Burri e Pistoia

Together with the photographs of the Big Iron, eight historic works
from the Gori Collection will be displayed alongside the Sack [Sacco,
1952] from the Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri as paradigmatic
examples of Burri’s art.
If the Sack, 1952, and Mold [Muffa, 1952] mark in “oracular” fashion the
beginning of Burri’s discourse on the poetics of material in the fifties,
both also determine its flagrant entry onto the scene of painting with
deferred but potent examples. The first, by showing all its phenomenological
experience of a leftover piece of furnishing. Run through
with darns, imponderable itineraries of threads and stitches that restore
and bring back to life a now unhoped-for integrity, the Sack is the
victorious banner of a strenuous struggle against a beauty that is too
often taken for granted and entrusted to the orderly arrangements of
a canonical painting. Disruptive and never previously considered examples
of a range of materials regarded as unserviceable, the humble
“sacking” and “mold” do not cease to send astonishing impulses that
have the power to ecstatically assail the individual perception.
Similarly, the composition Black [Nero, 1951] and the Combustion
[Combustione, 1957] from the same period mark the surface of the works
with images of equally dramatic disintegration of the material. In the
Combustion, the torch has consumed with its vigor the organic continuity
of the support, leaving only poor and dark ashes and noticeable
breaks in parts of the image to evoke its action. And no one could object
to the Black if it were to be pictured as the “de-composition” of a
figurality that is improbable because unimaginable. With a work like
this one of Burri’s it would have been possible to speak of “dark matter”
as far back as the middle of the fifties!
The vast expanse of Big Wood M. [Grande Legno M., 1958] has its spatiality
eaten into by the well-separated burns of the flame, like a combed
Zen garden in which islands of solitary stones sprout from the ground.
A masterpiece that could easily have stood alongside the ones that
will be on show in the exhibition at the Guggenheim scheduled for
October of this year if its delicate structure had not made it unsuitable
for such a long journey. But visitors will be able to enjoy it here.
quale retaggio esplicito e dialettico con l’opera di Burri, riconosciuto
maestro da tutti loro.
Insieme al Grande Ferro, le otto opere storiche della Collezione Gori
si dispiegano insieme con il Sacco, 1952, proveniente dalla Fondazione
Palazzo Albizzini Collezione Burri quale paradigmatica esemplarità
dell’arte di Burri.
Se il Sacco, 1952 e la Muffa, 1952 avviano in modo ‘oracolare’ il pronunciamento
di Burri che negli anni Cinquanta introduce l’ostensione
poetica della materia, entrambi ne determinano la flagrante entrata in
scena della pittura con differiti ma potenti esempi. Il primo, mostrando
tutto il suo vissuto fenomenologico di una suppellettile residuale.
Attraversato da rammendi, itinerari imponderabili di fili e cuciture che
ripristinano e rimettono in vita un’integrità ormai insperata, il Sacco
è il vessillo vincitore di una strenua lotta contro una bellezza troppo
spesso scontata e affidata a ordinate disposizioni di una pittura canonica.
Esempio dirompente e mai prima considerato di un repertorio di
materie ritenute inservibili, l’umile ‘sacco’, insieme alla ‘muffa’ non
cessano di inviare impulsi stupefacenti che hanno il potere di investire
estaticamente la percezione individuale.
Non diversamente, la composizione Nero, 1951 e la Combustione, 1957
nello stesso frangente segnano la superficie di quelle due opere con
immagini di analoga drammatica disgregazione della materia. Nella
Combustione, la fiamma ha consumato col suo vigore la continuità organica
del supporto considerato, lasciando a evocarne l’azione solo
povere ceneri oscure e interruzioni di parti sensibili dell’immagine. E
il Nero non avrebbe l’obiezione di alcuno se la immaginassimo anche
come “s-composizione” di una figuralità improbabile perché inimmaginabile.
Già con Burri si sarebbe potuto parlare da quella metà degli
anni Cinquanta di ‘materia oscura’ con un’opera come questa!
La vasta pagina del Grande Legno M., 1958 ha la spazialità intaccata dalle
distanziate ustioni del fuoco come un pettinato giardino Zen in cui
spuntano dalla terra isole di solitarie pietre. Un capolavoro che avrebbe
potuto ben figurare tra quelli che saranno in mostra al Guggenheim
nella mostra prevista per l’ottobre di quest’anno se la sua delicata strut-
30 31