6 NEL MONDO NASA/JPL-Caltech NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS 70
Può creare un po’ <strong>di</strong> confusione… anche se oggi è molto più facile, non servono più calendari e orologi, abbiamo le app che sincronizzano tutte le operazioni». Questi primi mesi <strong>di</strong> missione vengono detti <strong>di</strong> “commissioning”. Servono per valutare che il rover funzioni bene nell’ambiente, prima <strong>di</strong> iniziare la missione <strong>di</strong> esplorazione vera e propria. «Ogni sera, prima <strong>di</strong> andare a dormire, Perseverance ci manda tutti i dati relativi alle attività della giornata. Mentre lui dorme, noi analizziamo questi dati e gli <strong>di</strong>amo la sequenza <strong>di</strong> cose che fare per il giorno dopo». Questi dati vengono inviati a Terra attraverso la Deep Space Network, l’unico sistema al mondo che permetta <strong>di</strong> ricevere informazioni e controllare gli spacecrafts oltre l’orbita lunare. È costituita da 3 gran<strong>di</strong> antenne dal <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 70 m che si trovano in Australia, in Spagna e in California, in modo da fornire sempre un punto attracco per i dati che vengono inviati in<strong>di</strong>pendentemente dalla posizione relativa alla Terra. I dati convergono a NASA-JPL CalTech, che controlla la Deep Space Network. «Perseverance è atterrato in un cratere che si chiama Jezero, che sembra essere un antico lago. Sul bordo del cratere c’è un delta che pare proprio essere la foce <strong>di</strong> un fiume. Alla fine della fase <strong>di</strong> commissioning, per i successivi 2 anni terrestri, Perseverance realizzerà la sua missione esplorativa vera e propria, che consiste nel risalire il letto <strong>di</strong> questo fiume. E poi… chissà!». Ma non è solo il futuro lontano a nascondere incognite. «Tutti i giorni affronto problemi che non so come risolvere e che nessuno ha mai risolto prima: non esistono libri <strong>di</strong> testo. Il motto <strong>di</strong> NASA-JPL CalTech è “Dare Mighty Things”, cioè “osate cose gran<strong>di</strong>”. È il nostro approccio alle sfide, ma è un approccio che ha ra<strong>di</strong>ci molto umane: noi siamo esploratori, dobbiamo lanciare, dobbiamo andare dove nessuno è mai andato, dobbiamo andare, conoscere, esplorare. Lavoriamo a problemi che nessuno ha mai risolto e il punto è che noi dobbiamo risolverli. Dobbiamo trovare una soluzione e <strong>di</strong>mostrare che è robusta e affidabile, che funziona anche se le circostanze cambiano». A NASA- JPL CalTech lavorano circa 6.000 persone <strong>di</strong>vise in due gran<strong>di</strong> aree, una che si occupa <strong>di</strong> ricerca pura, l’altra <strong>di</strong> flight projects, come Perseverance, Curiosity, Cassini–Huygens e molti altri. «Io seguo progetti <strong>di</strong> volo», racconta Dolci, «ed è un ambiente molto <strong>di</strong>namico, eccitante, febbrile perché bisogna lanciare. BISOGNA LANCIARE!!! Tutto quello che facciamo è per poter lanciare. D’altra parte, per poter lanciare, dobbiamo <strong>di</strong>mostrare che quello che noi pensiamo sia giusto. È sempre una sfida e la affrontiamo con una buona dose <strong>di</strong> paranoia ingegneristica, ponendoci in maniera critica rispetto al problema, col desiderio <strong>di</strong> imparare e fare sempre meglio. Può esserci tanta tensione nei momenti più delicati, come i test che devono validare i modelli o, naturalmente, come l’atterraggio <strong>di</strong> un rover, ma li affrontiamo con la fiducia nei colleghi, che hanno fatto del loro meglio, e in un sistema <strong>di</strong> revisioni e assistenza che aiuta a minimizzare gli errori. Anche nei momenti in cui io non sono coinvolto <strong>di</strong>rettamente, come l’atterraggio appunto, so che i miei colleghi stanno sul problema esattamente come farei io». Ma da dove è partito il lancio <strong>di</strong> Marco Dolci verso quest’avventura spaziale? Dolci si laurea in fisica all’Università Statale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (sia laurea triennale che magistrale). Dopo<strong>di</strong>ché gli offrono la possibilità <strong>di</strong> fare un dottorato in astrofisica. «Ma io ho sempre avuto il desiderio <strong>di</strong> un’unità <strong>di</strong> conoscenza tra scienza e tecnologia in ambito spaziale, così ho deciso <strong>di</strong> iscrivermi al <strong>Politecnico</strong> <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> per prendere un’altra laurea magistrale in Ingegneria Spaziale», racconta. «Proprio in quel periodo partecipai a un concorso per studenti <strong>di</strong> ingegneria e fisica italiani, sponsorizzato da ASI e ISSNAF. Il premio era andare 2 mesi in un centro <strong>di</strong> ricerca nordamericano a scelta. Lo vinsi. Volevo andare a NASA-JPL CalTech. Non sapevo niente, non sapevo neanche dove fosse, era in California ma per me poteva essere in cima a un ghiacciaio dell’Alaska: io volevo andare lì perché è il centro mon<strong>di</strong>ale leader dell’esplorazione robotica del sistema solare e quin<strong>di</strong> dell’intero universo. Ci rimasi un annetto, non due mesi, lavorando a missioni <strong>di</strong> astrofisica <strong>di</strong> piccola e me<strong>di</strong>a stazza. Quando tornai in Italia, dopo la laurea al <strong>Politecnico</strong> <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, iniziai un dottorato a Torino. Appena ho potuto, sono tornato a NASA-JPL CalTech e dopo intensi colloqui sono stato assunto. Tutto quello che ho fatto mi è servito per arrivare dove sono oggi. Quello che mi colpisce molto dell’approccio italiano, e in particolare del <strong>Politecnico</strong> <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, è questa visione <strong>di</strong> ingegneria <strong>di</strong> sistema. Ingegneria Spaziale è un’ingegneria <strong>di</strong> sistema, che prende il sistema spaziale e lo decompone dei vari sotto-sistemi. Ogni insegnamento è un approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> un sotto-sistema e questo permette <strong>di</strong> avere una conoscenza globale molto approfon<strong>di</strong>ta e considerare il sistema nella sua interezza. L’approccio matematico che ho è dovuto agli stu<strong>di</strong> fisici, ma io mi considero prima <strong>di</strong> tutto un ingegnere <strong>di</strong> sistemi: la mia vera natura è quella <strong>di</strong> essere un ingegnere che guarda al sistema nella sua interezza e cerca <strong>di</strong> ottimizzarlo». MARCO DOLCI NASA-JPL Caltech Robotics Systems Engineer Alumnus Ingegneria Spaziale NASA/JPL-Caltech 71