ϕ k , <strong>per</strong> la (7.13), e quin<strong>di</strong> valeanche V ⊂ U.□Ilproce<strong>di</strong>mentocheconducedall’assegnatasuccessione{f n }alsistemaortonormale{ϕ n } si <strong>di</strong>ce proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ortonormalizzazione <strong>di</strong> Gram-Schmidt.Esempio 7.15. (Polinomi <strong>di</strong> Legendre) Applicando <strong>il</strong> proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>Gram-Schmidt alla successione{x n } ∞ n=0in (−1,1) si ottiene la successionedei polinomi <strong>di</strong> Legendre1P n (x) = √2 n n!n+ 1 2d ndx n(x2 −1) n , n = 0,1,2,3,... . (7.14)□7.3. Approssimazione <strong>di</strong> funzioni con sistemi ortonormaliSia {ϕ n } ∞ n=1un sistema ortonormale. Fissiamo una funzione f. Per ogniassegnato k > 0 naturale, vogliamo trovare la migliore approssimazione<strong>di</strong> f con combinazioni lineari <strong>di</strong> ϕ 1 , ..., ϕ k . In altre parole, vogliamominimizzare la funzione∥ k ∥∥∥∥2 ∫k2Ψ(c 1 ,c 2 ,...,c k ) =∥ f − ∑ c n ϕ n =∣ f(x)− ∑ c n ϕ n (x)dx,∣n=1al variare dei parametri reali c n .Un calcolo esplicito, che usa (7.11), dàΨ(c 1 ,c 2 ,...,c k ) = ‖f‖ 2 −2Dunque <strong>il</strong> minimo <strong>di</strong> Ψ si ottiene <strong>per</strong>Ik∑n=1n=1c n (f, ϕ n ) +k∑n=1c 2 n. (7.15)c n = (f, ϕ n ), n = 1,...,k. (7.16)Definizione 7.16. La funzioneS k (x) =k∑ (f, ϕ n ) ϕ n (x), x ∈ I.n=1si <strong>di</strong>ce somma parziale <strong>di</strong> f relativa al sistema {ϕ n }.□Lo spazio L 2 (I) è uno spazio vettoriale; lo spazio delle combinazioni lineari<strong>di</strong> ϕ 1 , ..., ϕ k , è un suo sottospazio vettoriale V k . La funzione S k èquin<strong>di</strong> l’elemento <strong>di</strong> V k più vicino a f nel senso della <strong>di</strong>stanza tra funzionisopra definita. Per questo si chiama a volte la proiezione <strong>di</strong> f su V k .


66 DANIELE ANDREUCCIDato che <strong>per</strong> ogni k vale (<strong>per</strong> (7.15), (7.16))si ha0 ≤ (f −S k , f −S k ) = ‖f‖ 2 −k∑n=1(f, ϕ n ) 2 , (7.17)Lemma7.17. Laserie ∑(f, ϕ n ) 2 èconvergente,evalela<strong>di</strong>suguaglianza<strong>di</strong>Bessel∞∑ (f, ϕ n ) 2 ≤ ‖f‖ 2 . (7.18)n=1Proposizione 7.18. Se una stessa funzione f ∈ L 2 (I) ha due sv<strong>il</strong>uppi in serie∞∞f = ∑ α n ϕ n = ∑ β n ϕ n ,n=1 n=1allora α n = β n <strong>per</strong> ogni n ≥ 1.Dimostrazione. Segue dal Corollario 7.9:( ) (α k = ϕ k , α n ϕ n = ϕ k ,∞∑n=1∞∑n=1β n ϕ n)= β k .7.3.1. Convergenza <strong>di</strong> sistemi ortonormali. Sia {ϕ n } ∞ n=1un sistema ortonormale.Certo ϕ n non può convergere nel senso <strong>di</strong> L 2 (I) (ve<strong>di</strong> SottosezioneA.3.1), <strong>per</strong>ché altrimenti la successione ϕ n sarebbe <strong>di</strong> Cauchy nellanorma ‖·‖, mentre‖ϕ n − ϕ m ‖ 2 = (ϕ n , ϕ n ) −2(ϕ n , ϕ m ) +(ϕ m , ϕ m ) = 2 ̸→ 0.Invece, un qualunque sistema ortonormale infinito converge debolmente a zero: infatti<strong>per</strong> ogni f ∈ L 2 (I),∫f(x)ϕ n (x)dx∣ ∣ = |(f, ϕ n)| → 0;Il’ultima relazione <strong>di</strong> limite è un’ovvia conseguenza della <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Bessel. •7.4. Sistemi ortonormali completiDefinizione 7.19. Un sistema ortonormale si <strong>di</strong>ce completo se e solo se,<strong>per</strong> ogni f, valelim ‖f −S k‖ = 0. (7.19)k→∞La (7.19) si scrive in modo equivalente come∞f = ∑ (f, ϕ n )ϕ n . (7.20)n=1Talvolta si in<strong>di</strong>ca anche la <strong>di</strong>pendenza da x, fermo restando <strong>il</strong> fatto che laserie converge nel senso <strong>di</strong> L 2 (I), ossia nel senso in<strong>di</strong>cato da (7.19), e nonin quello puntuale:f(x) =∞∑ (f, ϕ n )ϕ n (x). (7.21)n=1□□


7.4. SISTEMI ORTONORMALI COMPLETI 67Esercizio 7.20. Si <strong>di</strong>mostri, usando la definizione, che ogni rior<strong>di</strong>namento<strong>di</strong> un sistema ortonormale completo è ancora completo.Per rior<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> {ϕ n } inten<strong>di</strong>amo una successione {ϕ k(n) }, ove k :N → N è biunivoca.□Osservazione 7.21. Dall’Esercizio 7.20 segueche la seriein (7.20) convergea f comunque la si rior<strong>di</strong>ni.□Dalla (7.17) segue subitoProposizione 7.22. Il sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1è completo se e solo se <strong>per</strong>ogni f vale l’identità <strong>di</strong> Parseval‖f‖ 2 =∞∑ (f, ϕ n ) 2 . (7.22)n=1Questa Proposizione è l’analogo, nello spazio delle funzioni, del teorema<strong>di</strong> Pitagora.Diamo altri criteri <strong>di</strong> completezza <strong>di</strong> un sistema ortonormale.Corollario 7.23. A) Se <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1è completo, e se(f, ϕ n ) = (g, ϕ n )<strong>per</strong> ogni n ≥ 1, allora f = g.B) Viceversa, assegnato <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1 , se(f, ϕ n ) = (g, ϕ n ), <strong>per</strong> ogni n ≥ 1 =⇒ f = g,allora <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1 è completo.Dimostrazione. A) Si ha infatti, se {ϕ n } ∞ n=1 è completo,‖f −g‖ 2 =B) Per f fissata ad arbitrio, definiamo∞∑ (f −g, ϕ n ) 2 ∞ [2= ∑ (f, ϕ n ) −(g, ϕ n )]= 0.n=1 n=1g =∞∑(f, ϕ i )ϕ i .i=1È chiaro che, <strong>per</strong> l’ortonormalità del sistema,Quin<strong>di</strong> <strong>per</strong> l’ipotesiossia vale la (7.19).(g, ϕ n ) =∞∑(f, ϕ i )(ϕ i , ϕ n ) = (f, ϕ n ).i=1f = g =∞∑(f, ϕ i )ϕ i ,i=1□Questo risultato si può mettere in forma un po’ <strong>di</strong>versa: basta controllare<strong>il</strong> caso g = 0.


68 DANIELE ANDREUCCICorollario 7.24. A) Se <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1è completo, e se(f, ϕ n ) = 0<strong>per</strong> ogni n ≥ 1, allora f = 0.B) Viceversa, assegnato <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1 , se(f, ϕ n ) = 0, <strong>per</strong> ogni n ≥ 1 =⇒ f = 0,allora <strong>il</strong> sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1 è completo.Dimostrazione. A) Segue subito dalla prima parte del Corollario 7.23,ponendovi g = 0.B) Scegliamo g 1 e g 2 ad arbitrio, e poniamo f = g 1 −g 2 . Assumiamo chevalga (g 1 , ϕ n ) = (g 2 , ϕ n ) <strong>per</strong> ogni n ≥ 1. Allora (f, ϕ n ) = 0 <strong>per</strong> ognin ≥ 1, e <strong>per</strong> l’ipotesi del presenteenunciato, deve valere f = 0. Ma questoimplica che g 1 = g 2 , e quin<strong>di</strong> abbiamo verificato le ipotesi della secondaparte del Corollario 7.23. Ne segue che <strong>il</strong> sistema {ϕ n } ∞ n=1 è completo. □Corollario 7.25. Il sistema ortonormale {ϕ n } ∞ n=1è completo se esolo se <strong>per</strong> ognif, g vale l’identità∞(f,g) = ∑ (f, ϕ n )(g, ϕ n ). (7.23)n=1Dimostrazione. La (7.23) implica subito la (7.22), e dunque la completezzadel sistema, <strong>per</strong> la Proposizione 7.22. Se viceversa vale la (7.22), siha4(f,g) = (f +g, f +g)−(f −g, f −g) =∞ {∑ (f +g, ϕn ) 2 −(f −g, ϕ n ) 2}n=1= 4∞∑n=1(f, ϕ n )(g, ϕ n ).Osservazione 7.26. Nella parte B) della <strong>di</strong>mostrazione del Corollario 7.23 abbiamo usato<strong>il</strong> fatto che <strong>per</strong> un qualunque sistema ortonormale, anche non completo, la serie∞∑ (f, ϕ n ) ϕ nn=1ha comunque un limite in L 2 (I) (ve<strong>di</strong> Sottosezione A.3.1). Stante la completezza dellospazio L 2 (I), basta <strong>di</strong>mostrareche la successione delle ridotte è <strong>di</strong> Cauchy in L 2 (I). Infatti<strong>per</strong> k > h:‖S k −S h ‖ 2 =∥k∑n=h+1(f, ϕ n ) ϕ n∥ ∥∥∥∥ 2=k∑ (f, ϕ n ) 2 → 0,n=h+1se h → ∞, <strong>per</strong> la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Bessel. Il sistema ϕ n è completo se questo limite èproprio f.□□


CAPITOLO 8Serie <strong>di</strong> Fourier in N = 1Definiamo i sistemi ortonormali completi in intervalli <strong>di</strong> R (o <strong>di</strong>R N ) che più usiamo nelle applicazioni. Si tratta <strong>di</strong> successioni <strong>di</strong>funzioni goniometriche.Dimostriamo poi che più la funzione approssimata è regolare,più è rapida la convergenza della serie <strong>di</strong> Fourier.Viceversa, <strong>per</strong> funzioni con <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> salto si presenta <strong>il</strong>fenomeno <strong>di</strong> Gibbs.8.1. Serie <strong>di</strong> Fourier in (−π, π)Consideriamo <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> funzioni in L 2 ((−π, π))1√2π,1√ πcos(x),1√ πsin(x),1√ πcos(2x), ... ,1√ πsin(2x), ... ,1√ πcos(nx), ...1√ πsin(nx), ...Questo è detto sistema <strong>di</strong> Fourier. È fac<strong>il</strong>e verificare con calcoli elementariche questo sistema è ortonormale, ossia che, scelte due funzioni ϕ e ψqualunque in esso, si ha(ϕ, ψ) = 1, se ϕ = ψ; (ϕ, ψ) = 0, se ϕ ̸= ψ.È più complesso <strong>di</strong>mostrare cheTeorema 8.1. Il sistema <strong>di</strong> Fourier è un sistema ortonormale completo.La <strong>di</strong>mostrazione verrà data nel Capitolo 16.Introduciamo <strong>il</strong> classico simbolismoove, <strong>per</strong> ogni n ≥ 1,a 0 = 12πS k (x) = a 0 +∫ π−πk∑n=1f(x)dx, a n = 1 πb n = 1 π∫ π−πa n cos(nx)+b n sin(nx), (8.1)∫ π−πf(x)sin(nx)dx.f(x)cos(nx)dx,Si noti che si pone S 0 (x) = a 0 . La S k coincide con l’analoga sommatoriaintrodotta sopra <strong>per</strong> sistemi ortonormali generali, a meno <strong>di</strong> una69


70 DANIELE ANDREUCCIridefinizione <strong>di</strong> k. In particolare‖f −S k ‖ = min{‖f − Σ k ‖ | Σ k ∈ F k}, (8.2)ove F k denota l’insieme <strong>di</strong> tutte le combinazioni lineari <strong>di</strong> 1 e <strong>di</strong> sin(nx),cos(nx), con 1 ≤ n ≤ k.8.2. Serie <strong>di</strong> soli seni o soli coseniPer la risoluzione <strong>di</strong> problemi al contorno <strong>per</strong> e.d.p. è importante averea <strong>di</strong>sposizione sistemi ortonormali che sod<strong>di</strong>sfano certe con<strong>di</strong>zioni negliestremi dell’intervallo ove sono definiti; ve<strong>di</strong> anche la Sezione 5.3. Daquesto punto <strong>di</strong> vista <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> Fourier non risulta comodo, <strong>per</strong>chèi suoi componenti non hanno un comportamento ben definito in questosenso.Consideriamo i due sistemi <strong>di</strong> funzioni in (0, π):C =S ={ 1{√}∪√ 2π}π cos(nx) | n ≥ 1 ,{ √ 2π sin(nx) | n ≥ 1 }.Un calcolo elementare mostra che ciascuno dei due sistemi è ortonormalein (0, π). Gli sv<strong>il</strong>uppi in serie relativi a C e a S sono, rispettivamente,e∞∑α 0 + α n cos(nx), α 0 = 1 πn=1∫ π0f(x)dx, α n = 2 π∫ π0f(x)cos(nx)dx,(8.3)∞∑ β n sin(nx), β n = 2 ∫ πf(x)sin(nx)dx. (8.4)πn=10Teorema 8.2. Ciascuno dei due sistemi ortonormali C e S è completo in (0, π).Dimostrazione. Basta svolgere le <strong>di</strong>mostrazioni <strong>per</strong> S, <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> C essendodel tutto analogo. Sia g : (0, π) → R. Esten<strong>di</strong>amola in modo <strong>di</strong>spari a(−π, π) (si noti che si può sempre assumere g(0) = 0, <strong>per</strong> le osservazioniall’inizio del Capitolo 7). Denotiamo con f questa estensione, e costruiamonela serie <strong>di</strong> Fourier, come visto nella Sezione 8.1. Essendo f <strong>di</strong>spari,i coefficienti a n relativi alla proiezione sui coseni sono tutti nulli. Per lostesso motivo, i coefficienti b n si calcolano comeb n = 1 π∫ π−πf(x)sin(nx)dx = 2 π∫ π0g(x)sin(nx)dx = β n ,ove β n , definito in (8.4), è proprio <strong>il</strong> coefficiente relativo all’n-esima funzione<strong>di</strong> S.


8.2. SERIE DI SOLI SENI O SOLI COSENI 71Dunque: le somme parziali ˜S k <strong>di</strong> g, relative a S, si riducono a quelle S k <strong>di</strong>f, relative al sistema <strong>di</strong> Fourier. Per cui∫ π|g(x)− ˜S k (x)| 2 dx =∫ π00∫ π|f(x)−S k (x)| 2 dx≤ |f(x)−S k (x)| 2 dx → 0, k → ∞.−πNe segue che S è completo in (0, π), in base alla Definizione 7.19.□Tutte le funzioni ϕ ∈ S sod<strong>di</strong>sfanomentre <strong>per</strong> tutte le ψ ∈ C valeϕ(0) = ϕ(π) = 0, (8.5)ψ ′ (0) = ψ ′ (π) = 0. (8.6)Con<strong>di</strong>zioni al bordo <strong>di</strong> tipo misto (ve<strong>di</strong> le (8.9), (8.10)) possono essereottenute considerando i due sistemi in L 2 ((0, π/2))˜C =˜S ={ 2√ cos ( (2n+1)x ) }| n ≥ 0 ,π{ 2√ sin ( (2n+1)x ) }| n ≥ 0 .πUn calcolo elementare mostra che ciascuno dei due sistemi è ortonormalein (0, π/2). Gli sv<strong>il</strong>uppi in serie relativi a ˜C e a ˜S sono, rispettivamente,e∞∑ ˜α n cos(2n+1)x, ˜α n = 4 ∫ π 2n=0π0∞∑˜β n sin(2n+1)x, ˜β n = 4 ∫ π 2n=0π0f(x)cos(2n+1)xdx, (8.7)f(x)sin(2n+1)xdx. (8.8)Teorema8.3. Ciascunodeiduesistemiortonormali ˜C e ˜S ècompletoin(0, π/2).Dimostrazione. Basta svolgere le <strong>di</strong>mostrazioni <strong>per</strong> ˜C, <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> ˜S essendodel tutto analogo. Sia g : (0, π/2) → R. Esten<strong>di</strong>amola a tutto (0, π)in modo <strong>di</strong>spari intorno a π/2. Denotiamo con f questa estensione, ecostruiamone la serie <strong>di</strong> soli coseni. Essendo f <strong>di</strong>spari intorno a π/2, <strong>il</strong>coefficiente α 0 si annulla. Per lo stesso motivo, i coefficienti α h , h ≥ 1, si


72 DANIELE ANDREUCCIcalcolano comeα h = 2 π= 2 π= 2 π= 2 π∫ π0∫ π 20∫ π 20∫ π 20f(x)cos(hx)dxf(x)cos(hx)dx+ 2 π∫ ππ2∫ πf(x)cos(hx)dxg(x)cos(hx)dx− 2 g(π−x)cos(hx)dxππ2g(x)cos(hx)dx− 2 π= [1−(−1) h ] 2 ππ∫20∫ π 2g(x)cos(hx)dx =0g(y)cos(hπ−hy)dy{0, h = 2n,˜α n , h = 2n+1.Dunque: le somme parziali ˜S k <strong>di</strong> g, relative a ˜C, si riducono a quelle S k <strong>di</strong>f, relative al sistema <strong>di</strong> coseni. Per cuiπ∫20|g(x)− ˜S k (x)| 2 dx =π∫20|f(x)−S k (x)| 2 dx≤∫ π0|f(x)−S k (x)| 2 dx → 0, k → ∞.Ne segue che ˜C è completo in (0, π/2), in base alla Definizione 7.19.Tutte le funzioni ϕ ∈ ˜S sod<strong>di</strong>sfanoϕ(0) = 0, ϕ ′( π2□)= 0, (8.9)mentre <strong>per</strong> tutte le ψ ∈ ˜C vale( πψ ′ (0) = 0, ψ = 0. (8.10)2)8.3. Altri intervalliSia (a,b) un qualunque intervallo limitato, e sia f in L 2 ((a,b)). Possiamoricondurci al caso <strong>di</strong> una funzione g definita su (c,d) me<strong>di</strong>antecambiamenti <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>e del tipo( ξ − β)ξ = αx+β, a < x < b, g(ξ) = f , c < ξ < d.αQui α e β sono costanti reali, date daα = d−cb−a , β = bc−adb−a .


8.4. SVILUPPI DI FUNZIONI REGOLARI 73La g ha uno sv<strong>il</strong>uppo in serie nel sistema ortonormale prescelto (nellavariab<strong>il</strong>e ξ), che dà luogo a uno sv<strong>il</strong>uppo <strong>per</strong> f quando vi si sostituiscaξ = αx+β. Sia {ϕ n } un sistema ortonormale in L 2 ((c,d)). Alloraψ n (x) = √ αϕ n (αx+β)è un sistema ortonormale in L 2 ((a,b)).Più in particolare si ha quanto segue.Riconducendusi al caso del sistema <strong>di</strong> Fourier in (−π, π) si ottiene <strong>il</strong>sistema ortonormale completo in (a,b):√1b−a , √2b−a cos( n(αx+β) ) ,Qui√2b−a sin( n(αx+β) ) , n ≥ 1.α = 2πb−a , β = −b+a b−a π.Il sistema <strong>di</strong> soli coseni in (0, π) dà luogo al sistema√ √1 2b−a , b−a cos( n(αx+β) ) , n ≥ 1,oveα = πb−a , β = − a π. (8.11)b−aNello stesso modo, <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> soli seni in (0, π) dà luogo a√2b−a sin( n(αx+β) ) , n ≥ 1,con α e β come in (8.11).Il sistema ˜C in (0, π/2) dà luogo al sistema√2b−a cos( (2n+1)(αx+β) ) , n ≥ 0,oveπα =2(b−a) , β = − aπ. (8.12)2(b−a)Nello stesso modo, <strong>il</strong> sistema ˜S in (0, π/2) dà luogo a√2b−a sin( (2n+1)(αx+β) ) , n ≥ 0,con α e β come in (8.12).8.4. Sv<strong>il</strong>uppi <strong>di</strong> funzioni regolariLa completezza <strong>di</strong> un sistema ortonormale garantisce solo la convergenzain L 2 (I) dello sv<strong>il</strong>uppo in serie corrispondente; dunque, a priori, neppurela convergenza q.o.. Tuttavia, se f ha regolarità aggiuntive, si può vedereche la convergenza della sua serie <strong>di</strong> Fourier migliora. In particolare valeTeorema 8.4. Sia f ∈ C 1( [−π, π] ) , f(−π) = f(π). La f quin<strong>di</strong> si puòconsiderare continua e <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodo 2π in R. Allora la serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong>f converge uniformemente su R.


74 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Integrando <strong>per</strong> parti si hab n = 1 π= 1 π∫ π−π{f(x)sin(nx)dx− f(x) cos(nx)nπ∣ + 1−πn∫ π−π}f ′ (x)cos(nx)dx= 1 π [f(−π)− f(π)](−1)n n −1 + 1 n a(1) n = 1 n a(1) n ,<strong>per</strong> la <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> f; qui denotiamo con a (1)n , b (1)n i coefficienti <strong>di</strong> Fourier<strong>di</strong> f ′ . Nello stesso modo si ottienea n = − 1 n b(1) n , n ≥ 1.Perprovarelatesibasta<strong>di</strong>mostrarechelaserierestotendeazero(in modouniforme) <strong>per</strong> ogni x ∈ R. In effetti <strong>per</strong> ogni x ∈ R, k ≥ 1,∞∞ ∣∑a n cos(nx)+b n sin(nx)∣ ≤ ∑ |a n |+|b n |n=kn=k∞1= ∑n |a(1) n |+ 1 ∞1n |b(1) n | ≤ ∑nn=kn=k2 + 1 ∞ ( (1)2∑ |a n | 2 +|b (1)n | 2) < ∞,n=k<strong>per</strong> la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Bessel; si è usata anche la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong>Cauchy-Schwarz 2αβ ≤ α 2 + β 2 , valida <strong>per</strong> α, β ∈ R. □Osservazione 8.5. In particolare dalla <strong>di</strong>mostrazione precedente e da unsempliceragionamento<strong>per</strong>induzioneseguechesem ≥ 1e f ∈ C m−1 (R)∩C m( [−π, π] ) è <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodo 2π, allora i coefficienti <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong>f (m) , a (m)n , b (m)n , sod<strong>di</strong>sfano, se m = 2k+1a n = (−1)k+1n 2k+1 b (2k+1)ne, se m = 2k,a n = (−1)kn 2k a (2k)n , b n = (−1)k, b n = (−1)ka(2k+1)n2k+1 n , n ≥ 1, a (2k+1)0= 0, (8.13)n 2k b (2k)n, n ≥ 1, a (2k)0= 0. (8.14)Quin<strong>di</strong> la serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f (m) si ottiene proprio derivando m volte laserie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f.□Osservazione 8.6. Il Teorema 8.4 vale <strong>per</strong> f ∈ C ( [−π, π] ) , f(π) = f(−π)e f <strong>di</strong> classe C 1 a tratti in [−π, π]. Si può ripetere la stessa <strong>di</strong>mostrazione,avendo l’accortezza <strong>di</strong> integrare <strong>per</strong> parti su ciascun subintervallo <strong>di</strong>regolarità.In effetti <strong>il</strong> Teorema 8.4 vale <strong>per</strong> ogni funzione f che si può scrivere comef(x) = f(−π)+∫ x−πg(s)ds, −π < x < π,


<strong>per</strong> una g ∈ L 2 ((−π, π)), tale che8.5. IL FENOMENO DI GIBBS 75∫ π−πg(s)ds = 0.Osservazione 8.7. (Sv<strong>il</strong>uppi <strong>di</strong> funzioni meno regolari) Consideriamoi coefficienti, nel sistema ortonormale C in L 2 ((0, π)), della funzioneove 0 < α < 1/2, ossia la successioneValea n = 2 π∫ π0∫ k0f(x) = x −α , 0 < x < π, (8.15)x −α cos(nx)dx = n α−1 2 π∫nπ0□y −α cos(y)dy. (8.16)y −α cos(y)dy → L > 0, k → ∞, (8.17)ove L = L(α); ve<strong>di</strong> infatti Lemma C.14 <strong>per</strong> l’esistenza del limite; <strong>il</strong> fattoche L > 0 segue dalle proprietà, in particolare anche dalla <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità, delcoseno. Pertanto, <strong>per</strong> n ≥ n 0 opportuno,Lπ nα−1 ≤ a n ≤ 4 L π nα−1 . (8.18)Si noti che al variare <strong>di</strong> α ∈ (0,1/2), l’esponente <strong>di</strong> n nella serie∞∑n=n 0n 2(α−1) ,prende tutti i valori in (−2,−1), cioè fino al valore critico −1 <strong>per</strong> laconvergenza della serie: si rammenti che questa deve convergere <strong>per</strong> la<strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Bessel.□8.5. Il fenomeno <strong>di</strong> GibbsCome ulteriore <strong>il</strong>lustrazione delle modalità <strong>di</strong> convergenza delle serie <strong>di</strong>Fourier, consideriamo <strong>il</strong> cosiddetto fenomeno <strong>di</strong> Gibbs: questo consiste, inbreve, nel fatto che nelle <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> salto, la somma parziale S k dellaserie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> certe funzioni sovrastima <strong>il</strong> salto della funzione approssimatacon un errore che non tende a zero <strong>per</strong> k → ∞; si veda laFigura 8.1.Questo fenomeno appare in tutte le serie <strong>di</strong> funzioni regolari a tratti, chepresentano <strong>di</strong>scontinuità <strong>di</strong> salto. Dimostriamolo nel caso <strong>di</strong> una delleserie più semplici:⎧⎪⎨ − π+x , − π < x < 0,f(x) =2=⎪⎩π−x, 0 < x < π,2∞1∑ sin(nx). (8.19)n=1nLa f è <strong>di</strong>spari; è <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> ripetere qui che l’uguaglianza precedente valenel senso <strong>di</strong> L 2 ((−π, π)).


76 DANIELE ANDREUCCIG mπ/2π/4π/4π/23π/4πFigura 8.1. I grafici <strong>di</strong> f definita in (8.19), e <strong>di</strong> due suesomme <strong>di</strong> Fourier: S 10 (linea tratteggiata) e S 100 (lineacontinua).Lemma 8.8. La funzioneG(x) =∫ x0sinzzraggiunge <strong>il</strong> suo massimo assoluto in x = π, ove valedz, x ≥ 0, (8.20)G m := G(π) = 1,85193... > π 2= 1,57079... (8.21)Dimostrazione. Suggerimento: usare la <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità della funzione seno(e l’integrazione numerica <strong>per</strong> calcolare G(π)). □Teorema 8.9. I grafici delle somme parziali S k <strong>di</strong> f si accumulano <strong>per</strong> k → ∞sul segmento{(0,y) | −G m ≤ y ≤ G m } = {0}×[−G m ,G m ],ove G m èstatodefinitonelLemma8.8. Valea<strong>di</strong>re: <strong>per</strong>ogni y ∈ [−G m ,G m ] esisteuna successione {ε k } con ε k → 0, tale che S k (ε k ) → y.L’essenziale <strong>di</strong> questo enunciato sta nel fatto che si ottengono come punt<strong>il</strong>imite dei grafici <strong>di</strong> S k anche quelli con or<strong>di</strong>nataG m ≥ |y| > π 2 ,nonostante chef(0+) = −f(0−) = π 2 .Dimostrazione. Poiché sia f che S k sono <strong>di</strong>spari, possiamo limitarci alcaso y > 0, ε k > 0. Fissiamo p ∈ (0, π] tale che y = G(p).


8.5. IL FENOMENO DI GIBBS 77Scegliamo una (<strong>per</strong> ora) qualunque successione 0 < ε k < π decrescente azero, e valutiamoS k (ε k ) ==k ∫1ε k∑n=1n sin(nε k) =∫ ε k00k∑n=1[(sin k+12)x2sin ( ) − 1 ]dx,x22cos(nx)dxove abbiamo usato la (C.1). Trasformiamo ancora l’espressionetrovata <strong>per</strong>calcolarne <strong>il</strong> limite in modo più semplice:oveJ 1 (k) =∫ ε k0S k (ε k ) =∫ ε k0sin ( k+ 1 2)xdx+ J 1 (k)+ J 2 (k),x[12sin ( ) − 1 ] (sin k+ 1 )xdx,xx 22J 2 (k) = − ε k2 .È imme<strong>di</strong>ato che J 2 (k) → 0; vale anche J 1 (k) → 0 <strong>per</strong>ché l’integrando èlimitato su (0, π) da una costante in<strong>di</strong>pendente da k (la quantità in parentesiquadre tende a zero <strong>per</strong> x → 0). Quin<strong>di</strong>, cambiando variab<strong>il</strong>ed’integrazione,Scegliamo oraS k (ε k ) =(k+∫1 2 )ε k0sinzzdz+o(1).ε k = pk+ 1 ,2<strong>per</strong> <strong>il</strong> p ∈ (0, π] tale che y = G(p). Per questa scelta <strong>di</strong> ε k si ha dunque∫ plim S k(ε k ) = G(p) =k→∞ove G è la funzione definita nel Lemma 8.8.0sinzzOsservazione 8.10. Il fenomeno <strong>di</strong> Gibbs, ossia <strong>il</strong> Teorema 8.9, è un punto critico nell’approssimazione<strong>di</strong> funzioni con serie<strong>di</strong> Fourier;si veda, <strong>per</strong> confronto, l’Osservazione11.7.D’altra parte, si deve osservare che:(1) La serie <strong>di</strong> f converge uniformemente in ogni intervallo [c, π], <strong>per</strong> ogni fissato 0


78 DANIELE ANDREUCCI8.6. Serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong>pendenti da un parametroLa teoria generale delle espansioni <strong>di</strong> funzioni in sistemi ortonormali èvalida anche <strong>per</strong> funzioni <strong>di</strong> più variab<strong>il</strong>i, ad esempio definite in un sottoinsiemedel piano R 2 invece che in un intervallo <strong>di</strong> R. In questo caso,anche le funzioni del sistema ortonormale <strong>di</strong>penderanno da due variab<strong>il</strong>i:ve<strong>di</strong> la Sezione 8.7.In questa sezione <strong>di</strong>amo <strong>per</strong>ò un esempio <strong>di</strong> un argomento <strong>di</strong>verso, ossiadell’espansione <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variab<strong>il</strong>i in sistemi ortonormali, quandouna delle due variab<strong>il</strong>i venga considerata un parametro. Sia <strong>per</strong> esempiou : (x,t) ↦→ u(x,t),(x,t) ∈ Q = [0, π]×[0, ∞),u ∈ C(Q). Sv<strong>il</strong>uppiamo <strong>per</strong> ogni t fissato la funzione u(·,t) nel sistema deiseni S:∞u(x,t) = ∑ β n (t)sin(nx).n=1Si noti che ora i coefficienti β n <strong>di</strong>pendono da t, visto che la funzionesv<strong>il</strong>uppata <strong>di</strong>pende da t: <strong>per</strong> definizioneβ n (t) = 2 πEsempio 8.11. La funzione∫ π0u(x,t)sin(nx)dx.u(x,t) = e −t sinx,ha come è ovvio uno sv<strong>il</strong>uppo in S con coefficientiβ 1 (t) = e −t ; β n (t) = 0, n ≥ 2.È chiaro che la stessa funzione può essere sv<strong>il</strong>uppata in altri sistemi ortonormali,<strong>per</strong> esempio C: con i calcoli usuali si ottieneu(x,t) = 2 π e−t +∞∑n=22 −1π e−t(−1)n+1 n 2 cos(nx).−18.7. Prodotti <strong>di</strong> sistemi ortonormali completiRisulta molto ut<strong>il</strong>e <strong>il</strong> seguente risultato.Teorema 8.12. Siano {ϕ n } un sistema ortonormale completo in L 2 (I), e {ψ n }un sistema ortonormale completo in L 2 (J).Allora {ϕ n ψ m } costituisce un sistema ortonormale completo in L 2 (I × J).Dimostrazione. Anzitutto osserviamo che ciascuno dei prodotti ϕ n ψ mappartiene a L 2 (I × J):∫∫ ∫ϕ n (x) 2 ψ m (y) 2 dxdy = ϕ n (x) 2 dx ψ m (y) 2 dy = 1,I×J<strong>il</strong> che <strong>di</strong>mostra anche si tratta <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> norma unitaria.IJ□□


8.7. PRODOTTI DI SISTEMI ORTONORMALI COMPLETI 79Per <strong>di</strong>mostrare la proprietà <strong>di</strong> ortogonalità, supponiamo (n,m) ̸= (p,q),cosicché∫∫ ∫ϕ n (x)ψ m (y)ϕ p (x)ψ q (y)dxdy = ϕ n (x)ϕ p (x)dx ψ m (y)ψ q (y)dy = 0,I×JI<strong>per</strong>ché almeno uno dei due fattori è nullo.Resta da <strong>di</strong>mostrare che <strong>il</strong> sistema è completo. Usiamo <strong>il</strong> Corollario 7.24,parte B): dobbiamo dunque solo <strong>di</strong>mostrare che <strong>per</strong> ogni f ∈ L 2 (I × J)∫f(x,y)ϕ n (x)ψ m (y)dxdy = 0, <strong>per</strong> ogni n, m =⇒ f = 0.I×J(8.22)Fissiamo y ∈ J; allora vale, <strong>per</strong> la completezza <strong>di</strong> {ϕ n },∞∫f(x,y) = ∑ F n (y)ϕ n (x), F n (y) := f(ξ,y)ϕ n (ξ)dξ, (8.23)n=1ove l’uguaglianza va intesa come al solito nel senso <strong>di</strong> L 2 (I). Per ciascunfissato n, osserviamo che la funzione F n appartiene a L 2 (J), <strong>per</strong>ché <strong>per</strong>(7.5)∫J∫ (∫F n (y) 2 dy ≤JI)(∫f(x,y) 2 dxII)ϕ n (x) 2 dx dy∫ ∫=Perciò vale nel senso <strong>di</strong> L 2 (J) l’uguaglianza∫∞ (∫F n (y) = f(ξ,y)ϕ n (ξ)dξ = ∑ F n (η)ψ m (η)dηm=1IJ(∫ ∫)= f(ξ, η)ϕ n (ξ)dξψ m (η)dη ψ m (y)=∞∑m=1∞∑m=1J I( ∫I×J)f(ξ, η)ϕ n (ξ)ψ m (η)dξdη ψ m (y).Dalla (8.23) e dalla (8.24) segue che( ∫f(x,y) = f(ξ, η)ϕ n (ξ)ψ m (η)dξdη∞∑n=1[ ∞∑m=1I×JLa (8.22) risulta così <strong>di</strong>mostrata.JIJf(x,y) 2 dxdy < ∞.)ψ m (y)(8.24)) ]ψ m (y) ϕ n (x). (8.25)Esempio 8.13. Nel quadrato Ω = (0, π)×(0, π) si hanno (tra gli altri) iseguenti sistemi ortonormali:prodotto S ×S:2sin(nx)sin(my), n,m ≥ 1; (8.26)π□


80 DANIELE ANDREUCCIprodotto S ×C:√2π sin(nx), 2sin(nx)cos(my),πn,m ≥ 1 (8.27)(e l’analogo sistema C ×S ottenuto invertendo x con y);prodotto C ×C:√ √2 2π cos(nx), π cos(my), 2cos(nx)cos(my),πn,m ≥ 1. (8.28)□Osservazione 8.14. Usando la notazione del Teorema 8.12, una volta chesi è <strong>di</strong>mostrata la completezza del sistema {ϕ n ψ m }, si può scriveref(x,y) =(f, ϕ n ψ m ) =∞∑m,n=1∫I×J(f, ϕ n ψ m )ϕ n (x)ψ m (y),f(ξ, η)ϕ n (ξ)ψ m (η)dξdη.(8.29)La serie doppia converge nel senso <strong>di</strong> L 2 (I × J), e la somma può esserecalcolata lungo qualunque successione (ve<strong>di</strong> Osservazione 7.21). Per contrasto,la(8.25) eraunaseriein cuiciascuno deiterminieraasuavolta unaserie.□Osservazione 8.15. È chiaro che <strong>il</strong> risultato del Teorema 8.12 può essereiterato un qualsiasi numero finito N <strong>di</strong> volte. Per esempio, <strong>per</strong> N = 3 siottiene che se {ϕ n } [risp. {ψ m }; {χ p }] è un sistema ortonormale completoin L 2 (I) [risp. L 2 (J); L 2 (K)], allora {ϕ n ψ m χ p } è un sistema ortonormalecompleto in L 2 (I × J ×K).□8.8. Serie <strong>di</strong> Fourier in forma complessaSia f ∈ L 2 ((−π, π)), e consideriamo <strong>per</strong> ogni k ≥ 1 la somma parzialedella sua serie <strong>di</strong> FourierPonendo dunqueS k (x) = a 0 += a 0 += a 0 +c 0 = a 0 ,k∑n=1k∑n=1k∑n=1a n cos(nx)+b n sin(nx)a ne inx +e −inx2a n −ib n2c m = a m −ib m2c m = c −m = a −m +ib −m2+b ne inx −e −inx2ie inx + a n +ib ne −inx .2, m > 0,, m < 0,


si ottieneSi può quin<strong>di</strong> scrivere8.8. SERIE DI FOURIER IN FORMA COMPLESSA 81S k (x) =k∑ c m e imx . (8.30)m=−kf(x) =∞∑ c m e imx ,m=−∞con l’avvertenza che <strong>il</strong> limite della serie, oltre a dover essere inteso nelsenso <strong>di</strong> L 2 ((−π, π)), deve essere preso sulla successione delle sommeparziali simmetriche come in (8.30).


