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Storia della famiglia del capitano Carresi Di Franco Caratozzolo

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La <strong>famiglia</strong> Patamia di Bagnara; Gentile; Albonico; Purrone; Alessio Pasquale; Alessio Antonino;<br />

Auteri; Longo; La Capria, Costa e lo stesso <strong>capitano</strong> <strong>Carresi</strong> Francesco socio per vari carati.<br />

L’infrastruttura marinara era utilizzata soprattutto per esportare botti di olio. A seguire legname,<br />

granaglie, carbone, botti di vino ecc. o per importare merci per i grossi commercianti campani o<br />

pugliesi o siciliani: Achille Normanno, S.re Proto, Matteo Anastasio, Aloia, Corvo, Gambar<strong><strong>del</strong>la</strong>,<br />

Gargano, Pisani, Vissicchio, che rivendevano a tutta la piana.<br />

Tra la fine <strong>del</strong> XIX secolo e fino alla prima guerra mondiale, su stime fatte dai giornali <strong>del</strong> tempo<br />

(Il tartarin) si fermavano, per carico o scarico, nella rada, oltre 500 velieri all’anno, senza contare i<br />

piroscafi ed i legni locali di piccola stazza. Un movimento ben più importante che Reggio o Vibo<br />

(allora Monteleone):<br />

“Ci fosse stato un semplice pontile d’approdo, l’attività si sarebbe raddoppiata”. Questo pensava<br />

il <strong>capitano</strong> <strong>Carresi</strong> quando dal suo veliero osservava quel movimento di navi e genti.<br />

Fosse vissuto qualche anno ancora il suo sogno l’avrebbe visto realizzato nel 1950, quando non<br />

serviva più a nessuno. Esiste a questo proposito un nutrito carteggio fra la camera di commercio di<br />

Reggio Calabria ed il ministero dei lavori pubblici fin dal 1874, dove si “pietiva” la costruzione di un<br />

pontile d’approdo e, se i costi fossero troppo alti, almeno due boe d’ormeggio.<br />

Ma i politici reggini riuscirono a far costruire il porto a Reggio Calabria e non un misero pontile<br />

d’approdo a Gioia Tauro, centro di grandi attività economiche al servizio <strong>del</strong>l’intera provincia.<br />

Ancora una volta si era persa l’occasione buona per decollare. A dimostrazione <strong><strong>del</strong>la</strong> notevole<br />

attività economica <strong>del</strong>l’area si annotava presso la camera di commercio di Reggio che le<br />

falegnamerie gioiesi riuscivano a sfornare 18 mila botti all’anno di media.<br />

Quell’anno l’armatore La Capria riarmò il veliero “Nuova Antonietta” affidandone il comando al<br />

<strong>Carresi</strong>. Nel settore marinaro, allora, non esistevano contratti di lavoro: il rapporto si stipulava<br />

personalmente (per la verità era così in tutti i settori economici): si faceva la proposta,<br />

l’accettazione, una stretta di mano e il contratto era fatto, salvo il passaggio presso l’unico ente<br />

pubblico che c’entrava al momento, la capitaneria di porto per il timbro sul libretto di navigazione.<br />

<strong>Carresi</strong> effettuava viaggi da Gioia Tauro a Salerno o ad Amalfi. E da uomo attivo e forte qual’era, al<br />

ritorno, si concedeva alle gioie <strong>del</strong>l’amore. La coppia pensò che fosse sicura dai rischi di una nuova<br />

gravidanza. Ma, come è il detto “tanto tuonò che piovve!” un bel giorno Felicia telegrafò al marito<br />

annunziandogli la nuova gravidanza.<br />

“Perdinci!” ‐ esclamò il <strong>capitano</strong> stupito ‐ “Signore ti ringrazio per questo, ma … spero che non si<br />

tratti di un'altra femmina! In ogni caso dove mangiano sei mangeranno sette.” Come se il buon <strong>Di</strong>o<br />

avesse sentito la sua preghiera, Felicia partorì un maschietto. Il parto fu felice, ma il piccolo<br />

nacque gracile ed era sempre malaticcio e prima che fosse battezzato fu colpito da paralisi al<br />

braccio sinistro: rischiò di morire. Il <strong>capitano</strong> informato continuamente dalla figlia Carmela si<br />

struggeva da morirne.. Nei momenti più bui, quando il mondo sembrava gli crollasse addosso,<br />

<strong>Carresi</strong> alzava gli occhi al cielo e si affidava alle misericordiose braccia di Gesù. Si recava in una<br />

qualunque chiesa e pregava. Quel giorno mentre vagava a Napoli in preda allo sconforto, entrò in<br />

una chiesa, bagnò le dita nell’acquasantiera e girando gli occhi si trovò davanti alla statua di S.Ciro.<br />

S’inginocchiò e pregò:<br />

“S.Ciro, tu che stai al cospetto <strong>del</strong> creatore, ti prego intercedi tu per il mio piccino, che possa<br />

salvarsi. Ascolta questo misero peccatore avvilito …….. io ti prometto: se la tua intercessione lo<br />

salverà lo battezzerò chiamandolo in tuo onore Ciro!” Il bambino si salvò. Dopo la conferma di<br />

Carmela, il <strong>capitano</strong> telegrafò ordinando di chiamarlo Ciro.<br />

Durante il periodo estivo, ad ogni viaggio che il <strong>capitano</strong> compiva verso la Campania o la Sicilia,<br />

portava con se a turno, una <strong>del</strong>le figlie. Le ragazze a bordo osservavano con curiosità e meraviglia<br />

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