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SUONO n° 500

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Dolenti asperità<br />

Può avere una voce morbida o lamentosa,<br />

suadente o malinconica: il clarinetto<br />

è comunque uno degli strumenti<br />

più versatili che ci siano. Impiegato<br />

nella musica da camera, in orchestra<br />

o come strumento solista, il clarinetto<br />

si è imposto nel Novecento come una<br />

delle voci più adatte a interpretare<br />

quegli spigolosi, dolenti sbalzi d’umore<br />

dei compositori contemporanei,<br />

grazie alla grande diversità di timbri<br />

con cui è in grado di seguirli.<br />

Il corpus contemporaneo per clarinetto<br />

(o più precisamente per clarinetti, al<br />

Josè Daniel Cirigliano<br />

Opere contemporanee per clarineTTO<br />

Tactus - 2015<br />

plurale, trattandosi di una numerosa famiglia) è dunque sterminato, e non c’è grande<br />

autore che abbia trascurato lo strumento: un’antologia acuta e sensibile della<br />

produzione più recente è rappresentata dall’ultimo CD di Josè Daniel Cirigliano,<br />

musicista dai poliedrici interessi e dal prestigioso “pedigree”. Il disco, distribuito da<br />

Tactus e semplicemente intitolato Opere contemporanee per clarinetto, costituisce<br />

un pregevole excursus nella produzione recente e recentissima dedicata a questo<br />

strumento. Non solo: uscendo dal particolarismo legato alla timbrica specifica<br />

del clarinetto, il disco di Cirigliano rappresenta un breve viaggio nella sensibilità<br />

musicale d’oggi. Il CD contiene brani di nove autori più o meno noti, che vanno<br />

dalla Sequenza IX per clarinetto in sib di Luciano Berio, parte di quella serie di 13 Sequenze<br />

che ha rappresentato forse il l’opera principale del compositore, alla Clarinettologia<br />

di Gaspare Tirincanti, clarinettista riminese recentemente scomparso,<br />

che contiene riferimenti a mondi musicali diversi come il jazz e il grande repertorio<br />

classico. Il carattere sperimentale del disco è evidente fin dalla prima traccia, Cachucha<br />

per mezzo-clarinetto, del romano Fabrizio De Rossi Re, un brano vicino a<br />

tendenze postmoderne, quasi neoromantico ma dal forte carattere aleatorio dato<br />

dal timbro e dall’intonazione vaga del mezzo-clarinetto: Cirigliano non si risparmia<br />

l’uso di diversi strumenti della famiglia, dai più comuni come il clarinetto basso<br />

(in Outvoice, outstep and outwalk di Svitlana Azarova) e il clarinetto piccolo in mib<br />

(nel virtuosistico Cirocirò di Paolo Renosto), fino a soluzioni più originali come il già<br />

citato mezzo-clarinetto e il doppio clarinetto (o meglio, l’uso in contemporanea di<br />

due clarinetti di taglie diverse in Ritual di William O. Smith).<br />

L’indagine sulle voluttuose profondità del suono del clarinetto e sulle diverse possibilità<br />

timbriche lanciata da Fabrizio De Rossi Re in Ribes Nero viene raccolta da<br />

Cirigliano, che nel disco descrive quel percorso della musica contemporanea che<br />

mette al centro della ricerca il suono medesimo, visto come materia principale<br />

della sperimentazione e non come strumento della stessa, di cui <strong>SUONO</strong> si è già<br />

occupato in passato. Insomma: Cirigliano ha inciso un disco dalla forte impronta<br />

personale, in cui la volontà dell’interprete è in piena sintonia con gli intenti degli<br />

autori, che si tratti del virtuosismo di Flavio Testi (Jubilus I per clarinetto in sib) o del<br />

forte legame col Novecento storico chiaro in Mani di Gian Paolo Luppi, un brano<br />

colmo di reminiscenze stravinskijane.<br />

Nuccia Focile in Cocteauvoices la voix humaine<br />

di monologo in musica il cui<br />

libretto porta la firma di Jean<br />

Cocteau: in scena è presente<br />

solamente una donna al telefono.<br />

L’opera rappresenta una<br />

complicata rottura di un rapporto<br />

d’amore. La donna, dopo<br />

essere stata lasciata, telefona<br />

al suo amante (del quale non si<br />

sente mai la voce all’altro capo<br />

del telefono) che ama ancora.<br />

La protagonista tenta anche il<br />

suicidio. A causa del basso livello<br />

del servizio telefonico di<br />

Parigi di quel tempo la conversazione<br />

viene interrotta più<br />

volte. La relazione più che fra<br />

la donna e il suo amante è fra<br />

la protagonista e l’operatrice<br />

telefonica: l’unico rapporto<br />

possibile, qui, è quello con se<br />

stessa, ma la protagonista cerca<br />

di respingere la solitudine per<br />

tutta l’opera. Poulenc (1899-<br />

1963), famoso soprattutto per<br />

le sue composizioni da camera,<br />

cerca di adattare la forma<br />

dell’opera alla dimensione<br />

cameristica: il risultato è una<br />

curiosa pièce musicale a metà<br />

fra il teatro borghese e l’esistenzialismo<br />

francese.<br />

La Fenice, uscendo dal periodo<br />

estivo dominato dalle opere<br />

di repertorio di Verdi, Puccini<br />

e Rossini che caratterizzano<br />

la fine della stagione turistica,<br />

promuove una produzione di<br />

pregio, portando in scena due<br />

opere semisconosciute nel panorama<br />

italiano. La mancanza<br />

di relazioni è la cifra di questa<br />

produzione veneziana in cui le<br />

vicende reali, quelle immaginate<br />

e quelle desiderate dai personaggi<br />

si confondono in modo<br />

indistinguibile. Come l’acqua e<br />

il cielo di Venezia.<br />

192 <strong>SUONO</strong> settembre 2015

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