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Fitainforma - febbraio 2020

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CULTURA<br />

E Gesù sguainò la spada<br />

In Jesus Christus Erloser un condensato della sua arte<br />

di Filippo Bordignon<br />

Se sono ben noti al grande pubblico,<br />

in Italia come all’estero,<br />

molti dei ruoli di “cattivo” interpretati<br />

dall’attore tedesco<br />

Klaus Kinski lungo una carriera<br />

durata quarantacinque anni, la<br />

sua avventura teatrale è meno<br />

nota ma in grado di rivelarci alcuni<br />

aspetti fondamentali del<br />

suo peculiare stile attoriale.<br />

Gli esordi furono, fresco di liberazione<br />

da due anni di prigionia<br />

al termine del secondo conflitto<br />

mondiale, in una piccola<br />

compagnia di Offenburg dove<br />

adottò il nome d’arte “Klaus<br />

Kinski”. Poco tempo dopo venne<br />

ingaggiato dal prestigioso<br />

Schlosspark-Theater di Berlino<br />

ma presto licenziato a causa<br />

del suo carattere instabile e collerico.<br />

Nel 1950 il tentativo di<br />

strangolamento di una donna<br />

gli aprì le porte dell’ospedale<br />

psichiatrico, dove gli fu riscontrata<br />

una seria psicopatia che lo<br />

condusse a un paio di falliti tentativi<br />

di suicidio. Nel ’55 divise<br />

per tre mesi un appartamento<br />

con la famiglia di Werner Herzog,<br />

tra i massimi registi del cinema<br />

tedesco moderno, allora<br />

poco meno che adolescente. I<br />

ricordi delle stranezze di Kinski<br />

verranno riportati da Herzog<br />

nel commovente documentario<br />

biografico del 1999 Kinski - il<br />

mio nemico più caro. L’anno successivo<br />

è a teatro con un ruolo<br />

nel Torquato Tasso di Goethe<br />

ma la sua instabilità gli precluse<br />

la stipula di un contratto, una<br />

costante che si ripeterà spesso<br />

in Germania e che lo porterà<br />

a trasferirsi a Vienna reinventandosi<br />

come monologhista.<br />

In queste vesti egli rileggerà<br />

in monologhi allucinati alcune<br />

opere in prosa e versi di Oscar<br />

Wilde, William Shakespeare e<br />

Francois Villon, imbarcandosi<br />

in turbolente tournée che<br />

toccarono l’Austria, la Svizzera<br />

e lo riportarono in Germania.<br />

La più significativa - oggi finalmente<br />

disponibile con discreti<br />

sottotitoli in italiano anche su<br />

YouTube - è il suo Jesus Christus<br />

Erloser (Gesù Cristo Salvatore)<br />

portato in scena con grande<br />

sdegno dell’opinione pubblica<br />

nel 1971. La pellicola diretta da<br />

Peter Geyer e presentata uffi-<br />

Attore cult dalla fama maledetta<br />

Nato il 18 ottobre 1925 a Sopot, nell’allora Città Libera di<br />

Danzica, Klaus Günter Karl Nakszynski si trasferì nel 1931 a<br />

Berlino insieme ai fratelli e ai genitori, il padre un ex cantante<br />

d’opera divenuto farmacista e la madre un’infermiera figlia<br />

d’un pastore religioso, in cerca d’una migliore condizione<br />

economica. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale<br />

venne ritenuto abile e, diciassettenne, spedito nei Paesi Bassi<br />

dove fu fatto prigioniero nel 1944 dagli inglesi. Rilasciato<br />

nel ’46 tornò a Berlino dove seppe della morte dei genitori.<br />

È in questo periodo che ha inizio la sua carriera teatrale con<br />

il nome d’arte di Klaus Kinski; il suo primo ruolo cinematografico<br />

arriverà due anni più tardi, una piccola parte nella<br />

pellicola Morituri diretta da Eugen York. Da allora in avanti<br />

saranno il grande e piccolo schermo i suoi “palchi” principali,<br />

grazie a una carriera altalenante densa di decine e decine di<br />

ruoli da caratterista in B movie così come in una serie di film<br />

d’autore che lo hanno reso, nel corso dei decenni, attore cult<br />

dalla fama maledetta. Egli compare in titoli oggi consegnati<br />

