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Storia della famiglia del capitano Carresi Di Franco Caratozzolo

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Francesco partiva col suo inseparabile amico Peppe u burdinu e rientrava con i bandi <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

ferrovia.<br />

Quando scoppiò la guerra e l’Italia aveva annunciato il suo ingresso nella contesa il 24 maggio<br />

1915, il Capitano <strong>Carresi</strong> aveva lasciato la rotta Amantea‐Salerno ed il comando <strong>del</strong> piroscafo<br />

“Tirreno”. Fece qualche viaggetto con compagnie locali: prima col piroscafo “Pietro Micca”; poi<br />

con la Rosina Barone goletta a due alberi,per viaggi fra Messina, Palermo, Napoli.<br />

Nel pieno <strong><strong>del</strong>la</strong> guerra fu chiamato al comando <strong>del</strong> piroscafo “Storione”; poi il Genio Marina di<br />

Taranto gli affidò il comando <strong>del</strong> rimorchiatore “<strong>Di</strong>ana”, viaggi: Crotone‐Taranto.<br />

Ma Gioia, come affrontò l’evento <strong><strong>del</strong>la</strong> guerra? Niente di straordinario. Come tutti i paesi italiani.<br />

La gente bene era favorevole all’intervento armato, considerandola una “guerra d’indipendenza”:<br />

ma consideravano che a combatterla fossero gli altri. I poveri non avevano né potere d’ evitare che<br />

la guerra si facesse, né il potere di evitare che la guerra la combattessero loro stessi; la piccola e<br />

media borghesia artigiana locale (la gran maggioranza) professionale, marinara era favorevole<br />

all’intervento perché pensavano che avrebbe incrementato l’ attività economica e la crescita dei<br />

noli; i socialisti (che a Gioia erano pochini) erano, in campo nazionale, schierati contro l’intervento,<br />

perché a morire ci andava la sua base elettorale; i cattolici contro, per quella visione universale<br />

<strong>del</strong>l’amore di <strong>Di</strong>o e <strong>del</strong> prossimo. La grande borghesia agraria, industriale; i papaveri militari erano<br />

favorevoli. Ed avendo, costoro, il potere politico in mano dichiararono guerra all’impero austro‐<br />

ungarico.<br />

Mico il fornaio vendeva pane, ed ascoltava il padrone marittimo Gentile, sostenitore <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

liberazione <strong>del</strong> Trentino da:<br />

“Quei senza <strong>Di</strong>o degli austriaci. Quello è territorio italiano e devono restituirlo agli italiani.”<br />

“Come, padre Vincenzo, i governanti si ricordano dopo 50 anni che il Trentino è italiano? Prima<br />

fanno i balli assieme, poi, si ricordano dei trentini e dichiarano guerra a questi senza <strong>Di</strong>o, come<br />

dite voi, e sono cattolichi come noi!”<br />

“Ma quali balli assieme? E’ la politica questa … e noi non la possiamo capire! A mio figlio lo farò<br />

arruolare, se vuole, e chi ha fegato lo faccia!”.<br />

“Padre Vincenzo, c’è la leva obbligatoria! Lo chiamano per forza, come chiameranno mio figlio<br />

Gaetano !”<br />

A volte la discussione si accendeva in piazza: era un caos incredibile, ognuno diceva la sua, che,<br />

poi, era la stessa cosa; ma ognuno voleva il primato di averla detta prima degli altri !<br />

Mico il fornaio s’incavolava di brutto quando si sosteneva da più parti che con la guerra ci<br />

sarebbero stati affari per tutti.<br />

“Testoni, possibile che a nessuno di voi viene in mente che la guerra uno la può perdere ? Allora<br />

che cazzo ci guadagni? Anzi‐ tuonava Mico ‐ fateli partire subito i vostri figli prima che finisca!<br />

Tanto chi ci lascia la pelle sono sempre i poveracci! Mentre i ricchi hanno tutti i mezzi per non fare<br />

il soldato oppure stanno al comando !”.<br />

Mico si accalorava sempre, per carattere a dire la verità, ma diceva grandi verità, mentre infilava la<br />

lunga pala dentro la larga bocca <strong>del</strong> forno, per estrarne il pane caldo, caldo, sudato e con la farina<br />

sulla sua faccia che formava una colla speciale.<br />

Anche suo figlio Giuseppe, gran lavoratore, che aveva scelto il lavoro <strong>del</strong> padre e non il marinaio,<br />

cercava di calmarlo, con quella faccia da bravo ragazzo; un faccione tondo e le labbra grosse,<br />

capelli biondi confusi con il bianco <strong><strong>del</strong>la</strong> farina, che gli davano un’ aria seria, fidanzato con una<br />

ragazza <strong>del</strong> luogo detta “sturni”:<br />

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