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Il Magazine dei Designer, Architetti, Ingegneri del Politecnico di Milano - Numero 0 - Autunno
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L’ECCELLENZA ITALIANA
DALLE BOTTEGHE
RINASCIMENTALI
ALLA STAMPA 3D
L’Italia, Milano e l’evoluzione del
design attraverso gli occhi di un Maestro
dell’architettura contemporanea
di Irene Zreick
©Carlo Lavatori
Alessandro Mendini si laurea in
Architettura al Politecnico di Milano
nel 1959. Nel 2006 il Poli gli
riconosce la laurea Honoris Causa
in Disegno Industriale. Tra i tanti
premi alla carriera che lo consacrano
come uno dei “geni” del ‘900
italiano anche lo European Prize
for Architecture. Sono solo alcuni
dei tanti successi e riconoscimenti
del grande architetto Polimi.
Un primo della classe, quindi?
“Nient’affatto”, risponde Alessandro.
“Uno dei momenti peggiori
della mia vita fu l’impatto col
Poli. Per ragioni famigliari, fin da
bambino ero destinato a fare l’ingegnere,
quindi mi iscrissi a ingegneria,
ma fu uno shock. Io lavoro
di psiche, non di oggettività…”
Dall’Atelier Mendini, lo studio di
Milano che condivide con il fratello
Francesco (anche lui Alumnus
Polimi), Alessandro ci racconta la
sua vita di studente e di professionista
con grande allegria. Cartina
del Campus Leonardo alla mano,
segue con il dito i primi passi dei
suoi anni al Poli: “Scappavo dalle
aule di Analisi per andare a sbirciare
gli studenti di Architettura
che disegnavano su quei bei tavoli
grandi, con i fogli bianchi, e
mi affascinava l’atmosfera anarchica
che si respirava. Gli studenti
di ingegneria, invece, erano
sempre così ingessati. Ci misi 6
mesi a convincermi che dovevo
cambiare facoltà, e altri 6 mesi
a convincermi a dirlo ai miei genitori.
Lo feci con una lettera di 5
pagine in cui motivavo la mia decisione.
Ma mi stavo preoccupando
inutilmente! Mi risposero: fai quello
che vuoi!”
Una volta trovata la tua vocazione,
la vita fu un pochino più facile?
Non proprio. Ho sempre vissuto
nella paura degli esami, soprattutto
quelli delle materie scientifiche.
Mi piaceva disegnare, ma non ero
sicuro che avrei fatto l’architetto:
più che progettare, volevo fare il
cartoonist. Ma Architettura era un
luogo interessante: ricordo Portaluppi,
un architetto geniale e sensibilissimo
ma poco democratico,
che presiedeva la facoltà come
un generale; e poi c’era Gio Ponti,
un vero sognatore, che veniva in
aula con le sue scarpe da tennis.
Oggi sembra una cosa normale,
ma all’epoca proprio non si usava!
Faceva delle lezioni poetico-inventive,
molto suggestive, e poi se ne
andava. L’altro grande personaggio
che ebbe influenza su di me
fu Rogers. Era un grande pensatore,
un filosofo. Aveva un detto:
“io non so disegnare”. Ed era vero,
se ci provava faceva degli sgorbi
terribili! Mi insegnò a pensare
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