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MUSEO CHIERICI

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ETRURIA LITORALE – LAZIO - PICENTINO<br />

Sportello n° 68<br />

Nel palchetto superiore inizia la presentazione di<br />

materiali da sepolcri dell’etrusca Tarquinia, che<br />

prosegue nella vetrina successiva. Due vasi furono<br />

donati a Chierici dalla famiglia Cosmi Condolmieri.<br />

Un cospicuo lotto di materiali, prevalentemente<br />

di età romana, proveniente da Roma stessa, fra<br />

porta Pia e porta Pinciana, fu donato dalla giovane<br />

Lavinia Ottavi, figlia di Prospero Ottavi.<br />

Notevole l’interesse di due facsimili di urne a capanna<br />

da Albano laziale, che Chierici si procurò<br />

a Roma tramite Michele Stefano De Rossi e Luigi<br />

Ceselli, con l’intento di documentare nel suo museo<br />

la forma delle abitazioni di Albalonga, “madre<br />

di Roma”. De Rossi lo accompagnò anche sul<br />

luogo delle scoperte.<br />

Ventidue selci paleolitiche fluitate dell’agro romano<br />

(Monte Sacro, Ponte Molo, Tor di Quinto),<br />

alcuni calchi di selci dei sepolcri di Cantalupo e<br />

i disegni di armi da Sgurgola, ottenuti in dono da<br />

De Rossi e Ceselli, gli offrirono materia per documentare<br />

l’esistenza in Italia del periodo eneolitico,<br />

intermedio fra l’Età della pietra e quella dei<br />

metalli, che costituisce una delle principali acquisizioni<br />

del suo lavoro scientifico. Sono anche<br />

presenti parecchie schegge e lame in ossidiana<br />

e una lunga lama raschiatoio, ma probabilmente<br />

si tratta di reperti che un tempo stavano con<br />

i materiali di Osilo nella vetrina 65 e qui finiti per<br />

errore.<br />

1 Skyphos avvicinabile al<br />

Gruppo Sokra con coppie<br />

di personaggi maschili<br />

ammantati (seconda metà<br />

del IV secolo a.C.)<br />

2 balsamari in vetro e<br />

unguentari fusiformi<br />

3 L’urna è una copia in<br />

gesso da un originale della<br />

tomba 1 di Campofattore, a<br />

pianta circolare, con porta<br />

chiusa da un portello mobile<br />

e preceduta da un portico<br />

con quattro pali. Il tetto è<br />

testudinato con aperture<br />

cieche sulle fronti (X secolo<br />

a.C.). Nella seconda metà<br />

del XIX secolo si confrontano<br />

i modellini di capanne con<br />

l’architettura reale e Chierici<br />

se ne avvale per dimostrare<br />

il significato dei suoi “ruderi”<br />

(pezzi di argilla cotta con le<br />

impronte dei cannicci) dalle<br />

stazioni dell’Età del ferro<br />

4 Un secondo modellino di<br />

urna a capanna, a pianta<br />

ellittica, coperta da tetto<br />

testudinato con trave<br />

di colmo, riproduce un<br />

originale rinvenuto nel 1816-<br />

1817 a Castel Gandolfo e<br />

oggi conservato al Museo<br />

“Pigorini” di Roma<br />

1<br />

3<br />

2<br />

4<br />

per saperne di più<br />

G.BARTOLONI, F. BURANELLI, V. D’ATRI, A. DE SANTIS, Le urne a capanna in Italia, Roma 1987,<br />

pp. 8-9, 94 n. 152, 99 n. 160.

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