CAPITOLO 9Sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong> autofunzioniCompletiamo l’analisi del metodo <strong>di</strong> Fourier basato sugli sv<strong>il</strong>uppiin serie <strong>di</strong> autofunzioni. Si noti che questo metodo si applicaanche a problemi con sorgenti non omogenee, purché con dati albordo omogenei.Un caso particolare ma interessante è quello dell’equazione <strong>di</strong>Laplace nel piano, in coor<strong>di</strong>nate polari.9.1. Convergenza dello sv<strong>il</strong>uppo in serie <strong>di</strong> autofunzioniRicor<strong>di</strong>amo che <strong>il</strong> problema lasciato a<strong>per</strong>to nella Sezione 5.3, riformulatoin termini ‘attuali’, cioè alla luce della teoria introdotta nei Capitoli 7 e 8,era:La successione <strong>di</strong> autofunzioni del problema <strong>di</strong> Dirichlet[risp.delproblema<strong>di</strong>Neumann]<strong>per</strong>l’equazione<strong>di</strong>Laplacecostituisce un sistema ortonormale completo?9.1.1. Il caso N = 1. Nel caso uni<strong>di</strong>mensionale N = 1, le successioniin questione coincidono con S [risp. con C], o sue opportune mo<strong>di</strong>fichesecondo le idee della Sezione 8.3 (ve<strong>di</strong> anche gli Esercizi 5.12 e 5.13).Dunque sono in effetti sistemi ortonormali completi, come risulta dalTeorema 8.2.•9.1.2. Il caso N ≥ 2, Ω intervallo. Nel caso N ≥ 2, se Ω è un intervalloN-<strong>di</strong>mensionale, ossiaΩ = (a 1 ,b 1 )×(a 2 ,b 2 )×···×(a N ,b N ),si può costruire un sistema ortonormale completo <strong>di</strong> autofuzioni secondole idee della Sezione 8.7.Per fissare le idee, supponiamo <strong>di</strong> considerare <strong>il</strong> problema con dati <strong>di</strong>Dirichlet in Ω = (0, π)×(0, π). Allora tutte le funzioniϕ nm (x,y) = 2 sin(nx)sin(my), n,m ≥ 1, (9.1)πsono autofunzioni, corrispondenti agli autovaloriλ nm = n 2 +m 2 . (9.2)Questo fatto segue dal calcolo <strong>di</strong>retto. Segue poi dal Teorema 8.12 che <strong>il</strong>sistema {ϕ nm } è completo.In particolare questo <strong>di</strong>mostra che non possono esservi altre autofunzion<strong>il</strong>inearmente in<strong>di</strong>pendenti dalle {ϕ nm }. Infatti, se ϕ fosse un’autofunzione83


84 DANIELE ANDREUCCIdel genere, corrispondente all’autovalore λ, si avrebbe <strong>per</strong> la completezzaϕ =∞∑ (ϕ, ϕ nm ) ϕ nm = ∑ (ϕ, ϕ nm )ϕ nm ,m,n=1λ nm =λ<strong>per</strong> <strong>il</strong> Teorema 5.8. Si noti che l’ultima somma sopra ha un numero finito<strong>di</strong> termini, <strong>per</strong>ché <strong>per</strong> (9.2) solo un numero finito delle autofunzioni in(9.1) può sod<strong>di</strong>sfare λ nm = λ. Questo <strong>per</strong>ò contrad<strong>di</strong>ce l’asserita linearein<strong>di</strong>pendenza della ϕ.•9.1.3. Il caso generale. Nel caso N ≥ 2 con Ω <strong>di</strong> forma qualsiasi (e anchein quello N = 1) si può applicare la teoria <strong>di</strong> Sturm-Liouv<strong>il</strong>le, che <strong>di</strong>mostra:Teorema 9.1. Ciascuno dei due problemi agli autovalori (5.8)–(5.9), e (5.10)–(5.11),ammetteunasuccessioneinfinita<strong>di</strong>coppieautofunzioneautovalore(ϕ n , λ n ).Inoltre ciascun autovalore λ n appare nella successione solo un numero finito <strong>di</strong>volte, elim λ n = +∞. (9.3)n→∞Infine,lasuccessione{ϕ n }costituisceunsistemaortonormalecompletoin L 2 (Ω).Questo Teorema lascia <strong>per</strong>ò a<strong>per</strong>to <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> determinare in modoesplicito le autofunzioni e gli autovalori <strong>di</strong> cui garantisce l’esistenza.Il Teorema 9.1 asserisce l’ortogonalità anche delle autofunzioni corrispondenti ad autovaloriuguali, mentre <strong>il</strong> Teorema 5.8 considerava solo <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> autovalori <strong>di</strong>versi.Tuttavia questo fatto si può <strong>di</strong>mostrareanche in modo <strong>di</strong>retto, <strong>per</strong> esempio usando <strong>il</strong> fattoche a ciascun autovalore corrisponde solo un numero finito <strong>di</strong> autofunzioni, come si èvisto nella Sottosezione 9.1.2.O ancora, <strong>per</strong>fino a prescindere da questa proprietà, si può ragionare come nel seguenteLemma.Lemma 9.2. Sia {ϕ n } una qualunque famiglia <strong>di</strong> autofunzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> unproblema al contorno <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace, corrispondenti allo stesso autovalore λ.Allora si può determinare un sistema ortonormale <strong>di</strong> autofunzioni { ˜ϕ n } in ugual numero, corrispondential medesimo autovalore λ, che generano lo stesso sottospazio delle {ϕ n }.Dimostrazione. Per la Proposizione 7.14 si trova un sistema ortonormale { ˜ϕ n } con lostessonumero<strong>di</strong>componentiche generalostessosottospaziodelle{ϕ n },etalecheogni ˜ϕ iè combinazione lineare<strong>di</strong> queste ultime. Quin<strong>di</strong> ogni ˜ϕ i è un’autofunzione con autovaloreλ; infatti si ha, <strong>per</strong> esempio <strong>per</strong> i = 1,(∆ ˜ϕ 1 = ∆ ∑jα j ϕ j)= ∑jα j ∆ ϕ j = − ∑jα j λϕ j = −λ ∑ α j ϕ j = −λ ˜ϕ 1 .j□•Torniamo al problema della Sezione 5.3 del Capitolo 5, ossia au t −D ∆u = F(x,t), x ∈ Ω,0 < t < T, (9.4)D ∂u (x,t) = 0,∂νx ∈ ∂Ω,0 < t < T, (9.5)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω, (9.6)


9.1. CONVERGENZA DELLO SVILUPPO IN SERIE DI AUTOFUNZIONI 85e<strong>di</strong>mostriamolaconvergenzaallasoluzione u(lacuiesistenzaassumiamo<strong>per</strong> nota) dello sv<strong>il</strong>uppou(x,t) =∞∑ α n (t)ϕ n (x), (9.7)n=1ove {ϕ n } è la successione<strong>di</strong> autofunzioni delTeorema9.1, <strong>per</strong> <strong>il</strong> problema<strong>di</strong> Neumann, e le funzioni α n sono determinate da∫α ′ n(t) = −Dλ n α n (t)+F n (t), F n (t) := F(x,t)ϕ n (x)dx, (9.8)∫α n (0) = u 0 (x)ϕ n (x)dx. (9.9)ΩTeorema 9.3. Si assuma che u 0 ∈ L 2 (Ω) e che F sia una funzione limitata inQ T . Allora la serie (9.7) converge in L 2 (Ω), <strong>per</strong> ogni fissato t ∈ (0,T), allasoluzione del problema (9.4)–(9.6).Dimostrazione. Definiamo le somme parziali della serieku k (x,t) = ∑ α n (t)ϕ n (x), k ≥ 1.n=1Usando le definizioni <strong>di</strong> α n e ϕ n si vede che z k = u−u k sod<strong>di</strong>sfaz kt −D ∆z k = F(x,t)−D ∂z k(x,t) = 0,∂νz k (x,0) = u 0 (x)−k∑n=1k∑n=1ΩF n (t)ϕ n (x) =: f k (x,t), in Q T , (9.10)su ∂Ω×(0,T),(9.11)β n ϕ n (x) =: v k (x), x ∈ Ω. (9.12)Si noti che f k (·,t) e v k non sono altro che i resti degli sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong>F(·,t) e <strong>di</strong> u 0 . Quin<strong>di</strong> tendono a zero in L 2 (Ω) <strong>per</strong> k → ∞. È qui che siusa la completezza del sistema ortonormale {ϕ n }.Applichiamo ora a z k <strong>il</strong> Teorema 6.9, ottenendo{∫ ∫ ∫ t }∫z k (x,t) 2 dx ≤ e t v k (x) 2 dx+ f k (x, τ) 2 dxdτ . (9.13)ΩΩ 0 ΩLa <strong>di</strong>mostrazione si conclude notando che <strong>il</strong> membro <strong>di</strong> destradella (9.13)converge a zero, <strong>per</strong> la definizione <strong>di</strong> f k e v k , come già osservato. □Osservazione 9.4. Notiamo che le funzioni ϕ n e α n sono determinate in modo del tuttoin<strong>di</strong>pendente dalla conoscenza pregressadellasoluzione u. È quin<strong>di</strong> naturale domandarsise argomentazioni sim<strong>il</strong>i alle precedenti non possano condurre in realtà a un teorema<strong>di</strong> esistenza, cioè a <strong>di</strong>mostrare l’esistenza della soluzione (che sopra abbiamo comunqueassunta), come somma della serie in (9.7).La risposta, in sostanza, è affermativa; <strong>per</strong>ò va tenuto presente<strong>il</strong> problemadellaregolaritàdella somma della serie: la convergenza ha luogo in principio solo in L 2 . Se <strong>per</strong> esempioF non è continua, la ‘soluzione’ non può essere C 2,1 (Q T ), e quin<strong>di</strong> non è una soluzioneclassica, ma invece una cosiddetta ‘soluzioni debole’, ve<strong>di</strong> Capitolo 18. □


86 DANIELE ANDREUCCI9.2. Il caso <strong>di</strong> dati al contorno non nulliNel caso che i dati al bordo, <strong>di</strong> Dirichlet o <strong>di</strong> Neumann, non siano omogenei,cioè nulli, <strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> Fourier in effetti non si può applicare. Peròè possib<strong>il</strong>e ridursi al caso con dati nulli, sottraendo dall’incognita unafunzione nota, che abbia gli stessi dati al bordo. Questo come è ovviomo<strong>di</strong>ficherà la funzione sorgente nell’equazione, e i dati iniziali.Conviene procedere con un esempio.Cerchiamo la soluzione <strong>di</strong>u t −Du xx = 0, 0 < x < π,0 < t,−Du x (0,t) = 0, 0 < t,Du x (π,t) = e γt , 0 < t,u(x,0) = 0, 0 < x < π.Per ridursi a un caso con con<strong>di</strong>zioni al contorno omogenee, cambiamo levariab<strong>il</strong>i, introducendo la nuova incognitav(x,t) = u(x,t)− x22πD eγt ,che risolve <strong>il</strong> problemav t −Dv xx =(1− eγt γx2 ), 0 < x < π,0 < t,π 2D−Dv x (0,t) = 0, 0 < t,Dv x (π,t) = 0, 0 < t,v(x,0) = − x22πD , 0 < x < π.Cerchiamo la v come serie <strong>di</strong> coseni in (0, π), in vista delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>Neumann prescritte sul contorno laterale del dominio. Scriviamo allorav(x,t) = α 0 (t)+∞∑n=1α n (t)cos(nx),ove gli α n si troveranno imponendo che la serie risolva l’e.d.p. termine atermine. Aquestoscopointroduciamolosv<strong>il</strong>uppodellafunzionesorgentee γt (1− γx2 )πf 0 (t) = eγtπ2D(1− cπ26D= f 0 (t)+∞∑n=1), f n (t) = eγtπf n (t)cos(nx),2(−1) n+1 γn 2 D, n ≥ 1.Si ottiene dunque, sostituendo le serie nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale, scambiandoformalmenteleo<strong>per</strong>azioni<strong>di</strong>derivazione conla serie,euguagliandoi due membri dell’equazione termine a termineDalla con<strong>di</strong>zione iniziale <strong>per</strong> v si ottieneα ′ n+n 2 Dα n = f n , n ≥ 0. (9.14)α n (0) = γ n , (9.15)


9.3. IL SISTEMA ORTONORMALE SBAGLIATO 87oveiγ n sonoicoefficientidellosv<strong>il</strong>uppoinserie<strong>di</strong>cosenideldatoiniziale,ossiaγ 0 = − π6D , γ n = 2(−1)n+1πn 2 D , n ≥ 1.I corrispondentiproblemi <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> le α n si risolvono senza <strong>di</strong>fficoltà,ottenendoα 0 (t) = 1 (1− γπ2 )(e γt −1)+γ 0 ,γπ 6Dα n (t) =2(−1)n+1 γπn 2 D(n 2 D+γ) (eγt −e −n2 Dt )+γ n e −n2 Dt , n ≥ 1.Lo sv<strong>il</strong>uppo in serie della v quin<strong>di</strong> è stato ottenuto.Infine, la u è data dau(x,t) = x22πD eγt + 1γπ[+∞∑n=1(1− γπ2 )(e γt −1)+γ 06D(9.16)2(−1) n+1 γπn 2 D(n 2 D+γ) (eγt −e −n2 Dt )+γ n e −n2 Dt ] cos(nx).9.3. Il caso ‘sbagliato’: <strong>il</strong> sistema ortonormale non rispetta lecon<strong>di</strong>zioni al contornoConsideriamo <strong>il</strong> problemau t −Du xx = 1, 0 < x < π,0 < t < T, (9.17)−Du x (0,t) = 0, 0 < t < T, (9.18)Du x (π,t) = 0, 0 < t < T, (9.19)u(x,0) = 0, 0 < x < π. (9.20)Questo problema ha <strong>per</strong> unica soluzioneu(x,t) = t; (9.21)si noti che la (9.21) è in realtà anche lo sv<strong>il</strong>uppo in serie <strong>di</strong> coseni <strong>di</strong> u.Se cerchiamo lo sv<strong>il</strong>uppo <strong>di</strong> u nel sistema ortonormale ‘sbagliato’, <strong>per</strong>esempioinquelloS deiseni,ricaviamoaposteriori, cioèusandolasoluzioneespressa in forma esplicita dalla (9.21),u(x,t) =∞∑ α n tsin(nx), α n := 2πn [1−(−1)n ]. (9.22)n=1Se <strong>per</strong>ò cercassimo <strong>di</strong> ottenere lo sv<strong>il</strong>uppo (9.22) prima <strong>di</strong> conoscere la soluzione,con <strong>il</strong> metodo <strong>il</strong>lustrato nella Sezione 5.3, non potremmo arrivare ascrivere i problemi <strong>di</strong> Cauchy (5.25), (5.26), <strong>per</strong>ché non vale la (5.24).Come ultima osservazione, sempre supponendo <strong>di</strong> ricercare una possib<strong>il</strong>eequazione <strong>di</strong>fferenziale risolta dai coefficienti <strong>di</strong> (9.22), applichiamo aquesti coefficienti l’o<strong>per</strong>atore <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> (5.25):ddt (α nt)+n 2 D(α n t) = α n +n 2 Dα n t = 4 nDt, <strong>per</strong> n <strong>di</strong>spari. (9.23)π


88 DANIELE ANDREUCCIPerciò i ‘termini noti’ delle ipotetiche equazioni <strong>di</strong>fferenziali (9.23) nonsonodatidaicoefficienti<strong>di</strong>alcunafunzioneinalcun sv<strong>il</strong>uppoortonormale(<strong>per</strong>ché non tendono a zero).9.4. L’equazione <strong>di</strong> Laplace in coor<strong>di</strong>nate polari9.4.1. Problemiin coronecircolari. Consideriamo<strong>il</strong> problemapostonellacorona circolare <strong>di</strong> raggi r 1 > r 0 > 0√∆u = f(x,y), r 0 < x 2 +y 2 < r 1 , (9.24)√u(x,y) = u 0 (x,y), x 2 +y 2 = r 0 , (9.25)√u(x,y) = u 1 (x,y), x 2 +y 2 = r 1 , (9.26)che, in coor<strong>di</strong>nate polari, <strong>di</strong>ventav rr + 1 r v r + 1 r 2v ϕϕ = g(r, ϕ), r 0 < r < r 1 ,−π < ϕ < π, (9.27)v(r 0 , ϕ) = v 0 (ϕ), − π < ϕ < π, (9.28)v(r 1 , ϕ) = v 1 (ϕ), − π < ϕ < π, (9.29)ove si sono definitev(r, ϕ) = u(rcos ϕ,rsin ϕ),v 0 (ϕ) = u 0 (r 0 cos ϕ,r 0 sin ϕ),g(r, ϕ) = f(rcos ϕ,rsin ϕ),v 1 (ϕ) = u 1 (r 1 cos ϕ,r 1 sin ϕ).Vanno anche imposte le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità (3.3)–(3.5).Cerchiamo la soluzione nella formav(r, ϕ) = α 0 (r)+∞∑n=1Procedendo come sopra, si ha che α 0 sod<strong>di</strong>sfaα 0 ′′ + 1 r α′ 0 = 12πα 0 (r 0 ) = 12πα 0 (r 1 ) = 12πα n (r)cos(nϕ)+ β n (r)sin(nϕ). (9.30)∫ π−π∫ π−π∫ π−πg(r, θ)dθ,v 0 (θ)dθ,v 1 (θ)dθ;


invece <strong>per</strong> n ≥ 1 si hae rispettivamente9.4. L’EQUAZIONE DI LAPLACE IN COORDINATE POLARI 89α ′′n + 1 r α′ n − n2r α n = 1 πα n (r 0 ) = 1 πα n (r 1 ) = 1 πβ ′′n + 1 r β′ n − n2r β n = 1 πβ n (r 0 ) = 1 πβ n (r 1 ) = 1 π∫ π−π∫ π−π∫ π−π∫ π−π∫ π−π∫ π−πg(r, θ)cos(nθ)dθ,v 0 (θ)cos(nθ)dθ,v 1 (θ)cos(nθ)dθ,g(r, θ)sin(nθ)dθ,v 0 (θ)sin(nθ)dθ,v 1 (θ)sin(nθ)dθ.Gli integrali generali delle equazioni <strong>di</strong>fferenziali si possono ottenere con<strong>il</strong> metodo della variazione delle costanti, e sono dati da∫ r ( rR(r) = k 1 +k 2 lnr+ γ(ρ)ρln dρ, n = 0,ρ)r 0∫ r∫ rR(r) = k 1 r n +k 2 r −n + rnγ(ρ)ρ −n+1 dρ− r−nγ(ρ)ρ n+1 dρ, n ≥ 1,2n 2nr 1 r 0ove γ(r) è <strong>il</strong> termine noto nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale.•9.4.2. Problemi in cerchi. Se <strong>il</strong> problema è posto nel cerchio <strong>di</strong> raggior 1 > 0, cioè se consiste in∆u = f(x,y),u(x,y) = u 1 (x,y),√x 2 +y 2 < r 1 , (9.31)√x 2 +y 2 = r 1 , (9.32)si procede in modo sim<strong>il</strong>e a quello visto nella Sottosezione 9.4.1, ma dobbiamoescludere dall’integrale generale delle e.d.o. ottenute le soluzioniche presentano singolarità nell’origine: questi integrali dunque saranno


90 DANIELE ANDREUCCIdati da∫ rR(r) = k 1 +R(r) = k 1 r n + rn2n0( rγ(ρ)ρln dρ, n = 0,ρ)∫ rr 1γ(ρ)ρ −n+1 dρ− r−n2n∫ r0γ(ρ)ρ n+1 dρ, n ≥ 1,Osservazione9.5. Mostriamochelasoluzioneparticolarew(r) checomparenegliintegraliR è regolare anche <strong>per</strong> r → 0. Per brevità limitiamoci al caso <strong>di</strong> α n , n ≥ 1 e a considerareSi noti chew ′′ (r) = γ(r)+ n−12∫rr n−2γ(ρ)ρ −n+1 dρ− n+12r 1∫rr −n−20γ(ρ)ρ n+1 dρ.γ(r) = 1 ∫ πg(r, ϕ)cos(nθ)dθ → 1 ∫ πf(0,0)cos(nθ)dθ = 0, r → 0,ππ−π−πe anzi (ve<strong>di</strong> la Sezione 3.2)|γ(r)| ≤ 1 ∫ π|g(r, θ)− f(0,0)| dθ ≤ 1 ∫ πmax|∇ f|rdθ ≤ 2max|∇ f|r.ππ−π−πConsideriamo <strong>il</strong> secondo addendo in w ′′ (r), gli altri essendo anche più semplici: taleaddendo è maggiorato in valore assoluto dan−12∫ r 1r|γ(ρ)| rn−2∫r 1ρ n−1 dρ ≤ (n−1)e quin<strong>di</strong> rimane limitato <strong>per</strong> r → 0.rmax|∇ f| rn−2ρ n−2 dρ ≤ (n−1)r 1max|∇ f|,9.4.3. Il caso dell’equazione omogenea nel cerchio. Se pren<strong>di</strong>amo f ≡ 0in (9.31), <strong>per</strong> gli argomenti svolti sopra, si hanno <strong>per</strong> lo sv<strong>il</strong>uppo in seriedella soluzione (9.30) i coefficientiα 0 (r,r 1 ) = 12πα n (r,r 1 ) = rnr n 1β n (r,r 1 ) = rnr n 1∫ π−π∫ π1π1π−π∫ π−πu(r 1 cos θ,r 1 sin θ)dθ,u(r 1 cos θ,r 1 sin θ)cos(nθ)dθ,u(r 1 cos θ,r 1 sin θ)sin(nθ)dθ.□(9.33)Si noti che abbiamo ridefinito i coefficienti α n , β n come funzioni delle duevariab<strong>il</strong>i r, r 1 . In particolare α 0 non <strong>di</strong>pende<strong>di</strong> fatto dar. Definiamo anche<strong>per</strong> brevità <strong>di</strong> notazioneα ∗ n(r 1 ) = α n (1,r 1 ), β ∗ n(r 1 ) = β n (1,r 1 ). (9.34)Tuttavia, gli argomenti svolti fin qui non sono rigorosi. Ren<strong>di</strong>amo tale <strong>il</strong>risultato nel prossimo Teorema:•


9.4. L’EQUAZIONE DI LAPLACE IN COORDINATE POLARI 91Teorema 9.6. Sia u ∈ C 2 (Ω) una funzione armonica in Ω, ove Ω è un a<strong>per</strong>to<strong>di</strong> R 2 che contiene l’origine. Sia d = <strong>di</strong>st((0,0), ∂Ω). Allora i coefficienti α ∗ n, β ∗ ndefiniti in (9.33), (9.34) non <strong>di</strong>pendono da r 1 , <strong>per</strong> r 1 ∈ (0,d). Inoltre, valeu(rcos ϕ,rsin ϕ) = α ∗ 0 +<strong>per</strong> 0 ≤ r < d, −π ≤ ϕ ≤ π.∞∑n=1r n[ α ∗ ncos(nϕ)+ β ∗ nsin(nϕ) ] , (9.35)Dimostrazione. A) Fissiamo r 1 ∈ (0,d). Iniziamo con <strong>il</strong> <strong>di</strong>mostrare chevale <strong>per</strong> u la rappresentazione (9.35), ove i coefficienti α ∗ n, β ∗ n sono intesi<strong>per</strong> ora come calcolati in r 1 , e r ≤ r 1 .Questa serie, <strong>per</strong> r = r 1 , è la serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> U(ϕ) := v(r 1 , ϕ). Datoche U sod<strong>di</strong>sfacertole ipotesidelTeorema8.4, come restrizionealla curva∂B r1 <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> classe C 2 , la serie converge uniformemente a U su[−π, π], ossiamax |U(ϕ)−S k(r 1 , ϕ)| → 0, k → ∞.−π≤ϕ≤πD’altra parte, sia u che S k sono funzioni armoniche nel cerchio B r1 ; quin<strong>di</strong><strong>per</strong> <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> massimo (Teorema 4.1)maxr≤r 1|u(r, ϕ)−S k (r, ϕ)| ≤ max−π≤ϕ≤π |U(ϕ)−S k(r 1 , ϕ)| → 0, k → ∞.Quin<strong>di</strong> la serie converge uniformemente a u in B r1 , e la (9.35) è stab<strong>il</strong>ita.B) Dimostriamo che i coefficienti α ∗ n, β ∗ n sono in<strong>di</strong>pendenti da r 1 .Consideriamo due raggi 0 < r 1 < r 2 < d. Fissiamo 0 < r < r 1 . Ilragionamento del punto A) si può ripetere sia <strong>per</strong> r 1 che <strong>per</strong> r 2 . Dunquela funzioneϕ ↦→ v(r, ϕ)ammette due sv<strong>il</strong>uppi in serie <strong>di</strong> Fourier; <strong>per</strong> l’unicità dei coefficienti <strong>di</strong>Fourier (Proposizione 7.18) segue che i coefficienti delle due serie devonocoincidere due a due, ossiaα ∗ 0(r 1 ) = α ∗ 0(r 2 ), r n α ∗ n(r 1 ) = r n α ∗ n(r 2 ), r n β ∗ n(r 1 ) = r n β ∗ n(r 2 ).Dato che r > 0, segue la tesi.□Osservazione 9.7. È chiaro che la rappresentazione (9.35) vale anche incerchi <strong>di</strong> centro <strong>di</strong>verso dall’origine; basta a questo scopo traslare <strong>il</strong> sistema<strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate, visto che l’equazione <strong>di</strong> Laplace è invariante <strong>per</strong>traslazioni.□Dalla formula (9.35) si possono trarre <strong>di</strong>verse conseguenze importanti.Teorema 9.8. (Formula della me<strong>di</strong>a) Se u è armonica in Ω, allora vale, <strong>per</strong>ogni (x 0 ,y 0 ) ∈ Ω e <strong>per</strong> ogni 0 < r 1 < <strong>di</strong>st((x 0 ,y 0 ), ∂Ω) lau(x 0 ,y 0 ) = 1 ∫u(x,y)dσ.2πr 1∂B r1 (x 0 ,y 0 )


92 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Basta considerare <strong>il</strong> caso (x 0 ,y 0 ) = (0,0), <strong>per</strong> l’Osservazione9.7. Si prende quin<strong>di</strong> r = 0 nella (9.35) e si ottieneu(0,0) = α0(r ∗ 1 ) = 12π∫ π−πu(r 1 cos θ,r 1 sin θ)dθ = 12πr 1∫∂B r1u(x,y)dσ.Teorema 9.9. (Liouv<strong>il</strong>le)Sia uarmonicaelimitatasututto<strong>il</strong>piano R 2 . Allorau è una funzione costante.Dimostrazione. In questo caso la (9.35) vale <strong>per</strong> ogni r 1 > 0. Per n ≥ 1 siha dunque□|α ∗ n| = limr1 →∞1r n 1∣∫ π−πv(r 1 , θ)cos(nθ)dθ∣≤ limr1 →∞1∫ πr1n −π|v(r 1 , θ)| dθ ≤ limr1 →∞1r n 12πsupR 2 |u| = 0.Nello stesso modo si vede che β ∗ n = 0. Quin<strong>di</strong> u ≡ α ∗ 0 .□Esercizio 9.10. Le considerazioni svolte finora nella Sezione 9.4 hanno assuntol’esistenza della soluzione delproblema al contorno <strong>per</strong> l’equazione<strong>di</strong> Laplace. Si <strong>di</strong>mostri che la serie in (9.35) converge a una soluzione delproblema al contorno (9.31), (9.32); questo dà un teorema <strong>di</strong> esistenza <strong>di</strong>soluzioni <strong>per</strong> questo problema. Si può assumere <strong>per</strong> semplicità che <strong>il</strong> datoal bordo sia <strong>di</strong> classe C 1 .□9.4.3.1. La formula <strong>di</strong> rappresentazione. Con manipolazioni elementari (almenodal punto <strong>di</strong> vista formale) si ottienev(r, ϕ) = 12π+ 1 π= 12π∫ π−π∞∑n=1∫ π−πv 1 (θ)dθr nr1n{ ∫ π−π{v 1 (θ)v 1 (θ) [ cos(nθ)cos(nϕ)+sin(nθ)sin(nϕ) ] }dθ1+2∞∑n=1r nr1nDefiniamo ora <strong>per</strong> semplicità <strong>di</strong> notazionecos ( n(ϕ−θ) )} dθ,z = rr 1e i(ϕ−θ) = rr 1cos(ϕ−θ)+i rr 1sin(ϕ−θ);


Allorav(r, ϕ) = 12π= 12π= 12π= 12π9.5. AUTOFUNZIONI NEL CERCHIO 93∫ π−π∫ π−π∫ π−π∫ π−π{v 1 (θ){v 1 (θ)1+2∞∑n=11+2Re{v 1 (θ) 1+2ReRez n} dθ∞∑n=1z n} dθz}dθ1−zv 1 (θ){1+2 Rez−(Rez)2 −(Imz) 2 }(1−Rez) 2 +(Imz) 2 dθ.Ricordando la definizione <strong>di</strong> z si ottiene infinev(r, ϕ) = 12π∫ π−πr 2 1 −r2v 1 (θ)r1 2 +r2 −2r 1 rcos(ϕ−θ) dθ, r < r 1. (9.36)Questaformula<strong>di</strong>rappresentazionedellasoluzioneè<strong>di</strong>scussain dettaglionella Sezione 11.5.∗•9.5. Autofunzioni nel cerchioUn caso significativo <strong>di</strong> dominio Ω non rettangolare è <strong>il</strong> cerchio B L (0) ⊂R 2 . In questo caso le autofunzioni del laplaciano possono essere espressein termini delle funzioni <strong>di</strong> Bessel.Consideriamo <strong>per</strong> definitezza <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Dirichlet∆ ϕ = −λϕ, in B L (0), (9.37)ϕ = 0, su ∂B L (0). (9.38)La simmetria ra<strong>di</strong>ale del problema suggerisce,volendo cercare soluzioni avariab<strong>il</strong>i separate, <strong>di</strong> passare a coor<strong>di</strong>nate polari. DenotiamoIl problema (9.37)–(9.38) <strong>di</strong>vienev(r, ϕ) = ϕ(rcos ϕ,rsin ϕ).v rr + 1 r v r + 1 r 2v ϕϕ = −λv, 0 < r < L,−π < ϕ < π, (9.39)v(L, ϕ) = 0, − π < ϕ < π. (9.40)Andrebbero anche scritte le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità in ϕ, e <strong>di</strong> regolarità<strong>per</strong> r → 0, che <strong>per</strong> brevità omettiamo: si veda la Sezione 3.2 <strong>per</strong> queste e<strong>per</strong> altri commenti riguardo al cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate da cartesiane apolari.Separiamo le variab<strong>il</strong>i, sostituendov(r, ϕ) = R(r)Φ(ϕ)


94 DANIELE ANDREUCCInella (9.39). Raccogliendo i termini che <strong>di</strong>pendono solo da ciascuna delledue variab<strong>il</strong>i in<strong>di</strong>pendenti si har 2 R ′′ +rR ′+ λr 2 = − Φ′′= µ ∈ R, (9.41)RΦove l’ultima uguaglianza segue dall’usuale considerazione che <strong>il</strong> valorecomune dei primi due membri non deve <strong>di</strong>pendere né da r, né daϕ. In particolare la Φ deve quin<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare, imponendo la necessaria<strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità,e dunque si deve averee <strong>per</strong>ciòΦ ′′ + µΦ = 0, − π < ϕ < π,Φ(−π) = Φ(π),Φ ′ (−π) = Φ ′ (π),µ = n 2 , n = 0,1,2,... (9.42)Φ(ϕ) = k 1n cos(nϕ)+k 2n sin(nϕ); (9.43)<strong>per</strong> n = 0 si ha la soluzione costante. Quin<strong>di</strong> l’equazione, o meglio lafamiglia <strong>di</strong> equazioni, <strong>per</strong> R <strong>di</strong>vieneR ′′ + 1 r R′ +(λ− n2 )r 2 R = 0, 0 < r < L, (9.44)R ∈ C ( [0,L] ) , (9.45)R(L) = 0. (9.46)La(9.45)vaimposta,<strong>per</strong>chél’equazione(9.44), cheèsingolarenell’origine,ammette anche soluzioni <strong>il</strong>limitate <strong>per</strong> r → 0, che noi dobbiamo escluderedato che cerchiamo u regolare in tutto <strong>il</strong> cerchio.Osserviamo che λ è ancora da scegliere; sappiamo <strong>per</strong>ò che dovrà esserepositivo, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Teorema 5.7. Passiamo alle variab<strong>il</strong>ix = √ ( x)λr, y(x) = R √ ,λscelte <strong>per</strong> far scomparire la costante λ dall’equazione (9.44) che infatti<strong>di</strong>vieney ′′ + 1 x y′ +(1− n2 )x 2 y = 0. (9.47)L’equazione <strong>di</strong>fferenziale or<strong>di</strong>naria (9.47) prende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>Bessel. Le sue soluzioni, dette quin<strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> Bessel, formano un importantecapitolo della teoria delle funzioni speciali.Qui ricorderemo solo i fatti che ci sono necessari. Come tutte le equazion<strong>il</strong>ineariomogeneedelsecondoor<strong>di</strong>ne,anchela(9.47)ha, <strong>per</strong>ciascun fissatovalore <strong>di</strong> n, un integrale generato dalle combinazioni lineari <strong>di</strong> due soluzion<strong>il</strong>inearmente in<strong>di</strong>pendenti. Una <strong>di</strong> queste è continua fino su x = 0, el’altra no: <strong>per</strong>ciò, <strong>per</strong> quanto detto sopra, dobbiamo scartare quest’ultima.Denotando con J n la soluzione regolare, e tornando alle variab<strong>il</strong>i polari,avremo quin<strong>di</strong>R(r) = k n J n ( √ λr). (9.48)


9.5. AUTOFUNZIONI NEL CERCHIO 95Questa scelta sod<strong>di</strong>sfa (9.44) e (9.45); resta da imporre la con<strong>di</strong>zione alcontorno (9.46), e qui sceglieremo i valori ammissib<strong>il</strong>i <strong>di</strong> λ. Dovrà essereJ n ( √ λL) = 0. (9.49)In effetti <strong>per</strong> ogni fissato n la J n ha una successione crescente <strong>di</strong> zeripositiviz n0 ,z n1 ,... z ni → ∞, i → ∞.Dovremo quin<strong>di</strong> scegliere <strong>per</strong> λ i valori( zni) 2.λ ni =(9.50)LRiassumendo, abbiamo trovato <strong>per</strong> <strong>il</strong> problema (9.37)–(9.38) la seguentesuccessione <strong>di</strong> autofunzioni, che esprimiamo in coor<strong>di</strong>nate polari,γ 0 ni cos(nϕ)J n( √ λ ni r), γ 1 ni sin(nϕ)J n( √ λ ni r), (9.51)ove n ≥ 1 e λ ni sono scelti come sopra. Per n = 0 si hanno solo leautofunzioniγ 0 0i J 0( √ λ 0i r). (9.52)Lecostanti γ 0 ni e γ1 ni siscelgono<strong>per</strong>normalizzareleautofunzioniin L2 (B L (0)).Si potrebbe vedere che questa successione <strong>di</strong> autofunzioni coincide conquella la cui esistenza è affermata dal Teorema 9.1; in particolare essa formaun sistema ortonormale completo, che quin<strong>di</strong> può essere usato <strong>per</strong>sv<strong>il</strong>uppare in serie soluzioni <strong>di</strong> problemi <strong>di</strong> Dirichlet.Per esempio la soluzione del problema <strong>di</strong> vibrazione <strong>di</strong> una membranacircolareu tt −c 2 ∆u = 0,u = 0,ammette la rappresentazioneu(x,t) =in B L (0)×(0, ∞),su ∂B L (0)×(0, ∞),u(x,0) = u 0 (x), x ∈ B L (0),u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ B L (0),∞∑ [α ni (t)cos(nϕ)+ β ni (t)sin(nϕ)]J n ( √ λ ni r).i,n=0Questo sarebbe comunque vero <strong>per</strong> qualunque sistema ortonormale completo,ma essendo <strong>il</strong> sistema usato formato da autofunzioni, i coefficientidello sv<strong>il</strong>uppo sono determinati dagli opportuni problemi <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong>le e.d.o.α ′′ni +c2 λ ni α ni = 0, β ′′ni +c2 λ ni β ni = 0.Esercizio 9.11. Nella Sezione 9.4 abbiamo applicato <strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> Fourierall’equazione <strong>di</strong> Laplace nel cerchio. Spiegare in cosa <strong>di</strong>fferiscono i dueproblemi dal punto <strong>di</strong> vista dell’applicazione del metodo <strong>di</strong> Fourier. □


Parte 4Formule <strong>di</strong> rappresentazione


CAPITOLO 10L’equazione delle ondeL’equazione delle onde ammette formule <strong>di</strong> rappresentazionedelle soluzioni che possono essere derivate con procedureabbastanza semplici.In particolare i calcoli sono elementari in <strong>di</strong>mensione N = 1.Queste formule suggeriscono anche l’estensione del concetto <strong>di</strong>soluzione, fino a includere funzioni non derivab<strong>il</strong>i o ad<strong>di</strong>ritturanon continue.10.1. Il problema ai valori iniziali <strong>per</strong> la corda infinitaConsideriamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy, o ai valori iniziali, in Q ∞ = R×(0, ∞)u tt −c 2 u xx = 0, in Q ∞ , (10.1)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R, (10.2)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ R. (10.3)Teorema 10.1. Se u 0 ∈ C 2 (R), e u 1 ∈ C 1 (R), allora <strong>il</strong> problema (10.1)–(10.3)ha un’unica soluzione u ∈ C 2 (Q ∞ )∩C 1 (Q ∞ ), espressa dalla formulau(x,t) = 1 2[u0 (x−ct)+u 0 (x+ct) ] + 1 2cx+ct ∫x−ctu 1 (s)ds, (x,t) ∈ Q ∞ .(10.4)Dimostrazione. Per <strong>il</strong> Teorema 3.3, la u, se esiste, deve avere una rappresentazionedel tipo (3.17), valida in Q ∞ . Restano da determinare f e g,cosa che dobbiamo fare usando i dati al tempo t = 0. Questi dannof(x)+g(x) = u 0 (x), (10.5)−cf ′ (x)+cg ′ (x) = u 1 (x), (10.6)<strong>per</strong>ogni x ∈ R. Derivando la(10.5)in x esostituendonella(10.6) siottieneIntegrando in x si ottienef ′ (x) = 1 2 u′ 0(x)− 1 2c u 1(x), x ∈ R.f(x) = 1 2 u 0(x)− 1 2c∫ x0u 1 (s)ds+K, x ∈ R, (10.7)99


100 DANIELE ANDREUCCI<strong>per</strong> un’opportuna costante K. Usando ancora la (10.5), si ottiene ancheg(x) = 1 2 u 0(x)+ 1 2c∫ x0u 1 (s)ds−K, x ∈ R. (10.8)Dalla (10.7) e dalla (10.8) segue subito la (10.4), quando si ricor<strong>di</strong> (3.17).Questo <strong>di</strong>mostra che la u, se esiste, deve avere la forma (10.4), e dunqueche la soluzione è unica. Resta da <strong>di</strong>mostrare che la (10.4) è davvero unasoluzione, <strong>il</strong> che <strong>per</strong>ò segue subito da una verifica <strong>di</strong>retta. □Osservazione 10.2. La (10.4) si <strong>di</strong>ce formula <strong>di</strong> D’Alembert. L’intervallo[x−ct,x+ct] si <strong>di</strong>ce dominio <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza del punto(x,t), <strong>per</strong>ché <strong>il</strong> valoredella soluzione u in (x,t) <strong>di</strong>pende solo dai valori assunti dai dati in taleintervallo.□Osservazione 10.3. La (10.4) mostra che, nelle ipotesi in<strong>di</strong>cate nel Teorema10.1, la u risultain realtà definitae<strong>di</strong>classe C 2 su tutto R 2 (<strong>per</strong>fino <strong>per</strong>t < 0). Questo non è sorprendente in vista del lemma seguente. □Lemma 10.4. Se u ∈ C 2 (Q) risolve (3.16) in Q = (a,b) × (α, β), allorav(x,t) = u(x,−t) risolve ancora (3.16) in Q ′ = (a,b)×(−β,−α), e w(x,t) =u(−x,t) la risolve in Q ′′ = (−b,−a)×(α, β).Dimostrazione. Ovvia.Osservazione 10.5. La rappresentazione (3.17) e la (10.4) <strong>di</strong>fferiscono nelsenso che la prima (ma non la seconda) prescinde dal dominio <strong>di</strong> definizionedella u e dagli eventuali dati al contorno.□Esempio 10.6. La funzione□u(x,t) = [ 1−(x−ct) 2] − 1 2+ [ 1−(x+ct) 2] −21risolve (3.16) nel rettangoloR = {(x,t) | −1 < x−ct < 1, −1 < x+ct < 1}.Si ha che u(x,t) → ∞ quando <strong>di</strong>st(∂R,(x,t)) → 0.□10.2. Il problema ai valori iniziali in N = 3Affrontiamo qui la risoluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy, posto in Q ∞ =R 3 ×(0, ∞),u tt −c 2 ∆u = 0, in Q ∞ , (10.9)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R 3 , (10.10)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ R 3 . (10.11)Il proce<strong>di</strong>mento è molto più complesso che nel caso N = 1.Notazione 10.7. Fissiamo (¯x,¯t) ∈ Q ∞ , e denotiamo con r la <strong>di</strong>stanza da ¯x:r = |x− ¯x|.Introduciamo anche <strong>il</strong> cono caratteristicot− ¯t = −kr.


10.2. IL PROBLEMA AI VALORI INIZIALI IN N = 3 101Qui si è definito <strong>per</strong> como<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> notazione k = 1/c.Per una qualunque funzione v definita su Q ∞ introduciamo la trasformata(denotata dalla maiuscola)V(x, τ) = v(x, τ+ ¯t−kr),v(x,t) = V(x,t− ¯t+kr),<strong>per</strong> x ∈ R 3 , τ ≥ kr−¯t.Denotiamo poiove si è usato3∂∂r = ∂∑ r xi =∂xi=1 ir xi = x i− ¯x irLemma 10.8. La U sod<strong>di</strong>sfa3x i − ¯x i∑ri=1∂∂x i,, r xi x i= 1 r − (x i− ¯x i ) 2∆U = − 2 crr 3 . (10.12)□∂∂r (rU τ). (10.13)Dimostrazione. Si trova usando <strong>il</strong> teorema <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong> funzionicomposte cheu xi = U xi +U τ kr xi ,u xi x i= U xi x i+2U xi τkr xi +U τ kr xi x i+U ττ k 2 r 2 x i,u t = U τ ,u tt = U ττ .Sostituendoquesteuguaglianze nella (10.9), e usando la (10.12), si arriva a− ∆U−2k ∂U τ∂rche può essere riscritta come la (10.13).−2k U τr= 0,□Lemma 10.9. Valeu(¯x,¯t) = 14π∫{|y−¯x|=c¯t}Dimostrazione. Sia ora[1|y− ¯x|∂U∂ν (y,0)−U(y,0) ∂ (∂ν+ 2 cΩ = {x ∈ R 3 | |x− ¯x| < c¯t}.1|y− ¯x|1]|y− ¯x| U τ(y,0) dσ y . (10.14))Osserviamo cheu(¯x,¯t) = U(¯x,0).


102 DANIELE ANDREUCCIUsando la (1.5) si ha dalla (10.13) (scritta <strong>per</strong> τ = 0)U(¯x,0) = 1 ∫ [1 ∂U4π |y− ¯x| ∂ν (y,0)−U(y,0) ∂ (∂ν∂Ω∫− 14π= 14πΩ∫[∂Ω∫+ 14πΩ1|y− ¯x| ∆U(y,0)dy1|y− ¯x|∂U∂ν (y,0)−U(y,0) ∂ (∂ν1|y− ¯x|1|y− ¯x|2 ∂( )c|y− ¯x| 2 |y− ¯x|U τ (y,0) dy.∂r)]dσ y)]dσ y(10.15)Passiamo oraacoor<strong>di</strong>natesferiche (r, ϕ, θ) nell’ultimo integrale,che <strong>di</strong>viene,ponendo <strong>per</strong> chiarezza ρ = c¯t,∫ ρ ∫02 ∂cr 2 ∂r (rU τ)r 2 drdσ = 2 ∫ρU τ dσc∂B 1 ∂B 1= 2 c∫∂B 11Sostituendo nella (10.15) si arriva subito alla (10.14).ρ U τρ 2 dσ = 2 c∫∂B ρ1ρ U τdσ.Teorema 10.10. (Formula <strong>di</strong> Kirchhoff) Se u risolve (10.9)–(10.11), alloravale <strong>per</strong> ogni (x,t) ∈ Q ∞ ,u(x,t) = 1 ∫ [ 14π c 2 t 2u 0(y)+ 1 ∂u 0ct ∂ν (y)+ 1 ]c 2 t u 1(y) dσ y . (10.16){|y−x|=ct}Dimostrazione. Intantoosserviamochenella(10.14)<strong>per</strong>ovvimotivigeometrici∂(1)= − 1∂ν |y− ¯x| |y− ¯x| 2 = − 1(c¯t) 2 .Restanodacalcolare ivalori <strong>di</strong>U edellesuederivatepresentinella(10.14).Dalla definizione <strong>di</strong> U e dalle (10.2) si ha, sotto l’ipotesi r = |y− ¯x| = c¯t,U(y,0) = u(y,0) = u 0 (y),U τ (y,0) = u t (y,0) = u 1 (y),∂U y− ¯x(y,0) = ∇U(y,0)·∂ν ry− ¯x= ∇u(y,0)·=() y− ¯x∇u(y,0)−kU τ (y,0)∇r ·r−ku t (y,0) = ∂u 0∂ν (y)−ku 1(y).rSostituendo nella (10.14) si ha la (10.16), quando si torni alla notazione(¯x,¯t) = (x,t).□Teorema 10.11. Se u 0 ∈ C 4 (R 3 ), e u 1 ∈ C 3 (R 3 ), la u definita da (10.14) è <strong>di</strong>classe C 2( R 3 ×[0, ∞) ) e sod<strong>di</strong>sfa (10.9)–(10.11).La <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 10.11 viene omessa.□


10.2. IL PROBLEMA AI VALORI INIZIALI IN N = 3 103Esercizio 10.12. Si controlli che la (10.16) è corretta dal punto <strong>di</strong> vista<strong>di</strong>mensionale, e si esprima <strong>il</strong> membro <strong>di</strong> destra, <strong>per</strong> quanto possib<strong>il</strong>e, intermini <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e integrali.□Osservazione 10.13. Si può verificare che cercando soluzioni particolaridella (10.13) che annullano entrambi i membri <strong>di</strong> quest’ultima si <strong>per</strong>vienealle soluzioni dell’equazione delle onde in N = 3u(x,t) = 1|x| f( |x|−ct ) + 1|x| g( |x|+ct ) , (10.17)ove f, g : R → R.Queste soluzioni si <strong>di</strong>cono onde sferiche.Alle stessesoluzioni si giunge ricordando che se u è una soluzione ra<strong>di</strong>aledell’equazione delle onde (10.9) in R 3 , allora v = ru risolve l’equazionedelle ondev tt −c 2 v rr = 0, r > 0,t > 0.Rappresentando la v, secondo <strong>il</strong> Teorema 3.3, comev(r,t) = f(r−ct)+g(r+ct),tornando alla variab<strong>il</strong>e u si ottiene la (10.17).Esercizio 10.14. Si prenda nella (10.17) g ≡ 0, e f ∈ C 2 (R), con f(r) = 0se r ̸∈ (r 1 ,r 2 ), con 0 < r 1 < r 2 < ∞. Si noti che la u è una soluzione delproblema <strong>di</strong> Cauchy (10.9)–(10.11). Si verifichi con un calcolo <strong>di</strong>retto lavali<strong>di</strong>tà della (6.6), ove si ponga Ω = R 3 , in questo caso. Soluzione □10.2.1. L’equazione nonomogenea. Consideriamo <strong>il</strong> problema<strong>di</strong>Cauchynon omogeneo, ove cioè la (10.9) è sostituita dau tt −c 2 ∆u = f(x,t), in Q ∞ . (10.18)Si vede subito che tutti gli argomenti precedenti valgono ancora, in sostanza,salvo la presenza <strong>di</strong> un termine contenente la trasformata F <strong>di</strong>f, definita come sopra. Questo termine del resto non subisce in praticamo<strong>di</strong>fiche nel <strong>corso</strong> della <strong>di</strong>mostrazione.In particolare la (10.13) è sostituita da∆U = − 2 ∂cr ∂r (rU τ)−k 2 F; (10.19)nella (10.14) si deve aggiungere a destra l’integrale∫1 14πc 2 F(y,0)dy; (10.20)|y− ¯x|{|y−¯x|


104 DANIELE ANDREUCCI10.3. Discesa al pianoIl problema <strong>di</strong> Cauchy in Q ∞ = R 2 ×(0, ∞),u tt −c 2 ∆u = 0, in Q ∞ , (10.22)si può trasformare nell’analogo problemau(x,0) = u 0 (x), x ∈ R 2 , (10.23)u t (x,0) = u 1 (x), x ∈ R 2 , (10.24)ũ tt −c 2 ∆ x ũ−c 2 ũ zz = 0, (x,z) ∈ R 3 ,t > 0, (10.25)ũ(x,z,0) = u 0 (x), x ∈ R 2 ,z ∈ R, (10.26)ũ t (x,z,0) = u 1 (x), x ∈ R 2 ,z ∈ R. (10.27)Infatti la soluzione ũ <strong>di</strong> (10.25)–(10.27) non <strong>di</strong>pende da z, e dunque dàuna funzione <strong>di</strong> (x,t) ∈ Q ∞ che risolve <strong>il</strong> problema originale (10.22)–(10.24). Il vantaggio <strong>di</strong> questoapproccio è che la soluzione ũ si può scriverecon la formula <strong>di</strong> Kirchhoff, in cui poi si introducono le semplificazioniopportune.Questo metodo in cui si passa da una soluzione in N = 3 a una soluzionein N = 2 prende <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> metodo della <strong>di</strong>scesa.Teorema 10.15. (Formula <strong>di</strong> Poisson) La soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy(10.22)–(10.24) ha la rappresentazioneu(x,t) = 1 ∫u 0 (y)+∇u 0·(y−x)+tu 1 (y)√ dy. (10.28)2πct c 2 t 2 −|x−y| 2B ct (x)Dimostrazione. Iniziamo con lo scrivere la formula (10.16) <strong>per</strong> ũ(x,0,t).Usiamo le parametrizzazioni della su<strong>per</strong>ficie sferica |(y,z)−(x,0)| = ct√z = ± c 2 t 2 −|x−y| 2 , y ∈ B ct (x) ⊂ R 2 ,cosicché l’elemento d’area è√1+|∇z| 2 =ct√c 2 t 2 −|x−y| 2 .Usando anche <strong>il</strong> fatto che l’integrando non <strong>di</strong>pende dalla terza variab<strong>il</strong>e z,a causa delle (10.26), (10.27), si arriva, sommando i contributi uguali delledue semisfere z > 0 e z < 0, au(x,t) = 2 ∫ [ 14π c 2 t 2u 0(y)+ 1 ct ∇u 0· y−x + 1 ]ct c 2 t u 1(y)B ct (x)×ct√ dy, (10.29)c 2 t 2 −|x−y| 2ove ∇ in<strong>di</strong>ca <strong>il</strong> gra<strong>di</strong>ente in R 2 . Infatti sulla su<strong>per</strong>ficie sferica si ha∂ũ 0∂ν (y,z) = ∂u (0∂ν (y) = ∇u 0 (y), ∂u )0∂z (y) · ν= (∇u 0 (y),0)· (y−x,z)ct= ∇u 0 (y)· y−xct.


