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SUONO n° 500

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inside<br />

Da sinistra a destra: Andoni Luis Aduriz (Mugaritz), Juan Mari Arzak, Joan<br />

Roca e Ferran Adrià.<br />

3°-2°). Il locale è guidato dai fratelli Roca, che si suddividono le<br />

competenze fondamentali: Jordi il dolce, Joan il salato e Josep le<br />

bevande. È un posto magnifico, con un servizio impeccabile eppure<br />

“leggero”, una tavolozza gastronomica svafillante e in continua<br />

trasformazione, una cantina monumentale. Ogni volta riesce a<br />

soprendere, incantare, emozionare (si ricorda ancora il periodo<br />

della riproduzione di famosi profumi in forma di inebrianti dessert,<br />

da Calvin Klein a Bulgari e Lancôme). Ma è il miglior ristorante del<br />

mondo? Ecchenesò! Certamente è tra i migliori e i più personali<br />

frutti del ciclone Adrià, all’indomani della chiusura del Bulli, nel<br />

2011… Oddio, non sapete di cosa si sta parlando? Mi sembra strano,<br />

ma comunque faccio qualche passo indietro.<br />

Undici anni fa, o giù di lì, mi fu chiesto di scrivere un articolo che<br />

raccontasse le mie esperienze gastronomiche dell’epoca in Spagna.<br />

L’interesse generale verso l’alta cucina era in grande sviluppo anche<br />

se allora nessuno si aspettava l’esplosione di attenzione verso<br />

i fornelli che ci sarebbe stata di lì a poco. Era il 2004 e i cuochi<br />

iberici facevano faville, a rimorchio della spettacolare ascesa di<br />

Ferran Adrià, che nell’idilliaca cornice di El Bulli a Cala Montjoi<br />

sperimentava con furore sacro e luciferino al tempo stesso. Destrutturazione,<br />

spume ed “arie” erano il Verbo, in un continuo<br />

divenire che avrebbe visto entrare in campo la chimica e la fisica,<br />

popolarizzando la cosiddetta gastronomia molecolare, con adepti in<br />

tutto il mondo. La materia era peraltro oggetto di studi approfonditi<br />

e workshop internazionali già dall’inizio degli anni ’90, grazie<br />

all’opera di Pierre-Gilles De Gennes (Nobel per la fisica nel 1991),<br />

Nicholas Kurti ed Hervé This, poi stretto collaboratore dello chef<br />

Pierre Gagnaire (tre stelle Michelin a Parigi) e tutt’oggi figura di<br />

spicco dell’INRA (Istituto Nazionale della Ricerca Agronomica),<br />

attivo nella capitale francese.<br />

In quel 2004, in piena “Epoca Adrià”, la Spagna era diventata una<br />

vera mecca gastronomica, almeno giudicando dalle stelle elargite<br />

dalla guida Michelin (che nonostante invidie e ripicche rimane<br />

il più prezioso vademecum per i gourmet girovaghi, l’unico con<br />

reale pregnanza internazionale) e dallo spazio crescente dedicatogli<br />

dalle pubblicazioni specializzate degli altri paesi. Da quella<br />

caletta sperduta della Costa Brava Adrià incantava il mondo, sotto<br />

la supervisione del sardonico socio Julio Soler, organizzatore e<br />

anima dell’impresa (scomparso proprio pochi mesi fa). La solita<br />

Michelin se ne era accorta da tempo, attribuendogli la terza stella<br />

già nel 1998. La mia prima esperienza, due anni addietro, aveva<br />

avuto lo status d’una visione divina ma con saturazione anche<br />

d’olfatto, gusto e tatto (ah, quel cubetto di gelato al parmigiano<br />

da prendere con le mani). Quelle successive, nonostante il minore<br />

effetto-sorpresa, suggerirono ripetute holas estatiche… Nel 1999<br />

Adrià, al congresso Lo Mejor de la gastronomia, a San Sebastian, si<br />

lancia in una dimostrazione delle possibilità offerte dal Pacojet®,<br />

una specie di sorbettiera con lame in titanio che consentiva di<br />

ottenere all’istante creme e purè ghiacciati, dalla consistenza inedita.<br />

Poi fu la volta del Roner® e del Gastrovac®, per la cottura<br />

sottovuoto a bassa temperatura, e del grill Faircook®. Quindi ecco<br />

il Rotovapor®, sviluppato da Joan Roca in collaborazione con la<br />

fondazione ALICIA (Alimentación y Ciencia): permette di distillare<br />

terre e solidi. In precedenza c’era stata l’ascesa dei sifoni ISI, poi<br />

l’uso della criocucina con l’impiego dell’azoto liquido.<br />

Nel 2008 Rafael García Santos, tra i più illustri critici gastronomici<br />

spagnoli, poteva scrivere: “Se guardiamo al passato, né Careme né<br />

Escoffier, assolutamente nessuno ha creato tanti concetti, tante<br />

tecniche, tanti piatti… E nessuno ha suscitato nei suoi colleghi tanta<br />

ammirazione e tanta invidia”. Addirittura c’è chi si è allargato<br />

a inserire Adrià nel novero dei geni catalani, accanto a Salvador<br />

Dalì, Albéniz e Gaudì.<br />

Juan Mari ed Elena Arzak.<br />

Esagerato? Probabilmente no, anche perché Ferran è stato il catalizzatore,<br />

la testa di ponte mediatica, e ha provocato effetti collaterali<br />

positivi a cascata: di sprone alla creatività per tanti giovani<br />

cuochi (soprattutto catalani, e i fratelli Roca ne sono oggi l’esempio<br />

più eclatante) ma anche di sdoganamento per altri grandi chef<br />

meno giovani, in ogni angolo della Spagna. La storia, comunque,<br />

era iniziata molto tempo prima. Lo scossone all’intorpidita e ipertradizionalista<br />

cucina iberica gliel’avevano dato i pionieri baschi,<br />

con Juan-Mari Arzak in testa. Un personaggio fondamentale che<br />

non a caso Adrià ha sempre citato come suo principale maestro e<br />

con il quale ha spesso collaborato. I due hanno firmato tra l’altro<br />

il volume Celebrar el milenio con Arzak & Adrià (Peninsula, 1999)<br />

26 <strong>SUONO</strong> settembre 2015

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