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La Freccia Febbraio 2020

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Arlecchino viene da lontano.<br />

Viene davvero da<br />

molto lontano. Si racconta,<br />

infatti, che giungesse a noi provenendo<br />

addirittura dall’aldilà. È<br />

quanto accadeva tanti secoli orsono,<br />

quando Arlecchino non aveva<br />

ancora deciso di stabilirsi definitivamente<br />

tra noi, di farsi a suo modo<br />

cittadino e ritagliarsi un’occupazione<br />

di servitore.<br />

Al contrario. In quei tempi lontani,<br />

tra i comuni mortali, le sue erano<br />

incursioni rapide e tumultuose nelle<br />

quali si gettava con un grande<br />

clamore di tuoni, e di improvvisi<br />

lampi che squarciavano il cielo nel<br />

cuore della notte. Erano le tempeste<br />

notturne che lo richiamavano<br />

irresistibilmente sulla terra, e lo attraevano<br />

specialmente le campagne<br />

sconvolte sotto la furia degli<br />

elementi.<br />

Allora Arlecchino guidava sarabande<br />

infernali tra le nubi nere, lungo i<br />

crinali e nelle lande desolate, scatenando<br />

i suoi accoliti in cavalcate<br />

frenetiche che solo con le prime<br />

luci dell’alba si esaurivano, vaporando<br />

tra le nebbie mattutine oltre<br />

le gole dei monti.<br />

Questo almeno raccontavano<br />

quanti, serrati nelle case, rannicchiati<br />

sotto le coltri, sentivano la<br />

sua masnada attraversare, avanti e<br />

indietro, su e giù, i campi e le colline.<br />

E non erano forse, trascinate<br />

dietro a lui, dicevano, le anime inquiete<br />

dei defunti che facevano<br />

ressa, agitate e impalpabili come il<br />

soffiar dei venti?<br />

Il primo non confutabile indizio di<br />

questa provenienza di Arlecchino<br />

sta nel nome. Come scrive Fausto<br />

Nicolini, sappiamo che origina, fin<br />

dall’anno Mille, con varie e diverse<br />

inflessioni prima di fissarsi definitivamente,<br />

da quell’Herlequin che<br />

designava il capo della tumultuante<br />

processione diavolesca.<br />

Del resto, se osserviamo bene la<br />

nera maschera di Arlecchino, non<br />

sarà difficile riconoscervi i connotati<br />

della sua ascendenza demoniaca.<br />

I suoi tratti conservano<br />

alcunché di cagnesco: poco pronunciato,<br />

camuso il naso; profonde<br />

le pieghe delle guance, come<br />

contratte da un ringhio che rimpicciolisce<br />

l’orbita degli occhi. E poi,<br />

soprattutto, la protuberanza d’un<br />

corno diabolico che spunta appena,<br />

ma che è tuttavia visibile sulla<br />

fronte corrugata.<br />

Arlecchino è immediatamente e<br />

universalmente riconoscibile per il<br />

suo vestito a losanghe multicolori.<br />

Ebbene, anche quel suo costume<br />

vistoso, sgargiante, è il risultato<br />

finale di una lunga, ma lineare,<br />

trasformazione. Alcune tra le prime,<br />

e rare, illustrazioni cinquecentesche<br />

ci rappresentano non per<br />

caso Arlecchino rivestito d’un abito<br />

sul quale, come altrettante toppe,<br />

sono cucite foglie di varia forma e<br />

colore. Le foglie verdi del rigoglio<br />

estivo, e le foglie gialle dell’autunno.<br />

Perché Arlecchino giunge in<br />

città, a Bergamo, dal fitto dei boschi,<br />

coperto come può e male in<br />

arnese. Del diavolo scatenato d’un<br />

tempo conserva la prestanza fisica,<br />

l’atletica vitalità che mostra in<br />

quel suo spiccar salti acrobatici e,<br />

all’occorrenza, nel dar di bastone<br />

con vistosa energia. Ma ha perduto<br />

la più parte delle antiche doti di<br />

astuzia e di imperiosa sicurezza,<br />

certo per esser stato relegato nel<br />

fondo delle campagne, quasi che<br />

quell’esser stato trascurato per<br />

gran tempo e senza contatti con<br />

l’uman genere, l’abbia ristretto in<br />

una sorta di innocenza sprovveduta<br />

che, tuttavia, può, in certe<br />

circostanze, con grande sorpresa<br />

accendersi delle malizie antiche.<br />

Quel suo primo abbiglio, che rimandava<br />

a un mondo rurale e alludeva<br />

al ciclo delle stagioni, si fece<br />

a sua volta urbano, e le foglie divennero<br />

pezze e cascami di stoffe<br />

diverse e poi toppe, prima irregolari<br />

e poi ritagliate nell’ordine geometrico<br />

di rombi multicolori.<br />

Un “costume folle” dirà Paul Verlaine<br />

nelle sestine di Colombina, uno<br />

dei 22 componimenti di Feste galanti,<br />

la raccolta di poesie che pubblica<br />

nel 1869, dove Arlecchino, in<br />

Pantomima, «combina/il rapimento<br />

di Colombina/e fa quattro piroette».<br />

Quarant’anni dopo i riquadri<br />

di quel folle costume attrarranno<br />

Pablo Picasso che avrà buon gioco<br />

a inserirli nel codice cubista della<br />

sua pittura.<br />

Si diceva che Arlecchino appare<br />

nella commedia dell’arte come figura<br />

del servo, e non c’è servo se<br />

non in stretta relazione con il suo<br />

padrone, la figura del vecchio Pantalone,<br />

veneziano. Ha scritto in proposito<br />

Mario Apollonio: «Chi serve<br />

è in una condizione di inferiorità,<br />

mentre (e la contraddizione è profonda<br />

e sapiente) il padrone non<br />

può fare a meno di lui, per lo meno<br />

quanto egli non può fare a meno<br />

del padrone. L’uno e l’altro si dibattono<br />

in questa contraddizione e<br />

non ne sanno uscire, perché manca<br />

loro quell’agilità di adattamento<br />

che è necessaria alla vita sociale.<br />

Il vecchio è irrigidito in poche<br />

sentenze e in una costante regola<br />

di vita: avaro, brontolone, indurito<br />

nelle idee come nelle membra; il<br />

servo avrebbe dalla sua una naturalità<br />

più pronta perché irriflessiva,<br />

l’astuzia elementare ma efficace<br />

della gente primitiva, la mancanza<br />

di scrupoli; ma è menomato dal-<br />

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