10.4. DIPENDENZA CONTINUA DAI DATI. 105Dalla (10.29) si ottiene poi subito la (10.28).Teorema 10.16. Se u 0 ∈ C 3 (R 2 ), e u 1 ∈ C 2 (R 2 ), la u definita da (10.28) è <strong>di</strong>classe C 2( R 2 ×[0, ∞) ) e sod<strong>di</strong>sfa (10.22)–(10.24).La <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 10.16 viene omessa.10.3.1. Confronto tra le soluzioni dell’equazione delle onde in N = 1, 2,3. L’integrale nella formula <strong>di</strong> Kirchhoff (10.16) è calcolato sulla su<strong>per</strong>ficiesferica |y−x| = ct: questo significa che le soluzioni del problema <strong>di</strong> Cauchyin <strong>di</strong>mensione N = 3 risentono <strong>di</strong> una <strong>per</strong>turbazione dei dati inizialisolo nell’intervallo <strong>di</strong> tempo in cui questasu<strong>per</strong>ficie attraversa la zona dovei dati sono <strong>per</strong>turbati. (Si potrebbe vedere che questo è vero anche inogni <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>spari N ≥ 5.)Viceversa, l’integrale nella formula <strong>di</strong>Poisson(10.28) ècalcolato sulcerchio|y−x| ≤ ct: questo significa che le soluzioni del problema <strong>di</strong> Cauchy in<strong>di</strong>mensione N = 2risentono<strong>di</strong>una<strong>per</strong>turbazionedeidatiiniziali <strong>per</strong>tuttii tempi successivi al primo in cui questo cerchio raggiunge la zona dove idati sono <strong>per</strong>turbati. (Si potrebbe vedere che questo è vero anche in ogni<strong>di</strong>mensione pari N ≥ 4.)Infine, nel caso N = 1, la formula <strong>di</strong> D’Alembert (10.4) mostra che <strong>il</strong> comportamentodelle soluzioni è misto: la parte dovuta al dato u(x,0) è transientecome nel caso N = 3, la parte dovuta al dato u t (x,0) è <strong>per</strong>manentecome nel caso N = 2.•Esercizio 10.17. Se i dati iniziali u 0 e u 1 sono a supporto compatto, la udefinita dalla (10.28) tende a zero <strong>per</strong> t → ∞. Determinare la velocità <strong>di</strong>convergenza <strong>di</strong> ognuno dei tre termini. Risposta□10.4. Dipendenza continua dai dati.Per <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione delle onde vale <strong>il</strong> seguenteteorema <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza continua (ve<strong>di</strong> anche la Sezione 2.6).Teorema 10.18. Sia u, rispettivamente ū, definita dalla formula <strong>di</strong> D’Alembert(10.4) con dati u 0 , u 1 , rispettivamente con dati ū 0 , ū 1 . Qui basta supporre u 1 , ū 1integrab<strong>il</strong>i su ogni intervallo limitato <strong>di</strong> R. Allora si hasupx∈R|u(x,t)−ū(x,t)| ≤ sup|u 0 (x)−ū 0 (x)|+tsup|u 1 (x)−ū 1 (x)|, (10.30)<strong>per</strong> ogni t ≥ 0.x∈RDimostrazione. Dalla formula <strong>di</strong> D’Alembert segue subito <strong>per</strong> t ≥ 0|u(x,t)−ū(x,t)| ≤ 1 2 |u 0(x−ct)−ū 0 (x−ct)|x∈R+ 1 2 |u 0(x+ct)−ū 0 (x+ct)|+ 1 2c≤ supR= supR|u 0 −ū 0 |+ 1 2cx+ct ∫x−ctx+ct ∫x−ctsup|u 1 −ū 1 |dsR|u 0 −ū 0 |+tsup|u 1 −ū 1 |.R□|u 1 (s)−ū 1 (s)|ds


106 DANIELE ANDREUCCIOsservazione 10.19. La(10.30) implica la (2.27), <strong>per</strong> una costante C <strong>di</strong>pendenteda t.In questo caso i dati d sono costituiti da una coppia <strong>di</strong> funzioni (u 0 ,u 1 ). Sinoti anche che la C data dalla (10.30) <strong>di</strong>verge quando t → ∞. Questo comportamentopuò verificarsi nei problemi <strong>di</strong> evoluzione temporale: piccole<strong>di</strong>fferenze nei dati iniziali portano a gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze nelle soluzioni, selasciamo passare tempi abbastanza lunghi. Del resto accade la stessa cosa<strong>per</strong> le soluzioni della semplice e.d.o. y ′ (t) = y(t). □Osservazione 10.20. Risultati sim<strong>il</strong>i al Teorema 10.18 si possono ottenereanche in <strong>di</strong>mensione N > 1, <strong>per</strong> esempio a partire dalle formule <strong>di</strong>rappresentazione (10.14) e (10.28).□10.5. Soluzioni deboliSupponiamo <strong>di</strong> assegnare due dati u 0 e u 1 in (10.2), (10.3) che siano solo<strong>di</strong> classe C 0 .Il ragionamento svolto nella <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 10.1 prova chenon può esisterein questo caso una soluzione <strong>di</strong> classe C 2 (Q ∞ )∩C 1 (Q ∞ ).Tuttavia, la funzione u data dalla formula <strong>di</strong> D’Alembert risulta definitaanche <strong>per</strong> u 0 e u 1 solo continue (e anche meno regolari, in realtà). Talefunzione u, <strong>per</strong>fino in questo caso, ha molte delle proprietà tipiche <strong>di</strong> unmoto ondoso.La <strong>di</strong>pendenza continua <strong>di</strong>mostrata nel Teorema 10.18 dà un altro punto<strong>di</strong> vista su questo stesso fenomeno. Siano u 0 e u 1 come sopra, e siano u 0ne u 1n due successioni <strong>di</strong> funzioni regolari, <strong>per</strong> esempio in C 2 (R), tali chesupx∈R|u 0 (x)−u 0n (x)|+sup|u 1 (x)−u 1n (x)| ≤ a n , n ≥ 1,x∈Rcon a n → 0 se n → ∞. La relativa successione <strong>di</strong> soluzioni u n ∈ C 2 (Q ∞ )∩C 1 (Q ∞ ) <strong>di</strong> (10.1)–(10.3), sod<strong>di</strong>sfa <strong>per</strong> ogni t > 0sup|u(x,t)−u n (x,t)| ≤ (1+t)a n ,x∈Roveuèlafunzionegiàdefinitasopra. Questafunzione<strong>per</strong>ciòrisultalimite<strong>per</strong> n → ∞ <strong>di</strong> soluzioni <strong>di</strong> problemi <strong>di</strong> Cauchy i cui dati convergono a u 0e u 1 .Queste considerazioni ci motivano a definire soluzione debole del problema(10.1)–(10.3) la u data dalla (10.4), a prescindere da ogni richiesta <strong>di</strong>derivab<strong>il</strong>ità, e ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> continuità, <strong>di</strong> u 0 , u 1 : basta che l’integrale <strong>di</strong>u 1 sia definito come un numero reale su ogni intervallo limitato <strong>di</strong> R. Sinotiche questesoluzionideboli nonsono neppurecontinue se u 0 non lo è.L’esistenza e l’unicità della soluzione debole, assegnati i dati u 0 e u 1 comeappena specificato, sono ovvie.Se i dati sono regolari come nel Teorema 10.1, la soluzione debole è anche<strong>di</strong> classe C 2 (Q ∞ ) ∩ C 1 (Q ∞ ). Tuttavia le soluzioni deboli esistono sottoipotesi molto meno stringenti sui dati, e risultano <strong>per</strong>ciò più comode damaneggiare.□


10.6. ALCUNI PROBLEMI PER ALTRI DOMINI: TECNICHE DI RIFLESSIONE 107Esempio 10.21. Il dato u 0 (x) = |x| risulta limite della successione√con u 0n ∈ C ∞ (R). Infattiu 0n (x) =supx∈R√∣x 2 + 1 n , x ∈ R,x 2 + 1 n −|x| ∣ ∣∣∣∣≤ 1 √ n.La soluzione <strong>di</strong> (10.1)–(10.3) relativa alla coppia <strong>di</strong> dati (u 0 ,0) si può quin<strong>di</strong>trovare come limite delle soluzioni relative ai dati (u 0n ,0), oppure sipuò ottenere subito dalla formula <strong>di</strong> D’Alembertu(x,t) = 1 { }|x+ct|+|x−ct| .2Osservazione 10.22. Considerazioni sim<strong>il</strong>i a quelle svolte sopra in <strong>di</strong>mensioneN = 1sipossonoripetereanche in<strong>di</strong>mensione N > 1, apartiredalleformule <strong>di</strong> rappresentazione (10.14) e (10.28). In questi casi <strong>per</strong>ò occorreche ∇u 0 sia definito.□□10.6. Alcuni problemi <strong>per</strong> altri domini: tecniche <strong>di</strong> riflessione10.6.1. Problemi <strong>per</strong> la corda semiinfinita. Per le soluzioni deboli delproblema (10.1)–(10.3) valgono i seguenti risultati <strong>di</strong> simmetria.Proposizione 10.23. 1) Se u 0 e u 1 sono funzioni pari, u è pari in x. Inoltre, sesi ha anche u 0 ∈ C 1 (R), e u 1 ∈ C 0 (R), allora u x (0,t) = 0, <strong>per</strong> t > 0.2) Se u 0 e u 1 sono funzioni <strong>di</strong>spari, u è <strong>di</strong>spari in x, e u(0,t) = 0 <strong>per</strong> t > 0.Dimostrazione. 1) Si calcola dalla formula (10.4), usando l’ipotesi che idati siano pari,u(−x,t) = 1 2[u0 (−x−ct)+u 0 (−x+ct) ] + 1 2c−x+ct ∫−x−ctu 1 (s)ds= 1 [u0 (x+ct)+u 0 (x−ct) ] − 1 22cx−ct ∫x+ctu 1 (σ)dσ,ove abbiamo o<strong>per</strong>ato <strong>il</strong> cambiamento <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>e d’integrazione σ = −s.Si vede subito che l’ultimo termine qui sopra coincide con la u(x,t) comedefinita dalla (10.4).Dunque u x (0,t), se esiste, è nulla; ma in effetti dalla (10.4) segue subitoche u è derivab<strong>il</strong>e in x sotto le ipotesi <strong>di</strong> regolarità stipulate sopra.2) Si ragiona in modo sim<strong>il</strong>e al punto 1). □Poiché le soluzioni C 2 sono anche soluzioni deboli, la Proposizione 10.23vale anche <strong>per</strong> soluzioni <strong>di</strong> quella classe.


108 DANIELE ANDREUCCIConsideriamo i due problemi⎧u tt −c 2 u xx = 0, x > 0,t > 0,⎪⎨u(x,0) = u 0 (x), x > 0,PNu t (x,0) = u 1 (x), x > 0,⎪⎩u x (0,t) = 0, t > 0.⎧u tt −c 2 u xx = 0, x > 0,t > 0,⎪⎨u(x,0) = uPD 0 (x), x > 0,u t (x,0) = u 1 (x), x > 0,⎪⎩u(0,t) = 0, t > 0.Risultano allora vere le seguenti affermazioni:a) Siano u 0 ∈ C 1( [0, ∞) ) , e u 1 ∈ C 0( [0, ∞) ) . Continuiamo a denotare conu 0 , u 1 le estensioni pari dei dati su tutto R. Allora la soluzione deboledata da (10.4), corrispondente a questi dati estesi, sod<strong>di</strong>sfa al con<strong>di</strong>zioneal bordo <strong>di</strong> PN, ossia u x (0,t) = 0.b) Siano u 0 , u 1 : (0, ∞) → R, e sia u 1 integrab<strong>il</strong>e sugli intervalli limitati <strong>di</strong>(0, ∞). Continuiamo a denotare con u 0 , u 1 le estensioni <strong>di</strong>spari dei dati sututto R. Allora la soluzione debole data da (10.4) sod<strong>di</strong>sfa la con<strong>di</strong>zioneal bordo <strong>di</strong> PD, ossia u(0,t) = 0.Possiamo dunque definire come soluzione debole <strong>di</strong> PN (rispettivamente<strong>di</strong> PD) la u data dalla formula <strong>di</strong> D’Alembert <strong>per</strong> i dati iniziali ottenutiriflettendo in modo pari (rispettivamente in modo <strong>di</strong>spari) i dati assegnati<strong>per</strong> x > 0, a prescindere dalle richieste <strong>di</strong> regolarità aggiunte in a) sopra.•10.6.2. Problemi in un intervallo limitato. Alcuni problemi ai valori alcontorno in un intervallo (a,b) possono essere ricondotti al problema <strong>di</strong>Cauchy con tecniche <strong>di</strong> riflessione sim<strong>il</strong>i a quelle viste sopra. Quin<strong>di</strong>possono essere risolti con la formula <strong>di</strong> D’Alembert.Esempio 10.24. Consideriamo <strong>il</strong> problemau tt −c 2 u xx = 0, 0 < x < π,t > 0,u(x,0) = sinx, 0 < x < π,u t (x,0) = cosx, 0 < x < π,u(0,t) = 0, t > 0,u x (π,t) = 0, t > 0.In questo caso la riflessione dovrà essere <strong>di</strong>spari intorno a x = 0 e pariintorno a x = π. Per <strong>il</strong> Lemma C.10, i dati estesi dovranno essere{|sinx|, 0 < x < 2π,u 0 (x) =−|sinx|, −2π < x < 0;{cosx, 0 < x < 2π,u 1 (x) =−cosx, −2π < x < 0,ove poi sia inteso che u 0 e u 1 sono <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ci con <strong>per</strong>iodo 4π su R.□


10.6. ALCUNI PROBLEMI PER ALTRI DOMINI: TECNICHE DI RIFLESSIONE 109•


CAPITOLO 11Integrazione <strong>per</strong> convoluzioneL’idea dell’approssimazione <strong>di</strong> funzioni me<strong>di</strong>ante convoluzionicon nuclei <strong>di</strong> approssimazione ha molte applicazioni. In particolarepuò essere usata <strong>per</strong> rappresentare soluzioni <strong>di</strong> e.d.p. insemispazi, o anche in altre geometrie.La formula <strong>di</strong> rappresentazioneottenuta può quin<strong>di</strong> essere usata<strong>per</strong> indagare le proprietà della soluzione.11.1. ConvoluzioniSe f è integrab<strong>il</strong>e su R N , e g è limitata su R N , allora, <strong>per</strong> ogni x fissato,la funzione y ↦→ f(y)g(x−y) risulta integrab<strong>il</strong>e su R N , e risulta <strong>per</strong>tantodefinita la funzione convoluzione, o prodotto <strong>di</strong> convoluzione <strong>di</strong> f e g∫f ∗g(x) = f(y)g(x−y)dy.R NIl prodotto <strong>di</strong> convoluzione è commutativo, ossiaLemma 11.1. Per f e g come sopra, vale <strong>per</strong> ogni x ∈ R N , f ∗g(x) = g∗ f(x),ossia∫f ∗g(x) = f(x−y)g(y)dy. (11.1)R NOmettiamo la <strong>di</strong>mostrazione, checomunquesibasa sull’idea<strong>di</strong>introdurre<strong>il</strong> cambiamento <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i y ↦→ z = x−y, in modo da ottenere∫∫f ∗g(x) = f(y)g(x−y)dy = f(x−z)g(z)dz = g∗ f(x).R N R NInfatti la trasformazione y ↦→ x−y porta in sé <strong>il</strong> dominio <strong>di</strong> integrazioneR N , ed ha iacobiano unitario.Definizione 11.2. Una famiglia <strong>di</strong> funzioni ϕ λ : R N → R, λ > 0, si <strong>di</strong>cefamiglia <strong>di</strong> nuclei <strong>di</strong> approssimazione selim∫λ→0|x|≥aϕ λ (x) ≥ 0, <strong>per</strong> ogni x ∈ R N , λ > 0; (11.2)ϕ λ (x)dx = 1, <strong>per</strong> ogni λ > 0; (11.3)R∫N ϕ λ (x)dx = 0, <strong>per</strong> ogni a > 0. (11.4)111□


112 DANIELE ANDREUCCITeorema 11.3. Sia f una funzione integrab<strong>il</strong>e e limitata su R N . Allora in ognipunto x ∈ R N <strong>di</strong> continuità <strong>per</strong> f, si ha∫f ∗ ϕ λ (x) = f(x−y)ϕ λ (y)dy → f(x), λ → 0. (11.5)R NDimostrazione. Fissiamo x ∈ R N , ove f è continua, e ε > 0. Allora,usando (11.2) e (11.3) si ha∫f(x−y)ϕ λ (y)dy− f(x)∣∣R N ∫∫=[f(x−y)− f(x)]ϕ λ (y)dy∣∣ ≤ |f(x−y)− f(x)|ϕ λ (y)dyR N R∫∫N= |f(x−y)− f(x)|ϕ λ (y)dy+ |f(x−y)− f(x)|ϕ λ (y)dy|y|≤a=: I 1 (a)+ I 2 (a),|y|≥aove a > 0 verrà scelto sotto. Iniziamo con <strong>il</strong> limitare I 1 (a): si noti che <strong>per</strong>|y| ≤ a, vale |(x−y)−x| ≤ a. Dunque, <strong>per</strong> la continuità <strong>di</strong> f in x, sea = a(ε,x) è scelto in modo opportuno, si ottienePerciò, invocando (11.3),∫I 1 (a) ≤|f(x−y)− f(x)| ≤ ε, <strong>per</strong> ogni |y| ≤ a. (11.6)|y|≤a∫εϕ λ (y)dy ≤ εR N ϕ λ (y)dy = ε.A questo punto a > 0 risulta fissato. Allora, in virtù <strong>di</strong> (11.4), ponendoM = sup R N|f|,∫∫I 2 (a) ≤ 2Mϕ λ (y)dy = 2M ϕ λ (y)dy ≤ 2Mε, (11.7)|y|≥a|y|≥apur <strong>di</strong> prendere λ ≤ ¯λ, con ¯λ > 0 opportuno. Si noti che ¯λ <strong>di</strong>pende, inprincipio, da a e da ε, ma a sua volta a è stato fissato in <strong>di</strong>pendenza da ε eda x. Dunque ¯λ = ¯λ(ε,x).Riassumendo: abbiamo provatoche <strong>per</strong>ognifissato ε > 0, esisteun ¯λ(ε,x)tale che∫f(x−y)ϕ λ (y)dy− f(x)∣∣ ≤ (2M+1)ε, se 0 < λ ≤ ¯λ. (11.8)R NQuesto <strong>di</strong>mostra la tesi.In effetti piccole mo<strong>di</strong>fiche alla <strong>di</strong>mostrazione del precedente risultatoconducono a□


11.1. CONVOLUZIONI 113Teorema 11.4. Sia f una funzione integrab<strong>il</strong>e e limitata su R N . Allora lafunzione u = u(x, λ) definita in Q + = {x ∈ R N , λ ≥ 0} da{∫u(x, λ) =R N f(x−y)ϕ λ(y)dy, λ > 0,f(x), λ = 0,è continua in (x,0), nel senso della continuità <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> N+1 variab<strong>il</strong>i, <strong>per</strong>ogni punto x ∈ B, ove B è un a<strong>per</strong>to <strong>di</strong> continuità <strong>per</strong> f.Dimostrazione. Fissiamo x ∈ B ed ε > 0, e anche0 < σ < 1 4 <strong>di</strong>st( x,R N \B ) .Il Teorema 11.3 <strong>di</strong>mostra in effetti che la u è continua nel senso mono<strong>di</strong>mensionale,ossia che λ ↦→ u(x, λ) è continua in λ = 0.Vogliamo ora invece determinare un δ = δ(ε,x) > 0 tale che∫|u(ξ, λ)−u(x,0)| =f(ξ −y)ϕ λ (y)dy− f(x)≤ ε, (11.9)∣∣R N<strong>per</strong> ogni ξ e λ tali che |x−ξ|+λ ≤ δ.Usando (11.3) si ha∫f(ξ −y)ϕ λ (y)dy− f(x)∣∣R N ∫≤[f(ξ −y)− f(ξ)]ϕ λ (y)dy∣∣ +|f(ξ)− f(x)| =: J 1(ξ)+ J 2 (ξ).R NPer la continuità <strong>di</strong> f in x, si sa che, <strong>per</strong> ¯ρ(ε,x) opportuno,J 2 (ξ) = |f(ξ)− f(x)| ≤ ε, se |ξ −x| ≤ ¯ρ(ε,x). (11.10)Per <strong>il</strong> Teorema 11.3 (con x sostituito da ξ; ve<strong>di</strong> (11.8)) si sa già che esisteun ¯λ(ε, ξ) > 0 tale che <strong>per</strong> λ < ¯λ, si ha J 1 (ξ) ≤ (2M+1)ε. Mostriamo chein realtà ¯λ <strong>di</strong>pende solo da x e non da ξ se si suppone a priori |ξ−x| ≤ σ,ossia ξ ∈ B σ (x).Infatti, dalla <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> Teorema 11.3, si vede che ¯λ <strong>di</strong>pende da ξsoloattraverso a, eche a, d’altraparte,vaorasceltasottolasolarestrizioneche valga|f(ξ −y)− f(ξ)| ≤ ε, |y| ≤ a. (11.11)Se supponiamo anche, senza introdurre nessuna reale limitazione, vistoche x è fissato, che a ≤ σ, allora in (11.11) ξ −y, ξ ∈ B 2σ (x). Dato che fè continua nel compatto B 2σ (x) ⊂ B, è anche uniformemente continua inesso, vale a <strong>di</strong>re, esiste un a > 0 tale che la <strong>di</strong>suguaglianza (11.11) vale <strong>per</strong>ogni ξ ∈ B σ (x), |y| ≤ a. Tale a <strong>di</strong>pende solo da ε e dal compatto, ossia soloda ε e da x. Dunque valeJ 1 (ξ) ≤ (2M+1)ε, 0 < λ ≤ ¯λ(ε,x). (11.12)


114 DANIELE ANDREUCCILa (11.10) e la (11.12) <strong>di</strong>mostrano (a patto <strong>di</strong> un’inessenziale ridefinizione<strong>di</strong> ε) che (11.9) vale <strong>per</strong> ogni ξ e λ tali che|x−ξ|+λ ≤ δ, con δ = min ( σ, ¯ρ(ε,x), ¯λ(ε,x) ) ,concludendo la <strong>di</strong>mostrazione.Corollario 11.5. Se B è un a<strong>per</strong>to ove f è continua, allora la funzione u(x, λ) <strong>di</strong>Teorema 11.4 è uniformemente continua sull’insiemeK 0 = {(x,0) | x ∈ K},<strong>per</strong> ogni fissato compatto K contenuto in B.In particolare, <strong>per</strong> ogni fissato ε > 0, esiste un λ ε > 0 tale che <strong>per</strong> ogni x ∈ K,|u(x, λ)− f(x)| ≤ ε, 0 < λ ≤ λ ε . (11.13)Dimostrazione. Il Corollario segue subito osservando che, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Teorema11.4,lauècontinuasuK 0 , equin<strong>di</strong>,<strong>per</strong>risultatigenerali,iviuniformementecontinua, dato che tale insieme è un compatto <strong>di</strong> R N+1 . La (11.13)è conseguenza imme<strong>di</strong>ata della definizione <strong>di</strong> uniforme continuità. □Osservazione 11.6. Poiché la <strong>di</strong>pendenza da x nella ϕ λ ∗ f = f ∗ ϕ λ puòessere ‘letta’ me<strong>di</strong>ante la ϕ λ , in linea <strong>di</strong> massima tale integrale, come funzione<strong>di</strong> x, avrà la regolarità <strong>di</strong> ϕ λ , che potrà essere anche maggiore <strong>di</strong>quella <strong>di</strong> f. Per questo le ϕ λ , se sono regolari, si <strong>di</strong>cono anche nuclei <strong>di</strong>mollificazione.In questo modo f può essere approssimata con funzioni regolari. □Osservazione 11.7. Seallora, poiché ϕ λ ≥ 0, si può scriverem ≤ f(ξ) ≤ M, ξ ∈ R N ,mϕ λ (x−ξ) ≤ f(ξ)ϕ λ (x−ξ) ≤ Mϕ λ (x−ξ), x, ξ ∈ R N ,integrando la quale in ξ in R N si ottienem ≤ f ∗ ϕ λ (x) ≤ M, x ∈ R N . (11.14)Siconfrontiquestaproprietàcon <strong>il</strong> fenomeno<strong>di</strong>Gibbs <strong>per</strong> serie<strong>di</strong>Fourier,ve<strong>di</strong> Sezione 8.5.□Osservazione 11.8. Se sia la f che i nuclei ϕ λ hanno supporto compatto,la stessa proprietà vale <strong>per</strong> f ∗ ϕ λ , come è fac<strong>il</strong>e verificare. □Osservazione 11.9. Una classe molto usata <strong>di</strong> nuclei <strong>di</strong> approssimazione èla seguente: si parte con una ϕ ∈ C ∞ (R N ), che sod<strong>di</strong>sfi (11.2), (11.3), ossia∫ϕ(x) ≥ 0, <strong>per</strong> ogni x ∈ R N ; ϕ(x)dx = 1.R NPoi si definisce <strong>per</strong> ogni λ > 0ϕ λ (x) = 1 ( ) xλ N ϕ , x ∈ R N .λ□


11.1. CONVOLUZIONI 115È fac<strong>il</strong>e vedere che in questo modo la (11.2) e la (11.3) sono sod<strong>di</strong>sfatte.Inoltre fissato a > 0, si ha <strong>per</strong> esempio, in virtù del Lemma A.15,∫ ∫ϕ λ (x)dx = ϕ(y)dy → 0, <strong>per</strong> λ → 0,|x|≥a|y|≥ a λe quin<strong>di</strong> anche (11.4) risulta <strong>di</strong>mostrata. Si noti che questa relazione d<strong>il</strong>imite non sarebbe verificata se si fosse preso a = 0.Qualora la ϕ sia a supporto compatto, ciascuna ϕ λ risulta a supportocompatto. Per esempio, se supp ϕ = B 1 (0), allora supp ϕ λ = B λ (0). □Osservazione 11.10. In realtà la limitatezza <strong>di</strong> f su tutto R N non è davvero essenziale <strong>per</strong>i risultati sopra. È sufficiente supporre, <strong>per</strong> esempio, che la f sia limitata sul supporto <strong>di</strong>tutte le ϕ λ .□Osservazione 11.11. La (11.3) può essere sostituita da∫R N ϕ λ (x)dx → 1, λ → 0.Osservazione 11.12. La stessa <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 11.3, quasi senza mo<strong>di</strong>fiche,<strong>per</strong>mette <strong>di</strong> ottenere che∫R N f λ (x−y)ϕ λ (y)dy → f(x), λ → 0, (11.15)sotto le ipotesi formulate nel Teorema su f e x, e se la {f λ } è una famiglia <strong>di</strong> funzioni taliche valgano siache anche<strong>per</strong> ogni ε > 0 esiste un a = a(x, ε) > 0 e un ¯λ = ¯λ(x, ε), taliche <strong>per</strong> ogni |y| ≤ a e <strong>per</strong> ogni 0 < λ < ¯λ si abbia|f λ (x−y)− f(x)| ≤ ε, (11.16)esiste un M 1 < ∞ in<strong>di</strong>pendente da λ che sod<strong>di</strong>sfi <strong>per</strong> ogniλ > 0supR N |f λ | ≤ M 1 . (11.17)Infatti basta usare nella <strong>di</strong>mostrazione la (11.16) al posto della (11.6), e la (11.17) nella(11.7). □Osservazione 11.13. Tutto quanto detto in questa Sezione vale se la parametrizzazionedei nuclei, invece che con una variab<strong>il</strong>e reale λ, è fatta con la successione dei naturali n.È ovvio che tutte le convergenze <strong>per</strong> λ → 0 devono essere sostituite con convergenze <strong>per</strong>n → ∞. Volendo proprio ricadere alla lettera nel caso appena visto, se φ n è la famiglia deinuclei <strong>di</strong> approssimazione parametrizzati dai naturali, basta definireϕ λ = φ n ,1n+1 < λ ≤ 1 n . □□11.1.1. Approssimazionedella δ <strong>di</strong>Dirac. Spessonelleapplicazioni sideveintrodurre in un modello matematico una quantità ‘concentrata’: unimpulso puntuale, una sorgente puntiforme, e così via.Per esempio, supponiamo che una massa unitaria <strong>di</strong> gas sia concentrataall’istante t = 0 nel punto x = 0 ∈ R 3 , e sia lasciata libera <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere


116 DANIELE ANDREUCCI<strong>per</strong> t > 0. Una ‘funzione’ δ ≥ 0 che costituisca <strong>il</strong> dato iniziale <strong>per</strong> laconcentrazione del gas in questo problema dovrebbe sod<strong>di</strong>sfare∫∫δ(x)dx = 1 (= massa iniziale); δ(x)dx = 0, <strong>per</strong> ogni ε > 0.R 3 |x|≥εÈ chiaro che non esiste una funzione integrab<strong>il</strong>e con queste proprietà: la‘massa’ dovrebbe essere concentrata tutta in solo punto x = 0, ma è notoche l’integrale su un solo punto si annulla (<strong>per</strong>ché <strong>il</strong> punto ha misuranulla).Il concetto introdotto sopra in modo euristico si rende rigoroso definendoδ come una <strong>di</strong>stribuzione, ossia come una applicazione δ : C(R N ) → R,definita daδ(f) = f(0), <strong>per</strong> ogni f ∈ C(R N ).Questa <strong>di</strong>stribuzione è nota come delta <strong>di</strong> Dirac. Si può definire una successione<strong>di</strong> applicazioni δ λ : C(R N ) → R comeδ λ (f) = f ∗ ϕ λ (0), <strong>per</strong> ogni f ∈ C(R N )(<strong>per</strong> esempio se tutte le ϕ λ hanno supporto contenuto in B 1 (0), ve<strong>di</strong> Osservazione11.10). Allora vale δ λ (f) → δ(f) <strong>per</strong> λ → 0 (convergenza <strong>di</strong>numeri reali). In questo senso i nuclei ϕ λ approssimano la delta <strong>di</strong> Dirac.Ad esempio, nell’ipotetico modello accennato sopra <strong>per</strong> la <strong>di</strong>ffusione<strong>di</strong> un gas da una massa puntiforme, si potrebbero considerare problemiapprossimati corrispondenti ai dati iniziali ϕ λ .•11.2. Equazione <strong>di</strong> Laplace nel semispazioCerchiamo <strong>di</strong> risolvere <strong>il</strong> problema al contorno <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace∆u =N∑u xi x i+u yy = 0, x ∈ R N , y > 0, (11.18)i=1u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R N , (11.19)ove u 0 è una funzione continua e limitata su R N . L’idea è scrivere lasoluzione nella forma∫∫u(x,y) = u 0 (x−ξ)ϕ λ (ξ)dξ = u 0 (ξ)ϕ λ (x−ξ)dξ, (11.20)R N R Nove i ϕ λ sono opportuni nuclei <strong>di</strong> approssimazione. Nel seguito supponiamoche i ϕ λ abbiano tutta la regolarità necessaria <strong>per</strong> l’argomento chesv<strong>il</strong>up<strong>per</strong>emo, salvo verificarla a posteriori.È noto che l’integrale nella (11.20) tende a u 0 (x) se λ → 0. Noi vogliamochelau(x,y) tendaau 0 (x)sey → 0: dunquebasteràscegliere λ = λ(y) →0 <strong>per</strong> y → 0. Questo <strong>per</strong>ò garantisce solo la (11.19); resta da verificare la(11.18). Procedendo in modo formale, possiamo pensare <strong>di</strong> scambiare lederivate con <strong>il</strong> segno <strong>di</strong> integrale in (11.18), ottenendo∫∆u(x,y) = u 0 (ξ) ∆ ϕ λ(y) (x−ξ)dξ. (11.21)R N


11.2. EQUAZIONE DI LAPLACE NEL SEMISPAZIO 117Siamo quin<strong>di</strong> condotti a cercare un nucleo <strong>di</strong> approssimazione, e unafunzione λ = λ(y), tali che∆ ϕ λ(y) (x) = 0. (11.22)Lascelta<strong>di</strong> λcomefunzione<strong>di</strong>ypuòesseredeterminatadaconsiderazioni<strong>di</strong> varia natura, o con i calcoli. Ricordando l’Osservazione 11.9, tentiamoconλ(y) = y, ϕ y (x) = 1 ( x)y N ϕ , x ∈ R N ,y > 0.y11.2.1. Calcolo <strong>di</strong> ϕ y . Resta da trovare ϕ, ossia da imporre (11.22). Limitiamoci <strong>per</strong>semplicità al caso N = 1. Si ha con calcoli <strong>di</strong>retti∆ ϕ y (x) = 1 {y 3 ϕ ′′( x)+ x2y y 2 ϕ′′( x)+4 x y y ϕ′( x) ( x+2ϕ = 0.y y)}Ponendo s = x/y, e considerando s come variab<strong>il</strong>e in<strong>di</strong>pendente, cosicché ϕ ′ = dϕ/ds, sihaϕ ′′ (s)+s 2 ϕ ′′ (s)+4sϕ ′ (s)+2ϕ(s) = 0, s ∈ R,ossiada cui <strong>per</strong> integrazione,ϕ ′′ (s)+ ( s 2 ϕ ′ (s) ) ′ +2(sϕ(s)) ′ = 0, s ∈ R,ϕ ′ (s)+s 2 ϕ ′ (s)+2sϕ(s) = ϕ ′ (0) = 0, s ∈ R.Si è posto ϕ ′ (0) = 0 <strong>per</strong>ché, <strong>per</strong> motivi <strong>di</strong> simmetria, ci aspettiamo che ϕ y (x) sia pari in x.Quin<strong>di</strong>ϕ ′ (s)+ ( s 2 ϕ(s) ) ′ = 0, s ∈ R,da cuiove ϕ(0) va scelto in modo cheDunque1 =+∞ ∫−∞ϕ(s)+s 2 ϕ(s) = ϕ(0), s ∈ R,ϕ(s)ds = ϕ(0)+∞ ∫ds1+s 2 = ϕ(0)π, cioè ϕ(0) = 1 π .−∞11+s 2 , ossia ϕ y(x) = 1 πϕ(s) = 1 πUn calcolo <strong>di</strong>retto mostra che{ 1∆ ϕ y (x) = ∆πyx 2 , x ∈ R,y > 0.+y2 y}x 2 +y 2 = 0,cioè che le ipotesi fatte su ϕ sono compatib<strong>il</strong>i con la (11.22).Nel caso generale si haϕ y (x) = 2σ N+1y(|x| 2 +y 2 ) N+12. (11.23)Tornando alla (11.20) si hau(x,y) = 2 ∫yu 0 (ξ) dξ, (x,y) ∈ Q + , (11.24)σ N+1 (|x− ξ| 2 +y 2 ) N+1R N 2ove si è postoQ + = {(x,y) | x ∈ R N ,y > 0}.Conclu<strong>di</strong>amo: la (11.19)ègarantita, <strong>per</strong>chéla ϕ sod<strong>di</strong>sfale ipotesidell’Osservazione11.9. La (11.18) invece è conseguenza dell’uguaglianza (11.21);•


118 DANIELE ANDREUCCIa sua volta questa segue da teoremi <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong> integrali <strong>di</strong>pendentida parametro nel cui dettaglio non entriamo.Si <strong>per</strong>viene così alla parte <strong>di</strong> esistenza nelTeorema11.14. Siau 0 ∈ C(R N )unafunzionelimitatasu R N . Alloraesisteunasola funzione u ∈ C(Q + )∩C 2 (Q + ), che sia limitata su Q + e risolva (11.18),(11.19). Tale soluzione ha la rappresentazione in (11.24).La <strong>di</strong>mostrazione dell’unicità viene omessa.Osservazione 11.15. Si noti che la soluzione u del Teorema 11.14 è unicasolo nella classe delle funzioni limitate. Se <strong>per</strong> esempio prescriviamo <strong>il</strong>datou 0 ≡ 0, oltreall’unica soluzionelimitata u ≡ 0sihaanchelau(x,y) =y. □Osservazione 11.16. La formula (11.24) dà ancora la soluzione del problema(11.18), (11.19) se<strong>il</strong> dato u 0 è sololimitato (ma noncontinuo) su R N . Inquestocaso u ècontinuain (x,0) neipuntiinterniaintervalli <strong>di</strong>continuità<strong>di</strong> u 0 (ve<strong>di</strong> Teorema 11.4).□Proposizione 11.17. Se m ≤ u 0 ≤ M, allora m ≤ u(x,y) ≤ M. Se inoltre u 0è integrab<strong>il</strong>e su R N , vale|u(x,y)| ≤ costantey N , x ∈ R N ,y > 0. (11.25)Dimostrazione. Laprimaasserzioneseguesubitodall’Osservazione11.7;comunque, con un calcolo <strong>di</strong>retto si verifica cheu(x,y) ≥ 2σ N+1∫R N my(|x−ξ| 2 +y 2 ) N+12Per quanto riguarda la (11.25), si ha|u(x,y)| ≤ 2σ N+1∫R N |u 0 (ξ)|y(|x−ξ| 2 +y 2 ) N+12∫dξ = mdξR N ϕ y (x−ξ)dξ = m.≤ 2 ∫y|u 0 (ξ)|σ N+1 y N+1 dξ.R N □Osservazione 11.18. (Comportamento asintotico) La (11.25) asserisceche se <strong>il</strong> dato al bordo è integrab<strong>il</strong>e, la soluzione non solo è limitata, matende a zero <strong>per</strong> y → ∞. Si potrebbe comunque <strong>di</strong>mostrare, come inProposizione 11.24, che vale in questo caso∫ ∫u(x,y)dx = u 0 (x)dx, <strong>per</strong> ogni y > 0. (11.26)R N R N□


11.3. IL PROBLEMA DI CAUCHY PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 11911.3. Il problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione del caloreLeideedellaSezione11.2sipossonoapplicareanchenelcasodell’equazionedel calore. Qui, come d’uso quando si trattano equazioni paraboliche,in<strong>di</strong>chiamo con t la variab<strong>il</strong>e ‘tempo’, e denotiamoQ ∞ = {(x,t) | x ∈ R N ,t > 0}.Tuttavia in questo caso, nella scelta <strong>di</strong> ϕ λ(t) (x), si deve prendere λ(t) =√Dt, e, in particolare,ϕ λ (x) =1(2 √ x24λπλ) Ne− 2 . (11.27)La giustificazione <strong>di</strong> questa scelta verrà <strong>di</strong>scussa nella Sottosezione 11.3.2.Consideriamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> CauchyValeu t −D ∆u = 0, x ∈ R N ,t > 0, (11.28)u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R N . (11.29)Teorema11.19. Siau 0 ∈ C(R N )unafunzionelimitatasu R N . Alloraesisteunasola funzione u ∈ C(Q ∞ )∩C 2,1 (Q ∞ ), che sia limitata su Q ∞ e risolva (11.28) e(11.29). Tale soluzione ha la rappresentazione∫1u(x,t) = u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξ, (x,t) ∈ Q ∞ . (11.30)2R NLa <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 11.19 viene omessa (ve<strong>di</strong> anche la Sottosezione11.3.1).Definizione 11.20. La funzione1Γ(x,t) =(4πDt) N 2e − x24Dt , x ∈ R N ,t > 0, (11.31)si <strong>di</strong>ce soluzione fondamentale dell’equazione del calore.Osservazione 11.21. Il significato della soluzione fondamentale (11.31) èstato accennato nella Sottosezione1.2.3. Si vedano anche la Figura 11.1 e laTavola 11.1.□□Γ(x,t) x = 0 x = 10 −2 x = 10 −1 x = 1 x = 10 x = 10 2t = 10 −3 8.92 8.70 0.73 < ε < ε < εt = 10 −2 2.82 2.81 2.19 < η < ε < εt = 10 −1 0.89 0.89 0.87 0.07 < ε < εt = 1 0.28 0.28 0.28 0.21 < η < εt = 10 0.09 0.09 0.09 0.09 0.007 < εt = 5·10 3 0.004 0.004 0.004 0.004 0.004 0.002Tabella 11.1. Alcunivalori numerici assuntida Γ(x,t), <strong>per</strong>N = 1, D = 1. Qui ε = 10 −100 , η = 10 −10 .


