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Storia della famiglia del capitano Carresi Di Franco Caratozzolo

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L’emporio di Don Achille era allocato nel centro storico <strong><strong>del</strong>la</strong> città, di fianco al municipio e di fronte<br />

alla chiesa madre. In quello stesso palazzo, che fu la residenza di uno dei sindaci di Gioia Tauro, il<br />

Cav. Baldari, vi era anche allocata la caserma dei reali carabinieri (cambiarono sede in quegli anni).<br />

La chiesa era piccola, misurava appena 9,24 m x 18,48m ed un altezza di 6m, e per un paese che<br />

cresceva a vista d’occhio sia in estensione che in abitanti, non riusciva a contenere la quantità dei<br />

fe<strong>del</strong>i, il cui sentimento religioso, allora, era molto più sentito. Cosicché la curia vescovile di<br />

Mileto, da cui dipendeva Gioia, provvide a far costruire una chiesetta nel rione ferrovieri, che<br />

proprio allora, per la presenza <strong><strong>del</strong>la</strong> ferrovia, aveva incrementato il numero dei locali. La stessa<br />

decisione non fu presa per il quartiere <strong><strong>del</strong>la</strong> Marina: iniziata verso la fine <strong>del</strong> XIX° sec., venne<br />

interrotta per mancanza di mezzi finanziari. Fu completata verso il 1915 in legno.<br />

La vita civile <strong><strong>del</strong>la</strong> cittadina, si svolgeva nella citta<strong><strong>del</strong>la</strong> o “piano <strong>del</strong>le fosse”. Le signorine<br />

chiedevano perché la citta<strong><strong>del</strong>la</strong> si chiamasse in modo così contraddittorio. Il Capitano,<br />

pazientemente, spiegava loro che la città era nata su questo cucuzzolo, come si vede dalla marina,<br />

ma era pieno di cunicoli o fosse, dove gli abitanti, al tempo dei saraceni nascondevano le ragazze o<br />

la roba da mangiare.<br />

Un giorno mentre la famigliola (di solito le ragazze da marito) si trovavano in via commercio<br />

assieme al loro papà assistettero ad un a scena particolare: un uomo guidava un carrozzino con un<br />

cavallo bianco; era grande e grosso il conduttore, con un grosso paio di baffoni, pantaloni di<br />

velluto scuri e una giacca chiara con una paglietta sulla testa. Le sorelle notavano la deferenza con<br />

cui le persone lo salutavano, qualcuno addirittura saliva sul carrozzino e gli baciava la mano come<br />

fosse il papa o il re.<br />

“Padre chi è quell’uomo ?”<br />

“Uno che è meglio non conoscere.”<br />

“Ma perché gli baciano la mano ?”<br />

“Perché la gente ha paura di lui: è un poco di buono, un <strong>del</strong>inquente, figlio <strong>del</strong> diavolo !”<br />

A quelle parole le sorelle si segnavano con il segno <strong><strong>del</strong>la</strong> croce.<br />

Stava intanto per finire uno dei periodi più pacifici per l’Europa … il primo segnale fu la guerra<br />

italo‐turca. Sull’onda <strong>del</strong>le altre potenze europee, anche l’Italia cercava il suo posto al sole. La<br />

giustificazione gliela fornì la Francia, che aveva posto il protettorato sul Marocco. Così Giolitti<br />

occupò la Libia e al canto di “Tripoli bel suol d’amore …” l’annesse alla scadenza <strong>del</strong>l’ultimatum al<br />

sultano di Costantinopoli. Dopo poche scaramucce, la Turchia sia arrese e l’Italia occupò le isole<br />

<strong>del</strong> Dodecanneso, così chiamate perché erano dodici, poste al largo <strong><strong>del</strong>la</strong> Turchia. Isole montuose<br />

e brulle, un paesaggio carsico. Qui si viveva di pesca, agricoltura, allevamenti di ovini.<br />

Gli equilibri europei si stavano rompendo.<br />

Dopo qualche giorno <strong>Carresi</strong> partì al comando di un vapore, il piroscafo “Tirreno”, invece che per<br />

Taranto. Era una nave che faceva spola tra Amantea e Salerno, adibita al trasporto sia di merci<br />

varie, sia passeggeri.<br />

Dopo aver salutato gli amici più cari, i Gambar<strong><strong>del</strong>la</strong>, Normanno ed altri commercianti, s’imbarcò<br />

sul treno e ad Amantea prese il comando <strong>del</strong> piroscafo Tirreno.<br />

Il 1912 fu un anno pieno e denso di avvenimenti per la <strong>famiglia</strong> <strong>del</strong> Capitano. Fortunata e<br />

Francesco non si erano dimenticati l’uno <strong>del</strong>l’altro. Un bel giorno Francesco inviò una lettera<br />

all’amata ragazza. La lettera la invitava a rompere gli indugi ed a fuggire con lui, se, ancora lo<br />

amava. Fortunata accettò senza pensarci due volte. Fuggirono lasciando alle rispettive famiglie<br />

una lettera dove spiegavano il loro gesto.<br />

Felicia quando lesse la lettera cominciò a strillare come un’ossessa:<br />

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