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e-FARCORO 3-2017

FARCORO è la rivista musicale di AERCO, l'Associazione Emiliana Romagnola Cori

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d’occhio, in cui l’irruzione del transetto nella continuità<br />

delle cappelle laterali forza lo spazio all’impossibile<br />

armonia di buio e luce radente. Le finestre piovono luce<br />

fissa su punti asimmetrici, secondo l’imperscrutabile logica<br />

dell’irradiazione divina, ed a questi luoghi del miracolo si<br />

oppongono le tenebre dell’inconscio, che fanno sì ogni<br />

svolta celi un incubo: ogni simbolo sacro, impregnato<br />

d’ansia, sveli, nell’illusione dei sensi, la presenza del suo<br />

correlato demoniaco. È l’ambiguità del segno: la Santa<br />

Teresa del Bernini, sospesa tra estasi mistica e sensuale<br />

perdizione, raggruppa in sé ogni prospettiva luminosa;<br />

isola nel tempo un singolo istante di gloria così come,<br />

nel Combattimento, Monteverdi sospende il ‘pirrichio<br />

scalpitante’ del ritmo nella radiante conversione finale<br />

‘Estasi di Santa Teresa’ del Bernini<br />

della guerriera saracena, un momento in cui il ‘picciol rivo’<br />

del testo diventa fiume di grazia, e la simbiosi tra arte e<br />

natura si fa – qui per la prima volta – opera d’arte totale.<br />

In una prospettiva opposta – e quindi, baroccamente,<br />

analoga – Caravaggio lavora sulle scansioni del buio in cui<br />

l’architettura della Controriforma precipita le cappelle<br />

laterali, isolando nella luce la rivelazione del vero. In San<br />

Matteo e l’angelo, il pittore mette in scena un vecchio<br />

saggio mentre, nell’atto di scrivere, viene sorpreso da<br />

un fruscio alle sue spalle: è l’angelo di luce, colpito sulla<br />

fronte dal quale il filosofo decifrator di segni si confessa<br />

impotente di fronte alla momentanea verità del miracolo.<br />

‘Ahi vista, ahi conoscenza!’: dice Tancredi allo svelarsi<br />

dell’amata Clorinda, che lui stesso ha ucciso, in un luogo<br />

in cui Monteverdi, architetto dell’anima, rapprende<br />

nell’icona dell’ornamento il fluire, fino ad allora sfrenato,<br />

dell’azione. Siamo nel cuore di un teatro che non è – come<br />

poi sarà nel trionfo dell’Opera – semplice messa in scena,<br />

ma itinerario nell’’uomo interiore’ di Sant’Agostino, per cui<br />

la mente è specchio in cui si riflette, per oscuri enigmi,<br />

la Creazione, e spazio e tempo si fondono in un unico,<br />

irripetibile spazio espressivo.<br />

La ‘seconda pratica’ di Monteverdi, quindi, è ben più<br />

che una rivoluzione stilistica: è il trionfo del mare della<br />

soggettività contro i pilastri del rinascimentale mondo<br />

dei simboli. Ma quella visionaria lettera in cui Monteverdi,<br />

con quell’arte di alludere con noncuranza che ne fa un<br />

importante scrittore, racconta il suo Combattimento, cela<br />

un altro luogo di potente suggestione, allorché afferma<br />

di aver resuscitato quel ‘concitato genere’ tanto caro a<br />

Platone, e non più praticato dai moderni per mancanza di<br />

opportune capacità declamatorie. Il parallelo qui istituito<br />

tra il pulpito delle chiese barocche – vera tribuna per<br />

esercizi nello stile patetico – e la scena del teatro greco, in<br />

cui l’eroe tragico si staglia nella nudità della sua maschera,<br />

ha del prodigioso. Dopo il dialogo del contrappunto,<br />

insomma, la musica armonica non può che praticare<br />

le aspre secche del monologo. Ogni uomo è un’isola,<br />

nonostante il poeta John Donne cerchi, in questi stessi anni,<br />

di affermare pateticamente il contrario. Strana antinomia,<br />

quella del Combattimento, per un giorno di Carnevale;<br />

non fosse che i macchinari scenici, i meravigliosi artifici<br />

delle Feste Rinascimentali cui, in un Rinascimento che<br />

faceva dell’architettura l’epicentro di tutte le arti, misero<br />

mano Leonardo e Michelangelo, svelano, in quella sera del<br />

1624, per la prima volta la loro vera natura: sono epifanie<br />

del mondo alla rovescia, il mondo carnevalesco sotto la<br />

cui giocosità s’annida il dramma della perdita, la manca<br />

di senso onde la musica, da allora, comincia a regredire<br />

alla grammatica delle pulsioni, al ‘pirrichio di concitate<br />

movenze’ monteverdiano dal quale, nei secoli a venire,<br />

non si è più redenta. L’unico possibile risolversi da questo<br />

infernale sposalizio di estasi e sensi è l’invenzione di un<br />

nuovo genere; ma non sarà certo Venezia, che della perdita<br />

del Sacro ha fatto il presupposto della propria potenza<br />

economica, a realizzare questa sintesi. Mentre dunque la<br />

Repubblica del Leone assiste, nei suoi cinquanta teatri, al<br />

trionfo dell’Opera, a Roma i devoti di un santo irregolare,<br />

Filippo Neri, si ingegnano ad inventare una nuova forma<br />

di teatro dell’anima; però, piuttosto che elaborare una<br />

poetica, inventano uno spazio architettonico strategico:<br />

l’Oratorio, facendo dei suoi limiti – il maggiore dei quali è<br />

l’aver rinunciato all’alleanza tra arte e natura – altrettanti<br />

punti di forza. È dunque all’interno di piccole chiese: S.<br />

Girolamo della Carità, Santa Maria dell’Orazione e Morte,<br />

Santa Maria della Rotonda – i cui nomi, oltretutto,<br />

definiscono una grammatica ideale della Pietà barocca<br />

– e nei limiti di una cerimonia dimessa e contrita come<br />

l’Ufficio di Quaresima, che si prepara il superamento<br />

dell’angoscioso dualismo tra sensi e spirito cui dobbiamo<br />

l’eccentrica, correlata genialità di un Monteverdi e di un<br />

Borromini: antinomia del Barocco, questa, che l’estrema<br />

povertà dei mezzi dovesse diventare nuovo rigoglio della<br />

languente intimità devota. Sono, anche questi, i giochi<br />

della luce crepuscolare: della luce morente...<br />

24 | STORIA

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