120 DANIELE ANDREUCCI5432Γ(x,t)10-5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5xFigura 11.1. I grafici <strong>di</strong> Γ(x,t) in <strong>di</strong>mensione N = 1 corrispondentiai tempi t = 10 −3 , 10 −2 , 10 −1 , 1. Si è assuntoD = 1.Osservazione 11.22. La formula (11.30) dà ancora la soluzione del problema(11.28), (11.29) se<strong>il</strong> dato u 0 è sololimitato (ma noncontinuo) su R N . Inquestocaso u ècontinuain (x,0) neipuntiinterniaintervalli <strong>di</strong>continuità<strong>di</strong> u 0 (ve<strong>di</strong> Teorema 11.4).□Proposizione 11.23. Se m ≤ u 0 ≤ M, allora m ≤ u(x,t) ≤ M. Se inoltre u 0 èintegrab<strong>il</strong>e su R N , vale|u(x,t)| ≤ costantet N 2, x ∈ R N ,t > 0. (11.32)Dimostrazione. La prima asserzione segue subito da∫ ∫1u(x,t) ≤ Me −(x−ξ)2(4πDt) N 4Dt dξ = M Γ(x−ξ,t)dξ = M.2R N R NPer quanto riguarda la (11.32), si ha∫∫11|u(x,t)| ≤ |u(4πDt) N 0 (ξ)|e −(x−ξ)2 4Dt dξ ≤ |u2(4πDt) N 0 (ξ)|dξ.R N 2R NProposizione11.24. (Conservazione della massa)Sia u 0 continua,limitatae integrab<strong>il</strong>e in R N . Allora la soluzione u <strong>di</strong> (11.28), (11.29) risulta integrab<strong>il</strong>ein R N <strong>per</strong> ogni fissato livello temporale t > 0, e vale∫ ∫u(x,t)dx = u 0 (x)dx, t > 0. (11.33)R N R N□


11.3. IL PROBLEMA DI CAUCHY PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 121La <strong>di</strong>mostrazione si basa sul seguente proce<strong>di</strong>mento formale:∫ ∫u(x,t)dx =R NR N {∫=∫1}u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξ dx2R N ∫1}e −(x−ξ)2(4πDt) N 4Dt dx u 0 (ξ)dξ =2R NR N {∫R N u 0 (ξ)dξ,<strong>per</strong>ché ∫ N Γ(x,t)dx = 1. Lo scambio degli integrali andrebbe <strong>per</strong>ò giustificatoin modoRrigoroso.11.3.1. Dimostrazione dell’unicità <strong>di</strong> soluzioni nel caso N = 1. Usiamo un metodo <strong>di</strong>tipo energetico (ve<strong>di</strong> Capitolo 6). Siano u 1 e u 2 due soluzioni limitate come nell’enunciato.Poniamo v = u 1 −u 2 . Allora v risolve <strong>il</strong> problema (11.28), (11.29), con dato inizialev(x,0) = 0, x ∈ R.Sia ψ ∈ C 2 (R) una funzione tale cheψ(x) = 1, |x| ≤ 1; ψ(x) = 0, |x| ≥ 2; ψ(x) ≥ 0, 1 ≤ |x| ≤ 2.Definiamo poi <strong>per</strong> un ρ > 0 fissato( xζ(x) = ψ .ρ)Si noti cheζ(x) = 1, |x| ≤ ρ; ζ(x) = 0, |x| ≥ 2ρ;ζ(x) ≥ 0, ρ ≤ |x| ≤ 2ρ;|ζ ′ (x)| ≤ C ρ , x ∈ R; |ζ′′ (x)| ≤ C ρ 2 , x ∈ R,ove si può prendere C = max R (|ψ ′ |+|ψ ′′ |).Supponiamo <strong>per</strong> semplicità che v ∈ C 2,1 (Q ∞ ): <strong>il</strong> caso generale segue me<strong>di</strong>ante approssimazionedel dominio: si integra <strong>per</strong> parti in R×(ε,t) e poi si prende <strong>il</strong> limite ε → 0.Moltiplichiamo l’equazione v t −Dv xx = 0 <strong>per</strong> vζ e integriamo <strong>per</strong> parti, ottenendo∫ t0 =+∞ ∫0 −∞∫ t+D= 1 2−2ρvζ(v τ −Dv xx )dxdτ = 1 ∫ 2ρv(x,t) 2 ζ(x)dx2−2ρ∫ 2ρ0 −2ρ∫ 2ρDunque, <strong>per</strong> le proprietà <strong>di</strong> ζ,∫ ρ−ρv(x,t) 2 dx ≤∫ 2ρ−2ρ(v 2 x ζ +vv xζ ′ )dxdτ∫ tv(x,t) 2 ζ(x)dx+D∫ 2ρ0 −2ρ−D 1 ∫t ∫ 2ρv(x, τ) 2 ζ ′′ (x)dxdτ.20 −2ρv(x,t) 2 ζ(x)dx∫ t≤ D2ρ ∫0 −2ρv(x, τ) 2 ζ ′′ (x)dxdτ ≤ CDρ 2v x (x, τ) 2 ζ(x)dxdτ∫t∫ 2ρ0 −2ρM 2 dxdτ = 4CDM2 t,ρ


122 DANIELE ANDREUCCIove M è una costante che maggiora |v| in Q ∞ ; infatti v è limitata come <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong>funzioni limitate. Per ρ → ∞ si ottiene+∞ ∫v(x,t) 2 dx ≤ 0,−∞ossia v(x,t) = 0 <strong>per</strong> ogni x. Dato che t > 0 può essere scelto ad arbitrio, segue chev ≡ 0.•11.3.2. Ricercadellasoluzionefondamentale. Unmetodo<strong>di</strong>verso<strong>di</strong>ricercaèsvolto nellaSezione 14.3.Cambiando la variab<strong>il</strong>e dei tempi in t ′ = Dt, ma usando da subito <strong>il</strong> vecchio nome <strong>di</strong>variab<strong>il</strong>e t <strong>per</strong> la nuova, si vede che nei calcoli si può supporre D = 1, fermo restando chedovremo poi eseguire la sostituzione inversa nella funzione trovata.Cerchiamo una soluzione del problemaΓ t − ∆ Γ = 0, x ∈ R N ,t > 0, (11.34)Γ(x,0) = δ(x), x ∈ R N , (11.35)nella forma <strong>di</strong> nucleo <strong>di</strong> approssimazione. La <strong>di</strong>pendenza del parametro λ da t è a prioriignota; in<strong>di</strong>cheremo questo parametro con R(t). Dunque poniamoΓ(x,t) = 1 ( |x|)R(t) N f . (11.36)R(t)Qui f e R sono funzioni positive, da determinare, che supporremo abbastanza regolari dagiustificare i calcoli seguenti, salvo verificare in ultimo che lo siano davvero.CalcoliamoΓ t = −N Ṙ(t) ( |x|)R(t) N+1 f − Ṙ(t) |x|R(t) R(t) N+1 R(t) f′( |x|).R(t)Poi1 x∇ Γ(x,t) =R(t) N+1 |x| f′( |x|),R(t)1[ N−1∆ Γ(x,t) = <strong>di</strong>v∇ Γ(x,t) =R(t) N+1 |x|Dunquef ′( |x|)+ xR(t) |x| ·x|x|R(t) f′′( |x|)].R(t)1Γ t − ∆ Γ = −R(t) N+2 [× NR(t)Ṙ(t)f +R(t)Ṙ(t) |x|R(t) f′ + f ′′ +(N−1) R(t) f ′] = 0,|x|ovesièsottintesala<strong>di</strong>pendenza<strong>di</strong> f, f ′ , f ′′ dalloroargomento|x|/R(t). Poichélefunzioniincognite sono due, f ed R, occorre estrarre due equazioni <strong>di</strong>fferenziali dall’uguaglianzaprecedente. Intanto osserviamo che, ponendos = |x|R(t) ,ed attribuendo ad s <strong>il</strong> significato <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>e in<strong>di</strong>pendente, si haNR(t)Ṙ(t)f(s)+R(t)Ṙ(t)sf ′ (s)+ f ′′ (s)+ N−1 f ′ (s). (11.37)sSi noti che le derivate <strong>di</strong> f si possono ora intendere rispetto alla variab<strong>il</strong>e s. Separando levariab<strong>il</strong>i, come <strong>per</strong> esempio nella Sezione 3.1, si arriva alle due equazioni[a[Nf(s)+sf ′ (s)]+f ′′ (s)+ N−1 f ′ (s)sṘR = a,]= 0,


11.4. PROPRIETÀ QUALITATIVE DELL’EQUAZIONE DEL CALORE 123ove a > 0 è una costante, <strong>per</strong> ora non identificata. La positività <strong>di</strong> a segue dal fatto cheR dovrà essere crescente. Osserviamo che le due quantità in parentesi quadre nell’equazione<strong>per</strong> f si prestano ad essere trasformate in derivate esatte, possedendo l’omogeneitàappropriata. Moltiplicando cioè la e.d.o. <strong>per</strong> s N−1 si haa[Ns N−1 f(s)+s N f ′ (s)]+[s N−1 f ′′ (s)+(N−1)s N−2 f ′ (s)] = 0,ossia secondo la regola <strong>di</strong> LeibnizNe segue chea[s N f(s)] ′ +[s N−1 f ′ (s)] ′ = 0.as N f(s)+s N−1 f ′ (s) = 0,ove si è anche usata la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> simmetria f ′ (0) = 0 (si veda anche <strong>il</strong> Lemma B.1). Aquesto punto abbiamo due e.d.o. del primo or<strong>di</strong>ne risolub<strong>il</strong>i in modo imme<strong>di</strong>ato.A causa della con<strong>di</strong>zione iniziale (11.35) si deve avere R(0) = 0. Una integrazioneelementare dà alloraR(t) = √ 2at, t ≥ 0. (11.38)Poida cuiR N e − a|x|2f ′ (s) = −asf(s),f(s) = f(0)e − as22 , s ∈ R. (11.39)La funzione f(|x|), secondo la teoria dei nuclei <strong>di</strong> approssimazione, deve avere integralepari ad 1 su R N , quin<strong>di</strong>∫ [∫ ] N [1 = f(0) 2 dx = f(0) e − as2 2π] N22 ds = f(0) .aQuesto determina f(0), cosicché[ a] N2f(s) = e − as22 , s ∈ R. (11.40)2πSostituendo (11.38) e (11.40) in (11.36) si ottiene l’espressione (11.31) della soluzione fondamentale.Si noti che è scomparsa ogni <strong>di</strong>pendenza dalla scelta della costante a.Si verifica a questo punto <strong>per</strong> ispezione <strong>di</strong>retta che la Γ sod<strong>di</strong>sfa le (11.34)–(11.35). Inparticolare la seconda è verificata nel senso∫lim g(ξ)Γ(ξ,t)dξ = δ(g) = g(0), <strong>per</strong> ogni g ∈ C(R N ) limitata.t→0R N11.4. Proprietà qualitative <strong>di</strong> soluzioni dell’equazione del calore11.4.1. Propagazione con velocità infinita. Qui supponiamo sempre cheu 0 ≥ 0. Quin<strong>di</strong> la soluzione <strong>di</strong> (11.28), (11.29) risulta anch’essa non negativa.Consideriamo <strong>il</strong> caso in cui <strong>il</strong> dato iniziale u 0 è non negativo, e<strong>di</strong>verso da zero solo su un dominio limitato, <strong>per</strong> esempio B L (0). Allora lasoluzione corrispondente vale∫1u(x,t) = u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξ, (x,t) ∈ Q ∞ . (11.41)2B L (0)È fac<strong>il</strong>e osservare che <strong>per</strong> ogni scelta <strong>di</strong> (x,t) ∈ Q ∞ , la u(x,t) è espressadall’integrale su B L (0) <strong>di</strong> una funzione strettamente positiva (<strong>per</strong> quanto,in generale, ‘piccola’). Perciò, <strong>per</strong> ogni fissato t > 0, u(x,t) risulta positivo<strong>per</strong> ogni x ∈ R N , nonostante che <strong>il</strong> dato iniziale fosse nullo fuori <strong>di</strong> B L (0).R•


124 DANIELE ANDREUCCIQuesto fenomeno è noto come propagazione con velocità infinita delle <strong>per</strong>turbazioni.Si noti che, <strong>per</strong> esempio, nel caso dell’equazione delle onde nonavviene niente del genere.È chiaro <strong>per</strong>ò che un modello ragionevole <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione non può pre<strong>di</strong>reche ci sia una consistente fuga <strong>di</strong> massa (o <strong>di</strong> calore) verso l’infinito inun tempo piccolo a piacere. Si noti infatti che la quantità in (11.41) èpiccolissima <strong>per</strong> t 0, |x| ≫ 1. In realtà la zona ove risulta confinataquasi tutta la massa si allarga con velocità finita (e anzi decrescente neltempo), come precisa <strong>il</strong> prossimo risultato.Proposizione 11.25. Per ogni 0 < ε < 1 esiste un C = C(ε) > 0 tale che∫∫u(x,t)dx ≥ (1−ε) u 0 (x)dx, (11.42)|x|≤C √ Dt+L|x|≤L<strong>per</strong> ogni t e L positivi, e <strong>per</strong> ogni u 0 ≥ 0 e limitata su R N .Dimostrazione. Usandolaformula<strong>di</strong>rappresentazionesiha, fissato L >0, e <strong>per</strong> un C > 0 da scegliere,∫ ∫1u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξdx2|x|≤C √ Dt+L R N∫ ∫1≥u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξdx2|x|≤C √ Dt+L|ξ|≤L∫ { ∫1}= u 0 (ξ) e −(x−ξ)2(4πDt) N 4Dt dx dξ2|ξ|≤L|x|≤C √ Dt+L∫ { ∫ 1}= u 0 (ξ)e −z2 dz dξπ N 2|ξ|≤L |2z √ Dt+ξ|≤C √ Dt+L∫ { ∫ 1}≥ u 0 (ξ) e −z2 dz dξ,π N 2|ξ|≤L |z|≤ C 2ove si è usato che <strong>per</strong> |ξ| ≤ L vale{z | |z| ≤ C }⊂ {z | |2z √ Dt+ξ| ≤ C √ Dt+ L}.2Fissato ε > 0, esiste un C = C(ε) tale che∫1e −z2 dz ≥ 1 ∫π N 2|z|≤ C 2π N 2R N e −z2 dz−ε = 1−ε.Questo conclude la <strong>di</strong>mostrazione.□Applicando la (11.42) al caso <strong>di</strong> u 0 nullo al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> B L (0), otteniamoche la massa, a meno <strong>di</strong> una frazione ε prefissata, resta confinata in unaregione che si allarga come t N/2 .


11.4. PROPRIETÀ QUALITATIVE DELL’EQUAZIONE DEL CALORE 125La Proposizione 11.25 istituisce una relazione tra l’ampiezza della zonache contiene la massa e <strong>il</strong> massimo della u in tale regione:∫∫ω N R ε (t) N max u(x,t) ≥ u(x,t)dx ≥ (1−ε) u 0 (ξ)dξ > 0,|x|≤R ε (t)|x|≤R ε (t)|ξ|≤L(11.43)ove si è posto R ε (t) = C √ Dt+ L, e si suppone valga u 0 ̸≡ 0 su B L (0).Dunque a maggior ragionesupu(x,t) ≥ costantex∈R R ε (t) N . (11.44)Per gran<strong>di</strong> t, e <strong>per</strong> u 0 integrab<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> tasso<strong>di</strong> deca<strong>di</strong>mentodato dalla (11.44)è proprio quello della stima (11.32), che quin<strong>di</strong> risulta ottimale quandou ≥ 0. Si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più: non solo <strong>il</strong> massimo, ma anche <strong>il</strong> minimo <strong>di</strong> usod<strong>di</strong>sfa una stima sim<strong>il</strong>e alla (11.43).Proposizione 11.26. Sia u 0 continua e limitata in R N . Allora <strong>per</strong> ogni L > 0,t 0 > 0 valeoveu(x,t) ≥ H(Dt) N 2H =(4π) N 2, |x| ≤ L √ Dt0√Dt,t ≥ t0 , (11.45)e−L2Dt 0∫|ξ|≤Lu 0 (ξ)dξ.Dimostrazione. Si ha, visto che u 0 ≥ 0,∫1u(x,t) ≥ u(4πDt) N 0 (ξ)e −(x−ξ)2 4Dt dξ ≥ e−K22(4πDt) N 2se valgono |ξ| ≤ L e|ξ|≤L∫|ξ|≤Lu 0 (ξ)dξ,(x−ξ) 2≤ K 2 , ossia |x−ξ| ≤ 2K √ Dt. (11.46)4DtQui K > 0 è una costante da scegliere. D’altronde, nelle ipotesi |x| ≤L √ t/t 0 e |ξ| ≤ L, la (11.46) segue da|x−ξ| ≤ |x|+|ξ| ≤ L √t0√t+L ≤ 2K√Dt,purché si prenda <strong>per</strong> esempio K = L/ √ Dt 0 , t ≥ t 0 .Esercizio 11.27. Si stu<strong>di</strong> <strong>il</strong> segno della derivata temporale Γ t <strong>per</strong> t > 0fissato, trovando gli insiemi <strong>di</strong> R N ove tale derivata è positiva o negativa.Si interpreti <strong>il</strong> risultato alla luce della Sottosezione 1.2.3. Risposta □Esercizio 11.28. Per ogni fissato x ∈ R N , x ̸= 0, si determini la quantitàmaxt≥0 Γ(x,t).Alla luce del risultato, si spieghi <strong>per</strong>ché nella Tavola 11.1 si è selezionatoproprio t = 5·10 3 , data la scelta lì compiuta dei punti x. Risposta □□•


126 DANIELE ANDREUCCI11.4.2. Effetto regolarizzante. Supponiamo <strong>per</strong> semplicità N = 1. Seu 0 (x) = χ (0,+∞) (x) − χ (−∞,0) (x) (una funzione a gra<strong>di</strong>no), la soluzionesi può mettere nella formau(x,t) = 2 √ πx2 √ Dt ∫0e −s2 ds, x ∈ R,t > 0. (11.47)Si noti che la u è in C ∞ ({t > 0}), mentre <strong>il</strong> dato iniziale non è neppurecontinuo. Questo è un esempio del cosiddetto effetto regolarizzante dell’equazionedel calore, che fa sì che le soluzioni <strong>di</strong> tale equazione siano sempre<strong>di</strong> classe C ∞ in ogni a<strong>per</strong>to dove sono definite, anche se i dati iniziali (o albordo) non lo sono.•11.5. Il problema <strong>di</strong> Dirichlet <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplace nella sferaNonostante la geometria sia <strong>di</strong>versa, anche la soluzione del problema <strong>di</strong>Dirichlet∆u = 0, in B R (x 0 ), (11.48)u = u 0 , su ∂B R (x 0 ), (11.49)ove x 0 ∈ R N , R > 0, può essere espressa me<strong>di</strong>ante un integrale che insostanza è un prodotto <strong>di</strong> convoluzione. La formula risolutiva èu(x) = 1σ N R∫∂B R (x 0 )R 2 −|x−x 0 | 2|x−ξ| N u 0 (ξ)dσ, |x−x 0 | < R, (11.50)u(x) = u 0 (x), |x−x 0 | = R. (11.51)La formula integrale in (11.50) si <strong>di</strong>ce formula <strong>di</strong> Poisson. Ve<strong>di</strong> anche laSottosezione 9.4.3.Nel seguito in<strong>di</strong>chiamo con ∆ x , ∇ x gli o<strong>per</strong>atori <strong>di</strong>fferenziali in cui lederivate sono calcolate rispetto alle componenti <strong>di</strong> x.Proposizione 11.29. Il nucleo <strong>di</strong> PoissonK(x, ξ) = 1 R 2 −|x−x 0 | 2σ N R |x−ξ| N , x ∈ B R (x 0 ), ξ ∈ ∂B R (x 0 ),è, <strong>per</strong> ogni ξ fissato, una funzione <strong>di</strong> classe C ∞ (B R (x 0 )) nella x. Vale poi∆ x K(x, ξ) = 0, in B R (x 0 ). (11.52)Dimostrazione. La regolarità asserita <strong>per</strong> K è ovvia. Va solo <strong>di</strong>mostratala (11.52). Per semplicità <strong>di</strong> notazione e senza <strong>per</strong><strong>di</strong>ta <strong>di</strong> generalitàassumiamo x 0 = 0, e proce<strong>di</strong>amo a derivare:xσ N R∇ x K = −2|x−ξ| N − N x−ξ|x−ξ| N+2[R2 −|x| 2 ].


11.5. EQUAZIONE DI LAPLACE NELLA SFERA 127−1−0.500.51−1 −0.5 0 0.5 1−0.1−0.0500.050.10.8 0.85 0.9 0.95 1Per cuiFigura 11.2. Caso N = 2. A sinistra: le linee <strong>di</strong> livello <strong>di</strong>2πK(x, ξ), <strong>per</strong> x 0 = (0,0), ξ = (1,0), R = 1, corrispondentiai valori 0,1; 1; 10.A destra: (notare la <strong>di</strong>versa scala) le linee <strong>di</strong> livello corrispondentiai valori 10; 100; 500.La linea tratteggiata è la circonferenza ∂B 1 (0).σ N R ∆ x K = σ N R<strong>di</strong>v x (∇ x K) = − 2N x·(x−ξ)+2N|x−ξ| N |x−ξ| N+2−N 2|x−ξ| N+2[R2 −|x| 2 ]+2N x·(x−ξ)|x−ξ| N+2+ N(N +2) |x−ξ|2|x−ξ| N+4[R2 −|x| 2 ]1{=|x−ξ| N+2 −2N|x−ξ| 2 +4Nx·(x−ξ)− N 2 [R 2 −|x| 2 ]}+ N 2 [R 2 −|x| 2 ]+2N[R 2 −|x| 2 ]1{=|x−ξ| N+2 −2N|x| 2 +4Nx·ξ −2N|ξ| 2 +4N|x| 2−4Nx·ξ +2NR 2 −2N|x| 2} = 0.Sia <strong>il</strong> numeratore che <strong>il</strong> denominatore <strong>di</strong> K vanno a zero <strong>per</strong> x → ξ. Sivede comunque che in effetti K <strong>di</strong>viene <strong>il</strong>limitata <strong>per</strong> x → ξ. È poi ovviochelimx→y K(x, ξ) = 0, se y ∈ ∂B R(x 0 ), y ̸= ξ.Esercizio11.30. Trovareinmodoesplicitol’equazionedellecurved<strong>il</strong>ivellomostrate nella Figura 11.2.Quin<strong>di</strong> spiegare che cosa è sbagliato nel seguenteragionamento: la K(·, ξ)(<strong>per</strong> ξ fissato) è una funzione armonica nella regione interna a ciascuna□


128 DANIELE ANDREUCCIcurva <strong>di</strong> livello, e <strong>per</strong>tanto <strong>per</strong> <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> massimo è costante in taleregione.□Corollario 11.31. Vale <strong>per</strong> ogni x ∈ B R (x 0 )∫K(x, ξ)dσ ξ = 1. (11.53)∂B R (x 0 )Dimostrazione. Pren<strong>di</strong>amo x 0 = 0 <strong>per</strong> brevità <strong>di</strong> calcolo, cosa semprepossib<strong>il</strong>e a meno <strong>di</strong> inessenziali traslazioni. Si consideri la funzione∫v(x) = K(x, ξ)dσ ξ , x ∈ B R (0).∂B R (0)Dalla Proposizione 11.29, e derivando sotto <strong>il</strong> segno <strong>di</strong> integrale, segueche v è una funzione armonica in B R (0) (si puòvedereanche la (11.54) <strong>per</strong>maggior chiarezza). Si noti che, <strong>per</strong> <strong>il</strong> momento, non asseriamo nulla sulcomportamento <strong>di</strong> v <strong>per</strong> |x| → R.Tuttavia si vede subito che v ha simmetria ra<strong>di</strong>ale: sia A una rotazione inR N . Vale allora, visto che A è un’isometria,v(Ax) = 1σ N R∫∂B R (0)R 2 −|Ax| 2|Ax−ξ| N dσ ξ= 1σ N R∫∂B R (0)R 2 −|x| 2|x−A −1 ξ| N dσ ξ = v(x).Infatti <strong>per</strong> ovvi motivi <strong>di</strong> simmetria la rotazione A −1 porta la su<strong>per</strong>ficie∂B R (0) in sé, e non cambia l’elemento d’area della parametrizzazione,essendo un’isometria.Per <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> massimo, una v armonica nella sfera, e ra<strong>di</strong>ale, non puòche essere ivi costante, <strong>per</strong>ché lo è sulla frontiera <strong>di</strong> ogni sfera concentricacontenuta in B R (0).Per determinare la costante, basta valutare v(0), che èv(0) = 1 ∫R 2σ N R |ξ| N dσ ξ = 1 R 2 ∫σ N R R N dσ ξ = 1.∂B R (0)∂B R (0)Teorema 11.32. Se u 0 ∈ C(∂B R (x 0 )), la funzione u definita da (11.50)–(11.51)appartiene a C ∞ (B R (x 0 ))∩C(B R (x 0 )), e risolve <strong>il</strong> problema (11.48).Dimostrazione. Teoremi noti garantiscono che l’integrale in (11.50) sipuò derivare (<strong>per</strong> x all’interno della sfera B R (x 0 )) scambiando la derivatacon <strong>il</strong> segno <strong>di</strong> integrale. Perciò u ∈ C ∞ (B R (x 0 )), e∫∆u(x) = ∆ x K(x, ξ)u 0 (ξ)dσ ξ = 0, (11.54)<strong>per</strong> la Proposizione 11.29.∂B R (x 0 )□


11.5. EQUAZIONE DI LAPLACE NELLA SFERA 129Resta solo da provare che la u è continua fino su ∂B R (x 0 ). Per far questousiamo lo stesso argomento applicato nella <strong>di</strong>mostrazione del Teorema11.3, cui riman<strong>di</strong>amo <strong>per</strong> una spiegazione della logica dei passaggi.Confrontando le ipotesi fatte sui nuclei <strong>di</strong> approssimazione, con le proprietàdella K, si vede che: la non negatività (11.2) corrisponde al fattoovvio K ≥ 0; l’ipotesi (11.3) è sostituita dalla (11.53); la (11.4) verrà commentatasotto. Per ora notiamo che <strong>il</strong> limite λ → 0 nel Teorema11.3, vienequi sostituito dal limite x → ¯x ∈ ∂B R (x 0 ), che implica |x| → R.Fissati ¯x ∈ ∂B R (x 0 ) ed ε > 0, fissiamo un a = a(ε, ¯x) > 0 tale che|u 0 (ξ)−u 0 (¯x)| ≤ ε, ∀|ξ − ¯x| ≤ a,ξ ∈ ∂B R (x 0 ). (11.55)Nel seguito supponiamo che x sia abbastanza vicino a ¯x, ossia|x− ¯x| ≤ a 2 . (11.56)Definiamo ancheM = max |u 0|.∂B R (x 0 )Dunque si ha, <strong>di</strong>videndo l’integrale su due porzioni <strong>di</strong> su<strong>per</strong>ficie,∣ ∣∣∣∣∣∣∫|u(x)−u 0 (¯x)| =K(x, ξ)[u 0 (ξ)−u 0 (¯x)]dσ ξ∣∂B R (x 0 )∫≤ K(x, ξ)|u 0 (ξ)−u 0 (¯x)| dσ ξ|ξ−¯x|≥a∫+≤ 2M|ξ−¯x|≤a∫|ξ−¯x|≥aK(x, ξ)|u 0 (ξ)−u 0 (¯x)| dσ ξK(x, ξ)dσ ξ + ε≤ 2M 1 R 2 −|x| 2σ N R (a/2) N∫|ξ−¯x|≥aQui si è anche usato <strong>il</strong> fatto che su {|ξ − ¯x| ≥ a}∫|ξ−¯x|≤adσ ξ + ε.K(x, ξ)dσ ξ(11.57)|x−ξ| ≥ |¯x−ξ|−|¯x−x| ≥ a 2 ,<strong>per</strong> la (11.56). Osserviamo inoltre cheR 2 −|x| 2 = (|¯x|+|x|)(|¯x|−|x|) ≤ 2R|¯x−x|.Dunque dalla (11.57) si ottieneammesso che|u(x)−u 0 (¯x)| ≤ ε+2 N+2 MR N−1 a −N |¯x−x| ≤ 2ε,|¯x−x| ≤ δ := min ( 2 −N−2 M −1 R −N+1 a N ε,2 −1 a ) .La <strong>di</strong>mostrazione della continuità in ¯x è conclusa.L’ipotesi (11.4) qui è sostituita dalla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> rendere piccolo l’integralesu {|ξ − ¯x| ≥ a} pur <strong>di</strong> prendere x vicino a sufficienza a ¯x. □


130 DANIELE ANDREUCCIUna delle conseguenze del Teorema11.32 è <strong>il</strong> seguente risultato <strong>di</strong> regolarizzazione.Corollario 11.33. Se u è armonica in Ω a<strong>per</strong>to, allora u ∈ C ∞ (Ω).Dimostrazione. Presaunaqualunque sferaa<strong>per</strong>ta B la cuichiusuragiacein Ω, consideriamo la soluzione w <strong>di</strong>{∆w = 0, in B,w = u, su ∂B.Visto che u−w sod<strong>di</strong>sfa <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> massimo (ve<strong>di</strong> i teoremi 4.1 e 4.5),vale u = w in B. Perciò u ∈ C ∞ (B), <strong>per</strong> <strong>il</strong> Teorema 11.32. L’arbitrarietà <strong>di</strong>B ⊂ Ω completa la <strong>di</strong>mostrazione.□


CAPITOLO 12Problemi non omogeneiIl principio <strong>di</strong> Duhamel stab<strong>il</strong>isce che la soluzione <strong>di</strong> un problemalineare non omogeneo può essere rappresentata comecombinazione <strong>di</strong> soluzioni <strong>di</strong> opportuni problemi omogenei.Può essere usato <strong>per</strong> stab<strong>il</strong>ire formule <strong>di</strong> rappresentazione <strong>di</strong>soluzioni <strong>di</strong> alcune e.d.p. non omogenee.12.1. Il principio <strong>di</strong> DuhamelSecondo <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> Duhamel la soluzione <strong>di</strong> un problema con sorgentenon nulla si ottiene come sovrapposizione <strong>di</strong> soluzioni <strong>di</strong> problemi consorgente nulla ma dati ‘iniziali’ corrispondenti a un ‘impulso’ pari allasorgente stessa.Esempio 12.1. Consideriamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> e.d.o.:dy= ay+ f(t),dt(12.1)y(0) = 0, (12.2)ove a ∈ (0, ∞) e f ∈ C([0, ∞)).Applicando <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> Duhamel risolviamo <strong>per</strong> ogni 0 < τ < tLa soluzione èSovrapponendo si hay(t) =∫ t0dz(t; τ) = az(t; τ),dtz(τ; τ) = f(τ).z(t; τ) = f(τ)e a(t−τ) , t ≥ τ.z(t; τ)dτ =che è la soluzione cercata <strong>di</strong> (12.1)–(12.2).Per linearità la soluzione <strong>di</strong>∫ t0f(τ)e a(t−τ) dτ, t ≥ 0,12.2. Equazione delle ondeu tt −c 2 u xx = f(x,t), − ∞ < x < ∞,0 < t < T,u(x,0) = u 0 (x), − ∞ < x < ∞,u t (x,0) = u 1 (x), − ∞ < x < ∞,131□


132 DANIELE ANDREUCCIsi può scrivere come u = v+w, oveev tt −c 2 v xx = 0, − ∞ < x < ∞,0 < t < T,v(x,0) = u 0 (x), − ∞ < x < ∞,v t (x,0) = u 1 (x), − ∞ < x < ∞,w tt −c 2 w xx = f(x,t), − ∞ < x < ∞,0 < t < T, (12.3)w(x,0) = 0, − ∞ < x < ∞, (12.4)w t (x,0) = 0, − ∞ < x < ∞. (12.5)Sappiamo già come ottenere v (ve<strong>di</strong> Capitolo 10).Qui mostreremo come rappresentare w. L’idea <strong>di</strong> partenza è <strong>di</strong> applicare<strong>il</strong> principio <strong>di</strong> Duhamel, e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> scriverew(x,t) =∫ t0z(x,t; τ)dτ, (12.6)ossia <strong>di</strong> ottenere w come somma, o <strong>per</strong> la precisione, come integrale <strong>di</strong>‘contributi’ z(x,t; τ) presi a tutti i tempi 0 < τ < t. Nella (12.6) integriamosu (0,t), piuttosto che <strong>per</strong> esempio su (0, ∞), <strong>per</strong> ragioni ovviedal punto <strong>di</strong> vista modellistico: è ragionevole supporre che <strong>il</strong> valore dellasoluzione <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong> evoluzione sia influenzato solo dai datipresi sull’intervallo temporale che intercorre tra l’istante iniziale e quelloattuale.Intanto la (12.6) risolve senz’altro la (12.4). Calcoliamo poi, assumendoche z sia regolare a sufficienza,Pren<strong>di</strong>amo∫ tw t (x,t) = z(x,t;t)+0z t (x,t; τ)dτ.z(x,t;t) = 0, −∞ < x < ∞, (12.7)<strong>per</strong> ogni T > t > 0. Allora anche (12.5) è sod<strong>di</strong>sfatta. Proseguendo neicalcoli si ha∫ tw tt (x,t) = z t (x,t;t)+w xx (x,t) =∫ t00z tt (x,t; τ)dτ,z xx (x,t; τ)dτ.Dunque, affinché la (12.3) sia sod<strong>di</strong>sfatta, deve essere∫ tz t (x,t;t)+ [z tt −c 2 z xx ](x,t; τ)dτ = f(x,t), −∞ < x < ∞,0 < t < T.0


12.2. EQUAZIONE DELLE ONDE 133Alla (12.7) allora aggiungiamo le altre due con<strong>di</strong>zioniz tt (x,t; τ)−c 2 z xx (x,t; τ) = 0, x ∈ R,τ < t < T, (12.8)z t (x, τ; τ) = f(x, τ), x ∈ R, (12.9)Come è noto, le (12.7), (12.8), (12.9) determinanola z come soluzione <strong>di</strong>unproblema <strong>di</strong> Cauchy con istante iniziale τ. Dalla formula <strong>di</strong> D’Alembert siottienez(x,t; τ) = 1 2cSostituendo nella (12.6) si ha infinew(x,t) = 1 2c∫ t0x+c(t−τ) ∫x−c(t−τ)x+c(t−τ) ∫x−c(t−τ)Ritroviamo <strong>il</strong> risultato in modo rigoroso:f(s, τ)ds.f(s, τ)dsdτ. (12.10)Teorema 12.2. Siano f, f x ∈ C ( R×[0,T] ) . Allora la w data dalla (12.10) è inC 2( R×[0,T] ) e risolve (12.3)–(12.5).Dimostrazione. I calcoli che hanno portato alla (12.10) sono in parte formali.Conviene quin<strong>di</strong> partire proprio dalla (12.10), che definisce senz’altrouna w ∈ C ( R×[0,T] ) , se f ∈ C ( R×[0,T] ) . Sotto la medesimaipotesiw x (x,t) = 1 2cw t (x,t) = 1 2∫ t0∫ tSe poi f x ∈ C ( R×[0,T] ) , valew xx (x,t) = 1 2c0∫ tw tt (x,t) = f(x,t)+ c 2w xt (x,t) = 1 20∫ t{f ( x+c(t−τ), τ ) − f ( x−c(t−τ), τ )} dτ,{f ( x+c(t−τ), τ ) + f ( x−c(t−τ), τ )} dτ.{f x(x+c(t−τ), τ) − fx(x−c(t−τ), τ) } dτ,∫ tLa tesi è così <strong>di</strong>mostrata.00{f x(x+c(t−τ), τ) − fx(x−c(t−τ), τ) } dτ,{f x(x+c(t−τ), τ) + fx(x−c(t−τ), τ) } dτ.Esercizio 12.3. Si ritrovi la formula (10.21) applicando <strong>il</strong> principio <strong>di</strong> Duhamel,e la (10.16).□□


134 DANIELE ANDREUCCI12.3. Equazione del caloreAnche qui scriviamo la soluzione u <strong>di</strong>come u = v+w, oveeu t −D ∆u = f(x,t), x ∈ R N ,0 < t < T,u(x,0) = u 0 (x), x ∈ R N ,v t −D ∆v = 0, x ∈ R N ,0 < t < T,v(x,0) = v 0 (x), x ∈ R N ,w t −D ∆w = f(x,t), x ∈ R N ,0 < t < T, (12.11)w(x,0) = 0, x ∈ R N . (12.12)La v è stata ottenuta nel Capitolo 11.Ragionando come nella Sezione 12.2 si vede cheove z risolvew(x,t) =∫ t0z(x,t; τ)dτ,z t (x,t; τ)−D ∆z(x,t; τ) = 0, x ∈ R N , τ < t < T,Dunque, <strong>per</strong> la (11.30),w(x,t) =∫ t0z(x, τ; τ) = f(x, τ), x ∈ R N .∫1[ ] N4πD(t−τ)2R N e − |x−ξ|2∫ t ∫4D(t−τ)f(ξ, τ)dξdτ= Γ(x−ξ,t−τ)f(ξ, τ)dξdτ, (12.13)0 R Nove Γ è la soluzione fondamentale dell’equazione del calore. La <strong>di</strong>mostrazionerigorosa della vali<strong>di</strong>tà della (12.13), sotto le ipotesi opportune,si presenta più complessa <strong>di</strong> quella del Teorema 12.2, anche in <strong>di</strong>mensioneN = 1, a causa dell’irregolarità dell’integrando in (12.13). Diamo unrisultato basato su ipotesi sufficienti, ma non ottimali.Teorema 12.4. Sia f ∈ C ( R N ×[0,T] ) , limitata e globalmente lipschitzianain R N ×[0,T] rispetto alla variab<strong>il</strong>e x. Allora la w data dalla (12.13) sod<strong>di</strong>sfaw ∈ C 2,1( R N ×[0,T] ) e risolve (12.11)–(12.12).La <strong>di</strong>mostrazione è omessa.


Parte 5Comportamenti asintotici


CAPITOLO 13Comportamenti asintoticiDiamo alcuni esempi <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del comportamento qualitativo <strong>di</strong>soluzioni <strong>di</strong> e.d.p., quando una o più delle loro variab<strong>il</strong>i vannoall’infinito.Consideriamo <strong>il</strong> problema13.1. Problema della lunghezza criticau t −Du xx = cu, in Q ∞ = (0,L)×(0, ∞), (13.1)u(0,t) = 0, t > 0, (13.2)u(L,t) = 0, t > 0, (13.3)u(x,0) = u 0 (x), 0 < x < L. (13.4)Qui c, L sono costanti positive.È chiaro che nel modello (13.1)–(13.4) sono presenti due effetti in competizionetra <strong>di</strong> loro: quello della sorgente cu nell’equazione a derivateparziali, che tende a far crescere |u|, e quello delle con<strong>di</strong>zioni al contorno,che tendono a mantenere u vicino al valore nullo. Si noti infatti che <strong>il</strong>termine cu è positivo [negativo] ove u è positivo [negativo].Per accertare quale dei due effetti prevalga nel limite asintotico t → ∞,cerchiamo <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppare u in serie, come visto sopra. Per ricondursi a unproblema <strong>per</strong> l’equazione del calore, introduciamo la nuova incognitache sod<strong>di</strong>sfav(x,t) = e −ct u(x,t),v t −Dv xx = 0, in Q ∞ = (0,L)×(0, ∞), (13.5)v(0,t) = 0, t > 0, (13.6)v(L,t) = 0, t > 0, (13.7)v(x,0) = u 0 (x), 0 < x < L. (13.8)Procedendo come nelle Sezioni 5.3, 9.1, si vede che∞π2−n2v(x,t) = ∑ α n e L 2 Dt sin(n π )n=1L x , (13.9)ove i coefficienti α n sono dati daα n = 2 L∫ L0u 0 (x)sin(n π )L x dx, n ≥ 1.137


138 DANIELE ANDREUCCIAvrà particolare importanza qui <strong>il</strong> primo <strong>di</strong> questi coefficienti, ossiaα 1 = 2 L∫ L0( π)u 0 (x)sinL x dx.Dunque, dalla (13.9) e dalla definizione <strong>di</strong> v, segue che∞π2(c−n2u(x,t) = ∑ α n e L 2 D)t sin(n π )L x n=1( π)L xπ2(c−= α 1 e L 2 D)t sin+∞∑n=2(π2(c−= α 1 e L 2 D)t π)sinL x +R(x,t),π2(c−n2α n e L 2 D)t sin(n π )L x(13.10)ove la serie resto R(x,t) sod<strong>di</strong>sfalimt→∞R(x,t)(c−π2e LIl comportamento asintotico <strong>per</strong> t → ∞ della soluzione u quin<strong>di</strong> è determinato,nel caso generico α 1 ̸= 0, dal segno della quantità2 D)t= 0, 0 < x < L. (13.11)c− π2L 2 D.In particolare, avendo definito la lunghezza critica√DL c = πc(si verifichi dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>mensionale questa definizione), si hannodalla (13.10) i tre casi seguenti.(1) L < L c : in questo caso prevale l’effetto delle con<strong>di</strong>zioni al contorno, elim u(x,t) = 0. (13.12)t→∞(2) L > L c : in questo caso prevale l’effetto del termine <strong>di</strong> sorgente, elim u(x,t) = ±∞, (13.13)t→∞ove <strong>il</strong> segno a destra nella relazione <strong>di</strong> limite va scelto concorde conquello <strong>di</strong> α 1 , nel caso generico α 1 ̸= 0.(3) L = L c : in questo caso i due effetti si b<strong>il</strong>anciano elim u(x,t) = α 1sint→∞( πL x ). (13.14)Esercizio 13.1. Che cosa succede nel caso non generico α 1 = 0?Osservazione 13.2. Possiamo ottenere la funzione limite in (13.14) ancherisolvendo la versione stazionaria del problema (13.1)–(13.4), ossia−DU xx = cU, 0 < x < L, (13.15)U(0) = 0, (13.16)U(L) = 0. (13.17)□


13.2. TEOREMA DI LIOUVILLE PER FUNZIONI ARMONICHE 139Questo è un tipico problema agli autovalori, che ha una soluzione <strong>di</strong>versada quella nulla solo se c/D e L sono legate da certe relazioni, <strong>per</strong> esempiola L = L c . In questo caso anzi vi sono infinite soluzioni, tutte multiplel’una dell’altra, tra cui quella in (13.14).□Esercizio 13.3. Si consideri la versione multi<strong>di</strong>mensionale del problema(13.1)–(13.4), ossiau t −D ∆u = cu,in Q ∞ = Ω×(0, ∞),u(x,t) = 0, x ∈ ∂Ω,t > 0,u(x,0) = u 0 (x), x ∈ Ω.Qui c > 0 è ancora costante. Si mostri che anche in questo caso esiste unasoglia critica <strong>per</strong> c, e la si determini. Risposta□13.2. Teorema <strong>di</strong> Liouv<strong>il</strong>le <strong>per</strong> funzioni armonicheIl teorema <strong>di</strong> Liouv<strong>il</strong>le asserisce che una funzione armonica in tutto lospazio, se è limitata, allora è costante. La <strong>di</strong>mostrazione si basa su unastima <strong>per</strong> le derivate <strong>di</strong> funzioni armoniche. Iniziamo con <strong>il</strong> <strong>di</strong>mostrareche le funzioni armoniche sono <strong>di</strong> classe C ∞ .Teorema 13.4. Se u ∈ C(Ω) sod<strong>di</strong>sfau(x) = 1ω N R N ∫B R (x)u(y)dy, (13.18)<strong>per</strong> ogni sfera tale che B R (x) ⊂ Ω, allora u ∈ C ∞ (Ω), e tutte le sue derivatesod<strong>di</strong>sfano ancora la (13.18).Dimostrazione. Denotiamo <strong>di</strong> seguito x = (x ′ ,x N ), x ′ ∈ R N−1 , e conB R (x ′ ) ⊂ R N−1 la sfera (N −1)-<strong>di</strong>mensionale <strong>di</strong> centro x ′ e raggio R (chepuò essere pensata come B R (x)∩{x N = 0}).L’integrale in (13.18) può essere riscritto comeu(x) = 1ω N R N ∫B R (x ′ )dξx N + √ R 2 −|x ′ −ξ| 2∫x N − √ R 2 −|x ′ −ξ| 2 u(ξ, η)dη.Dato che <strong>per</strong> ipotesi la u è continua, l’integrale sulla destra può esserederivatosecondole regoleusuali della derivazione sotto<strong>il</strong> segno<strong>di</strong> integralee si ha quin<strong>di</strong> che u xN esiste e valeu xN (x) = 1ω N R N ∫B R (x ′ )[ ( √ )u x N + R 2 −|x ′ − ξ| 2 , ξ( √ )]−u x N − R 2 −|x ′ − ξ| 2 , ξ dξ. (13.19)


140 DANIELE ANDREUCCISegue dalla continuità <strong>di</strong> u e dalla (13.19) che anche la u xN è continua equin<strong>di</strong> proprio dalla (13.19) segueu xN (x) = 1ω N R N ∫B R (x ′ )dξx N + √ R 2 −|x ′ −ξ| 2∫x N − √ R 2 −|x ′ −ξ| 2 u η (ξ, η)dη= 1ω N R N ∫B R (x)u xN (y)dy. (13.20)È chiaro che gli stessiargomentivalgono anche <strong>per</strong> ciascuna u xi , <strong>per</strong> i = 1,..., N−1.Quin<strong>di</strong> abbiamo <strong>di</strong>mostrato la seguente implicazione logica:(P) se v è una funzione continua e sod<strong>di</strong>sfa la (13.18) allora tutte le suederivate prime esistono, sono continue e sod<strong>di</strong>sfano la (13.18).Dunque tutte le u xi sono continue e sod<strong>di</strong>sfano la (13.18). Applichiamoora la (P) a v = u xi : ne segue che tutte le derivate u xi x jsono continuee sod<strong>di</strong>sfano ancora la (13.18). Si può proseguire in questa iterazione,<strong>di</strong>mostrando l’asserto.□Corollario 13.5. Le funzioni armoniche sono <strong>di</strong> classe C ∞ nell’a<strong>per</strong>to <strong>di</strong> definizione,e le loro derivate sono funzioni armoniche.Dimostrazione. Dalla Definizione 1.10 e dai Corollari 1.7 e 1.13 seguesubito che le funzioni armoniche sod<strong>di</strong>sfano le ipotesi del Teorema 13.4.Quin<strong>di</strong> sono <strong>di</strong> classe C ∞ . Derivando l’equazione <strong>di</strong> Laplace, si vede cheanche le derivate ne sono soluzioni, e quin<strong>di</strong> sono armoniche. □Teorema 13.6. Se u è armonica in Ω, e se B R (x) ⊂ Ω, allora|u xi (x)| ≤ N R max |u|. (13.21)∂B R (x)Dimostrazione. Si sa che le derivate prime u xi sod<strong>di</strong>sfano ancora la proprietàdella me<strong>di</strong>a (13.18), dunqueDa questo segueu xi (x) = 1ω N R N ∫B R (x)u xi (y)dy = 1ω N R N ∫∂B R (x)u(y)ν i dσ y .|u xi (x)| ≤ 1ω N R N σ NR N−1 max∂B R (x) |u| = N R max∂B R (x) |u|.Teorema 13.7. (Liouv<strong>il</strong>le) Se u è armonica in R N eallora u è costante in R N .u(x) ≥ C > −∞, <strong>per</strong> ogni x ∈ R N ,Dimostrazione. Definiamo v = u−C; dunque v è non negativa e armonicain R N .□


13.2. TEOREMA DI LIOUVILLE PER FUNZIONI ARMONICHE 141Fissiamo due punti x 1 e x 2 ∈ R N , e poniamod = |x 1 −x 2 |.Per R > d si haB R−d (x 2 ) ⊂ B R (x 1 ),e quin<strong>di</strong> <strong>per</strong> la proprietà della me<strong>di</strong>a (1.54) e <strong>per</strong> la non negatività <strong>di</strong> v,∫∫11Rv(x 2 ) =ω N (R−d) N v(y)dy ≤ω N (R−d) N v(y)dy =N(R−d) Nv(x 1).B R−d (x 2 )Prendendo R → ∞ nella (13.22), si ottienev(x 2 ) ≤ v(x 1 ).B R (x 1 )(13.22)Dato che si possonoinvertire i ruoli <strong>di</strong> x 1 e <strong>di</strong> x 2 , che sono inoltre scelti adarbitrio, si ottiene che v è costante, e quin<strong>di</strong> la tesi. □


