Burri e Pistoia
a cura di Bruno Corà
a cura di Bruno Corà
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Il giorno dell’inaugurazione<br />
del Grande Ferro Celle nel<br />
1986, in primo piano la moglie<br />
di Marino Marini, Mercedes<br />
Pedrazzini, detta Marina<br />
The day of the unveiling of<br />
the Celle Big Iron in 1986.<br />
In the foreground, Marino<br />
Marini’s wife, Mercedes<br />
Pedrazzini, called Marina<br />
work of such importance would also have<br />
solved the environmental problem by upgrading<br />
the place.<br />
Who could be better than my friend <strong>Burri</strong> for<br />
such a project, in view too of the artist’s international<br />
prestige? After agreeing to the proposal,<br />
and designing the bed on which the sculpture<br />
was to stand, he set to work on the Celle Big<br />
Iron [Grande Ferro Celle]. This required solving<br />
a series of major problems, above all that<br />
of road safety. The work, installed in 1986, is<br />
composed of two superimposed triangles from<br />
which run steel blades that form three large<br />
ogives. Despite its imposing size (5.25 m high<br />
and 34 m in diameter), it is completely transparent<br />
so as not to block the view of anyone<br />
driving around the nearby bend in the road,<br />
from either direction.<br />
riconosciuta come la più grande opera di Land Art del mondo.<br />
Il desiderio di ritornare a Gibellina si faceva sempre più pressante fino<br />
a quando nel marzo del 1996, ho potuto coinvolgere una trentina di<br />
amici, perlopiù architetti, ingegneri e cultori d’arte. Noleggiato un pullman<br />
siamo partiti alla volta di Gibellina. Giunti in prossimità, con un<br />
cielo gravido di turbolenze, nel corso di una fermata tecnica rivendicata<br />
dagli amici abbiamo potuto assistere a una scena a dir poco trascendente,<br />
le minacciose nuvole hanno dato spazio all’uscita del sole i cui<br />
raggi sono andati a illuminare soltanto il Grande Cretto, lasciandoci tutti<br />
quanti più che allibiti.<br />
Una volta raggiunta la possente opera un’altra suggestiva sorpresa ci<br />
ripagava della stanchezza del lungo viaggio. Infatti le strade del cretto,<br />
profonde circa 160 cm., rivelavano scene deliranti alla vista di alcune<br />
persone che si spostavano nell’opera mostrando soltanto le proprie teste<br />
in movimento, affioranti dalle fosse stradali.<br />
Nel corso del viaggio di ritorno ogni partecipante ha fatto le sue<br />
considerazioni, talune veramente opportune, come quell’amico che<br />
ha declamato quasi per intero Il primo Canto dell’Inferno dantesco,<br />
con enfasi su una terzina che sembrava richiamare l’emozione ricevuta<br />
dal Grande Cretto: Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva<br />
selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinnova la paura!<br />
Alcune magiche foto scattate nell’occasione, purtroppo, sembrano essere<br />
state inghiottite dall’archivio di Celle.<br />
GRANDE FERRO CELLE – Fin dall’inizio degli anni Ottanta ho ritenuto<br />
necessaria la realizzazione di un’opera che, oltre a rappresentare<br />
il simbolo della collezione d’Arte Ambientale di Celle, divenisse anche<br />
il punto di riferimento del luogo di accesso per i visitatori. All’epoca<br />
la strada pubblica, in fronte al cancello della Fattoria di Celle, era un<br />
ricettacolo di ogni genere di sporcizie, rifiuti gettati perlopiù nottetempo<br />
da ignoti in una specie di grande voragine sul cui fondo scorreva un<br />
piccolo corso d’acqua. La collocazione di un’opera di tale importanza<br />
avrebbe quindi risolto anche il problema ecologico riqualificando il<br />
luogo.<br />
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