Burri e Pistoia

BURRI AND THE PHOTOGRAPHER
aurelio amendola
BURRI E IL FOTOGRAFO
aurelio amendola
I met Burri in 1976 through the sculptor Pericle Fazzini, with whom
I was working in that period. It took a sort of “trick” to overcome his
initial mistrust, and this already says a great deal about his personality.
The fact of being able to legitimately present myself to everyone as
Marino Marini’s photographer was a wonderful passkey: it has opened
some very difficult doors for me, commencing with those of Andy
Warhol and Roy Lichtenstein, to mention just the first two names that
spring to mind. With Burri it didn’t work; notwithstanding the great admiration
he had for Marino, it was something that left him indifferent
and above all little inclined to get involved. So the initial contact was
needed and after it a whole set of other things, including of course my
professional skills, but not those alone. From that time until his death
our relationship grew ever closer, becoming in every respect a true and
deep friendship, one that went beyond the bounds of work. The fruits,
for me, have been immense, on the human as well as the professional
plane. It suffices to think of the photograph that has become the
emblem of Burri in the world, and that has contributed greatly to my
reputation, as much as have my photos of de Chirico in Venice or the
ones of Michelangelo’s works. But I think I can say without fear of contradiction
that it has at the same time done good service in promoting
his image and his art.
On the occasion of the tribute that my city is paying to this great artist,
however, I have no intention of going back over the various stages in
the twenty years of our association. I already did this three years ago,
at the time of an exhibition of mine in Nice devoted to the series of
Combustions. The exhibition was held at the gallery run by Antonio
Sapone, who had been Burri’s dealer in France, as well as that of fig-
Ho conosciuto Burri nel 1976 grazie allo scultore Pericle Fazzini, con il
quale stavo lavorando in quel periodo. Ci volle una specie di “tranello”
per vincere la diffidenza iniziale, e già questo la dice lunga sul personaggio.
Il fatto di potermi presentare legittimamente a chiunque come
il fotografo di Marino Marini era per me un passe-partout formidabile:
mi ha aperto, di tempo in tempo, le porte più difficili, a cominciare da
quelle di Andy Warhol e di Roy Lichtenstein, per limitarmi ai primi
due nomi che mi vengono in mente. Con Burri no; nonostante la grande
stima che aveva per Marino, era cosa che lo lasciava indifferente e
soprattutto poco propenso a farsi coinvolgere. Fu necessario l’aggancio
iniziale e poi un insieme di cose, a partire ovviamente dalle doti professionali,
ma non solo quelle. Da allora fino alla sua morte il rapporto
è sempre cresciuto, diventando a tutti gli effetti un’amicizia vera e profonda,
che prescindeva dai rapporti di lavoro. I frutti, per me, sono stati
immensi, tanto sul piano umano che su quello professionale. Basterebbe
pensare alla fotografia che è diventata il vero e proprio emblema
di Burri nel mondo, che ha dato a me una notorietà eccezionale, pari
a quella che ho avuto per la foto di de Chirico a Venezia o per quelle
di Michelangelo; ma credo di potere dire senza tema di smentita che
contemporaneamente ha reso un bel servizio alla diffusione della sua
immagine e della sua arte.
In occasione dell’omaggio a questo grande artista che si tiene nella mia
città, tuttavia, non ho intenzione di ripercorrere le diverse tappe che
hanno caratterizzato questi vent’anni di frequentazione. L’ho già fatto
tre anni fa, in occasione di una mia mostra a Nizza dedicata proprio alla
serie delle “Combustioni”. L’esposizione era organizzata dalla galleria
Sapone, che era per l’appunto il gallerista di Burri in Francia, ma lo
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