Parte 6Trasformate <strong>di</strong> funzioni


CAPITOLO 14Trasformata <strong>di</strong> FourierLa trasformata <strong>di</strong> Fourier ha importanza notevolissima nellee.d.p.; esiste <strong>per</strong> funzioni definite su tutto lo spazio.Introduciamone le proprietà più elementari, e qualcheapplicazione.14.1. DefinizioneDefinizione 14.1. Sia f : R → R integrab<strong>il</strong>e su R. Definiamo allora <strong>per</strong>ogni ω ∈ RF[f](ω) =∫+∞−∞e iωx f(x)dx.La funzione F[f] : R → C si <strong>di</strong>ce trasformata <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f, e si denotaanche con ˆf.□Talvolta, senecessario,siuseràlanotazioneF[f(x)](ω) (<strong>di</strong><strong>per</strong>séabusiva)<strong>per</strong> chiarire la <strong>di</strong>pendenza da x <strong>di</strong> f.Osservazione 14.2. Sipotrebbe<strong>di</strong>mostrarechelatrasformata<strong>di</strong>Fourier<strong>di</strong>una funzione integrab<strong>il</strong>e è continua in R e infinitesima <strong>per</strong> ω → ±∞. □14.2. Proprietà elementari della trasformata <strong>di</strong> Fourier14.2.1. Linearità. F è lineare, ossia se f 1 , f 2 sono integrab<strong>il</strong>i su R e c 1 ,c 2 ∈ R, alloraF[c 1 f 1 +c 2 f 2 ] = c 1 F[f 1 ]+c 2 F[f 2 ]. (14.1)14.2.2. Trasformazione <strong>di</strong> derivate. Se f ∈ C 1 (R), e f, f ′ sono integrab<strong>il</strong>isu R, alloraF[f ′ ](ω) = −iωF[f](ω), ω ∈ R. (14.2)Dimostrazione. Consideriamo due successioni c + n → ∞, c − n → −∞ taliche f abbia limite zero lungo <strong>di</strong> esse (ve<strong>di</strong> Lemma A.14). Allora, integrando<strong>per</strong> parti,•∫ c+ nc − ne iωx f ′ (x)dx =Per n → ∞ si ottiene la tesi.[ ] ce iωx + nf(x)c − n∫ c+ n−c − niωe iωx f(x)dx.□145


146 DANIELE ANDREUCCILe trasformate <strong>di</strong> derivate <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne su<strong>per</strong>iore si possono ottenere reiterandoquesto risultato; <strong>per</strong> esempio, <strong>per</strong> ω ∈ RF[f ′′ ](ω) = −iωF[f ′ ](ω) = (−iω)(−iω)F[f](ω) = −ω 2 F[f](ω).(14.3)•14.2.3. Antitrasformazione. Se f è integrab<strong>il</strong>e su R e localmente lipschitzianain R, allora, <strong>per</strong> ogni x ∈ R,f(x) = 12π limk→∞Allora, se F[f] è integrab<strong>il</strong>e su R, si può scriveref(x) = 12π∫ ∞−∞∫ k−ke −iωx F[f](ω)dω. (14.4)e −iωx F[f](ω)dω, (14.5)che costituisce la formula <strong>di</strong> inversione della trasformata <strong>di</strong> Fourier.14.2.4. Trasformazione <strong>di</strong> convoluzioni. Se f, g, e f ∗ g sono integrab<strong>il</strong>isu R,F[f ∗g] = F[f]F[g]. (14.6)Dimostrazione. Vale, <strong>per</strong> definizione <strong>di</strong> F,F[f ∗g] =∫+∞∫+∞e iωx−∞−∞=f(x−y)g(y)dydx =∫+∞∫+∞−∞ −∞∫+∞∫+∞−∞ −∞e iωx f(x−y)g(y)dxdye iωy e iωz f(z)g(y)dzdy = F[f](ω)F[g](ω).14.2.5. Cambiamenti <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i. Vale, se f è integrab<strong>il</strong>e su R, e a ̸= 0, bsono numeri reali,F[f(ax−b)](ω) = 1 ( ) ω|a| eiωb a F[f] , ω ∈ R. (14.7)a•□•Dimostrazione. Infatti∫ ∞−∞e iωx f(ax−b)dx = 1|a|∫ ∞−∞e iω(y a +b a ) f(y)dy = 1 ( ) ω|a| eiωb a F[f] .a□•


14.3. APPLICAZIONE PER L’EQUAZIONE DEL CALORE 14714.2.6. Derivazione <strong>di</strong> trasformate. Definiamo g(x) = xf(x), x ∈ R. Se fe g sono integrab<strong>il</strong>i su R, allora F[f] è derivab<strong>il</strong>e in R edF[f](ω) = F[ig](ω) = F[ixf(x)](ω).dω (14.8)•14.3. Applicazione <strong>per</strong> la risoluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong>l’equazione del caloreConsideriamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> l’equazione del caloreu t −u xx = 0, − ∞ < x < ∞,t > 0, (14.9)u(x,0) = u 0 (x), − ∞ < x < ∞, (14.10)ove u 0 è una funzione continua e limitata su R. Richie<strong>di</strong>amo anche che usia limitata.Come nel Capitolo 11, cerchiamo una soluzione nella formau(x,t) = ψ∗u 0 (x,t) =∫ ∞−∞ψ(x−ξ,t)u 0 (ξ)dξ,ove ψ va determinata. Lo faremo qui con un argomento in<strong>di</strong>pendenteda quello svolto nella Sottosezione 11.3.2. Ricor<strong>di</strong>amo che {ψ(·,t)} è unafamiglia <strong>di</strong>nuclei<strong>di</strong>approssimazione<strong>per</strong> t → 0+ (sivedalaSezione11.1).Riscriviamo dunque la (14.9) come∂∂t ψ∗u 0− ∂2∂x 2 ψ∗u 0 = ψ t ∗u 0 − ψ xx ∗u 0 = 0,e applichiamo la trasformazione <strong>di</strong> Fourier in x; nel seguito inten<strong>di</strong>amosempre che F è la trasformata <strong>di</strong> Fourier in x. Usando le proprietà (14.3)e (14.6) si ottiene<strong>per</strong> ω ∈ R, t > 0. Visto cheF[ψ t ](ω,t) =∫+∞−∞si ha da (14.11), ponendoF[ψ t ]F[u 0 ]+ω 2 F[ψ]F[u 0 ] = 0, (14.11)e iωx ψ t (x,t)dx = ∂ ∂t∫+∞−∞G(ω,t) = F[ψ](ω,t),e iωx ψ(x,t)dx = ∂ ∂t F[ψ](ω,t),cheG t (ω,t) = −ω 2 G(ω,t), −∞ < ω < ∞,t > 0. (14.12)Da qui segue subito cheG(ω,t) = G(ω,0)e −ω2t , −∞ < ω < ∞,t ≥ 0. (14.13)D’altra parte, visto che u = ψ∗u 0 → u 0 <strong>per</strong> t → 0, dovremo avereF[u](ω,t) = F[ψ](ω,t)F[u 0 ](ω) → F[u 0 ](ω), t → 0,ossia G(ω,0) = 1. DunqueG(ω,t) = e −ω2t , −∞ < ω < ∞,t ≥ 0. (14.14)


148 DANIELE ANDREUCCISi tratta ora <strong>di</strong> trovare la ψ conoscendone la trasformata <strong>di</strong> Fourier G.Questo si può fare consultando le apposite tavole <strong>di</strong> trasformate e antitrasformate,o usando la (14.5) e tecniche <strong>di</strong> analisi complessa.In alternativa, si può procederecome segue. L’idea è <strong>di</strong> ricavare una e.d.o.<strong>per</strong> ψ come funzione <strong>di</strong> x, sfruttandola forma specifica della (14.5); questatecnica funziona spesso <strong>per</strong> <strong>il</strong> calcolo <strong>di</strong> integrali, su domini <strong>il</strong>limitati, <strong>di</strong>funzioni <strong>di</strong> cui non si riesce a trovare una primitiva.A partire dalla (14.5), otteniamo, poiché la parte contenente sin(ωx) è<strong>di</strong>spari,ψ(x,t) = 12π∫ ∞−∞e −iωx e −ω2t dω = 12π∫ ∞−∞= tπxcos(ωx)e −ω2t dω∫ ∞−∞ωsin(ωx)e −ω2t dω, (14.15)ove abbiamo integrato <strong>per</strong> parti (in modo non rigoroso, possiamo <strong>di</strong>re chei valori agli estremi ±∞ sono nulli). D’altra parte∂∂x ψ(x,t) = − 12πDalle (14.15), (14.16) segue∫ ∞−∞ωsin(ωx)e −ω2t dω. (14.16)ψ x (x,t) = − x ψ(x,t), −∞ < x < ∞;2tquesta è una e.d.o. del primo or<strong>di</strong>ne, che integrata dàInfine, dalla (14.5),ψ(0,t) = 12π∫ ∞−∞Perciò si ottiene <strong>per</strong> la ψψ(x,t) = ψ(0,t)e − x24t .e −ω2t dω = 12π √ t∫ ∞−∞e −s2 ds = 12 √ πt .ψ(x,t) = 12 √ x2e− 4t , (14.17)πtcioè la forma ben nota della soluzione fondamentale dell’equazione delcalore.14.4. Applicazione <strong>per</strong> la risoluzione del problema nel semipiano <strong>per</strong>l’equazione <strong>di</strong> LaplaceConsideriamo <strong>il</strong> problema nel semipiano y > 0 <strong>per</strong> l’equazione <strong>di</strong> Laplaceu xx +u yy = 0, − ∞ < x < ∞,y > 0, (14.18)u(x,0) = u 0 (x), − ∞ < x < ∞, (14.19)ove u 0 è una funzione continua e limitata su R. Richie<strong>di</strong>amo anche che usia limitata.


14.4. APPLICAZIONE PER L’EQUAZIONE DI LAPLACE 149Come nel Capitolo 11, cerchiamo una soluzione nella formau(x,y) = ψ∗u 0 (x,t) =∫ ∞−∞ψ(x−ξ,y)u 0 (ξ)dξ,ove ψ va determinata (si veda la (11.24)). Lo faremo qui con un argomentoin<strong>di</strong>pendente da quello svolto nella Sezione 11.2. Ricor<strong>di</strong>amo che{ψ(·,y)} è una famiglia <strong>di</strong> nuclei <strong>di</strong> approssimazione <strong>per</strong> y → 0+ (si vedala Sezione 11.1).Riscriviamo dunque la (14.18) come∂ 2∂x 2 ψ∗u 0+ ∂2∂y 2 ψ∗u 0 = ψ xx ∗u 0 + ψ yy ∗u 0 = 0,eapplichiamo latrasformazione <strong>di</strong>Fourierin x. Usandole proprietà(14.3)e (14.6) si ottiene<strong>per</strong> ω ∈ R, t > 0. Visto cheF[ψ yy ](ω,y) =∫+∞−∞si ha da (14.20), ponendocheF[ψ yy ]F[u 0 ]−ω 2 F[ψ]F[u 0 ] = 0, (14.20)e iωx ψ yy (x,y)dx∫+∞∂y 2 e iωx ψ(x,y)dx = ∂2∂y 2F[ψ](ω,y),= ∂2−∞G(ω,y) = F[ψ](ω,y),G yy (ω,y) = ω 2 G(ω,y) = |ω| 2 G(ω,y), −∞ < ω < ∞,y > 0. (14.21)Integriamo in y trovandoG(ω,y) = c 1 (ω)e |ω|y +c 2 (ω)e −|ω|y , y > 0, (14.22)<strong>per</strong> ogni fissato ω ∈ R\{0}. Tuttavia deve valere <strong>per</strong> ogni ω fissato∫ ∞|G(ω,y)| =e iωx ∫∞ψ(x,y)dx∣ ∣ ≤ ψ(x,y)dx = 1. (14.23)−∞Confrontando le (14.22) e (14.23) si ha subito che c 1 (ω) = 0, se ω ̸= 0.D’altra parte si vede come nella Sezione 14.3 che deve valere G(ω,0) = 1<strong>per</strong> ogni ω, <strong>il</strong> che implica che c 2 (ω) = 1, se ω ̸= 0. Il valore <strong>di</strong> G <strong>per</strong>ω = 0 è irr<strong>il</strong>evante nella formula (14.5) che usiamo sotto.−∞


150 DANIELE ANDREUCCIQuin<strong>di</strong>, ragionando come in (14.15), si ottiene appunto dalla (14.5)ψ(x,y) = 12π∫ ∞−∞e −iωx e −|ω|y dω= 1 π∫ ∞0cos(ωx)e −ωy dω = 1 πyx 2 +y 2 , (14.24)ove l’ultima uguaglianza segue da una usuale integrazione <strong>per</strong> parti.


CAPITOLO 15Trasformata <strong>di</strong> LaplaceLa trasformata <strong>di</strong> Laplace è collegata alla trasformata <strong>di</strong> Fourier,ma esiste <strong>per</strong> funzioni definite su una semiretta, <strong>il</strong> che la rendeidonea a trattare problemi ai valori iniziali. Introduciamone leproprietà più elementari, e qualche applicazione.15.1. DefinizioneDefinizione 15.1. Sia f ∈ C ( [0, ∞) ) , ed esista s 0 ∈ R tale che <strong>per</strong> s > s 0 lafunzione x ↦→ e −sx f(x) è integrab<strong>il</strong>e in [0, ∞). Allora si poneL[f](s) =∫ ∞0e −sx f(x)dx, s > s 0 .La funzione L[f] si <strong>di</strong>ce trasformata <strong>di</strong> Laplace <strong>di</strong> f.Talvolta, se necessario, si userà la notazione L[f(x)](s) (<strong>di</strong> <strong>per</strong> sé abusiva)<strong>per</strong> chiarire la <strong>di</strong>pendenza da x <strong>di</strong> f.Formalmente si ha, <strong>per</strong> f : R → R,L[f](s) = F[fχ [0,∞) ](is), (15.1)ove F è la trasformata <strong>di</strong> Fourier (ve<strong>di</strong> Capitolo 14).Osservazione 15.2. Si potrebbe <strong>di</strong>mostrare che la trasformata <strong>di</strong> Laplace<strong>di</strong> f è continua in s > s 0 e infinitesima <strong>per</strong> s → ∞. □□15.2. Proprietà elementari della trasformata <strong>di</strong> Laplace15.2.1. Linearità. L è lineare, ossia se e −sx f 1 (x), e −sx f 2 (x) sono integrab<strong>il</strong>isu [0, ∞) e c 1 , c 2 ∈ R, alloraL[c 1 f 1 +c 2 f 2 ](s) = c 1 L[f 1 ](s)+c 2 L[f 2 ](s). (15.2)15.2.2. Trasformazione <strong>di</strong> derivate. Se f ∈ C 1( [0, ∞) ) , e•e −sx f(x),sono integrab<strong>il</strong>i su [0, ∞), allorae −sx f ′ (x)L[f ′ ](s) = sL[f](s)− f(0). (15.3)151


152 DANIELE ANDREUCCIDimostrazione. Consideriamo una successione c + n → ∞ tale chelimn→∞ e−sc+ nf(c + n ) = 0(ve<strong>di</strong> Lemma A.14). Allora, integrando <strong>per</strong> parti,∫ c+ n0e −sx f ′ (x)dx = [ e −sx f(x) ] ∫c +c + nn0 − (−s)e −sx f(x)dx.Per n → ∞ si ottiene la tesi.Le trasformate <strong>di</strong> derivate <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne su<strong>per</strong>iore si possono ottenere reiterandoquesto risultato; <strong>per</strong> esempio,L[f ′′ ](s) = sL[f ′ ](s)− f ′ (0) = s 2 L[f](s)−sf(0)− f ′ (0). (15.4)15.2.3. Antitrasformazione. Se f è localmente lipschitziana in [0, ∞), ee −sx f(x) è integrab<strong>il</strong>e su [0, ∞), <strong>per</strong> ogni x ≥ 0 valef(x) = 12π limk→∞∫ k−k0L[f](s+it)e (s+it)x dt, (15.5)che costituisce la formula <strong>di</strong> inversione della trasformata <strong>di</strong> Laplace.15.2.4. Trasformazione <strong>di</strong> convoluzioni. See −sx f(x), e −sx g(x), e −sx (f ∗g)(x),sono integrab<strong>il</strong>i su [0, ∞), con f, g : R → R tali che f(x) e g(x) sono nulle<strong>per</strong> x < 0, alloraL[f ∗g](s) = L[f](s)L[g](s). (15.6)La <strong>di</strong>mostrazione è analoga a quella <strong>di</strong> (14.6).15.2.5. Cambiamenti <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i. Sia e −sx f(x) integrab<strong>il</strong>e su [0, ∞), e sianoa > 0, b ≥ 0 numeri reali; definiamo f(x) = 0 <strong>per</strong> x < 0. AlloraL[f(ax−b)](s) = 1 ( ) sa e−sb a L[f] . (15.7)aDimostrazione. Infatti∫ ∞e −sx f(ax−b)dx = 1 a0che dà la tesi.∫ ∞−be −s(y a +b a ) f(y)dy = 1 a∫ ∞0e −s(y a +b a ) f(y)dy,Osservazione 15.3. Siano h e k due funzioni limitate e integrab<strong>il</strong>i su R,entrambe nulle su (−∞,0). Allorah∗k(x) =∫ x0h(x−ξ)k(ξ)dξ. (15.8)□•••□•


15.3. APPLICAZIONI ALLE EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIE 153Infatti, si ha <strong>per</strong> la definizione <strong>di</strong> convoluzioneh∗k(x) =∫ ∞−∞h(x−ξ)k(ξ)dξ,ove tuttavia l’integrando è nullo <strong>per</strong> ξ < 0 (<strong>per</strong>ché k(ξ) = 0), e <strong>per</strong> ξ > x(<strong>per</strong>ché h(x−ξ) = 0). Questo dà subito la (15.8). □15.3. Applicazioni alle equazioni <strong>di</strong>fferenziali or<strong>di</strong>narieConsideriamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> e.d.o.:y ′′ −3y ′ +2y = f(x), x > 0, (15.9)y(0) = 0, (15.10)y ′ (0) = 0, (15.11)ove f ∈ C([0, ∞)).Applichiamo la trasformazione <strong>di</strong> Laplace alla e.d.o., denotandocon Y [F]la trasformata <strong>di</strong> y [f]. Si ottiene <strong>per</strong> le (15.3) e (15.4)s 2 Y(s)−3sY(s)+2Y(s) = F(s),da cuiF(s)Y(s) =s 2 −3s+2 , (15.12)ove <strong>il</strong> denominatore è senz’altro positivo <strong>per</strong> s > 2; infattis 2 −3s+2 = (s−1)(s−2).Invochiamo ora la (15.6), e otteniamo (si veda anche l’Osservazione 15.3)y(x) = ψ∗ f(x) =∫ x0ψ(x−ξ)f(ξ)dξ, (15.13)se denotiamo con ψ l’antitrasformata del denominatore <strong>di</strong> (15.12).La y data dalla (15.13) non è altro che la soluzione particolare della e.d.o.in(15.9)ottenutacon<strong>il</strong>metododelnucleorisolvente; <strong>il</strong>nucleorisolventeKinfatti coincide con ψ. Verifichiamo questo fatto. È noto che K può esseredefinito (<strong>per</strong> e.d.o. a coefficienti costanti) come la soluzione <strong>di</strong>K ′′ −3K ′ +2K = 0, x > 0, (15.14)K(0) = 0, (15.15)K ′ (0) = 1, (15.16)che può essere ottenuta con <strong>il</strong> metodo dell’equazione caratteristica (o ancoracon la trasformazione <strong>di</strong> Laplace). Si ottieneK(x) = e 2x −e x . (15.17)Controlliamo che L[K] assuma <strong>il</strong> valore desiderato: <strong>per</strong> s > 2 si haL[K](s) =e quin<strong>di</strong> ψ = K.∫ ∞0e −sx (e 2x −e x )dx = − 12−s + 11−s = 1s 2 −3s+2 ,


Parte 7Complementi


CAPITOLO 16Completezza del sistema <strong>di</strong> FourierDimostriamo che <strong>il</strong> sistema ortonormale <strong>di</strong> Fourier è completo.Questo è un risultato <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e che qui viene dedotto dalla teoriadelle approssimazioni me<strong>di</strong>ante convoluzioni.16.1. Le somme <strong>di</strong> FejerTeorema 16.1. Le me<strong>di</strong>e aritmeticheT k (x) = 1 ()S 0 (x)+S 1 (x)+···+S k (x)k+1sod<strong>di</strong>sfano, se f è limitata su R e <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodo 2π:, (16.1)lim T k(x) = f(x), (16.2)k→∞in ogni punto <strong>di</strong> continuità x <strong>di</strong> f.Inoltre la convergenza è uniforme in intervalli compatti <strong>di</strong> continuità <strong>di</strong> f.Le somme T k si <strong>di</strong>cono somme <strong>di</strong> Fejer, dal nome del matematico chele introdusse. Si noti che non è in genere vero che anche le S k abbiano leproprietà <strong>di</strong> convergenza dell’enunciato del Teorema 16.1. Tuttavia le S kforniscono un’approssimazione migliore delle T k nel senso della <strong>di</strong>stanza‖·‖, come espresso dalla (8.2). Si noti a questo proposito che in effettiT k ∈ F k .Dimostrazione. Dalla definizione (8.1), si ha <strong>per</strong> k ≥ 1S k (x) = 12π= 12π= 12π∫ π−π∫ π−π∫ π−π[f(y)[f(y)1+21+2k∑n=1k∑n=1sin(2k+12(y−x)f(y)sin y−x2]cos(ny)cos(nx)+sin(ny)sin(nx) dy]cosn(y−x) dyQui si è usata la (C.1). Per la <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità dell’integrando si può anchescrivere)S k (x) = 1 ∫ sin( π 2k+12yf(y+x)2π sin y dy; (16.3)2−π157)dy.


158 DANIELE ANDREUCCISi noti che questa rappresentazione vale <strong>di</strong> fatto anche <strong>per</strong> S 0 (x) = a 0 .Dunque, <strong>per</strong> definizione <strong>di</strong> T k , si ha, usando anche la (C.3),1T k (x) =2π(k+1)∫ π−πossia (cambiando y in −y)T k (x) =∫ π−πf(y+x)k∑n=0)sin(2n+12ysin y 21=2π(k+1)∫f(x−y)φ k (y)dy =R∫ π−πdyf(y+x)(sink+1sin y 22 y) 2dy,f(x−y)φ k (y)dy, (16.4)ove φ k è <strong>il</strong> nucleo <strong>di</strong> Fejer(1 sink+12φ k (x) =y) 22π(k+1) sin y , |x| ≤ π; φ k (x) = 0, |x| > π.2(16.5)Dimostriamo che φ k sod<strong>di</strong>sfa le (11.2), (11.4) (ve<strong>di</strong> anche l’Osservazione11.13).Siha<strong>per</strong>definizioneche φ k ≥ 0. Inoltre,sesisceglie f ≡ 1(ossiaf è una delle funzioni del sistema <strong>di</strong> Fourier) vale a 0 = 1, a n = b n = 0 <strong>per</strong>n ≥ 1, e dunque∫Rφ k (y)dy = T k (x) = 1k+1( )1+1+···+1 = 1,<strong>di</strong>mostrando anche la seconda delle (11.2). Per <strong>di</strong>mostrare (11.4) fissiamoπ > a > 0; <strong>per</strong> le usuali proprietà della funzione seno, si ha∫ πaφ k (x)dx ≤∫1π2π(k+1)a1sin 2 a 2π−ady =2π(k+1)sin 2 a → 0,2<strong>per</strong> k → ∞. Possiamo quin<strong>di</strong> applicare i risultati del Teorema 11.3 inun punto <strong>di</strong> continuità, o del Corollario 11.5 su un qualsiasi intervallocompatto <strong>di</strong> continuità. Questo dà subito la tesi.□In genere non è vero che la successione S k (x) converge a f(x) in un punto<strong>di</strong> continuità <strong>di</strong> f. Vale <strong>per</strong>òTeorema 16.2. Sia f una funzione <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca in R, <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodo 2π, con f ∈L 2 ((−π, π)). Se <strong>per</strong> un fissato x ∈ R vale|f(y)− f(x)| ≤ C|x−y| α , <strong>per</strong> ogni y tale che |x−y| < γ, (16.6)ove C, γ, e α sono costanti positive, allora la serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f converge a f(x)in x, ossia S k (x) → f(x).Se la (16.6) vale <strong>per</strong> ogni x ∈ J, ove J è un intervallo compatto, con C, γ, e αin<strong>di</strong>pendenti da x ∈ J, la convergenza è uniforme in J.


16.2. COMPLETEZZA DEL SISTEMA DI FOURIER 159(Omettiamo la <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 16.2.)Per esempio se f ∈ C 1 ((a,b)), e J ⊂ (a,b) è compatto, allora in J valgonole ipotesi del teorema, e quin<strong>di</strong>max|S k (x)− f(x)| → 0, k → ∞.x∈J16.2. Completezza del sistema <strong>di</strong> FourierDimostrazione del Teorema 8.1. A) Sia g ∈ L 2 ((−π, π)). Dobbiamo<strong>di</strong>mostrare cheg(x) = a g 0 + ∞∑n=1a g ncos(nx)+b g nsin(nx), (16.7)nel senso<strong>di</strong> L 2 ((−π, π)). Qui a g n, b g n denotanoicoefficienti <strong>di</strong> Fourier<strong>di</strong> g.Iniziamo con <strong>il</strong> ricordare che la serie in (16.7) converge certamente nelsenso<strong>di</strong> L 2 ((−π, π)),aunafunzioneh ∈ L 2 ((−π, π))(Osservazione7.26).Si tratta dunque <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che h = g.In particolare, scambiando serie e integrale <strong>per</strong> <strong>il</strong> Corollario 7.9, e integrando<strong>per</strong> parti,∫ x−π∫x[h(s)−a g 0 ]ds =B) Definiamo==−πf(x) =∞∑n=1−π∞∑n=1[ ∞ ]∑ ancos(ns)+b g nsin(ns)g dsn=1∫ x−π∫ x[a g ncos(ns)+b g nsin(ns)]ds[ agnn sin(nx)− bg nn cos(nx) ]+∞∑(−1) nbg nn=1n . (16.8)[g(s)−a 0 ]ds, −π ≤ x ≤ π. (16.9)La f risulta una funzione continua su [−π, π], con f(−π) = f(π) =0. Dunque è esten<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e in modo <strong>per</strong>io<strong>di</strong>co a R, con <strong>per</strong>iodo 2π, comefunzione continua. Denotiamo ancora con f questa estensione.Applichiamo a f <strong>il</strong> Teorema 16.1: questo garantisce che la successione{T fk} relativa a f converge uniformemente a f su [−π, π], e quin<strong>di</strong> anchenel senso <strong>di</strong> L 2 ((−π, π)).Per la definizione della S f k, e poiché Tfk ∈ F k, ove F k è l’insieme <strong>di</strong> tutte lecombinazioni lineari <strong>di</strong> 1 e <strong>di</strong> sin(nx), cos(nx) 1 ≤ n ≤ k, vale{ }‖f −S f k ‖ = min ‖f − Σ k ‖ | Σ k ∈ F k≤ ‖f −T fk‖ → 0, k → ∞.Quin<strong>di</strong> S f k→ f, ossia la serie <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f converge nel senso <strong>di</strong>L 2 ((−π, π)) a f.


160 DANIELE ANDREUCCIC) Troviamo i coefficienti <strong>di</strong> Fourier <strong>di</strong> f: <strong>per</strong> esempio se n ≥ 1, si haintegrando <strong>per</strong> parti,b f n = 1 π∫ π−π[ ∫ x−πIn modo sim<strong>il</strong>e si calcola che][g(s)−a g 0 ]ds sin(nx)dx = 1nπa f 0 = − 12π∫ π−πSi ha quin<strong>di</strong> nel senso <strong>di</strong> L 2 ,f(x) = a f 0 + ∞∑n=1g(x)xdx,[− bg nn cos(nx)+ ag nn sin(nx) ]Dato che f(−π) = 0, si deve averea f 0 = − 12πDa (16.2) e da (16.10) segue∫ x−πg(s)ds =da cui h = g come richiesto.= a f ∞0 − ∑ (−1) nbg nn=1∫ π−π∫ x−πg(x)xdx =∫ π−πg(x)cos(nx)dx = ag nn .a f n = − bg nn , n ≥ 1.∫xn +−π∞∑(−1) nbg nn=1[h(s)−a g 0]ds. (16.10)n .h(s)ds, −π < x < π,□


CAPITOLO 17Classificazione delle equazioni lineari del secondoor<strong>di</strong>nePresentiamo i concetti elementari della classificazione <strong>di</strong> e.d.p. indue variab<strong>il</strong>i.Queste risultano <strong>di</strong>vise in tre gran<strong>di</strong> classi: ellittiche (rappresentatedall’equazione <strong>di</strong> Laplace); paraboliche (rappresentate dall’equazionedelcalore);i<strong>per</strong>boliche(rappresentatedall’equazionedelle onde).17.1. Equazioni a coefficienti costanti in due variab<strong>il</strong>iConsideriamo l’equazioneL 0 u := Au xx +2Bu xy +Cu yy = f(x,y,u,u x ,u y ), (17.1)postainuna<strong>per</strong>to Ω ⊂ R 2 . Qui f ∈ C(Ω×R 3 ), u ∈ C 2 (Ω), e A, B, C sonocostanti reali. Per rimanere nel campo delle equazioni lineari, assumiamoche la <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> f da u e dal suo gra<strong>di</strong>ente sia lineare, ma in realtà ivalori <strong>di</strong> f sonoirr<strong>il</strong>evanti aifinidellaclassificazione dell’equazione(17.1),che è invece basata solo sui coefficienti A, B, C della parte principale L 0 .Assumiamo che l’equazione non sia degenere, ossia che almeno uno traA, B e C sia <strong>di</strong>verso da 0.Un possib<strong>il</strong>e punto <strong>di</strong> partenza <strong>per</strong> classificare le equazioni (17.1) è considerarela possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> ridurle a una forma più semplice, <strong>per</strong> esempio attraversoun’opportuna trasformazione delle variab<strong>il</strong>i (x,y). Introduciamole nuove variab<strong>il</strong>icon α i , β i costanti reali tali cheξ = α 1 x+β 1 y, η = α 2 x+ β 2 y,α 1 β 2 − β 1 α 2 ̸= 0. (17.2)Introduciamo la nuova incognita v(ξ, η) = u(x,y), che dunque sod<strong>di</strong>sfau(x,y) = v(α 1 x+β 1 y, α 2 x+β 2 y).La regola <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong> funzioni composte dàu xx = α 2 1 v ξξ +2α 1 α 2 v ξη + α 2 2 v ηη,Pertanto,u yy = β 2 1 v ξξ +2β 1 β 2 v ξη + β 2 2 v ηη,u xy = α 1 β 1 v ξξ +(α 1 β 2 + α 2 β 1 )v ξη + α 2 β 2 v ηη .L 0 u = ( Aα 2 1 +2Bα 1β 1 +Cβ 2 1)vξξ +2 ( )Aα 1 α 2 +B(α 1 β 2 + α 2 β 1 )+Cβ 1 β 2 vξη +(Aα22 +2Bα 2 β 2 +Cβ 2 )2 vηη .(17.3)161


162 DANIELE ANDREUCCIVogliamo ridurre la parte principale a v ξη (a meno <strong>di</strong> coefficienti costanti),vogliamo cioè annullare i coefficienti <strong>di</strong> v ξξ e v ηη . Allora dobbiamoimporreAα 2 1 +2Bα 1β 1 +Cβ 2 1 = 0,Aα 2 2+2Bα 2 β 2 +Cβ 2 2 = 0.(17.4)Almeno uno tra A e C si può assumere non nullo, altrimenti l’equazione(17.1) è già nella forma desiderata. Senza <strong>per</strong><strong>di</strong>ta <strong>di</strong> generalità assumiamoA ̸= 0.Allora deve essere, <strong>per</strong> la (17.2) e <strong>per</strong> le (17.4), β 1 , β 2 ̸= 0. Quin<strong>di</strong>, postoω = α i /β i , i = 1, 2, si deve avereche ha le ra<strong>di</strong>ciAω 2 +2Bω+C = 0, (17.5)ω 1 = −B+√ B 2 − AC, ω 1 = −B−√ B 2 − AC.AALe due ra<strong>di</strong>ci potrebbero essere complesse. Dunque si haα 1 = ω i β 1 , α 2 = ω j β 2 , <strong>per</strong> i, j ∈ {1,2}. (17.6)Poichédobbiamo rispettarelacon<strong>di</strong>zione(17.2), idue ω i devonoessere<strong>di</strong>versiin(17.6).Inoltredevonoesserereali, sevogliamo rimanerenelcampodelle trasformazioni reali <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate. Questo conduce a richiedereB 2 − AC > 0. (17.7)In questo caso la trasformazione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (ottenuta come sopra <strong>per</strong>β i = 1)ξ = ω 1 x+y, η = ω 2 x+y (17.8)dàL 0 u = 2 ( Aω 1 ω 2 +B(ω 1 + ω 2 )+C ) v ξη = 4 A (AC−B2 )v ξη ,che è la forma voluta. Si noti che <strong>il</strong> coefficiente <strong>di</strong> v ξη è <strong>di</strong>verso da zero,<strong>per</strong> (17.7). Nel caso in cui valga quest’ultima l’equazione (17.1) si <strong>di</strong>cei<strong>per</strong>bolica, e v ξη è la forma canonica della sua parte principale (a meno <strong>di</strong>coefficienti <strong>di</strong>versi da zero).Le rette ξ = costante, η = costante si <strong>di</strong>cono caratteristiche dell’equazionei<strong>per</strong>bolica.Esempio 17.1. L’equazione delle ondeu tt −c 2 u xx = 0, c > 0,in cui A = −c 2 , B = 0, C = 1, sod<strong>di</strong>sfa B 2 − AC = c 2 , e dunque la (17.7).La trasformazione <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (17.8) (o meglio, una sua equivalente) èstata usata nel Teorema 3.3.L’equazione delle onde è spesso considerata <strong>il</strong> prototipo delle equazionii<strong>per</strong>boliche.□Supponiamo che (17.7) non sia sod<strong>di</strong>sfatta e che invece valgaB 2 − AC = 0. (17.9)


17.1. EQUAZIONI A COEFFICIENTI COSTANTI IN DUE VARIABILI 163In questo caso l’equazione (17.1) si <strong>di</strong>ce parabolica. Supponiamo <strong>per</strong> orache B ̸= 0, cosicché anche A e C sono non nulli. Allora l’unica soluzione<strong>di</strong> (17.5) è ω = −B/A. Consideriamo allora, <strong>per</strong> questa scelta <strong>di</strong> ω, <strong>il</strong>cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nateξ = x, η = ωx+y. (17.10)Il coefficiente <strong>di</strong> v ηη si annulla, e quello <strong>di</strong> v ξη anche, <strong>per</strong>ché uguaglia2(Aω+B) = 0.Dunque la parte principale si riduce a v ξξ (a meno <strong>di</strong> coefficienti <strong>di</strong>versida zero), che ne è la forma canonica <strong>per</strong> le equazioni paraboliche.Le rette η = costante si <strong>di</strong>cono caratteristiche dell’equazione parabolica: leequazioni paraboliche hanno una sola famiglia <strong>di</strong> caratteristiche, mentrele equazioni i<strong>per</strong>boliche ne hanno due.Se poi B = 0, allora uno tra A e C si annulla, <strong>per</strong> (17.9), e quin<strong>di</strong> la parteprincipale è già nella forma u xx (o u yy ).Esempio 17.2. L’equazione del caloreu t −u xx = 0,in cui A = −1, B = C = 0, sod<strong>di</strong>sfa (17.9). Le sue caratteristiche sono lerette t = costante.L’equazione del calore è l’equazione modello delle equazioni paraboliche.□Infine, consideriamo <strong>il</strong> caso in cuiB 2 − AC < 0. (17.11)Questo è <strong>il</strong> caso delle equazioni ellittiche. La trasformazioneξ = Cx−By, η = λy, (17.12)con λ ̸= 0 da scegliere, annulla <strong>il</strong> coefficiente <strong>di</strong> v ξη (<strong>per</strong> qualunque scelta<strong>di</strong> λ). Poicoefficiente <strong>di</strong> v ξξ = C(AC−B 2 ), coefficiente <strong>di</strong> v ηη = Cλ 2 ,sonouguali se λ = √ AC−B 2 , sceltaammissib<strong>il</strong>e in vista <strong>di</strong>(17.11). Quin<strong>di</strong>,ameno<strong>di</strong>costantimoltiplicative,laparteprincipalesiriduceallaformacanonica v ξξ +v ηη = ∆v.Esempio 17.3. L’equazione <strong>di</strong> Laplaceu xx +u yy = 0,in cui A = C = 1 e B = 0, sod<strong>di</strong>sfa (17.11), e serve da modello <strong>per</strong> leequazioni ellittiche.□


164 DANIELE ANDREUCCI17.2. Forme quadratiche ed equazioni del secondo or<strong>di</strong>neRicor<strong>di</strong>amo che una forma quadraticasi <strong>di</strong>ceq(x,y) = Ax 2 +2Bxy+Cy 2 , (x,y) ∈ R 2 ,definita positiva se q(x,y) > 0 <strong>per</strong> ogni (x,y) ̸= (0,0);definita negativa se q(x,y) < 0 <strong>per</strong> ogni (x,y) ̸= (0,0);semidefinita positiva se q(x,y) ≥ 0 <strong>per</strong> ogni (x,y);semidefinita negativa se q(x,y) ≤ 0 <strong>per</strong> ogni (x,y);indefinitaLa matricesi <strong>di</strong>ce associata a q, <strong>per</strong>chése q(x,y) prende valori sia positivi che negativi.A =q(x,y) = A(x,y) t·(x,y) t =( )A BB C( ) (A B x x· .B C)(y y)La matrice A si <strong>di</strong>ce definita [rispettivamente, semidefinita, indefinita] seq è definita [rispettivamente, semidefinita, indefinita].È noto che q (e quin<strong>di</strong> A) è definita se e solo seè indefinita se e solo sedetA = AC−B 2 > 0,detA = AC−B 2 < 0,ed è semidefinita sedetA = AC−B 2 = 0.Dunquelaclassificazione delleequazion<strong>il</strong>ineari delsecondoor<strong>di</strong>nesipuòriformulare così:Definizione 17.4. L’equazione (17.1) si <strong>di</strong>ce i<strong>per</strong>bolica se A è indefinita,parabolica se A è semidefinita (ma non definita), ed ellittica se A èdefinita.□Consideriamo l’equazione17.3. Equazioni a coefficienti non costantiLu := A(x,y)u xx +2B(x,y)u xy +C(x,y)u yy = f(x,y,u,u x ,u y ), (17.13)posta in un a<strong>per</strong>to Ω ⊂ R 2 . Qui A, B, C sono funzioni continue in Ω, chenon si annullano mai tutte insieme. Su f e u si fanno le ipotesi già vistenella Sezione 17.1. In<strong>di</strong>chiamo( )A(x,y) B(x,y)A(x,y) = .B(x,y) C(x,y)Definizione 17.5. L’equazione (17.13) si <strong>di</strong>ce i<strong>per</strong>bolica in (x,y) se A(x,y)è indefinita, parabolica in (x,y) se A(x,y) è semidefinita (ma non definita),ed ellittica in (x,y) se A(x,y) è definita.□


CAPITOLO 18Cenni alle soluzioni deboliLe soluzioni deboli, cioè meno regolari <strong>di</strong> quanto prescriva l’equazione,sono uno strumento ormai classico nell’analisi dellee.d.p..Cerchiamo <strong>di</strong> spiegare <strong>per</strong>ché.18.1. Soluzioni deboliRipren<strong>di</strong>amo qui la problematica e la notazione della Sezione 1.3.Nella definizione del funzionale J la richiesta u ∈ C 2 (Ω) può esseresostituita da u ∈ C 1 (Ω), come è ovvio. Definiamo cioème<strong>di</strong>ante laJ 1 : K 1 → R,K 1 := {v ∈ C 1 (Ω) | v = u 0 su ∂Ω},∫J 1 (v) = |∇v(x)| 2 dx.ΩLa seconda parte della <strong>di</strong>mostrazione del Teorema 1.1 può essere ripetutacon queste nuove definizioni, fino alla (1.28) esclusa, con l’unica variazioneche si può prendere ϕ ∈ C 1 (Ω), ϕ = 0 su ∂Ω nella definizione <strong>di</strong> Φ.A priori, u è solo una funzione C 1 , e quin<strong>di</strong> non è possib<strong>il</strong>e integrare <strong>per</strong>parti come nella (1.28), e ottenere ∆u = 0; del resto ∆u non è in linea <strong>di</strong>principio definito.Sevogliamointerpretare<strong>il</strong>minimoucomesoluzione<strong>di</strong>unae.d.p.,dobbiamoquin<strong>di</strong> accontentarci della (1.27) come definizione <strong>di</strong> soluzione. Vale a<strong>di</strong>re, poniamo laDefinizione 18.1. Una u : Ω → R si <strong>di</strong>ce soluzione debole (<strong>di</strong> classe C 1 ) <strong>di</strong>(1.20)–(1.21) se e solo se:a) u ∈ C 1 (Ω);b) <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1 (Ω) con ϕ = 0 su ∂Ω, vale∫∇u·∇ ϕdx = 0; (18.1)Ωc) u = u 0 su ∂Ω. □Le soluzioni definite nel Capitolo 2 saranno nel seguito chiamate anchesoluzioni classiche, <strong>per</strong> <strong>di</strong>stinguerle da quelle deboli appena introdotte.La (18.1) si <strong>di</strong>ce anche formulazione integrale (o debole) della (1.20).Osservazione 18.2. Di fatto, si può <strong>di</strong>mostrare che le soluzioni deboli u<strong>di</strong> questo particolare problema al contorno sono in realtà anche in C 2 (Ω);165


166 DANIELE ANDREUCCIquesto <strong>per</strong>ò non è vero <strong>per</strong> problemi <strong>di</strong> e.d.p. più generali, ove la <strong>di</strong>stinzionetra soluzioni deboli e classiche è effettiva. Dunque è importantesv<strong>il</strong>uppare tecniche <strong>per</strong> trattare le soluzioni deboli.Si potrebbe anche <strong>di</strong>mostrare che J 1 ha in effetti un minimo u ∈ K 1 (sottoipotesi opportune su u 0 e Ω nel cui dettaglio non entriamo). □18.1.1. Le formulazione debole è troppo forte? Quando si definisce unasoluzione debole, è necessario accertarsi che una soluzione classica (ammessoche esista) sod<strong>di</strong>sfi tale definizione, ossia sia anche soluzione debole.Questogarantisce che non stiamo introducendonelproblema restrizioniindebite, estranee alla sua formulazione originale.Teorema 18.3. Una u ∈ C 2 (Ω)∩C 1 (Ω) che sia soluzione <strong>di</strong> (1.20)–(1.21) insenso classico, ne è anche soluzione debole.Dimostrazione. Vanno verificate le tre richieste della Definizione 18.1:a) regolarità: u ∈ C 1 (Ω) <strong>per</strong> ipotesi;b) equazione <strong>di</strong>fferenziale (in forma integrale), ossia la (18.1): se u ∈C 2 (Ω) basta integrare <strong>per</strong> parti∫ ∫0 = ϕ ∆udx = − ∇u·∇ ϕdx,Ω<strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1 (Ω) con ϕ = 0 su ∂Ω. Se u ∈ C 1 (Ω), ma non valeu ∈ C 2 (Ω), la (18.1) segue ancora approssimando la ϕ con funzioni inC 1 (Ω) che si annullino su un intorno <strong>di</strong> ∂Ω. Omettiamo i dettagli.c) dato al bordo: u = u 0 su ∂Ω <strong>per</strong> ipotesi. □Osservazione 18.4. Si potrebbeobiettareche in effett<strong>il</strong>a soluzione classicadefinitanelCapitolo 2 nonè<strong>per</strong>forza<strong>di</strong>classe C 2 (Ω)∩C 1 (Ω), ma solo<strong>di</strong>classe C 2 (Ω)∩CΩ. In effetti, esistono soluzioni classiche che non appartengonoaC1 (Ω), e quin<strong>di</strong> non possonoesseresoluzioni deboli secondolaDefinizione 18.1. In genere questa viene ritenuta una questione attinentealla regolarità delle soluzioni che non tocca <strong>il</strong> significato del problema; inaltri termini si assume <strong>per</strong> la soluzione classica tutta la regolarità necessaria<strong>per</strong> <strong>di</strong>mostrare che è anche debole (come nel Teorema 18.3). Non èdetto <strong>per</strong>ò che sia sempre possib<strong>il</strong>e trascurare questo aspetto. □18.1.2. La formulazione debole è troppo debole? La definizione <strong>di</strong> soluzionideboli quin<strong>di</strong> deve essere abbastanza generale da includere almenole soluzioni classiche; d’altra parte, non deve essere troppo generale. Peresempio, in linea <strong>di</strong> principio, potremmo omettere la richiesta c) relativaal dato al bordo dalla Definizione 18.1, e <strong>il</strong> Teorema 18.3 sarebbe ancoravalido. È chiaro <strong>per</strong>ò che le ‘soluzioni deboli’ in questa nuova accezionenon conserverebbero traccia della con<strong>di</strong>zione al bordo; in particolare esisterebberoinfinite ‘soluzioni deboli’ ciascuna relativa a un <strong>di</strong>verso dato albordo.Per evitare rischi sim<strong>il</strong>i, in generesi ritiene necessario <strong>di</strong>mostrare un risultato<strong>di</strong> unicità <strong>di</strong> soluzioni deboli, che garantisca che le richieste fatte sullaΩ•