alla storia quali Il dottor Zivago di David Lean e Per qualche<br />

dollaro in più di Sergio Leone, finendo per partecipare in Italia<br />

a un numero imprecisato di spaghetti western ricoprendo<br />

il ruolo del reietto e dell’antagonista. Di ben altro spessore<br />

fu invece la collaborazione col regista tedesco Werner Herzog,<br />

che volle Kinski protagonista di alcune delle sue opere<br />

più memorabili come Nosferatu (rifacimento della pellicola<br />

omonima diretta cinquantasei anni prima dal genio di Friedrich<br />

Wilhelm Murnau), Woyzeck (dal capolavoro teatrale del<br />

drammaturgo Georg Büchner), Fitzcarraldo e Cobra verde. Il<br />

suo testamento artistico è una controversa pellicola sperimentale<br />

di cui è attore protagonista e regista, il Paganini del<br />

1989. Morì per un arresto cardiaco nel 1991 in California; al<br />

suo funerale prese parte solo uno dei suo tre figli: Nicolai. Le<br />

altre due figlie, Pola e l’attrice Nastassja, ebbero a descriverlo<br />

come un padre tirannico e imprevedibile.<br />

cialmente solo nel 2008, ritrae<br />

un’esibizione berlinese che ben<br />

riassume il disturbante carisma<br />

per cui era conosciuto l’attore.<br />

Il Gesù si svolge in un’imprecisata<br />

struttura coperta colmata<br />

da un variegato pubblico in cui<br />

è possibile distinguere hippy<br />

dell’ultima ora e un discreto<br />

dispiegamento di forze dell’ordine.<br />

Kinski sale sul palco agghindato<br />

secondo la moda del<br />

tempo: pantaloni di velluto blu<br />

aderenti sui fianchi e svolazzante<br />

camicia a pois bianchi e<br />

blu. I lunghi e liscissimi capelli<br />

incorniciano il viso di un quarantaseienne<br />

già scavato da<br />

una vita tormentata; gli occhi<br />

azzurri, pur sgranati e fissati<br />

apparentemente sulla videocamera,<br />

non tradiscono alcuna<br />

emozione o coinvolgimento. Il<br />

volto è rugoso, la pelle stanca è<br />

impietosamente solcata da accentuate<br />

rughe d’espressione.<br />

Il testo attacca definendo Gesù<br />

un “ricercato”, quasi si trattasse<br />

di un pistolero assassino sbucato<br />

da un western di serie B. La<br />

figura del Cristo viene disegnata<br />

come quella di un pericoloso<br />

rivoluzionario, alleatosi con gli<br />

emarginati della società e dunque,<br />

con una scelta drammaturgica<br />

che attualizza la vicenda,<br />

non solo con perseguitati,<br />

prostitute o mendicanti ma anche<br />

zingari, hippy, disoccupati,<br />

tossicodipendenti, comunisti e<br />

renitenti alla leva. Al pari di un<br />

qualsiasi senzatetto, del Cristo<br />

le autorità ignorano nazionalità<br />

e domicilio permanente e viene<br />

identificato dai suoi adepti con<br />

diversi nomi che vanificano il<br />

tentativo di stilarne un’identità<br />

univoca: è conosciuto infatti<br />

come “Figlio dell’uomo”, “Messaggero<br />

di pace”, “Luce del<br />

mondo” e “Salvatore”. L’atmosfera<br />

costruita dall’attore con<br />

una lentezza esasperante getta<br />

l’amo a un pubblico desideroso<br />

di partecipazione attiva e, dopo<br />

una manciata di minuti, cominciano<br />

a piovere le prime grida<br />

di protesta. Il monologo è così<br />

già divenuto happening grazie<br />

a un meccanismo elementare<br />

in cui ogni frase è pronunciata<br />

con una concentrazione assoluta;<br />

la parola (il Verbo?) è la sola<br />

protagonista del Jesus Christus<br />

Erloser. Alle spalle di Kinski nessuna<br />

scenografia, solo un buio<br />

totale che ammanta i gravi<br />

lineamenti dell’attore rendendolo<br />

una maschera grottesca e<br />

paurosa. Egli stringe l’asta del<br />

microfono al pari di un cantante<br />

rock suggerendo la grandiosità<br />

del Cristo come quella di un<br />

manipolatore di masse capace<br />

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