Fitainforma - febbraio 2020
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ITICO<br />
l palcoscenico<br />
una barricata<br />
niti e infinitamente diversificati<br />
FOCUS<br />
sco naturalizzato austriaco Bertolt Brecht. Poeta e cantautore per<br />
diletto fin dall’adolescenza, egli pervenne a un ibrido di dramma<br />
grottesco, cabaret e teatro musicale percorso da una filosofia nichilista<br />
dell’esistenza. I suoi anti-eroi tentano disperatamente di<br />
ribellarsi al sistema finendo vittime dei propri sogni e aspirazioni.<br />
Seppellendo la figura dell’eroe romantico (si pensi alla fine ingloriosa<br />
del Baal datato 1923) e iniettando nella propria estetica dosi<br />
massicce di socialismo marxista, lo scrittore conferì alla sua drammaturgia<br />
più celebre, L’opera da tre soldi del 1928, uno spietato<br />
attacco alla società capitalista (ancor più oltranzista risultò, sei<br />
anni più tardi, il suo Romanzo da tre soldi che sfruttò lo stesso soggetto<br />
cavalcandone il favore del pubblico). In molti punti del testo,<br />
ambientato nella Londra vittoriana, i personaggi si rivolgono direttamente<br />
al pubblico, concretizzando così uno sfondamento della<br />
“quarta parete” e mettendo in pratica lo straniamento brecthiano<br />
in contrapposizione all’immedesimazione finora richiesta a teatro.<br />
Ciò pone un tassello imprescindibile per tutto il teatro politico a<br />
seguire e per il teatro di narrazione oggi sdoganato da personaggi<br />
noti quali Marco Paolini o Ascanio Celestini. Eppure già al tempo si<br />
palesò una situazione paradossale che tende a manifestarsi anche<br />
ai giorni nostri: L’opera da tre soldi doveva essere un lavoro a preciso<br />
appannaggio del proletariato che si dimostrò invece particolarmente<br />
freddo nell’accoglienzaa differenza della borghesia, che<br />
ne decretò il successo.<br />
Anche nel <strong>2020</strong> della crisi globale la partecipazione culturale a<br />
espressioni artistiche di dichiarata matrice politica non irretisce<br />
grandi numeri appartenenti alle classi disagiate, desiderose piuttosto<br />
di semplice svago e di un intrattenimento disimpegnato.<br />
Sono le classi più elevate, piuttosto, che, possedendo gli strumenti<br />
intellettuali per codificare i linguaggi di denuncia esposti sovente<br />
mediante escamotage e allegorie, possono fruire con maggiore<br />
Albert Camus (foto Robert Edwards)<br />
trasporto le opere di denuncia e critica sociale. A ciò si aggiunga il<br />
disinteresse quando non addirittura il fastidio, da parte del “proletariato”,<br />
nel veder esposta e “artisticizzata” la propria sofferenza.<br />
Con la seconda e terza rivoluzione industriale e l’avvento di fenomeni<br />
quali il sistema di fabbrica post-fordista andarono a modellarsi<br />
nuove maniere di intendere il lavoro. Le rivendicazioni sindacali<br />
innescate già a partire dai primi decenni dell’800 nella forma<br />
embrionale delle trade unions, presero una forma e una consapevolezza<br />
ben più consistente nella seconda metà del Novecento; la<br />
lotta di classe divenne così uno dei temi prediletti di certo teatro<br />
politico, che si propose lo scopo di sensibilizzare il proletariato raccontando<br />
le bassezze dei padroni, si trattasse della classe politica<br />
al governo o di altri depositari del cosiddetto “Potere”. Ogni nazione<br />
sviluppò perciò, facendo i conti con le specificità delle proprie<br />
tradizioni e della propria attualità, esempi di drammaturgia “impegnata”<br />
nell’ambito civile. In Italia una delle massime espressioni<br />
fu il premio Nobel per la Letteratura Dario Fo; in sinergia con<br />
l’attrice Franca Rame, per oltre sessant’anni egli scrisse e interpretò<br />
spettacoli passati alla storia quali Mistero buffo, Coppia aperta,<br />
quasi spalancata e Morte accidentale di un anarchico. Impiegando<br />
la farsa e, saltuariamente, un grammelot di derivazione giullaresca,<br />
la coppia Fo-Rame dipinse un ritratto dell’Italia acuto e mai<br />
accondiscendente, attirandosi le ire di certe fazioni politiche (so-<br />
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