18.2. RICERCA DI MINIMI PER J 1 167soluzione debole conservino, in pratica, la forza <strong>di</strong> quelle del problemaclassico.Teorema 18.5. Selasoluzione u <strong>di</strong>(1.20)–(1.21) nel senso della Definizione 18.1esiste, essa è unica.Dimostrazione. Siano u 1 , u 2 due soluzioni deboli. Alloraϕ = u 1 −u 2 ∈ C 1 (Ω), e ϕ = u 0 −u 0 = 0 su ∂Ω.Dunque deve essere <strong>per</strong> (18.1)∫∇u 1·∇(u 1 −u 2 )dx = 0,Ω∫Ω∇u 2·∇(u 1 −u 2 )dx = 0,dato che entrambe le u 1 , u 2 sono soluzioni. Sottraendo queste due uguaglianzel’una dall’altra si ha∫|∇(u 1 −u 2 )| 2 dx = 0,Ω<strong>il</strong> che implica ∇(u 1 − u 2 ) = 0 in Ω. Poiché u 1 = u 2 su ∂Ω, segue cheu 1 ≡ u 2 in Ω.□•Riassumiamo infine <strong>il</strong> programma delle sottosezioni 18.1.1 e 18.1.2: la soluzionedebole è unica; se esiste una soluzione classica essa è anche la(unica) soluzione debole.18.2. Ricerca <strong>di</strong> minimi <strong>per</strong> J 1Diamo un cenno della <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza <strong>di</strong> un minimo <strong>per</strong> J 1 ,alloscopo<strong>di</strong>mostrarel’ut<strong>il</strong>ità<strong>di</strong>spazifunzionali<strong>di</strong>versidai‘classici’ spaziC m <strong>di</strong> funzioni continue con le loro derivate.Per definizione <strong>di</strong> estremo inferiore esiste una successione u n <strong>di</strong> funzioni<strong>di</strong> K 1 tali chelim J 1(u n ) = infJ 1 =: m ≥ 0.n→∞ K 1Infatti m ≥ 0 <strong>per</strong>ché J 1 (v) ≥ 0 <strong>per</strong> ogni v ∈ K 1 . Vogliamo <strong>di</strong>mostrare chem è un minimo, cioè che esiste una funzione u su cui J 1 assume questovalore.La definizione esplicita <strong>di</strong> J 1 implica che, <strong>per</strong> ogni scelta <strong>di</strong> v e w in K 1 ,( v−w) ( v+w)J 1 + J 1 = 1 2 2 2 J 1(v)+ 1 2 J 1(w). (18.2)(Questa si <strong>di</strong>ce identità del parallelogramma; <strong>per</strong>ché?) Pren<strong>di</strong>amo v = u n ,w = u k . Si haJ 1( un −u k2)= 1 2 J 1(u n )+ 1 2 J 1(u k )−J 1( un +u k2)≤ 1 2 J 1(u n )+ 1 2 J 1(u k )−m,<strong>per</strong> la definizione <strong>di</strong> m, e <strong>il</strong> fatto che (u n + u k )/2 ∈ K 1 . D’altra parte,fissato ε > 0, esiste n ε ≥ 1 tale che, <strong>per</strong> n, k ≥ n ε ,J 1 (u n ), J 1 (u k ) ≤ m+ε,


168 DANIELE ANDREUCCI<strong>per</strong>ché J 1 (u n ) → m. Dunque <strong>per</strong> n, k ≥ n ε ,∫1(|∇u n −∇u4 k | 2 un −u)dx = J k1 ≤ m+ε2 2Ω+ m+ε2−m = ε. (18.3)Perciò la successionedei gra<strong>di</strong>enti∇u n (o le successionidelle componentiscalari <strong>di</strong> ∇u n , se si preferisce) sono <strong>di</strong> Cauchy in L 2 (Ω). Poiché L 2 (Ω) ècompleto, esiste un vettore p tale che∇u n → p,in L 2 (Ω)(nel senso che ciascuna delle componenti converge in L 2 (Ω)).Per la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Poincaré in Lemma C.9, visto che u n −u k = 0 su∂Ω,∫ ∫|u n −u k | 2 dx ≤ C |∇u n −∇u k | 2 dx ≤ 4Cε, n,k ≥ n ε ,ΩΩe dunque anche u n è <strong>di</strong> Cauchy in L 2 (Ω), e converge nel senso <strong>di</strong> L 2 (Ω)a una funzione u. Vale allora che p = ∇u nel senso delle derivate <strong>di</strong>Sobolev (ve<strong>di</strong> Sottosezioni 18.4.3 e 18.4.4).Infine ∫ ∫ ∫|∇u| 2 dx = |p| 2 dx = lim |∇u n | 2 dx = m.n→∞ΩΩPerciò u sarebbe punto <strong>di</strong> minimo <strong>per</strong> J 1 , se fosse u ∈ K 1 . Ma questo nonrisulta dall’argomento sopra, che invece introduce u come una funzione inL 2 (Ω) con derivate nel senso <strong>di</strong> Sobolev.Per questomotivo, cioè in sostanza <strong>per</strong> salvare la vali<strong>di</strong>tà delragionamentosvolto qui sopra, è bene porsi in questi spazi <strong>di</strong> funzioni (invece chein C 1 (Ω)) <strong>per</strong> <strong>di</strong>scutere la minimizzazione <strong>di</strong> funzionali del tipo <strong>di</strong> J 1 . Inquesta ambientazione, u è davvero <strong>il</strong> punto <strong>di</strong> minimo cercato.18.3. Soluzioni deboli <strong>di</strong> equazioni non regolariNella Sezione 18.2 abbiamo visto come le soluzioni deboli appaiano <strong>di</strong> necessitàin un contesto variazionale, ossia quando si trovano soluzioni <strong>di</strong>e.d.p. come punti <strong>di</strong> minimo <strong>di</strong> funzionali. Tuttavia esse possono essereintrodotte in modo in<strong>di</strong>pendente da ogni approccio variazionale. Un casotipico in cui è naturale considerare soluzioni deboli è quello in cui l’irregolaritàdei coefficienti dell’equazione rende impossib<strong>il</strong>e l’esistenza <strong>di</strong>soluzioni classiche.Pren<strong>di</strong>amo come esempio <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del calore con dati <strong>di</strong>NeumannΩu t −<strong>di</strong>v(a(x)∇u) = 0, in Ω×(0,T), (18.4)a(x)∇u·ν = 0, su ∂Ω×(0,T), (18.5)u(x,0) = u 0 (x), in Ω. (18.6)Qui la <strong>di</strong>ffusività a > 0 è una funzione limitata e misurab<strong>il</strong>e, ma noncontinua. Per esempio Ω può essere costituito da due regioni Ω 1 e Ω 2 ,


18.3. SOLUZIONI DEBOLI DI EQUAZIONI NON REGOLARI 169ciascuna riempita da un materiale con <strong>di</strong>ffusività a i ∈ (0, ∞), a 1 ̸= a 2 . Inquesto caso si haa(x) = a 1 χ Ω1 (x)+a 2 χ Ω2 (x), x ∈ Ω.È chiaro che (18.4) non ha soluzioni nel senso classico, se non altro <strong>per</strong>chéa(x) non è derivab<strong>il</strong>e.In casi come questosi integra in modo formale <strong>per</strong> parti la e.d.p.,<strong>per</strong> ‘scaricare’su una funzione test alcune delle derivate, ossia quelle ‘eccessive’<strong>per</strong> la (scarsa) regolarità del problema. Moltiplichiamo dunque l’equazione<strong>per</strong> una ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) e integriamo <strong>per</strong> parti come se tutte lederivate fossero continue. Si ha∫ T ∫0Ω{u t ϕ+a(x)∇u·∇ ϕ}dxdt =∫ T ∫0∂Ωϕa(x)∇u·νdσdt = 0, (18.7)ove si è usato <strong>il</strong> dato al bordo (18.5). Il nostro problema è quin<strong>di</strong> trovareuna u che sod<strong>di</strong>sfi∫ T ∫0Ω{u t ϕ+a(x)∇u·∇ϕ}dxdt = 0, (18.8)<strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) .Si noti che la (18.8) non contiene derivate <strong>di</strong> a. Resta da capire in qualeclasse <strong>di</strong> funzioni si deve cercare la soluzione u; si potrebbe vedere che<strong>per</strong> esempio ∇u non può essere continuo; nella Sezione 18.4.5 torniamosulla questione. Qui <strong>di</strong>ciamo solo che, <strong>per</strong> dare un significato all’integralenella (18.8), la continuità <strong>di</strong> ∇u è comunque su<strong>per</strong>flua: basta che ∇u siauna funzione integrab<strong>il</strong>e. Possiamo quin<strong>di</strong> cercare soluzioni deboli in unaclasse molto più vasta <strong>di</strong> quella delle soluzioni classiche.18.3.1. Dati al bordo e iniziali <strong>per</strong> soluzioni deboli. La (18.8), qualora sene richieda la vali<strong>di</strong>tà <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) contiene non solo la e.d.p.(18.4), ma anche <strong>il</strong> dato <strong>di</strong> Neumann (18.5), che infatti è stato usato <strong>per</strong>ricavarla. In altre parole, essa non sarebbe valida <strong>per</strong> una soluzione <strong>di</strong>(18.4) che, al posto <strong>di</strong> (18.5), sod<strong>di</strong>sfacesse invecea(x)∇u·ν = f(x,t), su ∂Ω×(0,T), (18.9)<strong>per</strong> una generica funzione f; questo segue subito da (18.7).Osservazione18.6. Supponiamoinvece<strong>di</strong>indebolirela(18.8),richiedendoche valga non <strong>per</strong> tutte le ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) , ma solo <strong>per</strong> le ϕ ∈ C 1 ◦( Ω×[0,T] ) , ossia <strong>per</strong> le ϕ che si annullano in un intorno <strong>di</strong> ∂Ω. La (18.7)mostra che non occorre assumere la (18.5) <strong>per</strong> ottenere la (18.8) con lanuova restrizione su ϕ. Ossia, restringendo <strong>il</strong> campo <strong>di</strong> variazione dellefunzioni test ϕ, la stessa formulazione integrale (18.8) assume significati<strong>di</strong>versi: in questosecondocaso in effettiequivale alla solae.d.p.(18.4). □Infine, osserviamo che alla (18.8) va unita la richiesta che la u sod<strong>di</strong>sf<strong>il</strong>a con<strong>di</strong>zione iniziale (18.6); in quale senso preciso questo vada imposto


170 DANIELE ANDREUCCI<strong>di</strong>penderà dalla regolarità <strong>di</strong> u. Se <strong>per</strong> esempio u e u 0 sono continue, sirichiederà che (18.6) valga nel classico senso puntuale, cioèlim u(x,t) = u 0(x 0 ).(x,t)→(x 0 ,0)Se u 0 ̸∈ C(Ω), le cose sicomplicano, ma si possonoancora sistemare(ve<strong>di</strong>Sottosezione 18.4.4).•18.3.2. Unicità <strong>di</strong> soluzioni deboli. L’idea della <strong>di</strong>mostrazione dell’unicità<strong>di</strong> soluzioni deboli è la stessausata nel Teorema6.6, e nel Teorema18.5.La ri<strong>per</strong>corriamo qui <strong>per</strong>ché ci <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere ancora la definizione<strong>di</strong> soluzione debole.Questa definizione andrà posta in modo che risulti rigoroso <strong>il</strong> seguenteargomento:Siano u 1 e u 2 due soluzioni deboli <strong>di</strong> (18.4)–(18.6). Poniamo z = u 1 −u 2 .Per linearità, z risolve (18.8) <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) , e corrispondeal dato iniziale z(x,0) ≡ 0. Pren<strong>di</strong>amo ϕ = z in (18.8). Questo in effettiè un punto critico, <strong>per</strong>ché abbiamo detto che u 1 , u 2 ̸∈ C 1 (Q T ), mentrele funzioni test ϕ sono state scelte <strong>di</strong> classe C 1 . La <strong>di</strong>fficoltà si risolveosservando che quest’ultima restrizione è <strong>di</strong> fatto eccessiva: l’integralein (18.8) ha senso anche se ∇ ϕ non è continuo, purché a∇u · ∇ ϕ siaintegrab<strong>il</strong>e. In sostanza bisogna quin<strong>di</strong> richiedere che |∇u i | ∈ L 2 (Q T ).La<strong>di</strong>mostrazionesicompletaintegrando<strong>per</strong>parti<strong>il</strong>termineconladerivatatemporale (<strong>per</strong> la quale del resto in principio varrebbero considerazionisim<strong>il</strong>i a quelle svolte <strong>per</strong> <strong>il</strong> gra<strong>di</strong>ente spaziale). Si ha0 =∫ T ∫0Ω{z t z+a(x)|∇z| 2 }dxdt= 1 2∫Ωz(x,T) 2 dx+∫ T ∫0Ωa(x)|∇z| 2 dxdt.Segue che z(x,T) ≡ 0; d’altra parte questo argomento si può ripeteresostituendo a T un qualsiasi istante 0 < t < T, e quin<strong>di</strong> z ≡ 0 in Ω×(0,T).•18.4. Un caso concreto <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> soluzioni deboliConsideriamo <strong>il</strong> problemau t − ( a(x)u x)x = 0, in Q T = (0,L)×(0,T), (18.10)a(0)u x (0,t) = 0, 0 < t < T, (18.11)a(L)u x (L,t) = 0, 0 < t < T, (18.12)u(x,0) = u 0 (x), 0 < x < L. (18.13)Questo è <strong>il</strong> caso uni<strong>di</strong>mensionale del problema (18.4)–(18.6). Qui a èmisurab<strong>il</strong>e e limitata su R, ed esistono due costanti A 0 > a 0 > 0 talicheA 0 ≥ a(x) ≥ a 0 , x ∈ R. (18.14)


18.4. UN CASO CONCRETO DI RICERCA DI SOLUZIONI DEBOLI 171Per concentrarci sulla <strong>di</strong>fficoltà posta dal coefficiente a, supponiamo cheu 0 sia regolare, <strong>per</strong> esempio u 0 ∈ C◦∞ ( )(0,L) .Larisoluzionedellaformulazionedeboledelproblemaconstadeiseguentipassi:(1) Approssimazione della soluzione del problema con una successione{u n } <strong>di</strong> soluzioni classiche a problemi regolari.(2) Determinazione <strong>di</strong> Stime uniformi <strong>di</strong> {u n }.(3) Passaggio al limite <strong>per</strong> n → ∞, ove si <strong>di</strong>mostra che {u n } ha un limite uche risolve <strong>il</strong> problema originario.18.4.1. Approssimazione. Qui si usa la teoria dell’esistenza <strong>di</strong> soluzioniclassiche a problemi con coefficienti e dati molto regolari; è una teoriaben nota, <strong>per</strong> certi versi più complessa<strong>di</strong> quella dell’esistenza<strong>di</strong> soluzionideboli. D’altra parte la usiamo <strong>per</strong> risolvere problemi aus<strong>il</strong>iari, quin<strong>di</strong>possiamo in qualche senso scegliere noi <strong>il</strong> problema da risolvere.Qui scegliamo <strong>il</strong> problema comeu nt − ( a n (x)u nx)x = 0, in Q T = (0,L)×(0,T), (18.15)a n (0)u nx (0,t) = 0, 0 < t < T, (18.16)a n (L)u nx (L,t) = 0, 0 < t < T, (18.17)u n (x,0) = u 0 (x), 0 < x < L, (18.18)ove a n ∈ C ∞ (R) approssima a nel senso chea n → a,quasi ovunque in (0,L),e sod<strong>di</strong>sfa inoltre le maggiorazioni in (18.14). Per esempio, si può vedereche la convoluzione a∗ ϕ n , ove i ϕ n sono i nuclei <strong>di</strong> approssimazione delCapitolo 11, sod<strong>di</strong>sfa queste richieste.La teoria su accennata garantisce che esiste una unica soluzione classicau n <strong>di</strong> (18.15)–(18.18), e che anzi u n ∈ C ∞ (Q T ).•18.4.2. Stime uniformi <strong>di</strong> u n . Questa parte prepara al passaggio al limite<strong>per</strong> la successione delle soluzioni approssimanti già trovate. Per stimauniforme inten<strong>di</strong>amo quiuna stima uniforme su n, ossia non<strong>di</strong>pendente dan.Ricaveremo le stime usando <strong>il</strong> metodo dell’energia, ossia moltiplicando lae.d.p. <strong>per</strong> funzioni opportune(ad esempio la soluzione medesima), e integrando<strong>per</strong> parti.Integrando allora <strong>per</strong> parti su (0,L)×(0,t) l’uguaglianzasi ha <strong>per</strong> ogni tu nt u n − ( a n (x)u nx)x u n = 0,∫1L ∫ t ∫ Lu n (x,t) 2 dx+ a n (x)|u nx (x, τ)| 2 dxdτ = 1 ∫ Lu 0 (x) 2 dx =: M 0 .220 0 00Prendendo <strong>il</strong> sup su 0 < t < T{∫1L }∫ T ∫ Lsup u n (x,t) 2 dx + a n (x)|u nx (x, τ)| 2 dxdτ ≤ 2M 0 . (18.19)0


172 DANIELE ANDREUCCIIn realtà in questo caso è possib<strong>il</strong>e fare <strong>di</strong> meglio: moltiplichiamo la e.d.p.<strong>per</strong> u nt ,e integriamo <strong>per</strong> parti. Si hada cui0 ==∫ t ∫ L00∫ t ∫ L00− 1 2∫ L0u 2 nt− ( a n (x)u nx)x u nt = 0,∫ tu nτ (x, τ) 2 dxdτ+u nτ (x, τ) 2 dxdτ+ 1 2a n (x)u nx (x,0) 2 dx,0∫ L0∫ L∫ Lsup u nx (x,t) 2 dx+0


18.4. UN CASO CONCRETO DI RICERCA DI SOLUZIONI DEBOLI 17318.4.3. Passaggio al limite. Per passare al limite si usano risultati dell’analisifunzionale, cioè la teoria <strong>di</strong> base degli spazi L 2 e <strong>di</strong> Sobolev (ve<strong>di</strong>sotto <strong>per</strong> questi ultimi). Il vantaggio <strong>di</strong> questa teoria è quello <strong>di</strong> esseremolto potente e flessib<strong>il</strong>e, ossia applicab<strong>il</strong>e con fac<strong>il</strong>ità a problemi <strong>di</strong>versidelle e.d.p. e più in generale della modellistica matematica.Per esempio, si sa che da una successione {u n } che sod<strong>di</strong>sfa (18.21) si puòestrarre una sottosuccessione (che noi continuiamo, con abuso <strong>di</strong> notazione,a denotare come la successione intera {u n }) che converge nel senso <strong>di</strong>L 2 (Q T ) a una funzione misurab<strong>il</strong>e u tale che(∫∫ )1‖u‖ = u 2 2dxdt < ∞, ossia u ∈ L 2 (Q T ).Q TPer <strong>di</strong> più, anche le derivate u nx e u nt convergono debolmente a due funzioniw e z in L 2 (Q T ) (ve<strong>di</strong> Sottosezione A.3.1). Dunque la convergenzaha luogo nel senso che <strong>per</strong> n → ∞u n → u in L 2 (Q T ), ossia ‖u n −u‖ → 0;u nx → w, u nt → v debolmente in L 2 (Q T );u n → u quasi ovunque in Q T .(18.23)Nella Sottosezione 18.4.4 vedremo che si possono identificare w = u x ,v = u t ; quin<strong>di</strong> queste derivate <strong>di</strong> u esistono come funzioni L 2 . Per <strong>il</strong>momento compiamo senz’altro questa identificazione.Per <strong>di</strong>mostrare che u risolve <strong>il</strong> problema originario, scriviamo la formulazionedebole, o integrale, del problema approssimante (18.15)–(18.18),cioè∫∫Q T{u nt ϕ+a n (x)u nx ϕ x }dxdt = 0, ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) . (18.24)Per n → ∞ la definizione <strong>di</strong> convergenza debole implica che∫∫ ∫∫u nt ϕdxdt → u t ϕdxdt.Q T Q TL’analoga convergenza, che pure è valida,∫∫∫∫a n (x)u nx ϕ x dxdt → a(x)u x ϕ x dxdtQ T Q Trichiederebbe in effetti un argomento aggiuntivo <strong>per</strong>ché anche <strong>il</strong> coefficientea n varia con n. Comunque, <strong>per</strong> n → ∞, la (18.24) dà∫∫Q T{u t ϕ+a(x)u x ϕ x }dxdt = 0, ϕ ∈ C 1( Ω×[0,T] ) . (18.25)Perciò la u è una soluzione debole; <strong>il</strong> comportamento <strong>per</strong> t → 0, ossia <strong>il</strong>dato iniziale, verrà <strong>di</strong>scusso nella Sottosezione 18.4.4. •


174 DANIELE ANDREUCCI18.4.4. Ancora sul passaggio al limite. Derivate nel senso <strong>di</strong> Sobolev.Ritorniamo sulla convergenza in (18.23), e sull’identificazione w = u x ,v = u t . Si sa dunque che∫∫ ∫∫u nx ϕdxdt → wϕdxdt, (18.26)Q T Q T<strong>per</strong> ogni ϕ ∈ L 2 (Q T ), <strong>per</strong> esempio se ϕ ∈ C◦(Q 1 T ). In quest’ultimo caso siha, integrando <strong>per</strong> parti,∫∫ ∫∫u nx ϕdxdt = − u n ϕ x dxdt. (18.27)Q T Q TConfrontando (18.26) con (18.27) si ottiene∫∫ ∫∫lim u n ϕ x dxdt = − wϕdxdt.n→∞Q T Q TD’altronde, poiché u n → u in L 2 (Q T ), e quin<strong>di</strong> anche nel senso debole, siha∫∫ ∫∫lim u n ϕ x dxdt = uϕ x dxdt.n→∞Q T Q TAbbiamo <strong>di</strong>mostrato∫∫ ∫∫wϕdxdt = −Q TQ Tuϕ x dxdt, (18.28)<strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C◦(Q 1 T ). Se u ∈ C 1 (Q T ), questa uguaglianza è sod<strong>di</strong>sfattase w = u x . Anzi, si può vedere, <strong>per</strong> l’arbitrarietà <strong>di</strong> ϕ, che in effetti seu ∈ C 1 (Q T ), e vale la (18.28), allora deve essere w = u x .Anche se u ̸∈ C 1 (Q T ), noi definiamo derivata <strong>di</strong> u nel senso <strong>di</strong> Sobolev law, e continuiamo (con abuso <strong>di</strong> notazione) a denominarla con u x . Si vedesubito che se esistono due derivate w 1 e w 2 <strong>di</strong> u nel senso <strong>di</strong> Sobolev, essedevono coincidere quasi ovunque in Q T , <strong>per</strong>ché <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C◦(Q 1 T )∫∫ ∫∫ ∫∫w 1 ϕdxdt = − uϕ x dxdt = w 2 ϕdxdt.Q T Q T Q TRicapitolandoDefinizione 18.8. Sia u ∈ L 2 (Q T ). Si <strong>di</strong>ce che w ∈ L 2 (Q T ) è la derivata<strong>di</strong> u (rispetto a x) nel senso <strong>di</strong> Sobolev, se <strong>per</strong> ogni ϕ ∈ C 1 ◦(Q T ) vale la(18.28). □Nello stesso modo si definisce la derivata nel senso <strong>di</strong> Sobolev rispetto at, che denotiamo ancora con u t .Il motivo <strong>per</strong> cui si introducono le derivate nel senso <strong>di</strong> Sobolev è, infondo, nel passaggio al limite che conduce da (18.24) a (18.25). Un’altraproprietà ut<strong>il</strong>e <strong>di</strong> queste derivate è <strong>il</strong>lustrata dal ragionamento seguente.Sia u la funzione limite introdotta nella Sottosezione 18.4.3. Si potrebbe


18.4. UN CASO CONCRETO DI RICERCA DI SOLUZIONI DEBOLI 175vedere che anche <strong>per</strong> le derivate nel senso <strong>di</strong> Sobolev, vale, quasi ovunque<strong>per</strong> 0 < t < T, l’usuale formula∫ L0[u(x,t)−u 0 (x)] 2 dx =∫ L0[ ∫ t0u τ (x, τ)dτ] 2dx ∫L≤ t0∫ t0u 2 τ dxdτ = t‖u t‖ 2 ,ovesièusataanchela<strong>di</strong>suguaglianza<strong>di</strong>Cauchy-Schwarz. Perciòu(·,t) →u 0 nelsenso<strong>di</strong> L 2( (0,L) ) , se t → 0. Questaèuna possib<strong>il</strong>e interpretazionedella con<strong>di</strong>zione iniziale (18.13) <strong>per</strong> le soluzioni deboli. •18.4.5. Le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> interfaccia. Supponiamo ora che, <strong>per</strong> un c ∈(0,L) fissato, <strong>il</strong> coefficiente a sia dato come e a 1 , a 2 > 0, a 1 ̸= a 2 ,{aa(x) = 1 , 0 < x < c,a 1 ,a 2 > 0, a 1 ̸= a 2 .a 2 , c < x < L;Allora la formulazione debole <strong>di</strong> (18.10)–(18.13) equivale alla seguente:u t −a 1 u xx = 0, 0 < x < c,0 < t < T, (18.29)u t −a 2 u xx = 0, c < x < L,0 < t < T, (18.30)a 1 u x (0,t) = 0, 0 < t < T, (18.31)a 2 u x (L,t) = 0, 0 < t < T, (18.32)u(x,0) = u 0 (x), 0 < x < L. (18.33)Questo problema deve essere accoppiato con le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> interfaccia(dette anche con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffrazione)u(c−,t) = u(c+,t), 0 < t < T, (18.34)a 1 u x (c−,t) = a 2 u x (c+,t), 0 < t < T. (18.35)In altre parole, si hanno due problemi <strong>per</strong> due equazioni del calore (con<strong>di</strong>ffusività <strong>di</strong>verse), posti in due domini <strong>di</strong>stinti:Q − T = (0,c)×(0,T),Q+ T = (c,L)×(0,T).Le (18.29)–(18.33) contengono le e.d.p. e i dati <strong>per</strong> questi problemi, adeccezione dei dati su x = c, che <strong>per</strong>ò sono necessari <strong>per</strong> avere unicità<strong>di</strong> soluzioni. Questi ultimi dati sono assegnati in (18.34)–(18.35), ma noncomedatiin<strong>di</strong>pendenti(<strong>per</strong>esempio,ivalori <strong>di</strong>u(c−,t) e u(c+,t)); invecesono prescritticome con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> accoppiamento dei due problemi in Q − Te Q + T .Per convincersi che le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffrazione in effetti identificano lasoluzione debole introdotta sopra, si ragioni così: sia u una soluzione <strong>di</strong>(18.29)–(18.33), regolare (<strong>per</strong> esempio C 2,1 ) in Q − T e in Q+ T, ma, a priori,svincolata dalle con<strong>di</strong>zioni (18.34)–(18.35). Moltiplicando la e.d.p. inciascuno dei due domini <strong>per</strong> una ϕ ∈ C 1 (Q T ), e integrando <strong>per</strong> parti si ottengonodue equazioni integrali, contenenti ciascuna un termine <strong>di</strong> bordosu x = c; questitermini<strong>di</strong> bordosi possonoeliminare tra le dueequazionise vale (18.35); si ottiene così proprio (18.25): <strong>per</strong>ciò u è la (unica) soluzionedebole. Occorre ancora una precisazione sulla con<strong>di</strong>zione (18.34), chenon è stata usata in questo argomento.


176 DANIELE ANDREUCCITuttavia la (18.34) è necessaria <strong>per</strong>ché valga la formula <strong>di</strong> integrazione <strong>per</strong>parti in (18.28), con w = u x : si può verificare con calcoli <strong>di</strong>retti che una uregolare quanto si vuole in ciascuno dei due a<strong>per</strong>ti Q − T e in Q+ T, ma noncontinua attraverso x = c, non può sod<strong>di</strong>sfare(18.28) (si prenda <strong>per</strong> esempiou = χ Q+ , cosicché u x ≡ 0 in ciascun a<strong>per</strong>to). In altre parole la primaTcon<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffrazione è una conseguenza della regolarità richiesta allasoluzione u.•18.5. Il metodo <strong>di</strong> GalerkinFissiamo un sistema ortonormale completo {ϕ n } ∞ n=1 in L2( (0,L) ) , tale cheϕ n ∈ C 1( [0,L] ) , e cheϕ n (0) = ϕ n (L) = 0, n = 1,2, ... .Consideriamo <strong>il</strong> problema in Q T = (0,L)×(0,T)u t − ( a(x)u x)x = 0, in Q T, (18.36)ove, <strong>per</strong> un’opportuna C > 1,eu(x,t) = 0, x = 0,x = L,0 < t < T, (18.37)u(x,0) = u 0 (x), 0 < x < L, (18.38)a ∈ L 2( (0,L) ) , C −1 ≤ a(x) ≤ C, (18.39)u 0 ∈ L 2( (0,L) ) . (18.40)Cerchiamo una soluzione <strong>di</strong> (18.36)–(18.38) come limite <strong>di</strong> una successioneapprossimante. La soluzione approssimante u k <strong>di</strong> livello k si ottiene“proiettando” <strong>il</strong> problema sul sottospazio <strong>di</strong> L 2 (Q T )V k ={ kζ(x,t) = ∑ λ n (t)ϕ n (x) | λ n ∈ C 1( [0,T] )} ,n=1ove {ϕ n } ∞ n=1<strong>il</strong> sistema ortonormale scelto. Si sostituisce in modo formaleu k (x,t) =k∑ α k n(t)ϕ n (x) (18.41)n=1in (18.36), si moltiplica <strong>per</strong> ϕ i (x), 1 ≤ i ≤ k, e si integra su (0,L) <strong>per</strong> parti,ottenendodα k ∫Lidt (t)+ a(x)u kx (x,t)ϕ ′ i (x)dx = 0. (18.42)Si noti che (18.42) si può mettere nella formaove0dα k kidt (t) = ∑ A in α k n(t), i = 1,2, ... ,k, (18.43)n=1∫ LA in = − a(x)ϕ ′ n(x)ϕ ′ i (x)dx.0


18.5. IL METODO DI GALERKIN 177Il sistema lineare <strong>di</strong> e.d.o. (18.43) ha come dato iniziale∫Lα k i (0) =0u 0 (x)ϕ i (x)dx, i = 1,2, ... ,k. (18.44)Ilproblema<strong>di</strong>Cauchy(18.43)–(18.44)haun’unicasoluzione α k i∈ C 1( [0,T] ) ,che quin<strong>di</strong> determina l’approssimazione (18.41) <strong>di</strong> livello k. Si potrebbemostrare che (sotto le opportune ipotesi) la {u k } converge in effetti a unasoluzione debole <strong>di</strong> (18.36)–(18.38).18.5.1. Il metodo <strong>di</strong> Fourier come caso particolare del metodo <strong>di</strong> Galerkin.A <strong>di</strong>fferenza che nel metodo <strong>di</strong> Fourier i coefficienti α k i(<strong>per</strong> i fissato)qui cambiano con k. Infatti ciascuna delle equazioni che compongono <strong>il</strong>sistema(18.43) cambia con k, <strong>per</strong>finoseicoefficientidelsistemasonoin<strong>di</strong>pendentida k. Per la precisione, la somma in (18.43) contiene un numero<strong>di</strong> termini pari a k.D’altra parte <strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> Fourier può essere visto come un caso particolare<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Galerkin. Infatti, siaa ≡ 1,e scegliamo <strong>per</strong> semplicità <strong>di</strong> calcolo L = π. Dunque si può scegliereϕ n (x) =√2πsin(nx), n = 1,2, ... . (18.45)CalcoliamoA in = − 2 π∫ πPerciò (18.43) <strong>di</strong>viene0(sin(nx)) ′ (sin(ix)) ′dx= −in 2 π∫ π0dα k icos(nx)cos(ix)dx ={−i 2 , i = n,0, i ̸= n.= −i 2 α k idt. (18.46)La (18.46), insieme con la (18.44), mostra che (<strong>per</strong> i fissato) α k i<strong>di</strong> fatto non<strong>di</strong>pendeda k. Sinotianche chela (18.46) coincide in sostanzaconla (9.14).Infineosserviamochelascelta(18.45)èpossib<strong>il</strong>equalunquesialafunzionea come in (18.39); a <strong>di</strong>fferenza che nel metodo <strong>di</strong> Fourier, nel metodo <strong>di</strong>Galerkin la scelta del sistema ortonormale è svincolata dalla forma deicoefficienti dell’equazione.•


CAPITOLO 19Equazioni a derivate parziali del primo or<strong>di</strong>neLe equazioni sem<strong>il</strong>ineari o quas<strong>il</strong>ineari del primo or<strong>di</strong>ne ammettono<strong>il</strong> metodo <strong>di</strong> soluzione <strong>per</strong> caratteristiche, che forniscela soluzione in forma esplicita, ed ha anche una interessanteinterpretazione geometrica.19.1. Equazioni sem<strong>il</strong>ineariUn’e.d.p. sem<strong>il</strong>ineare del primo or<strong>di</strong>ne èa(x,y)u x +b(x,y)u y = c(x,y,u), (19.1)ove le ipotesi <strong>di</strong> regolarità su a, b, c, u saranno specificate sotto. Se c =c 1 (x,y)u+c 2 (x,y), l’equazione si <strong>di</strong>ce lineare e assume la formaa(x,y)u x +b(x,y)u y = c 1 (x,y)u+c 2 (x,y). (19.2)Se c 2 ≡ 0, e u 1 , u 2 sono soluzioni, anche λ 1 u 1 + λ 2 u 2 è soluzione, <strong>per</strong> ogniλ 1 , λ 2 ∈ R.Definizione 19.1. Problema <strong>di</strong> Cauchy PC <strong>per</strong> (19.1):Assegnati:• una curva γ ⊂ R 2 regolare semplice, e una sua parametrizzazioneregolare Ψ(s) = (ψ 1 (s), ψ 2 (s)), s ∈ I intervallo a<strong>per</strong>to;• un dato u 0 : I → R;trovare un a<strong>per</strong>to Q <strong>di</strong> R 2 che contenga γ, e una u ∈ C 1 (Q), tale cheau x +bu y = c, in Q, (19.3)u = u 0 , su γ. (19.4)La γ si <strong>di</strong>ce curva che porta <strong>il</strong> dato, e u 0 si <strong>di</strong>ce dato <strong>di</strong> Cauchy.□La (19.3) va intesa nel senso chea(x,y)u x (x,y)+b(x,y)u y (x,y) = c(x,y,u(x,y)), <strong>per</strong> ogni (x,y) ∈ Q.La (19.4) va intesa nel senso cheu(Ψ(s)) = u 0 (s), <strong>per</strong> ogni s ∈ I. (19.5)Si noti che la (19.5), e la richiesta che u ∈ C 1 (Q), implicano che u 0 debbaessere in C 1 (I).179


180 DANIELE ANDREUCCI19.2. Curve caratteristiche e caratteristiche al suoloLe curve Φ(τ) = (ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ), ϕ 3 (τ)), soluzioni su qualche intervalloa<strong>per</strong>to J ⊂ R <strong>di</strong>dxdτ = a(x,y),dydτ = b(x,y),dzdτ = c(x,y,z), (19.6)si <strong>di</strong>cono caratteristiche <strong>di</strong> (19.1). Queste sono curve in R 3 .Le curve in R 2 date da Φ 0 (τ) = (ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ)), che risultano proiezionisul piano (x,y) delle curve caratteristiche, si <strong>di</strong>cono caratteristiche al suolo.Si noti che (ϕ 1 , ϕ 2 ) è soluzione <strong>di</strong>e si può determinare in modo in<strong>di</strong>pendente da ϕ 3 .dxdτ = a(x,y),dydτ = b(x,y), (19.7)19.2.1. Risoluzione <strong>per</strong> caratteristiche. Vale, con l’intesa che tutte le funzionisono calcolate in x = ϕ 1 (τ), y = ϕ 2 (τ), u = u(ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ)),c = au x +bu y = dϕ 1dτ u x + dϕ 2dτ u y = d dτ u(ϕ 1(τ), ϕ 2 (τ)), (19.8)ove solo <strong>per</strong> la prima uguaglianza abbiamo fatto uso <strong>di</strong> (19.1). Dunquela e.d.p. si riduce a una e.d.o. lungo le caratteristiche al suolo. In linea <strong>di</strong>principio, <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy PC si può risolvere così:1) Consideriamo <strong>per</strong> s ∈ I, la caratteristica al suolo che passa <strong>per</strong> <strong>il</strong> puntoΨ(s) in τ = 0.2) Risolviamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> la e.d.o. in (19.8), con <strong>il</strong> datoiniziale u 0 (s), prescritto all’istante iniziale τ = 0. Questo determina <strong>il</strong>valore <strong>di</strong> u lungo una parte della caratteristica al suolo scelta nel passo 1),e in un certo senso risolve <strong>il</strong> problema.In effetti <strong>per</strong>ò, a noi interessa ottenere u come funzione <strong>di</strong> (x,y) e non <strong>di</strong>(τ,s). Allora si può proseguire così:3) [supplemento <strong>di</strong> 1)] Si fissa (x,y); chiamiamo questo punto (¯x,ȳ) <strong>per</strong>chiarezza. Si trova la coor<strong>di</strong>nata ¯s, tale che (¯x,ȳ) appartenga alla caratteristicaal suolo <strong>per</strong> Ψ(¯s) tra quelle costruite al punto 1). Sia ¯τ <strong>il</strong> valore delparametro su tale caratteristica corrispondente al punto (¯x,ȳ). Si noti chesia ¯s che ¯τ sono funzioni <strong>di</strong> (¯x,ȳ), ¯s = ¯s(¯x,ȳ), ¯τ = ¯τ(¯x,ȳ).4) [supplemento <strong>di</strong> 2)] Sostituendo ¯s = ¯s(¯x,ȳ), ¯τ = ¯τ(¯x,ȳ) nella soluzionedel problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> la e.d.o. trovata nel punto 2), si ottiene lasoluzione u(¯x,ȳ); <strong>di</strong>solito, si cambia <strong>il</strong> nome <strong>di</strong>variab<strong>il</strong>e, da(¯x,ȳ) a(x,y),<strong>per</strong> ottenere la u calcolata nel generico punto (x,y). •


19.2. CURVE CARATTERISTICHE E CARATTERISTICHE AL SUOLO 18119.2.2. Esempio. Risolviamo <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> CauchyDunqueu x +2u y = u, in R 2 ,u(s,−s) = s 2 , 0 < s < ∞.γ = {y+x = 0,x > 0}; ψ 1 (s) = s, ψ 2 (s) = −s; u 0 (s) = s 2 ,<strong>per</strong> 0 < s < ∞.1) Fissiamo s > 0. Calcoliamo la caratteristica al suolo <strong>per</strong> (ψ 1 (s), ψ 2 (s)).Questa è la soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchyossia (la retta)dϕ 1dτ = 1,dϕ 2dτ = 2,(ϕ 1 (0), ϕ 2 (0)) = (s,−s),(ϕ 1 , ϕ 2 )(τ) = (s+τ,−s+2τ), τ ∈ R.2) Dobbiamo ora risolvere sulla caratteristica al suolo trovata nel punto 1)<strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> U(τ) = u(ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ))Si ottienedUdτ = U,U(0) = s 2 .(dalla e.d.p.)(dal dato <strong>di</strong> Cauchy)U(τ) = U(0)e τ = s 2 e τ , −∞ < τ < ∞.3) Dobbiamo passare dalle variab<strong>il</strong>i (s, τ) alle variab<strong>il</strong>i (x,y). Fissiamo(¯x,ȳ) ∈ R 2 , e cerchiamo le soluzioni del sistema¯s+ ¯τ = ¯x,−¯s+2¯τ = ȳ.Le soluzioni ammissib<strong>il</strong>i devono sod<strong>di</strong>sfare ¯s > 0, <strong>per</strong>ché la restriziones > 0 è stata imposta nella definizione del problema. Non si sono invecetrovate restrizioni su τ. Si ottieneammissib<strong>il</strong>e in¯s = 2¯x−ȳ3, ¯τ = ¯x+ȳ3Ω = {(¯x,ȳ) | 2¯x−ȳ > 0}.4) Infine o<strong>per</strong>iamo la sostituzione <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i nella U(¯τ), ottenendoo, tornando alle variab<strong>il</strong>i x e y,u(¯x,ȳ) = ¯s 2 e¯τ = 1 9 (2¯x−ȳ)2 e 1 3 (¯x+ȳ) ,,u(x,y) = 1 9 (2x−y)2 e 1 3 (x+y) , (x,y) ∈ Ω.•


182 DANIELE ANDREUCCI19.3. Esistenza e unicità <strong>di</strong> soluzioniSopra si è proceduto in modo formale; <strong>per</strong> esempio non è detto a prioriche <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong>fferenziale che definisce le curve caratteristiche abbia soluzioni.Supponiamo allora che a, b, c ∈ C 1 (Q 1 ), con Q 1 a<strong>per</strong>to <strong>di</strong> R 3 ; unasoluzione u come in Definizione 19.1 risulterà allora definita in un a<strong>per</strong>toQ incluso nella proiezione <strong>di</strong> Q 1 sul piano (x,y).Teorema 19.2. Siano a, b, c ∈ C 1 (Q 1 ), e sia (¯x,ȳ) contenuto nella proiezione <strong>di</strong>Q 1 sul piano (x,y). Siano u e v due soluzioni dell’equazione (19.1) definite in una<strong>per</strong>to A che contiene (¯x,ȳ), tali che u(¯x,ȳ) = v(¯x,ȳ). Sia C una caratteristicaal suolo <strong>per</strong> (¯x,ȳ), contenuta in A. Allora u e v coincidono su C.Dimostrazione. La curva caratteristica C nell’enunciato risulta parametrizzatada Φ 0 (τ) = (ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ)), τ ∈ J, con J opportunointervallo <strong>di</strong> R,ove Φ = (ϕ 1 , ϕ 2 , ϕ 3 ) è l’unica soluzione <strong>di</strong>dxdτ = a(x,y),dydτ = b(x,y),dzdτ = c(x,y,z), (x(0),y(0),z(0)) = (¯x,ȳ, ¯z); (19.9)si è definito¯z = u(¯x,ȳ) = v(¯x,ȳ).Basta <strong>di</strong>mostrare che Φ(τ), τ ∈ J, giace su entrambi i grafici <strong>di</strong> u e v.Infatti allora risulteràu(Φ 0 (τ)) = ϕ 3 (τ) = v(Φ 0 (τ)), τ ∈ J. (19.10)Definiamo la curva Ξ = (ϕ 1 , ϕ 2 , ξ), oveξ(τ) = u(Φ 0 (τ)).A causa delle prime due equazioni <strong>di</strong>fferenziali <strong>di</strong> (19.9), si hadξdτ (τ) = dΦ 0dτ (τ)·∇u(Φ 0(τ)) = dϕ 1dτ (τ)u x(Φ 0 (τ))+ dϕ 2dτ (τ)u y(Φ 0 (τ))= [au x +bu y ](Φ 0 (τ)) = c ( ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ),u(Φ 0 (τ)) ) = c(ϕ 1 (τ), ϕ 2 (τ), ξ(τ)),ove nella penultima uguaglianza si è usata l’e.d.p.. Ne segue che Ξ risolve<strong>il</strong> problema <strong>di</strong> Cauchy (19.9), e quin<strong>di</strong>, <strong>per</strong> <strong>il</strong> teorema <strong>di</strong> unicità, devecoincidere con Φ. In particolare sono uguali le rispettive terze componentie dunque vale la prima delle (19.10). La seconda si <strong>di</strong>mostra nello stessomodo.□Dalla <strong>di</strong>mostrazione precedente segue subitoCorollario 19.3. Con la notazione e sotto le ipotesi <strong>di</strong> Teorema 19.2, si ha: se <strong>il</strong>grafico della soluzione u contiene <strong>il</strong> punto (¯x,ȳ, ¯z), allora contiene anche tutta laparte della caratteristica <strong>per</strong> tale punto che si proietta in A.In particolare si puòaffermare che i grafici delle soluzioni sono formati dacaratteristiche; <strong>il</strong>graficodellasoluzionedelproblema<strong>di</strong>Cauchyèformatodalle caratteristiche che escono dai punti della curva (Ψ(s),u 0 (s)), s ∈ I.


