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INTERVISTA Peter Hammill<br />
Posso dire che lo scrivere canzoni è un momento molto interiore? È questa<br />
la differenza con la musica commerciale. Quando scrivo il soggetto<br />
della canzone è mio soltanto e non della gente. È vero che non scrivo<br />
soltanto per me ma per tante altre persone, però questo passaggio si<br />
concretizza quando il lavoro viene pubblicato, oppure nei concerti: è lì<br />
che diventa degli altri e che, finalmente, il pubblico può appropriarsene<br />
fino a farla diventare una cosa propria. Ma, in origine, sono due cose<br />
perfettamente distinte. Ritengo che l’azione di scrivere sia una questione<br />
molto privata.<br />
Non ti manca né lo spirito né l’ispirazione: quaranta album<br />
sono tantissimi nella carriera di un musicista. Soprattutto se<br />
questi, nonostante i cambiamenti, continuano ad avere uno<br />
spessore e una lucidità invidiabile...<br />
Mi piace molto lavorare e, nonostante siano passati tutti questi anni,<br />
provo ancora interesse nel farlo. Mi ritengo un uomo fortunato, non<br />
soltanto per aver iniziato in quei giorni ma perché non ho mai avvertito<br />
cali di interesse e di entusiasmo. Amo in assoluto fare musica.<br />
Anche se gli anni della tua carriera solista sono più numerosi<br />
di quelli trascorsi con la band, non hanno impedito nuove<br />
collaborazioni. Lo stesso tour intrapreso qualche anno fa, a<br />
fianco di David Jackson, ne è la prova. Non hai mai tagliato<br />
completamente i rapporti con il passato.<br />
Come ho detto inizialmente, nei Van der Graaf esistevano più anime.<br />
Quella solista è una situazione diversa. Sono io a scrivere le canzoni. Sai,<br />
il discorso della questione privata... chi suona con me deve conoscere i<br />
limiti e le responsabilità che ne derivano. Per questo preferisco lavorare<br />
con una piccola banda di musicisti con cui ho diviso una parte di storia<br />
e non devo dire niente. Noi dobbiamo soltanto suonare.<br />
Hai sempre ottenuto buoni consensi dalla critica musicale<br />
e ottimi riscontri da parte del pubblico, un pubblico affezionato<br />
che ti segue da tantissimo tempo. Questo significa aver<br />
seminato bene. Del resto, ti trovo molto bene, rilassato e in<br />
sintonia con il mondo e con i tuoi fan...<br />
Ho tenuto concerti un po’dappertutto, in tutto il mondo. Sono concerti<br />
che raccolgono gente. Non troppa, perché non sono certamente un<br />
fenomeno di massa ma sono concerti in cui è possibile avvertire e toccare<br />
i sentimenti. La maggior parte dei concerti di oggi è pianificata. Il<br />
primo concerto di quasi tutte le band e dei musicisti sarà esattamente<br />
come l’ultimo. Con me questo non succede. È diverso. Non mi piace<br />
pianificare...<br />
Come Dylan. Il vecchio Bob ama improvvisare fino a deturpare<br />
quasi completamente le versioni originali.<br />
Esatto! Credo che i vecchi cantautori, per continuare, debbano cercare<br />
di amplificare la forza della musica e non ripetere continuamente lo<br />
stesso concerto. Questo può funzionare per la musica commerciale,<br />
dove rappresenta un buon veicolo promozionale: lì tutto quanto deve<br />
essere assolutamente perfetto, niente deve essere lasciato al caso. Con<br />
questo non voglio dire che sia un male: è, semplicemente, quello che non<br />
ho intenzione di fare. C’è il teatro, lo show business. Loro hanno il loro<br />
pubblico. Per me è importante lavorare in modo diverso, più profondo,<br />
anche esponendomi pericolosamente. Per loro l’errore è la fine, per noi<br />
rappresenta l’inizio e la possibilità di improvvisare, di suonare e di fare<br />
altre cose. Non sono esattamente le regole che predica lo show business.<br />
Per un certo periodo quelle regole le aveva rispettate anche la<br />
musica progressive, con Emerson, Lake & Palmer e gli Yes...<br />
Band che avevano perso lo smalto iniziale e che, più che concerti,<br />
sembravano gusci vuoti di ispirazione e di emozione...<br />
I Van der Graaf si sono invece distinti per il contrario: delle<br />
loro performances si conosceva l’inizio ma non la fine...<br />
È stata un po’ una nostra caratteristica, anche la scaletta del concerto<br />
di questa sera… cambio continuamente. Con Stuart Gordon al violino<br />
(scomparso il 28 agosto 2014, ndr.), abbiamo oltre cinquanta canzoni<br />
a cui attingere. Ogni volta è una situazione diversa. L’unica cosa certa<br />
è che inizio al piano per poi passare alla chitarra e ancora al piano.<br />
Sembra essere questa la dimensione dei grandi! Soltanto<br />
qualche settimana fa ho potuto ammirare John Cale, l’ex<br />
Velvet Underground, con le stessa sequenza strumentale.<br />
Quasi le stesse attitudini.<br />
Sei arrivato da Israele... Com’è stata l’accoglienza?<br />
Eccellente. Veramente eccellente! In Italia la musica è molto importante<br />
ma in Israele, forse, lo è ancora di più. In ogni Paese la gente, in base<br />
alla propria cultura, ha una reazione diversa. In Israele c’è una grande<br />
educazione alla musica. Cinque mesi fa, quando ho deciso che sarei<br />
andato in Israele, i problemi non erano ancora esplosi. I tempi sono<br />
molto difficili, adesso. Per la prima volta ho avuto veramente paura.<br />
Così lo stesso Stuart che mi ha accompagnato nella tournée. Alla fine<br />
mi sono imposto di andarci e posso dire che è stato un privilegio: fare<br />
un tour dopo trent’anni e vedere come il Paese fosse cambiato, come<br />
la cultura fosse cambiata. Conosco l’Italia ormai da tanto tempo, tanto<br />
da parlarne la lingua anche se in modo non corretto. Quando parli una<br />
lingua, vivi la sua realtà e cerchi di saperne di più della sua cultura, hai<br />
molte possibilità per capirla a fondo.<br />
<strong>SUONO</strong> settembre 2015 55