19.3. ESISTENZA E UNICITÀ DI SOLUZIONI 183Teorema19.4. Sianoa, b,c ∈ C 1 (Q 1 ),esia γunacurvasempliceregolare contenutanellaproiezione<strong>di</strong> Q 1 su R 2 ,conparametrizzazione Ψ(s) = (ψ 1 (s), ψ 2 (s)),s ∈ I, I intervallo a<strong>per</strong>to. Valgaa(Ψ(s))ψ ′ 2(s)−b(Ψ(s))ψ ′ 1(s) ̸= 0, <strong>per</strong> ogni s ∈ I. (19.11)Allora, <strong>per</strong> ogni dato u 0 ∈ C 1 (I), esiste un intorno a<strong>per</strong>to Q <strong>di</strong> γ ove esisteun’unica soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy PC.La <strong>di</strong>mostrazione del Teorema precedente viene omessa. La parte riguardantel’esistenza in sostanza si basa sulla costruzione <strong>di</strong> u me<strong>di</strong>ante <strong>il</strong>processo <strong>di</strong> integrazione <strong>per</strong> caratteristiche visto più sopra. Rimarrebberocomunque due punti da chiarire in modo rigoroso: i) le caratteristiche alsuolo uscenti dalla curva che porta <strong>il</strong> dato coprono in effetti un a<strong>per</strong>to delpiano che contiene la curva medesima; ii) la u risulta <strong>di</strong> classe C 1 in talea<strong>per</strong>to, nelle variab<strong>il</strong>i (x,y).La <strong>di</strong>mostrazione dell’unicità <strong>di</strong> soluzioni si basa invece sul Teorema 19.2.Osservazione 19.5. La (19.11) si può anche scrivere come)Φ′det(0Ψ ′ ̸= 0, (19.12)lungo tutta la γ, che esprime in sostanza come γ non sia tangente anessuna caratteristica al suolo.□Proposizione 19.6. Nelle ipotesi del Teorema 19.4, le derivate prime u x , u y <strong>di</strong> usulla curva γ sono ottenib<strong>il</strong>i come soluzioni del sistema:au x +bu y = c,ψ ′ 1 u x + ψ ′ 2u y = u ′ 0,ove si intende che tutte le funzioni sono calcolate su (s, Ψ(s)), s ∈ I.(19.13)Dimostrazione. Consideriamo <strong>il</strong> sistemaformato dalla e.d.p.,ristrettaallaγ, e dall’equazione ottenuta derivando in s la (19.5), ossia <strong>il</strong> sistema(19.13), che più in dettaglio si scrivea(Ψ(s))u x (Ψ(s))+b(Ψ(s))u y (Ψ(s)) = c ( Ψ(s),u 0 (Ψ(s)) ) ,ψ ′ 1(s)u x (Ψ(s))+ψ ′ 2(s)u y (Ψ(s)) = u ′ 0(s).(19.14)Questo è appunto un sistema lineare nelle incognite u x (Ψ(s)), u y (Ψ(s)).Per ogni fissato s <strong>il</strong> determinante del sistema coincide con la quantità in(19.11), e quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> sistema è non singolare e la soluzione esiste unica.Questo <strong>per</strong>mette <strong>di</strong> ricavare le funzioniu x (Ψ(s)), u y (Ψ(s)), s ∈ I. (19.15)Osservazione 19.7. La (19.11) consente inoltre <strong>di</strong> ricavare tutte le derivate<strong>di</strong> u sulla curva γ, almeno finché la regolarità dei dati e dei coefficienti lo<strong>per</strong>mette. Le derivate successive si trovano in modo sim<strong>il</strong>e a quanto visto□


184 DANIELE ANDREUCCInella Proposizione 19.6; <strong>per</strong> esempio derivando rispetto a x l’equazione(19.1), e rispetto a s la prima delle (19.15), si ottienea(Ψ(s))u xx (Ψ(s))+b(Ψ(s))u xy (Ψ(s)) = [ −a x u x −b x u y +c x +c u u x],ψ ′ 1(s)u xx (Ψ(s))+ψ ′ 2(s)u xy (Ψ(s)) = d ds u x(Ψ(s)).(19.16)Ilmembro<strong>di</strong>destradellaprimadelle(19.16)vacalcolatoin(Ψ(s),u 0 (Ψ(s))),e dunque è noto <strong>per</strong> i dati del problema e <strong>per</strong> la (19.15); la stessacosa vale<strong>per</strong> <strong>il</strong> membro <strong>di</strong> destra della seconda equazione. Dunque u xx|γ e u xy|γpossono essere ricavate dal sistema, poiché <strong>il</strong> suo determinante coincidecon quello del sistema (19.14). Si noti che in (19.16) si è dovuto assumereche u x (Ψ(s)) sia derivab<strong>il</strong>e in s, ossia che u 0 sia derivab<strong>il</strong>e due volte. □19.4. Equazioni quas<strong>il</strong>ineariUn’e.d.p. del primo or<strong>di</strong>ne della formaa(x,y,u)u x +b(x,y,u)u y = c(x,y,u), (19.17)si <strong>di</strong>ce quas<strong>il</strong>ineare. Il problema <strong>di</strong> Cauchy è definito in modo analogoalla Definizione 19.1. Le curve caratteristiche sono ancora definite come lesoluzioni Φ = (ϕ 1 , ϕ 2 , ϕ 3 ) del sistema <strong>di</strong> e.d.o.ϕ ′ 1 = a(ϕ 1, ϕ 2 , ϕ 3 ),ϕ ′ 2 = b(ϕ 1 , ϕ 2 , ϕ 3 ),ϕ ′ 3 = c(ϕ 1 , ϕ 2 , ϕ 3 ).Le prime due equazioni (a <strong>di</strong>fferenza che nel caso sem<strong>il</strong>ineare) non costituisconounsistema<strong>di</strong>saccoppiatodallaterza. Dunque,benchésipossano,volendo, introdurre le caratteristiche al suolo come sopra, esse non risultanomolto ut<strong>il</strong>i <strong>per</strong> le e.d.p. quas<strong>il</strong>ineari. Basta osservare che, nel casosem<strong>il</strong>ineare, le due caratteristiche che passano <strong>per</strong> i due punti (¯x,ȳ, ¯z 1 ) e(¯x,ȳ, ¯z 2 ) hanno la stessa proiezione sul piano (x,y) (che è la caratteristicaal suolo <strong>per</strong> (¯x,ȳ)). Questo non è vero in genere nel caso quas<strong>il</strong>ineare;dunque in questo caso <strong>per</strong> <strong>il</strong> punto (¯x,ȳ) passa più <strong>di</strong> una caratteristica alsuolo.Resta <strong>per</strong>ò vero (con <strong>di</strong>mostrazione sim<strong>il</strong>e) <strong>il</strong> Corollario 19.3, nel sensoche le curve caratteristiche che intersecano <strong>il</strong> grafico <strong>di</strong> una soluzione, vigiacciono sopra. In altri termini, i grafici <strong>di</strong> soluzioni sono composti <strong>di</strong>curve caratteristiche.Il metodo delle caratteristiche comunque può essere usato anche nel casoquas<strong>il</strong>ineare, in ipotesi <strong>di</strong> regolarità C 1 <strong>per</strong> a, b, c, e se vale la con<strong>di</strong>zionea(Ψ(s),u 0 (s))ψ 2(s)−b(Ψ(s),u ′ 0 (s))ψ 1 ′ (s) ̸= 0, <strong>per</strong> ogni s ∈ I. (19.18)In sostanza vanno eseguiti i seguenti passi:A) (sostituisce i passi 1) e 2) della Sottosezione 19.2.1) Fissato s ∈ I sitrova l’unica caratteristica Φ(τ) tale che abbia come punto iniziale Φ(0) =(Ψ(s),u 0 (s)).B) (sostituisce i passi 3) e 4) della Sottosezione 19.2.1) Dobbiamo imporreche la caratteristica trovata nel passo A) passi <strong>per</strong> un punto (¯x,ȳ, ¯z); sia


19.4. EQUAZIONI QUASILINEARI 185s = ¯s <strong>il</strong> valore del parametro corrispondente a questa intersezione, e siaτ = ¯τ <strong>il</strong> valore del parametro su Φ nello stesso punto. Si osservi che nelmetododellecaratteristiche<strong>per</strong>equazionisem<strong>il</strong>ineari, ègarantitochetuttele caratteristiche al suolo che originano in un intorno opportuno della γincontrino γ. Nelcasopresente,invece, le caratteristiche‘vicine’ alla curvaγ 1 riempiono una regione tri<strong>di</strong>mensionale, mentre noi stiamo cercando lasu<strong>per</strong>ficie descritta dalle caratteristiche che si appoggiano su γ 1 . Per esserepiù precisi, vogliamo risolvere nelle due incognite ¯τ, ¯s, <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> treequazioniϕ 1 (¯τ; ¯s) = ¯x, ϕ 2 (¯τ; ¯s) = ȳ, ϕ 3 (¯τ; ¯s) = ¯z, (19.19)che non è in genere risolub<strong>il</strong>e (nella (19.19) si è in<strong>di</strong>cata la <strong>di</strong>pendenzadella caratteristica dal punto iniziale). La con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> risolub<strong>il</strong>ità vienemessa nella forma <strong>di</strong> una restrizione sul punto (¯x,ȳ, ¯z). Se si riesce adesplicitarla nella ¯z, tornando ai vecchi nomi <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>e si ha proprio laz = u(x,y),che è la soluzione cercata. È possib<strong>il</strong>e <strong>per</strong>ò che la soluzione vada lasciatain forma implicita.Esempio 19.8. Consideriamo <strong>il</strong> problemau x +uu y = 0,u(s,0) = u 0 (s), s > 0.La (19.18) è sod<strong>di</strong>sfatta se u 0 ̸= 0.A) La caratteristica <strong>per</strong> (¯x,ȳ, ¯z) si trova risolvendoSi ottieneϕ ′ 1 = 1, ϕ 1 (0) = s,ϕ ′ 2 = ϕ 3 , ϕ 2 (0) = 0,ϕ ′ 3 = 0,ϕ 3 (0) = u 0 (s).ϕ 1 (τ) = τ+s, ϕ 2 (τ) = τu 0 (s), ϕ 3 (τ) = u 0 (s), τ ∈ R.B) Si deve quin<strong>di</strong> avere, se la caratteristica passa <strong>per</strong> (¯x,ȳ, ¯z),¯τ+ ¯s = ¯x, ȳ = ¯τ¯z, ¯z = u 0 (¯s),<strong>per</strong> valori opportuni (¯τ, ¯s). Pertanto, se ¯z ̸= 0,¯τ = ȳ ȳ(, ¯s = ¯x−¯z ¯z , ¯z = u 0 ¯x− ȳ ).¯zIn genere la soluzione si trova quin<strong>di</strong> nella forma implicita(u(x,y) = z = u 0 x− y ). (19.20)zSe <strong>per</strong> esempio u 0 (s) = s, s > 0, allora, esplicitando z nella (19.20), si haoveu(x,y) = z = x+√ x 2 −4y2Q =, (x,y) ∈ Q,{(x,y) | y < x24 ,x > 0 }.□


186 DANIELE ANDREUCCI19.4.1. Daquas<strong>il</strong>ineare asem<strong>il</strong>ineare. Sipuòpassaredaunae.d.p.quas<strong>il</strong>ineareaunasem<strong>il</strong>inearecambiandola variab<strong>il</strong>e <strong>di</strong>pendente. Supponiamoche una soluzione z = u(x,y) <strong>di</strong> (19.17) sia definita implicitamente daH(x,y,z) = C ∈ R, ossia che H(x,y,u(x,y)) = C <strong>per</strong> ogni (x,y) ∈ Q.(19.21)Qui H è una funzione <strong>di</strong> classe C 1 . Allora, derivando in x e in y si ha cheH x +u x H z = 0, H y +u y H z = 0, (x,y) ∈ Q. (19.22)Usando (19.17) e (19.22) si ottiene subitoaH x +bH y +cH z = 0. (19.23)Per come l’abbiamo ricavata, la (19.23) vale quando tutte le funzioni inessa sono calcolate nell’argomento (x,y,u(x,y)), ma possiamo anche interpretarlacome e.d.p. <strong>per</strong> l’incognita H(x,y,z) in qualche a<strong>per</strong>to <strong>di</strong> R 3che contenga la su<strong>per</strong>ficie z = u(x,y), ossia cercare H tale chea(x,y,z)H x +b(x,y,z)H y +c(x,y,z)H z = 0. (19.24)Si noti che le caratteristiche <strong>di</strong> (19.17) corrispondono alle caratteristiche alsuolo <strong>di</strong> (19.24).Se viceversa una soluzione H <strong>di</strong> (19.24) è data, ragionando come sopra, sivede che le su<strong>per</strong>fici z = u(x,y) definite in forma implicita daH(x,y,z) = Csono soluzioni <strong>di</strong> (19.17) (nei punti ove H z ̸= 0).Il problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> (19.24) si potrebberisolvere con <strong>il</strong> metododellecaratteristiche. Tuttavia, poiché si hanno ora tre variab<strong>il</strong>i in<strong>di</strong>pendenti, <strong>il</strong>dato andrebbe prescritto non su una curva, ma su una su<strong>per</strong>ficie.Le informazioni fornite dal problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> (19.17) sono quin<strong>di</strong>insufficienti <strong>per</strong> costituire un problema <strong>di</strong> Cauchy <strong>per</strong> (19.24). Comeabbiamo già notato <strong>per</strong>ò, allo scopo <strong>di</strong> risolvere (19.17) ci basta trovarele caratteristiche che escono dalla curva γ 1 = {(Ψ(s),u 0 (s))}. Su tuttequeste caratteristiche H mantiene <strong>il</strong> valore costante C. Dal punto <strong>di</strong> vistao<strong>per</strong>ativo questo metodo è molto sim<strong>il</strong>e a quello delle caratteristiche vistosopra.Osservazione 19.9. Se H è soluzione <strong>di</strong> (19.24), anche f(H) lo è, <strong>per</strong> ognif <strong>di</strong> classe C 1 .□•


CAPITOLO 20Il teorema del trasportoIl teorema del trasporto è una regola <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong> integralicalcolati su domini variab<strong>il</strong>i.Ha conseguenze fondamentali in meccanica dei continui.20.1. Moto <strong>di</strong> un continuoConsideriamo una famiglia <strong>di</strong> trasformazioni <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate, dette anche<strong>di</strong>ffeomorfismi, in R N . Questa famiglia sarà parametrizzata dal tempot ∈ R.L’a<strong>per</strong>to <strong>di</strong> definizione <strong>di</strong> tutte le trasformazioni è denotato da G 0 ⊂ R N ,ed è assunto essere limitato, connesso e con frontiera regolare. Definiamopoi <strong>per</strong> ogni t ∈ R l’applicazionesu cui faremo le seguenti ipotesi:Denoteremo nel seguitoo, in coor<strong>di</strong>nate, <strong>per</strong> i = 1, ..., N,Dunque, denotandoX(·,t) : G 0 → R N , (20.1)X(·,t) è iniettiva; (20.2)X ∈ C 2 (G 0 ×R). (20.3)x = X(ξ,t), ξ ∈ G 0 ,t ∈ R,x i = X i (ξ 1 ,...,ξ N ,t), ξ ∈ G 0 ,t ∈ R.G(t) := {x ∈ R N | x = X(ξ,t), <strong>per</strong> qualche ξ ∈ G 0 }.si ha che X(·,t) è biunivoca da G 0 in G(t).Introduciamo <strong>il</strong> gra<strong>di</strong>ente <strong>di</strong> deformazione D come la matrice iacobiana⎛( ∂Xi)D(ξ,t) = = ⎝ X ⎞1ξ 1... X 1ξN.................. ⎠ , (20.4)∂ξ j ... X NξNe <strong>il</strong> relativo determinanteAssumiamo cheDefiniamo la velocità comeX Nξ1J(ξ,t) = detD(ξ,t). (20.5)J(ξ,t) > 0, <strong>per</strong> ogni (ξ,t) ∈ G 0 ×R. (20.6)V(ξ,t) := ∂X (ξ,t). (20.7)∂t187


188 DANIELE ANDREUCCIDefiniamo anche <strong>per</strong> ogni Ω 0 tale che Ω 0 ⊂ G 0 ,Ω(t) := {x ∈ R N | x = X(ξ,t), <strong>per</strong> qualche ξ ∈ Ω 0 }.Nel seguito supponiamo che Ω(t) sia un a<strong>per</strong>to connesso, limitato e confrontiera C 1 a tratti, così da poter applicare <strong>il</strong> teorema della <strong>di</strong>vergenza.20.1.1. Il punto <strong>di</strong> vista euleriano. Le definizioni precedenti sono datenello spirito del punto <strong>di</strong> vista lagrangiano, in cui si segue <strong>il</strong> moto <strong>di</strong> unasingola particella identificata dalla variab<strong>il</strong>e ξ ∈ G 0 .Unpunto<strong>di</strong>vista<strong>di</strong>versoèquelloeuleriano,oveviceversasifa<strong>di</strong>penderelaquantità <strong>di</strong> interesse dalla posizione x; si passa a questa rappresentazionecomponendo le definizioni precedenti con la trasformazione inversaove appuntoξ = Ξ(x,t), (20.8)Ξ(·,t) = X −1 (·,t),<strong>per</strong> ogni fissato t ∈ R. Denotiamo questa composizione come seguef e (x,t) = f(Ξ(x,t),t).Inparticolare avràimportanza larappresentazioneeuleriana dellavelocitàv(x,t) := V e (x,t) = V(Ξ(x,t),t).Ricor<strong>di</strong>amo anche che, nelle ipotesi fatte, dal teorema <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong>funzioni composte segue subito che la matrice iacobiana dell’inversa Ξ èl’inversa della matrice iacobiana della X:( ∂Ξi)(x,t) = D −1 (Ξ(x,t),t). (20.9)∂x j•Denotiamo qui20.2. Il teorema del trasporto⎛D = (d ij ) = ⎝ D ⎞1∗... ⎠ ,D N∗ove appunto D i∗ in<strong>di</strong>ca l’i-esima riga <strong>di</strong> D. In<strong>di</strong>chiamo anche con D ij lasottomatrice che si ottiene da D rimuovendone la i-esima riga e la j-esimacolonna.Lemma 20.1. (Formula <strong>di</strong> Cauchy) Assumiamo (20.2), (20.3) e (20.6). Valein G(t)[ 1]e∂J(x,t) = <strong>di</strong>vv(x,t). (20.10)J ∂t


20.2. IL TEOREMA DEL TRASPORTO 189Dimostrazione. Si ha (sottintendendo che tutte le funzioni <strong>di</strong>pendonodall’argomento (ξ,t))⎛1 ∂JJ ∂t = 1 ∂detDJ ∂t= 1 JN∑i=1⎞D 1∗...det∂D i∗⎜ ∂t ⎟⎝ ... ⎠ ,D N∗secondo l’usuale regola <strong>di</strong> derivazione <strong>per</strong> righe dei determinanti. Sv<strong>il</strong>uppandociascuno degli N determinantirispetto alla riga che è stata derivatasi ottiene1 ∂JJ ∂t = 1 JN∑i=1N∑j=1(−1) i+j ∂d ijdetD ij =∂tN∑i,j=1∂ 2 X i(−1) i+jdetDij ,∂t∂ξ jJdove si è usata la definizione degli elementi d ij . Ricordando poi la regola<strong>per</strong> calcolare gli elementi della matrice inversa D −1 = (d ′ hk), e poi ladefinizione <strong>di</strong> questi ultimi, si ottieneN1 ∂JJ ∂t = ∑i,j=1∂ 2 X i∂t∂ξ jd ′ ji = N∑i,j=1∂ 2 X i∂t∂ξ j∂Ξ j∂x i(X(ξ,t),t). (20.11)Vista la biunivocità della trasformazione X, la (20.11) è equivalente a[ 1J∂J](Ξ(x,t),t) =∂t=N∑i,j=1N∑i=1= <strong>di</strong>v∂ 2 X i∂t∂ξ j(Ξ(x,t),t) ∂Ξ j∂x i(x,t)ove l’o<strong>per</strong>atore <strong>di</strong>v agisce nelle variab<strong>il</strong>i x.) ( ∂X)(x,t) = <strong>di</strong>v∂t (Ξ(x,t),t)∂( ∂Xei∂x i∂t( ∂Xe )∂t (x,t) = <strong>di</strong>vv(x,t),□Teorema20.2. (Teorema del trasporto)Sia F ∈ C 1 (R N ×R). Allora, sottole stesse ipotesi del Lemma 20.1, <strong>per</strong> ogni Ω(t) come sopra,ddt∫Ω(t)F(x,t)dx =∫Ω(t)∫∂F∂t (x,t)dx+∂Ω(t)F(x,t)v(x,t)· νdσ x . (20.12)Dimostrazione. Usiamo la formula <strong>di</strong> cambiamento <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>iddt∫Ω(t)∫=F(x,t)dx = d ∫F(X(ξ,t),t)J(ξ,t)dξdtΩ 0Ω 0∂∂t[ ]∫F(X(ξ,t),t) J(ξ,t)dξ + F(X(ξ,t),t) ∂ J(ξ,t)dξ. (20.13)∂tΩ 0


190 DANIELE ANDREUCCICalcoliamo poi∫∂ [ ]∫F(X(ξ,t),t) J(ξ,t)dξ =∂tΩ 0Inoltre, <strong>per</strong> <strong>il</strong> Lemma 20.1,∫Ω 0F(X(ξ,t),t) ∂J∂t (ξ,t)dξ = ∫=∫Ω(t)[ 1F(x,t)J∂J∂tΩ 0[=∇F·V + ∂F ](X(ξ,t),t)J(ξ,t)dξ∂t∫Ω(t)[[ 1F(X(ξ,t),t)JΩ 0]e ∫(x,t)dx =Ω(t)Dalle (20.13)–(20.15) segue∫ ∫dF(x,t)dx = ∇F·v+ ∂Fdt∂t +F<strong>di</strong>vvdxΩ(t)=Ω(t)∫Ω(t)<strong>di</strong>v ( Fv ) + ∂F∂t dx = ∫∇F·v+ ∂F ](x,t)dx. (20.14)∂t∂J](ξ,t)J(ξ,t)dξ∂tF(x,t)<strong>di</strong>vv(x,t)dx. (20.15)Ω(t)∫∂F∂t dx+∂Ω(t)Fv·νdσ x .□


Parte 8Appen<strong>di</strong>ci


APPENDICE AIntegrazione <strong>di</strong> funzioni non continueLe funzioni considerate in questo capitolo non sono in generecontinue nel loro dominio <strong>di</strong> definizione; vogliamo descrivere inbrevealcuneproprietàdell’integrale<strong>di</strong>Lebesgue,cheèmoltopiùpotente <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Riemann, e in pratica necessario <strong>per</strong> trattaree.d.p.. Una trattazione rigorosa dell’argomento è inattuab<strong>il</strong>e qui<strong>per</strong> motivi <strong>di</strong> complessità e lunghezza; <strong>di</strong>amo invece alcune ideeintroduttive, e meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> calcolo.In particolare sono usati nel <strong>corso</strong> gli Esempi A.10, A.11, A.12.A.1. Insiemi <strong>di</strong> misura (<strong>di</strong> Lebesgue) nullaPer ogni sfera a<strong>per</strong>ta B ⊂ R N si definisce <strong>il</strong> volume <strong>di</strong> B|B| = ω N r N ,se B = {x ∈ R N | |x−x 0 | < r};ω N è quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> volume <strong>di</strong> una sfera <strong>di</strong> raggio 1, eω 1 = 2, ω 2 = π, ω 3 = 4 π, ...3Definizione A.1. Un insieme E ⊂ R N si <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> misura nulla secondoLebesgue se e solo se, <strong>per</strong> ogni prefissato ε > 0, esiste una successione{B k } ∞ k=1 <strong>di</strong> sfere a<strong>per</strong>te <strong>di</strong> RN tali cheE ⊂∞⋃B k ,k=1∞∑k=1|B k | ≤ ε. (A.1)Esempio A.2. L’insieme dei numeri razionali <strong>di</strong> [0,1], ossia E = Q∩[0,1]ha misura nulla in R. La <strong>di</strong>mostrazione vale <strong>per</strong> ogni insieme numerab<strong>il</strong>e:scriviamoE = {q k } ∞ k=1 .Fissiamo ε > 0 e definiamo le sfere <strong>di</strong> R (ossia gli intervalli)(B k = q k − ε2 k+1,q k + ε )2 k+1 , k ≥ 1.È ovvio che E ⊂ ∪ k B k , e∞∑k=1|B k | =∞∑k=12 ε = ε.2k+1 Si noti che ∪ k B k è un a<strong>per</strong>to denso, ma ‘<strong>di</strong> misura piccola’ in [0,1].193□□


194 DANIELE ANDREUCCIEsempio A.3. Il semiasse positivoE = {x ∈ R N | x 1 > 0,x 2 = 0,...,x N = 0},ha misura nulla se N > 1. Infatti: Fissiamo ε > 0, e definiamo le successionia k =k1∑nn=1(cosicché a k → ∞ se k → ∞), e}B k ={x ∈ R N | (x 1 − ε 1/N a k ) 2 +x2 2 +···+x2 N < ε2/Nk 2 .ValeB k ∩E = {x | x 1 ∈ I k ,x 2 = 0,...,x N = 0},ove I k = ( ε 1/N a k − ε 1/N /k, ε 1/N a k + ε 1/N /k ) . Si noti che gli I k coprono tutto <strong>il</strong> semiassepositivo, <strong>per</strong>ché ‘si sovrappongono’ in parte:ε 1/N a k + ε1/Nk> ε 1/N a k + ε1/Nk+1 = ε1/N a k+1 , k ≥ 1.Perciò la prima delle (A.1) è sod<strong>di</strong>sfatta; resta da provare la seconda, che segue subito da∞∑k=1|B k | =∞ε∑ ω Nk=1a patto <strong>di</strong> una inessenziale ridefinizione <strong>di</strong> ε.∞k N = ω Nε ∑k=11k N = C(N)ε,Osservazione A.4. La proprietà <strong>di</strong> un insieme <strong>di</strong> essere <strong>di</strong> misura nulla <strong>di</strong>pende dallospazio ambiente: <strong>per</strong> esempio <strong>il</strong> semiasse positivo non è certo <strong>di</strong> misura nulla in R. Unquadrato è <strong>di</strong> misura nulla in R 3 , ma non in R 2 , e così via.□OsservazioneA.5. Sipuò<strong>di</strong>mostrarechel’unione<strong>di</strong>unnumerofinito<strong>di</strong>insiemi<strong>di</strong>misuranulla, e anzi <strong>di</strong> una loro infinità numerab<strong>il</strong>e, ha ancora misura nulla. □Definizione A.6. Si <strong>di</strong>ce che una proprietà vale quasi ovunque (abbreviatoin q.o.) se l’insieme in cui non vale ha misura nulla. □In particolare date due funzioni f, g : R N → R, si <strong>di</strong>ce chese e solo se l’insiemeha misura nulla in R N .f ≤ g q.o. in R N ,E = {x ∈ R N | f(x) > g(x)}A.2. Funzioni integrab<strong>il</strong>iUna funzione f : R N → R si <strong>di</strong>ce misurab<strong>il</strong>e secondo Lebesgue se esisteuna successione <strong>di</strong> funzioni continue ϕ n ∈ C(R N ) tale chelim ϕ n(x) = f(x), q.o. in R N . (A.2)n→∞Le funzioni continue a tratti sono misurab<strong>il</strong>i.Esempio A.7. La funzione <strong>di</strong> Dirichlet{1, x è irrazionale,f(x) = χ R\Q (x) =0, x è razionale,□


A.2. FUNZIONI INTEGRABILI 195è misurab<strong>il</strong>e su [0,1]. Infatti si sa che Q ∩ [0,1] ha misura nulla (ve<strong>di</strong>Esempio A.2). Dunque la successioneϕ n (x) =(1−n<strong>di</strong>st ( [0,1],x )) + = ⎧⎪⎨⎪ ⎩1, 0 ≤ x ≤ 1,(1+nx) + , x < 0,( 1−n(x−1))+ , x > 1,èunasuccessione<strong>di</strong>funzioni continue,nulle fuori<strong>di</strong><strong>di</strong>[−1,2], e convergeq.o. su R a f χ [0,1] .□Troveremo l’integrale <strong>di</strong> funzioni misurab<strong>il</strong>i in tre passi successivi.A.2.1. Funzion<strong>il</strong>imitate e nullefuori<strong>di</strong> un limitato. Sia f : R N → R misurab<strong>il</strong>esecondoLebesgue e tale che esista un M > 0 con le proprietà|f(x)| ≤ M, x ∈ R N , f(x) = 0, |x| ≥ M. (A.3)Si noti che in questo caso non è restrittivo supporre che anche le ϕ n siano uniformementelimitate: assegnata una successione come in (A.2) basta infatti considerareψ n (x) = max ( − M−1,min(M+1, ϕ n (x)) ) .Allora ψ n sod<strong>di</strong>sfa ancora (A.2), e |ψ n | ≤ M+1, <strong>per</strong> ogni n.Si ha allora∫ ∫f(x)dx = lim ϕ n (x)dx,n→∞R N {|x|≤M}(A.4)<strong>per</strong> una successione ϕ n <strong>di</strong> funzioni continue che sod<strong>di</strong>sfino(A.2) e |ϕ n | ≤ M ′ , <strong>per</strong> ogni n e<strong>per</strong> qualche M ′ > 0. L’integrale a sinistra nella (A.4) è l’integrale <strong>di</strong> Lebesgue; gli integralia destra sono gli usuali integrali <strong>di</strong> Riemann <strong>di</strong> funzioni continue.Si noti che questo limite non <strong>di</strong>pende dalla particolare successione ϕ n scelta con questeproprietà; omettiamo la <strong>di</strong>mostrazione.•A.2.2. Funzioni non negative. Se f non è limitata, o non è nulla fuori <strong>di</strong> un limitato, nonè detto che <strong>il</strong> suo integrale si possa definire. Prima <strong>di</strong> trattare <strong>il</strong> caso generale occorrepremettere <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> funzioni non negative, <strong>per</strong> le quali l’integrale è sempre definito.Sia f : R N → R misurab<strong>il</strong>e e non negativa. Vale, posto B k = {|x| ≤ k},∫ ∫f(x)dx = lim χ Bk (x)min ( k, f(x) ) dx. (A.5)k→∞R N R NPer ciascun k fissato l’integrale a destra è definito nella Sottosezione A.2.1; la successione<strong>di</strong> questi integrali è non decrescente in k, e dunque <strong>il</strong> limite esiste.L’integrale <strong>di</strong> funzioni misurab<strong>il</strong>i non negative risulta <strong>per</strong>ciò sempre definito; può essereun numero reale non negativo, o anche ∞.•A.2.3. Funzioni generali. Sia ora f : R N → R una qualunque funzione misurab<strong>il</strong>e. Dobbiamoassumere che∫|f(x)|dx < ∞(A.6)R N(questo integrale è stato introdotto in (A.5); <strong>per</strong> questo abbiamo bisogno <strong>di</strong> trattare prima<strong>il</strong> caso <strong>di</strong> funzioni non negative). Allora vale∫ ∫f(x)dx = lim χ Bk (x)max ( −k,min ( k, f(x) )) dx. (A.7)k→∞R N R NSi potrebbe <strong>di</strong>mostrare che in effetti <strong>il</strong> limite esiste ed è un numero reale.•


196 DANIELE ANDREUCCIInfine, si <strong>di</strong>ce che E ⊂ R N è misurab<strong>il</strong>e secondo Lebesgue se la sua funzione caratteristicaχ E è misurab<strong>il</strong>e nel senso detto sopra. Per un qualunque insieme misurab<strong>il</strong>e E, e funzionef : E → R si <strong>di</strong>ce che f è misurab<strong>il</strong>e in E se la funzione{f(x), x ∈ E,˜f(x) =0, x ∈ R N \Eè misurab<strong>il</strong>e nel senso introdotto sopra. In questo caso si pone∫ ∫f(x)dx = ˜f(x)dx,E R Nse e solo se ˜f è integrab<strong>il</strong>e in R N (o non negativa).(A.8)LadefinizioneinSottosezioneA.2.3puòessereapplicataanche allefunzioni<strong>il</strong>cuiintegraleerastato giàcalcolato inSottosezione A.2.1 o A.2.2; siottiene unintegrale che coincideconquello già definito. In modo analogo, l’integrale <strong>di</strong> Lebesgue <strong>di</strong> funzioni continue sucompatti regolari coincide con quello <strong>di</strong> Riemann. Le funzioni continue a tratti risultanointegrab<strong>il</strong>i su intervalli limitati, e <strong>il</strong> loro integrale coincide con quello usuale.Esempio A.8. La funzione f dell’Esempio A.7 è integrab<strong>il</strong>e in [0,1]: se ϕ n è come nell’EsempioA.7, si ha∫ 1 ∫f(x)dx =0 R∫2f(x)χ [0,1] dx = lim n→∞−1ϕ n (x)dx = lim(1+ 1 )= 1.n→∞ n□Osservazione A.9. Una funzione <strong>il</strong> cui integrale risulti definito in unodei casi precedenti si <strong>di</strong>ce integrab<strong>il</strong>e in R N , se <strong>il</strong> suo integrale è finito.Alcune funzioni non negative (non integrab<strong>il</strong>i) hanno in effetti integraleinfinito.□L’integrale <strong>di</strong> Lebesgue sod<strong>di</strong>sfa le usuali proprietà dell’integrale, se ristrettoalle funzioni integrab<strong>il</strong>i, cioè <strong>di</strong> integrale finito. Per esempio lasomma <strong>di</strong> funzioni integrab<strong>il</strong>i è integrab<strong>il</strong>e, ed <strong>il</strong> suo integrale coincidecon la somma degli integrali delle singole funzioni. In particolare vale laproprietàdelconfronto,edunque,<strong>per</strong>ogni f, g ed E misurab<strong>il</strong>i, con f ≤ gq.o. in E,∫ ∫f ≤ g. (A.9)Ne segueE∫∣EE∫f∣ ≤ |f|.E(A.10)Si può anche <strong>di</strong>mostrare che se E 1 , E 2 sono misurab<strong>il</strong>i con E 1 ∩E 2 <strong>di</strong> misuranulla, e f è integrab<strong>il</strong>e su E 1 ∪E 2 , allora f è integrab<strong>il</strong>e su ciascun E i ,e ∫ ∫ ∫f(x)dx = f(x)dx+ f(x)dx. (A.11)E 1 ∪E 2 E 1 E 2È fac<strong>il</strong>e vedere che l’integrale <strong>di</strong> qualunque funzione su un insieme <strong>di</strong>misura nulla vale zero. In altri termini, se una funzione si annulla q.o. nel


A.2. FUNZIONI INTEGRABILI 197dominio <strong>di</strong> integrazione, <strong>il</strong> suo integrale è nullo. In particolare se f = gq.o. in E, allora∫|f(x)−g(x)|dx = 0E(e in effetti vale anche <strong>il</strong> viceversa).Un’altraconseguenza<strong>di</strong>questofattoèchenonè<strong>di</strong>solitonecessario<strong>di</strong>stingueretral’integrale calcolato su [a,b] e quello calcolato su (a,b). Entrambisi denotano con <strong>il</strong> medesimo simbolo ∫ ba. Si scrive anche∫ ∞−∞∫= ,R∫ ∞a=∫(a,∞), e così via.Esempio A.10. Funzioni continue e limitate su insiemi <strong>il</strong>limitati. Perqueste f, se sono non negative su E <strong>il</strong>limitato, basta calcolare∫ ∫∫f(x)dx = lim f(x)χ {|x|≤k} dx = lim f(x)dx; (A.12)k→∞EEk→∞E∩{|x|≤k}spesso la successione <strong>di</strong> integrali a destra è calcolab<strong>il</strong>e con le solite proceduredegli integrali <strong>di</strong> Riemann.Se f cambia <strong>di</strong> segno in E, prima ci si accerta (usando (A.12)) che |f| siaintegrab<strong>il</strong>e in E. Poi si calcola l’integrale <strong>di</strong> f usando <strong>di</strong> nuovo la (A.12).Quest’ultima formula non è applicab<strong>il</strong>e a funzioni non integrab<strong>il</strong>i <strong>di</strong> segnovariab<strong>il</strong>e.Sia <strong>per</strong> esempio <strong>per</strong> α ∈ R fissato,f(x) = 1 x α ,x ∈ E = [1, ∞).Allora,∫ k1dxx αQuin<strong>di</strong>, mandando k a ∞,∫k=k1−α −11−α , α ̸= 1;∫ ∞1{dx 1x α = α−1 , α > 1,+∞, α ≤ 1.1dxx = lnk.Esempio A.11. Funzioni <strong>il</strong>limitate su limitati. Se f ≥ 0 su E limitatobasta calcolare∫ ∫f(x)dx = lim min ( k, f(x) ) dx. (A.13)k→∞EESe f cambia <strong>di</strong> segno, dopo aver accertato che |f| è integrab<strong>il</strong>e in E, si puòcalcolare∫ ∫f(x)dx = lim max ( −k,min ( k, f(x) )) dx.k→∞EE□


198 DANIELE ANDREUCCIPer esempio consideriamo <strong>per</strong> α ∈ R fissatoAllora se α ̸= 1, α > 0,∫ 10(1)min k,x α dx =Nello stesso modo∫ 1f(x) = 1 x α , x ∈ E = (0,1).k∫−1/α0∫k −1kdx+∫ 1k −1/α∫ 1dxx α= k1− 1 α +1−k 1− 1 α1−α .(min k, 1 )dxdx = kdx+x x = 1−ln 1 k = 1+lnk.00 k −1Perciò (<strong>il</strong> caso α ≤ 0 si riduce all’integrale <strong>di</strong> una funzione continua), <strong>per</strong>k → ∞ si ha∫ 10{dx 1x α = 1−α , α < 1,+∞, α ≥ 1.Esempio A.12. Il caso N > 1. I risultati sopra si estendono subito al caso<strong>di</strong> R N , N > 1, usando la formula <strong>di</strong> cambiamento <strong>di</strong> variab<strong>il</strong>i∫r 1 N. (A.15)|x| αOsservazione A.13. Quanto detto sopra si può estendere a funzioni complessef : R N → C, considerando ciascuna delle funzioni reali Re f e Im f;si pone poi∫ ∫ ∫f(x)dx := Re f(x)dx+i Im f(x)dx,Ese entrambe Re f e Im f sono integrab<strong>il</strong>i in E.Altri risultati importanti sono:ELemma A.14. Se f è integrab<strong>il</strong>e su R, esistono due successioni c + n → ∞, c − n →−∞, tali chelimn→∞ f(c+ n ) = 0, lim f(c − n→∞n ) = 0. (A.16)E□□□


Lemma A.15. Se f è integrab<strong>il</strong>e su [a, ∞), alloraA.3. LO SPAZIO L 2 (E) 199lim∫ ∞m→∞mf(x)dx = 0.(A.17)Lemma A.16. Se f n e f sono funzioni misurab<strong>il</strong>i su un insieme limitato E, e selim f n(x) = f(x), |f(x)|,|f n (x)| ≤ C, q.o. in E,n→∞con C in<strong>di</strong>pendente da x, allora∫ ∫lim f n = f .n→∞ELemma A.17. Se f è una funzione integrab<strong>il</strong>e su (a,b), allora, postoF(x) =∫ xaEf(s)ds, a < x < b,la F risulta continua in (a,b), e la sua derivata F ′ esiste q.o., con F ′ = f q.o.. Inparticolare, se due funzioni integrab<strong>il</strong>i f e g in (a,b) sod<strong>di</strong>sfano∫ xvale f = g q.o. in (a,b).af(s)ds =∫ xag(s)ds, a < x < b,A.3. Lo spazio L 2 (E)Consideriamo le funzioni misurab<strong>il</strong>i in E ⊂ R N che abbiano la proprietàf 2 è integrab<strong>il</strong>e su E.(A.18)Per i motivi che sono chiariti nel Capitolo 7, tra due qualsiasi <strong>di</strong> questefunzioni f e g vogliamo introdurre una ‘<strong>di</strong>stanza’ (o norma <strong>di</strong> f −g)(∫1/2.‖f −g‖ := |f(x)−g(x)| dx) 2ECome già osservato, questa quantità risulta nulla se f = g q.o.. Dunquevogliamo in realtà identificare due funzioni che sono uguali quasiovunque.In modo rigoroso, questo si ottiene considerando l’insieme delle classi <strong>di</strong> equivalenza[f] = {g | g = f q.o.},<strong>per</strong> ogni f come sopra. Lo spazio L 2 (E) dunque è definito come l’insieme <strong>di</strong> queste classi<strong>di</strong> equivalenza, e, <strong>per</strong> esempio, si definisce(∫ ) 1‖[f]‖ = f(x) 2 2dx .Con le o<strong>per</strong>azioniEλ 1 [f 1 ]+λ 2 [f 2 ] := [λ 1 f 1 + λ 2 f 2 ], λ 1 , λ 2 ∈ R,L 2 (E) risulta uno spazio vettoriale.Di solito, tuttavia, si lavora in termini delle funzioni f, ossia si sceglie (ad arbitrio) unrappresentante della classe [f].


200 DANIELE ANDREUCCIA.3.1. Proprietà <strong>di</strong> successioni <strong>di</strong> funzioni in L 2 (E). Lo spazio L 2 (E) risultauno spazio completo con la norma ‖·‖. Questo significa che unasuccessione <strong>di</strong> Cauchy in L 2 (E) ha limite in L 2 (E). Più in dettaglio: se lasuccessione {f n } ⊂ L 2 (E) sod<strong>di</strong>sfa<strong>per</strong> ogni ε > 0 esiste un n ε tale che: ‖f n − f m ‖ ≤ ε<strong>per</strong> ogni n, m ≥ n ε ,allora esiste un f ∈ L 2 (E) tale chelim ‖f n − f‖ = 0.n→∞(A.19)Perdefinizione,sevale la(A.19)si<strong>di</strong>ceche f n converge a f in L 2 (E). Sivedesubito che se vale (A.19) allora la {f n } è <strong>di</strong> Cauchy. Inoltre, ricordando la(7.9), dalla (A.19) segue chelim ‖f n‖ = ‖f‖.n→∞Un’altra proprietà interessante è:Data una successione f n che converge a f inL 2 (E), se ne può estrarre una sottosuccessione f nkche converge a f q.o. in E.(A.20)Non è vero <strong>per</strong>ò, in genere, che tutta la successione f n converga a f q.o.:la convergenza in L 2 (E) significa che una certa successione <strong>di</strong> integrali<strong>di</strong>venta piccola, ma i grafici delle f n possono comunque essere <strong>di</strong>stanti daquello della f (almeno in insiemi piccoli).EsempioA.18. Siconsideriinfatti<strong>il</strong>seguentecontroesempio: siaE = [0,1];si prendano i due intervalli I 1 = [0,1/2) e I 2 = [1/2,1]; poi i quattroI 3 = [0,1/4), I 4 = [1/4,1/2), I 5 = [1/2,3/4), I 6 = [3/4,1], poi gli ottoI 7 = [0,1/8), I 8 = [1/8,1/4), ..., e così via. Si ponga f n = χ In . Poiché∫E|f n (x)| 2 dx =∫ 10χ In (x)dx → 0, n → ∞,vale che f n tende a zero in L 2 (E). Considerazioni abbastanza semplici,<strong>per</strong>ò, mostrano che f n (x) non tende a zero <strong>per</strong> alcun x ∈ E. □Comunque, se una successione converge sia nel senso <strong>di</strong> L 2 che in quelloq.o., allora i due limiti devono coincidere (questo segue <strong>per</strong> esempio dallaproprietà descritta sopra).•Un concetto molto importante è quello dellaconvergenza debole: si<strong>di</strong>ce che una successione{f n } ⊂ L 2 (E) converge in modo debole in L 2 (E) a una funzione f ∈ L 2 (E) se e solo se, <strong>per</strong>ogni fissata g ∈ L 2 (E), vale∫ ∫lim f n (x)g(x)dx = f(x)g(x)dx. (A.21)n→∞E ENella Sottosezione 7.3.1 si <strong>di</strong>scute un esempio <strong>di</strong> successione che converge nel senso debole,ma non nel senso <strong>di</strong> (A.19). Viceversa, una successione che converge a f nel senso <strong>di</strong>(A.19), vi converge anche nel senso debole.Una proprietà notevole è la seguente:


A.3. LO SPAZIO L 2 (E) 201Data una successione {f n } <strong>di</strong> funzioni con norma limitatauniformemente, cioè tali che‖f n ‖ ≤ C, <strong>per</strong> ogni n ≥ 1(ove C non <strong>di</strong>pende da n), se ne può estrarre unasottosuccessione {f nk } che converge nel senso debole.


APPENDICE BCambiamenti <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nateFormule relative a comuni cambiamenti <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate.B.1. Coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indricheQuanto detto in questa sezione vale anche <strong>per</strong> le coor<strong>di</strong>nate polari nelpiano, qualora si prescinda dalla <strong>di</strong>pendenza da z.Le coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indriche in R 3 sono definite da⎧⎪⎨ x = rcos ϕ,y = rsin ϕ, 0 ≤ r < ∞, 0 ≤ ϕ ≤ 2π, −∞ < z < ∞.⎪⎩z = z;Lo iacobiano del cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate valeJ(r, ϕ,z) = r.La terna ortonormale dei versori associati alle coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indriche è⎧⎪⎨ u 1 = cos ϕe 1 +sin ϕe 2 , versore ra<strong>di</strong>ale;u 2 = −sin ϕe 1 +cos ϕe 2 , versore tangenziale;⎪⎩u 3 = e 3 , versore assiale.(B.1)B.1.1. Gra<strong>di</strong>ente in coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indriche. Dalle usuali formule <strong>di</strong> derivazione<strong>di</strong> funzioni composte <strong>di</strong>scende∂∂x = ∂r∂x∂∂r + ∂ϕ∂x∂∂ϕ + ∂z∂x∂∂z = cos ϕ ∂ ∂r − sin ϕr∂∂ϕ .Nello stesso modo∂∂y = sin ϕ ∂ ∂r + cos ϕ ∂r ∂ϕ ,∂∂z = ∂ ∂z .Perciò, <strong>per</strong> una funzione f, che qui e nel seguito assumeremo regolarequanto basta,∇f = ∂f∂x e 1+ ∂f∂y e 2+ ∂f∂z e 3= cos ϕ ∂f∂r e 1 − sin ϕ ∂fr ∂ϕ e 1+sin ϕ ∂f∂r e 2 + cos ϕ ∂fr ∂ϕ e 2 + ∂f∂z e 3= ∂f∂r u 1+ 1 ∂fr ∂ϕ u 2+ ∂f∂z u 3. (B.2)203


204 DANIELE ANDREUCCIQuesta è la decomposizione del gra<strong>di</strong>ente <strong>di</strong> f nella terna u i . Si deveassumere r > 0, che comunque è un’ipotesi necessaria <strong>per</strong>ché la trasformazione<strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate sia regolare.•B.1.2. Divergenza in coor<strong>di</strong>nate c<strong>il</strong>indriche. Sia F una funzione vettorialeregolare quanto basta, e poniamoF = F 1 e 1 +F 2 e 2 +F 3 e 3 = F r u 1 +F ϕ u 2 +F z u 3 .Ricordando la definizione degli u i segueAlloraF r = cos ϕF 1 +sin ϕF 2 ,F ϕ = −sin ϕF 1 +cos ϕF 2 ,F z = F 3 .<strong>di</strong>vF = ∂F1∂x + ∂F2∂y + ∂F3∂z= cos ϕ ∂F1∂r − sin ϕ ∂F 1 ∂F2+sin ϕr ∂ϕ ∂r + cos ϕ ∂F 2r ∂ϕ + ∂F3∂z= ∂Fr∂r + 1 ∂F ϕr ∂ϕ + 1 r Fr + ∂Fz∂z = 1 ∂r ∂r (rFr )+ 1 ∂F ϕr ∂ϕ + ∂F3∂z . (B.3) •B.1.3. Laplacianoincoor<strong>di</strong>natec<strong>il</strong>indriche. Perdefinizioned<strong>il</strong>aplaciano,e <strong>per</strong> (B.2), (B.3),( ∂f∆ f = <strong>di</strong>v(∇f) = <strong>di</strong>v∂r u 1+ 1 ∂fr ∂ϕ u 2+ ∂f )∂z u 3= 1 (∂r ∂f )+ 1 )∂ 1 ∂f+r ∂r ∂r r ∂ϕ( ∂ ( ) ∂fr ∂ϕ ∂z ∂zTalvolta è ut<strong>il</strong>e <strong>il</strong> seguente= 1 r∂∂r(r ∂f∂rLemma B.1. Sia f ∈ C 1 (R 2 ) a simmetria ra<strong>di</strong>ale, ossiaAllora l’origine è un punto critico <strong>per</strong> f, ossiae dunque g ′ (0+) = 0.)+ 1 r 2 ∂ 2 f∂ϕ 2 + ∂2 f∂z 2 . (B.4)f(x,y) = g(r), (x,y) ∈ R 2 . (B.5)∇f(0,0) = 0,(B.6)Dimostrazione. Consideriamolarestrizione<strong>di</strong> f all’asse x,h(x) = f(x,0).Allora, questa funzione <strong>di</strong> x è pari in x, poichéh(x) = f(x,0) = g(|x|) = f(−x,0) = h(−x), x ∈ R.Dunque si deve averef x (0,0) = h ′ (0) = 0.In modo sim<strong>il</strong>e si <strong>di</strong>mostra che f y (0,0) = 0.□


B.2. COORDINATE SFERICHE 205B.2. Coor<strong>di</strong>nate sfericheLe coor<strong>di</strong>nate sferiche in R 3 sono definite da⎧⎪⎨ x = rcos ϕsin θ,y = rsin ϕsin θ, 0 ≤ r < ∞, 0 ≤ ϕ ≤ 2π, 0 ≤ θ ≤ π.⎪⎩z = rcos θ;Si calcola subito lo iacobiano del cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nateJ(r, ϕ, θ) = r 2 sin θ.Consideriamo poi la terna ortonormale associata alle coor<strong>di</strong>nate sferiche⎧⎪⎨ u 1 = cos ϕsin θe 1 +sin ϕsin θe 2 +cos θe 3 , versore ra<strong>di</strong>ale;u 2 = −sin ϕe 1 +cos ϕe 2 , versore tangenziale;⎪⎩u 3 = cos ϕcos θe 1 +sin ϕcos θe 2 −sin θe 3 , versore meri<strong>di</strong>ano.(B.7)B.2.1. Gra<strong>di</strong>enteincoor<strong>di</strong>natesferiche. Vogliamoscomporre<strong>il</strong>gra<strong>di</strong>ente<strong>di</strong>unafunzione f secondolaternau i . Invece<strong>di</strong>procedereusandolaregola<strong>di</strong>derivazione<strong>di</strong>funzionicomposte,usiamolaproprietàdelgra<strong>di</strong>ente∇f∫f(P 1 )− f(P 2 ) = ∇f · τds, (B.8)ove la curva C congiunge P 2 a P 1 , e τ ne è <strong>il</strong> versore tangente.Scegliamo prima, <strong>per</strong> calcolare la componente <strong>di</strong> ∇f lungo u 1 , C come unsegmento <strong>di</strong> raggioC(s) = ((r+s)cos ϕsin θ,(r+s)sin ϕsin θ,(r+s)cos θ), 0 ≤ s ≤ h.Dunque, usando <strong>il</strong> simbolo f(r, ϕ, θ) <strong>per</strong> denotare la <strong>di</strong>pendenza dallecoor<strong>di</strong>nate sferiche,f(r+h, ϕ, θ)− f(r, ϕ, θ) =∫ h0C∇f(r+s, ϕ, θ)·u 1 (ϕ, θ)ds.Dividendo <strong>per</strong> h e prendendo <strong>il</strong> limite <strong>per</strong> h → 0 si ottiene∇f ·u 1 = ∂f∂r .Pren<strong>di</strong>amo poi C come un arco <strong>di</strong> parallelo, ossiaC(ω) = (rcos(ϕ+ω)sin θ,rsin(ϕ+ω)sin θ,rcos θ), 0 ≤ ω ≤ h.In questo modo <strong>il</strong> vettore tangente a C è proprio rsin θu 2 . Allora∫ hf(r, ϕ+h, θ)− f(r, ϕ, θ) = rsin θ0∇f(r, ϕ+ω, θ)·u 2 (ϕ+ω, θ)dω.Dividendo <strong>per</strong> h e prendendo <strong>il</strong> limite <strong>per</strong> h → 0 si ottiene∇f ·u 2 = 1 ∂frsin θ ∂ϕ .•


206 DANIELE ANDREUCCIQuesta espressione ha senso <strong>per</strong> rsin θ ̸= 0, ma sappiamo del resto che incaso contrario <strong>il</strong> cambiamento <strong>di</strong>coor<strong>di</strong>natepresentadellesingolarità (<strong>per</strong>esempio lo iacobiano si annulla).Infine si scelgaC(ω) = (rcos ϕsin(θ+ω),rsin ϕsin(θ+ ω),rcos(θ+ ω)), 0 ≤ ω ≤ h,in modo che C risulti un arco <strong>di</strong> meri<strong>di</strong>ano e <strong>il</strong> suo vettore tangente siaru 3 . Quin<strong>di</strong>∫ hf(r, ϕ, θ+h)− f(r, ϕ, θ) = re si ottiene nel solito modoRiassumendo0∇f ·u 3 = 1 r∇f(r, ϕ, θ+ω)·u 3 (ϕ, θ+ω)dω,∂f∂θ .∇f = ∂f∂r u 1+ 1 ∂frsin θ ∂ϕ u 2+ 1 ∂fr ∂θ u 3.(B.9)B.2.2. Divergenza in coor<strong>di</strong>nate sferiche. Usiamo la proprietà (teoremadella <strong>di</strong>vergenza)∫ ∫<strong>di</strong>vFdV = F·νdσ, (B.10)Ωove Ω è un qualunque a<strong>per</strong>to limitato con frontiera regolare, e ν è lanormale esterna a tale frontiera. Usiamo nel seguito la scomposizione<strong>di</strong> FF = F r u 1 +F ϕ u 2 +F θ u 3 . (B.11)Pren<strong>di</strong>amoΩ = {(x,y,z) | ¯r ≤ r ≤ ¯r+h r , ¯ϕ ≤ ϕ ≤ ¯ϕ+h ϕ , ¯θ ≤ θ ≤ ¯θ+h θ },con (¯r, ¯ϕ, ¯θ) fissato ad arbitrio, e h r , h ϕ , h θ > 0 piccoli. Riscrivendo (B.10)in coor<strong>di</strong>nate sferiche, si ottieneove¯r+h ∫ r¯r¯ϕ+h ϕ ∫¯ϕI r =¯θ+h ∫ θ¯θ∂Ω<strong>di</strong>vFr 2 sin θdrdϕdθ = I r + I ϕ + I θ ,∫∂Ω∩{r=¯r+h r }F r dσ−∫∂Ω∩{r=¯r}F r dσ,(B.12)e I ϕ , rispettivamente I θ , è definito in modo analogo, scambiando r con ϕ,rispettivamente con θ. Infatti la frontiera <strong>di</strong> Ω, <strong>per</strong> la definizione <strong>di</strong> Ω,risulta composta da porzioni <strong>di</strong> su<strong>per</strong>ficie regolari, e su ciascuna porzioneuna delle coor<strong>di</strong>nate sferiche è costante; dunque la normale a tale porzione<strong>di</strong> frontiera è uno dei vettori u i . Raccogliendo gli integrali sulle dueporzioniove risultacostantela stessacoor<strong>di</strong>nata(<strong>per</strong> esempiola r nelcaso<strong>di</strong> I r ) si ottengono appunto I r , I ϕ , I θ .•


B.2. COORDINATE SFERICHE 207Calcoliamo (ricordando che le porzioni <strong>di</strong> frontiera ove r = costante sonoporzioni <strong>di</strong> su<strong>per</strong>ficie sferica, con elemento d’area r 2 sin θ) quando gliincrementi h i tendono a zero,I rh r h ϕ h θ= 1h r h ϕ h θ¯ϕ+h ϕ ∫¯ϕ¯θ+h ∫ θ¯θ[F r (¯r+h r , ϕ, θ)(¯r+h) 2 sin θ−F r (¯r, ϕ, θ)¯r 2 sin θ ] dϕdθ→ ∂ ∂r( )F r (r, ϕ, θ)r 2 sin θ (¯r, ¯ϕ, ¯θ).Con un argomento analogo (ricordando che le porzioni <strong>di</strong> frontiera oveϕ = costante sono porzioni <strong>di</strong> piano, con elemento d’area r)I ϕh r h ϕ h θ= 1h r h ϕ h θ¯r+h ∫ r¯r¯θ+h ∫ θ¯θ[F ϕ (r, ¯ϕ+h ϕ , θ)r−F ϕ (r, ¯ϕ, θ)r ] drdθ→ ∂ ( )F ϕ (r, ϕ, θ)r (¯r, ¯ϕ, ¯θ).∂ϕInfine (ricordando che le porzioni <strong>di</strong> frontiera ove θ = costante sono porzioni<strong>di</strong> su<strong>per</strong>ficie conica, con elemento d’area rsin θ)I θh r h ϕ h θ= 1h r h ϕ h θ¯r+h ∫ r¯r¯ϕ+h ϕ[F∫¯ϕθ (r, ϕ, ¯θ+h θ )rsin(¯θ+h θ )−F θ (r, ϕ, ¯θ)rsin ¯θ ] drdϕ→ ∂ ( )F θ (r, ϕ, θ)rsin θ (¯r, ¯ϕ, ¯θ).∂θD’altra parte, <strong>il</strong>termine<strong>di</strong>sinistra<strong>di</strong>(B.12), se<strong>di</strong>viso <strong>per</strong> h r h ϕ h θ , halimite,quando ciascuno degli incrementi tende a zero,<strong>di</strong>vF ¯r 2 sin ¯θ.Ut<strong>il</strong>izzando tutte le uguaglianze sopra, si ottiene infine la rappresentazionecercata <strong>di</strong> <strong>di</strong>vF, ossia<strong>di</strong>vF = 1 r 2 ∂∂r (Fr r 2 )+ 1rsin θ∂∂ϕ (Fϕ )+ 1rsin θ∂∂θ (Fθ sin θ).(B.13)•


208 DANIELE ANDREUCCIB.2.3. Laplaciano in coor<strong>di</strong>nate sferiche. Per definizione <strong>di</strong> laplaciano, e<strong>per</strong> (B.9), (B.13),( ∂f∆ f = <strong>di</strong>v(∇f) = <strong>di</strong>v∂r u 1+ 1 ∂frsin θ ∂ϕ u 2+ 1 )∂fr ∂θ u 3= 1 (∂r 2 r 2 ∂f∂r ∂r= 1 r 2 ∂∂r)+ 1(r 2 ∂f∂rrsin θ)+∂∂ϕ( 1 ∂frsin θ ∂ϕ1r 2 sin 2 θ)+ 1∂ 2 f∂ϕ 2 + 1r 2 sin θ∂ 1rsin θ ∂θ(r∂∂θB.3. Coor<strong>di</strong>nate polari in <strong>di</strong>mensione NIn R N introduciamo le coor<strong>di</strong>nateQuiRisultax 1 = rsin ϕ 1 sin ϕ 2 ...sin ϕ N−2 sin ϕ N−1 ,x 2 = rsin ϕ 1 sin ϕ 2 ...sin ϕ N−2 cos ϕ N−1 ,x 3 = rsin ϕ 1 sin ϕ 2 ...cos ϕ N−2 ,x 4 = rsin ϕ 1 sin ϕ 2 ...sin ϕ N−3 ,...x N = rcos ϕ 1 .)∂f∂θ sin θ( ∂f∂θ sin θ ). (B.14)r ∈ [0, ∞), ϕ 1 , ... , ϕ N−2 ∈ [0, π], ϕ N−1 ∈ [−π, π].r = |x| = √∑N x 2 i .i=1Inoltre <strong>il</strong> determinante iacobiano della matrice <strong>di</strong> cambiamento <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nateèDefiniamoJ = rN−1N−1∏i=1(sin ϕ i ) N−1−i .H = [0, π] N−2 ×[−π, π], ϕ = (ϕ 1 ,..., ϕ N−1 ).In particolare, <strong>per</strong> integrali calcolati su sfere <strong>di</strong> centro l’origine si ha∫B R (0)f(x)dx ===∫ R0∫ R0∫ R0∫drHr N−1 drdr∫∂B r (0)f ( x(r, ϕ) ) r∫∂B 1 (0)N−1N−1∏i=1f ( x(r, ϕ) ) dσ ϕf ( x(r, ϕ) ) dσ ϕ .(sin ϕ i ) N−1−i dϕ•


B.3. COORDINATE POLARI IN DIMENSIONE N 209(Si è usata la comune notazione degli integrali ripetuti <strong>per</strong> denotare integraliinterni uno all’altro.)Osservazione B.2. Per esempio, prendendo f = 1, R = 1 si haω N =∫B 1 (0)dx =∫ 10r N−1 dr∫∂B 1 (0)∫1dσ ϕ = σ N0r N−1 dr = σ NN .B.3.1. Il laplaciano <strong>di</strong> funzioni ra<strong>di</strong>ali. Calcoliamo <strong>il</strong> laplaciano in coor<strong>di</strong>natepolari, limitandoci a funzioni ra<strong>di</strong>ali: premettiamo che<strong>di</strong>v x|x| = <strong>di</strong>vx x−x·|x| |x| 3 = N|x| − 1|x| = N−1 .|x|Dunque se f ∈ C 2 ((0, ∞)), si ha[∆[f(|x|)] = <strong>di</strong>v∇[f(|x|)] = <strong>di</strong>v f ′ (|x|) x ]|x|= f ′′ (|x|) x|x| · x|x| + f′ (|x|) N −1 = f ′′ (|x|)+ f ′ (|x|) N −1 .|x| |x|Con la notazione delle coor<strong>di</strong>nate polari, si scrive∆[f(r)] = f ′′ (r)+ N−1rf ′ (r) = 1r N−1 ddr( )r N−1 f ′ (r) .□•


APPENDICE CRichiami e definizioniElenchiamo alcune formule e risultati usati nel <strong>corso</strong>.C.1. FunzioniDefinizione C.1. Sia [a,b] un intervallo limitato e chiuso <strong>di</strong> R. Una funzionef : [a,b] → R si <strong>di</strong>ce continua a tratti su [a,b] se e solo se esiste unapartizione <strong>di</strong> [a,b], x 0 = a < x 1 < ··· < x n = b, tale che: f è continua su(x i ,x i+1 ) <strong>per</strong> i = 0, ..., n−1; esistono finiti i limiti f(x i +) <strong>per</strong> i = 0, ...,n−1; esistono finiti i limiti f(x i −) <strong>per</strong> i = 1, ..., n. □Definizione C.2. Sia I un intervallo <strong>il</strong>limitato e chiuso <strong>di</strong> R. Una funzionef : I → R si<strong>di</strong>ce continuaatratti su I seesolose è continua a trattisu ogniintervallo limitato e chiuso J contenuto in I.□C.2. InsiemiDefinizione C.3. Una curva γ ⊂ R N si <strong>di</strong>ce regolare se ha una parametrizzazioneΨ : I → R N , con I intervallo <strong>di</strong> R, tale che Ψ ∈ C 1 (R), e ˙Ψ(t) ̸= 0<strong>per</strong> ogni t ∈ I. La parametrizzazione Ψ si <strong>di</strong>ce a sua volta regolare.Una curva regolare si <strong>di</strong>ce semplice se Ψ(t 1 ) ̸= Ψ(t 2 ) <strong>per</strong> ogni t 1 , t 2 ∈ I cont 1 ̸= t 2 .□Definizione C.4. Un insieme a<strong>per</strong>to Ω ⊂ R N si <strong>di</strong>ce connesso se ognicoppia <strong>di</strong> punti x 1 , x 2 ∈ Ω può essere congiunta da una curva regolareγ ⊂ Ω.□Di solito la proprietà precedente viene introdotta come connessione <strong>per</strong> archi; comunque<strong>per</strong> insiemi a<strong>per</strong>ti <strong>di</strong> R N essa equivale alla connessione, che <strong>per</strong> un insieme E ⊂ R Nqualunque viene introdotta spesso comeDefinizione C.5. Un insieme E ⊂ R N si <strong>di</strong>ce connesso se daE = E 1 ∪E 2 , E 1 ∩E 2 = ∅, E i = E∩ A i , A i a<strong>per</strong>to,segue che vale almeno una delle dueE 1 = ∅, E 2 = ∅.Definizione C.6. Un insieme a<strong>per</strong>to Ω ⊂ R 2 si <strong>di</strong>ce normale rispetto a unarettalse la suaintersezionecon ognirettaortogonalea l è connessa, ossiaè un intervallo.□Definizione C.7. Il supporto <strong>di</strong> una funzione f : R N → R è l’intersezione<strong>di</strong> tutti i chiusi fuori dei quali la funzione si annulla. Quin<strong>di</strong> è <strong>il</strong> piùpiccolo chiuso fuori del quale la funzione si annulla, e, se è limitato, ècompatto.□211□


212 DANIELE ANDREUCCI• L’identità1+2k∑n=1C.3. Identità trigonometrichecos(nθ) =)sin(2k+12θsin θ 2, θ ̸= 2mπ, m ∈ Z (C.1)provienedallaparterealedellasommaparziale dellaseriegeometricak∑ e inθ = ei(k+1)θ −1n=0e iθ , (C.2)−1dopo l’applicazione <strong>di</strong> formule trigonometriche elementari.• L’identitàk∑ sin(2n+1)θ = sin2 (k+1)θ, θ ̸= mπ, m ∈ Z, (C.3)n=0sin θsegue dalla somma su n = 0, 1, ..., k, delle2sin(2n+1)θ sin θ = cos(2nθ)−cos2(n+1)θ,che a loro volta sono conseguenze imme<strong>di</strong>ate delle formule <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>zione.C.4. DisuguaglianzeLemma C.8. (Cauchy-Schwarz) Se f, g ∈ L 2 (Ω),∫Ω(∫|f(x)g(x)|dx ≤La <strong>di</strong>mostrazione è data nel Lemma 7.4.Ω)1(∫|f(x)| 2 2dxΩ|g(x)| 2 dx)12. (C.4)Lemma C.9. (Poincaré) Sia Ω un a<strong>per</strong>to limitato <strong>di</strong> R N , contenuto in unasfera <strong>di</strong> raggio R. Sia u ∈ C 1 (Ω), con u = 0 su ∂Ω. Allora∫ ∫u(x) 2 dx ≤ (2R) 2 |∇u(x)| 2 dx. (C.5)ΩDimostrazione. Svolgiamo <strong>per</strong> semplicità la <strong>di</strong>mostrazione in R 2 ; <strong>il</strong> casogenerale è del tutto analogo. Supponiamo anche senza <strong>per</strong><strong>di</strong>ta <strong>di</strong>generalità che la sfera che contiene Ω abbia centro nell’origine.Esten<strong>di</strong>amo la definizione <strong>di</strong> u a tutto R 2 , ponendo u ≡ 0 fuori <strong>di</strong> Ω.Continuiamo a denotare con u questa estensione.Fissiamo (¯x,ȳ) ∈ Ω. Integriamo u y sulla semiretta <strong>per</strong> (¯x,ȳ) parallelaall’asse y, <strong>per</strong> y < ȳ; definiamo ¯η < ȳ in modo che (¯x, ¯η) ∈ ∂Ω sia l’intersezione<strong>di</strong> questa semiretta con ∂Ω più vicina a (¯x,ȳ). Per la regolarità <strong>di</strong>u, e visto che u(¯x, ¯η) = 0,u(¯x,ȳ) =∫ ȳ¯ηΩu y (¯x,y)dy,


C.5. RIFLESSIONI 213da cui, <strong>per</strong> la <strong>di</strong>suguaglianza <strong>di</strong> Cauchy-Schwarz (C.4),u(¯x,ȳ) 2 =( ȳ ∫¯η2 ∫u y (¯x,y)dy) ȳ≤ (ȳ− ¯η)¯ηu y (¯x,y) 2 dy ≤ 2RIntegriamo questa <strong>di</strong>suguaglianza su Ω: dato che u ≡ 0 fuori <strong>di</strong> Ω,∫Ω∫u(¯x,ȳ) 2 d¯xdȳ ≤ 2R= 2R∫R= (2R) 2−RΩ∫ R( R ∫−R[ R ∫−R −R( ∫R−Ru y (¯x,y) 2 dy( R ∫−Ru y (¯x,y) 2 dy)u y (¯x,y) 2 dy)d¯xdȳ)d¯x]d¯x = (2R) 2 ∫dȳΩ∫ R−Ru y (¯x,y) 2 dy.u y (¯x,y) 2 d¯xdy.□C.5. RiflessioniSia f : (a,b) → R, con a, b ∈ R. Vogliamo trovare un’estensione F <strong>di</strong> f chesia pari intorno a x = a, <strong>di</strong>spari intorno a x = b, e definita su tutto R (al <strong>di</strong>fuori dell’insieme I definito sotto). Iniziamo con <strong>il</strong> costruire l’estensionesull’intervallo ‘riflesso a destra’ (a,2b−a), ponendo{f(x), a < x < b,F 1 (x) =(C.6)−f(2b−x), b < x < 2b−a.Poi esten<strong>di</strong>amo la definizione a (3a−2b,2b−a) me<strong>di</strong>ante la{FF(x) = 1 (x), a < x < 2b−a,F 1 (2a−x), 3a−2b < x < a.(C.7)La F sod<strong>di</strong>sfa la proprietà <strong>di</strong> simmetria richieste entro l’intervallo (3a −2b,2b−a), che ha lunghezza 4(b−a). Si noti che F non risulta definita suipunti traslati <strong>di</strong> a e b <strong>di</strong> multipli interi <strong>di</strong> b−a, ossia sull’insiemeI = {x ∈ R | x = a+k(b−a), o x = b+k(b−a),k ∈ Z}.Questo non ha in genereimportanza nelle applicazioni del seguenterisultato.Lemma C.10. La F : R\ I → R costruita in (C.7), e poi estesa come funzione<strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodo 4(b−a) è l’unica estensione <strong>di</strong> f con le proprietà richieste.Dimostrazione. Dimostriamo che la F ha le proprietà <strong>di</strong> simmetria in<strong>di</strong>cate,e in particolare che è <strong>di</strong>spari intorno a x = b. Siano x 1 e x 2 ∈ R\ I,tali cheb−x 1 = x 2 −b > 0.(C.8)


214 DANIELE ANDREUCCIDobbiamo mostrare che F(x 1 ) = −F(x 2 ). Risultano determinati in modounivoco n, m ∈ Z tali che3a−2b+4n(b−a) < x 1 < 2b−a+4n(b−a),3a−2b+4m(b−a) < x 2 < 2b−a+4m(b−a).Queste si possono scrivere come(−4n+3)(b−a) > b−x 1 > −(4n+1)(b−a),(4m+1)(b−a) > x 2 −b > (4m−3)(b−a).Ne segue <strong>per</strong> (C.8) che m ≥ 0, n ≤ 0 e32 > m−|n| > −2 , ossia che o m = |n| o m = |n|+1.3Poniamoξ 1 = x 1 −4n(b−a), ξ 2 = x 2 −4m(b−a).Risultano ξ 1 , ξ 2 ∈ (3a−2b,2b−a). Per la <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità <strong>di</strong> F basta far vederecheF(ξ 1 ) = −F(ξ 2 ).(C.9)i) Caso m = |n| = −n. Valeb−ξ 1 = b−x 1 +4n(b−a) = x 2 −b−4m(b−a) = ξ 2 −b.Quin<strong>di</strong> ξ 1 e ξ 2 sonosimmetrici rispettoa x = b. Poiché F è <strong>per</strong>costruzione<strong>di</strong>spariintornoa x = b all’interno<strong>di</strong>(3a−2b,2b−a), la(C.9)è<strong>di</strong>mostrata.ii) Caso m = |n|+1 = −n+1. Vale2a−b−ξ 1 = 2a−2b+b−x 1 +4n(b−a) = ξ 2 −(2a−b).Quin<strong>di</strong> ξ 1 e ξ 2 sono simmetrici rispetto a x = 2a − b. Poiché F è <strong>per</strong>costruzione <strong>di</strong>spari intorno a x = 2a−b all’interno <strong>di</strong> (3a−2b,2b−a), la(C.9) è <strong>di</strong>mostrata anche in questo caso.In modo analogo si mostra che F è pari intorno a x = a.Resta da <strong>di</strong>mostrare l’unicità dell’estensione F. Come primo passo, osserviamoche l’unicità è ovvia su (b,2b−a), <strong>per</strong> riflessione <strong>di</strong>spari intornoa x = b. Riflettendo poi in modo pari intorno a x = a, segue l’unicitàsu (3a−2b,a). A questo punto, <strong>di</strong> nuovo <strong>per</strong> riflessione <strong>di</strong>spari intorno ax = b, l’unicità segue su (b,4b−3a). Ripetendo <strong>il</strong> ragionamento, l’estensioneviene identificata in modo univoco su tutto R\ I, in una successionenumerab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> passi.□Osservazione C.11. In modo sim<strong>il</strong>e si estende la f in modo che l’estensioneabbia una qualunque prescelta coppia <strong>di</strong> simmetrie (pari o <strong>di</strong>spari)intorno a x = a e x = b.Selesimmetriein a ein b sonodellostessotipo(entrambeparioentrambe<strong>di</strong>spari), sipuòvederechelafunzione estesarisultain effetti<strong>per</strong>io<strong>di</strong>cacon<strong>per</strong>iodo 2(b−a).□Risultano spesso ut<strong>il</strong>i le seguenti osservazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrazione elementare.Lemma C.12. Sia f ∈ C([0,b]). Denotiamo con f D [f P ] la riflessione <strong>di</strong>spari[pari] <strong>di</strong> f intorno a x = 0. Allora:(1) La f D è in C([−b,b]) se e solo se f(0) = 0.


C.6. INTEGRALI 215(2) Se f ∈ C 1 ([0,b]), e f(0) = 0, allora f D ∈ C 1 ([−b,b]).(3) Sia f ∈ C 2 ([0,b]), e f(0) = 0. Allora f D ∈ C 2 ([−b,b]) se e solo sef ′′ (0) = 0.La riflessione pari sod<strong>di</strong>sfa:(1) La f P è in C([−b,b]).(2) Sia f ∈ C 1 ([0,b]). Allora f P ∈ C 1 ([0,b]) se e solo se f ′ (0) = 0.(3) Sia f ∈ C 2 ([0,b]), e f ′ (0) = 0. Allora f P ∈ C 2 ([−b,b]).C.6. IntegraliLemma C.13. Per ogni f : R → R integrab<strong>il</strong>e su (0,T) e <strong>per</strong>io<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> <strong>per</strong>iodoT > 0, valea+T ∫af(x)dx =Dimostrazione. Infatti,a+T ∫a∫ T0∫ Tf −<strong>per</strong>ché, cambiando variab<strong>il</strong>e,0f(x)dx, <strong>per</strong> ogni a ∈ R.∫ af = −0f +a+T ∫Tf = 0,a+T ∫f(x)dx =∫ af(y+T)dy =∫ af(y)dy,<strong>per</strong> l’ipotesi <strong>di</strong> <strong>per</strong>io<strong>di</strong>cità.T00□Lemma C.14. Siano f ∈ C 1 ([1, ∞)), g ∈ C([1, ∞)) due funzioni tali cheef ′ (x) ≤ 0, x ≥ 1; f(x) → 0, x → ∞, (C.10)∣ ∣∣∣∣∣ b ∫con C in<strong>di</strong>pendente da a e b.AlloraaY(s) :=g(x)dx≤ C,<strong>per</strong> ogni a, b ≥ 1,∣ (C.11)∫ s<strong>per</strong> un numero reale opportuno L.1f(x)g(x)dx → L, s → ∞,Si noti che <strong>il</strong> Lemma C.14 vale a prescindere dalla sommab<strong>il</strong>ità dellafunzione fg su [1, ∞): si veda l’Osservazione 8.7 <strong>per</strong> un esempio.Dimostrazione. Per <strong>il</strong> criterio <strong>di</strong> Cauchy, basta <strong>di</strong>mostrare che <strong>per</strong> ognifissato ε > 0 esiste un h 0 > 1 opportuno tale che|Y(k)−Y(h)| ≤ ε, <strong>per</strong> ogni h, k ≥ h 0 . (C.12)


216 DANIELE ANDREUCCISi haY(k)−Y(h) =ove si è definito∫ kh∫ kf(x)g(x)dx = f(k)G(k)− f(h)G(h)−G(x) =∫ x1g(s)ds.È ovvio chef(k)G(k), f(h)G(h) → 0, h,k → ∞,<strong>per</strong>ché f ha limite nullo e G resta limitata <strong>per</strong> ipotesi. Inoltre∫ kf ′ ∫k(x)G(x)dx∣ ∣ ≤ ∣ f ′ (x)G(x) ∣ ∫kdx ≤ C ∣ f ′ (x) ∣ dxhh∫ k= −Chhhf ′ (x)G(x)dx,f ′ (x)dx = C[f(h)− f(k)] → 0, h,k → ∞.□


APPENDICE DSimboli e notazione usati nel testoLeggete la Notazione.D.1. NotazioneSi noti che <strong>il</strong> testo è <strong>di</strong>viso in Capitoli, Sezioni, Sottosezioni e Sottosottosezioni;<strong>per</strong> vari motivi, tra i quali una precisa definizione del programma<strong>di</strong> esame, è bene tenere presente che i seguenti simboli in<strong>di</strong>cano la fine <strong>di</strong>alcune <strong>di</strong> queste sud<strong>di</strong>visioni:•: Sottosezione (numerazione a.b.c)∗: Sottosottosezione(numerazione a.b.c.d)□: <strong>di</strong>mostrazioni, osservazioni, definizioni ...D.2. Simboli usati nel testoa·b prodotto scalare dei vettori a e b; talvolta omesso.Ω un a<strong>per</strong>to limitato e connesso <strong>di</strong> R N ,con frontiera C 1 a tratti.∂Ω frontiera <strong>di</strong> Ω.ν = (ν i ) versore normale esterno a Ω.B r (x) sfera a<strong>per</strong>ta con centro x e raggio r.Q T c<strong>il</strong>indro spazio-temporale Q T = Ω×(0,T).x → s 0 + x tende a s 0 da destra.x → s 0 − x tende a s 0 da sinistra.f(s 0 +) denota <strong>il</strong> limite <strong>di</strong> f(x) <strong>per</strong> x → s 0 +.f(s 0 −) denota <strong>il</strong> limite <strong>di</strong> f(x) <strong>per</strong> x → s 0 −.s + parte positiva <strong>di</strong> s ∈ R, s + = max(s,0).s − parte negativa <strong>di</strong> s ∈ R, s − = max(−s,0).sign(x) funzione segno <strong>di</strong> x ∈ R, definita da sign(x) = x/|x|,<strong>per</strong> x ̸= 0.∇f gra<strong>di</strong>ente spaziale della funzione f(x,t): ∇f = ( ∂f∂x,...,1D 2 f matrice hessiana della funzione f.χ I funzione caratteristica dell’insieme I:χ I (x) = 1 se x ∈ I, χ I (x) = 0 se x ̸∈ I.δ x massa <strong>di</strong> Dirac centrata in x.f |B restrizione a B ⊂ A <strong>di</strong> una funzione f : A → R N .C(A)C n (A)C n ◦(A)classe delle funzioni continue in A. Lo stesso che C 0 (A).classe delle funzioni continue in A insieme conle loro derivate fino all’or<strong>di</strong>ne n.classe delle funzioni in C n (A), <strong>il</strong> cui supporto è217∂f∂x N).


218 DANIELE ANDREUCCIcompatto e contenuto in A.C 2,1 (A) classe delle funzioni f, tali che f, ∂f∂t , ∂f∂x, e ∂2 fi ∂x i ∂x jsono continue in A <strong>per</strong> ogni i, j = 1,...,N.i unità immaginaria: i·i = −1.e.d.p. equazione/equazioni a derivate parziali.e.d.o. equazione/equazioni a derivate or<strong>di</strong>narie.q.o. quasi ovunque.ω N volume N-<strong>di</strong>mensionale della sfera {|x| ≤ 1} in R N .σ N area (N−1)-<strong>di</strong>mensionale della su<strong>per</strong>ficie sferica {|x| = 1} in R N ;vale σ N = Nω N .


APPENDICE ERisposte agli esercizi2.7 ∫ ∫gdx = f dσ.Ω ∂Ω5.3u(x,t) = 1 3c cos(3ct)sin(3x).5.4u(x,t) = e −5Dt sin(x 1 )sin(2x 2 ).5.12 √2L sin (n π L x ), n = 1,2,...5.13 √1L , √2L cos (n π L x ), n = 1,2,...10.17|u(x,t)| ≤ γ(x) sup|u 0|+sup|∇u 0 |t 2 + sup|u 1|,tove γ <strong>di</strong>pende anche dalle aree dei supporti <strong>di</strong> u 0 e u 1 .11.27{x ∈ R N | Γ t (x,t) > 0} = {x ∈ R N | |x| > √ 2NDt}.11.2813.3c critico = λ 1 D,(|x| 2 ) [ N] N2 1Γ x, =2ND 2πe |x| N .λ 1 : primo autovalore del problema <strong>di</strong> Dirichlet.219


220 DANIELE ANDREUCCISoluzioni1.9 Dalla formula (1.49) si ha, definendo J(R) la quantità <strong>di</strong> cui si deve calcolare<strong>il</strong> limite, si haJ(R) = − 1 ∫γ N R 2 (Ψ N (x−y)−Ψ N (R)) ∆u(y)dyB R (x)= − 1γ N R 2 ∫B R (x)− 1γ N R 2 ∫Vale, se N ≥ 3,B R (x)(Ψ N (x−y)−Ψ N (R)) ∆u(x)dy(Ψ N (x−y)−Ψ N (R))[∆u(y)−∆u(x)]dy =: J 1 (R)+ J 2 (R).J 1 (R) = − ∆u(x)γ N R 2 ∫B R (x)(Ψ N (x−y)−Ψ N (R))dy= − ∆u(x) ∫ Rγ N R 2 σ N r N−1 [r −N+2 −R −N+2 ]dr= − ∆u(x)γ N R 2 σ N0[ R22 − R2N= − ∆u(x)γ N R 2 σ NR 2N−22N = − ∆u(x)2N .](E.1)In modo sim<strong>il</strong>e si vede che la quantità J 2 (R) → 0 <strong>per</strong> R → 0. Se poi N = 2, siprocede in modo analogo, ricordando che∫ R0rlnrdr = R2 lnR2− R24 .1.12 Sia A = (a ij ) una matrice corrispondente a un’isometria in R N . Denotiamoanche (b ij ) = B.Allora, <strong>per</strong> <strong>il</strong> teorema <strong>di</strong> derivazione <strong>di</strong> funzioni composte,Per le seguenti scelte <strong>di</strong> u:Lv(x) =u(x) = x m x n ,si ottiene, imponendo la (1.53), se m ̸= n,2b mn =N∑ b ij (a nj a mi +a mj a ni ) =i,j=1N N∑ b ij ∑ a kj a hi u xh x k(Ax).i,j=1 h,k=1=N∑i,j=1N∑i,j=1m,n = 1,... ,N,b ij a nj a mi +b ij a nj a mi +N∑r,s=1N∑i,j=1b ji a mj a nib rs a mr a ns = 2N∑i,j=1b ij a nj a mi .


E. RISPOSTE AGLI ESERCIZI 221Se poi m = n si <strong>per</strong>viene comunque alla medesima uguaglianza, in modo <strong>di</strong>retto.Quin<strong>di</strong> valeNb mn = ∑ b ij a nj a mi , <strong>per</strong> ogni m, n. (E.2)i,j=1Si vede subito che questo equivale, in notazione matriciale, aB = ABA t ,ossia al fatto che B commuta con tutte le rotazioni. Questo implica che B è unmultiplo dell’identità. Ri<strong>di</strong>mostriamo questo risultato ben noto: consideriamo,<strong>per</strong> fissare le idee, la rotazione <strong>di</strong> π/2 nel piano (x 1 ,x 2 ), cioè la matrice che siottiene lasciando invariate le righe 3–N nella matrice identità N×N, sostituendole prime due righe con( ) 0 1 0 ... 0.−1 0 0 ... 0Prendendo m = n = 1 nella (E.2) si ha subitob 11 =Prendendo invece m = 1, n = 2 si hab 12 =N∑ b ij δ 2j δ 2i = b 22 .i,j=1N∑ b ij (−δ 1j )δ 2i = −b 21 = −b 12 ,i,j=1e quin<strong>di</strong> b 12 = 0.Poiché questo argomento si può ripetere <strong>per</strong> ogni coppia (m,n), m ̸= n, si ottieneinfine cheB = bI .10.14 In tutti i calcoli che seguono, <strong>il</strong> termine 1/|x| è moltiplicato da fattori chesi annullano in un intorno <strong>di</strong> |x| = 0, e quin<strong>di</strong> non dà luogo a singolarità.Si ha (sottintendendo gli argomenti delle funzioni)∇u = − x|x| 3 f + x|x| 2 f′ ,u t = − c|x| f′ .Dunque, passando nell’integrale a coor<strong>di</strong>nate polari in R 3 ,∫∫∞u 2 t +c 2 |∇u| 2 dx = 4πc(2f 2 ′ (r−ct) 2 + f(r−ct)2r 2R 3 0∫∞= 8πc 2−ct∫r 2= 8πc 2∫∞f ′ (s) 2 ds−4πc 2r 1f ′ (s) 2 ds.0− 2 )r f(r−ct)f′ (r−ct) drd( f(r−ct)2dr r)drDato che l’ultimo integrale non <strong>di</strong>pende da t, abbiamo <strong>di</strong>mostrato la tesi.


Parte 9In<strong>di</strong>ci


In<strong>di</strong>ce analiticoLe voci con <strong>il</strong> numero della pagina in neretto si riferisconoa definizioni dell’argomento.approssimazionecon funzioni regolari, 110del dominio, 52armoniche, 30autofunzione, 43normalizzata, 44autofunzioniortogonali, 44autovalore, 43comportamento asintoticoequazione del calore, 115equazione <strong>di</strong> Laplace, 114con<strong>di</strong>zioni<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffrazione, 169con<strong>di</strong>zioni al contornodel terzo tipo, 56<strong>di</strong> Dirichlet, 16<strong>di</strong> Neumann, 16<strong>di</strong> Robin, 56convoluzioneprodotto <strong>di</strong>, 107corda semiinfinita, 104delta <strong>di</strong> Dirac, 111<strong>di</strong>ffeomorfismo, 181<strong>di</strong>pendenza continua, 103secondo Hadamard, 19teoremi <strong>di</strong>, 19<strong>di</strong>stribuzione, 112<strong>di</strong>suguaglianza<strong>di</strong> Cauchy-Schwarz, 54, 58, 206<strong>di</strong> Poincaré, 206dominio<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza, 98effetto regolarizzante, 121equazionedel calore, 4della <strong>di</strong>ffusione, 4delle onde, 10, 11<strong>di</strong> Bessel, 92<strong>di</strong> Laplace, 8fenomeno<strong>di</strong> Gibbs, 110formuladella me<strong>di</strong>a, 13<strong>di</strong> Cauchy, 182<strong>di</strong> D’Alembert, 98, 102<strong>di</strong> Kirchhoff, 100–102<strong>di</strong> Poisson, 101, 102, 121trasformata <strong>di</strong> Fourierinversione, 140frontiera parabolica, 17funzione<strong>di</strong> Bessel, 92armonica, 13sorgente, 20subarmonica, 13su<strong>per</strong>armonica, 13gra<strong>di</strong>ente<strong>di</strong> deformazione, 181Gram-Schmidt, 82identità<strong>di</strong> Green, 11<strong>di</strong> Stokes, 12interno parabolico, 17legge<strong>di</strong> Fick, 4<strong>di</strong> Fourier, 3, 16lemma<strong>di</strong> Hopf, 36massa puntiforme, 7, 111metododell’energia, 165della <strong>di</strong>scesa, 101mollificazione, 110no<strong>di</strong>, 30nuclei <strong>di</strong> approssimazione, 107ondesferiche, 100225


226 DANIELE ANDREUCCIstazionarie, 30parte principale, 155principio<strong>di</strong> Duhamel, 127<strong>di</strong> massimo forte, 31, 34problemaben posto, 19<strong>di</strong> Dirichlet, 43<strong>di</strong> Neumann, 43con<strong>di</strong>zione necessaria, 17, 21propagazione con velocità infinita, 119regolarizzazione, 110, 125reversib<strong>il</strong>ità dell’equazione delle onde,98rior<strong>di</strong>namento<strong>di</strong> serie, 63<strong>di</strong> serie doppia, 78<strong>di</strong> sistema ortonormale, 63sistema ortonormalecompleto, 46soluzionedebole, 159soluzione fondamentaledell’equazione del calore, 7, 115dell’equazione <strong>di</strong> Laplace, 11velocitàeuleriana, 182

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!