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Storia della famiglia del capitano Carresi Di Franco Caratozzolo

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Ma prima di partire <strong>Carresi</strong> chiamò in disparte Gaetano e gli chiese di stare attento a Rocco che<br />

ultimamente si comportava stranamente. Gaetano fece strada espatriando regolarmente, gli altri<br />

abusivamente.<br />

Il fascismo si presentò alla gran massa come il “nuovo”, come gli “aggiustatorti” capace di metter<br />

le briglie ai sindacati rossi, metter all’angolo gli imbelli liberali ormai marciti nel loro stesso brodo<br />

ed i cattolici piagnoni.<br />

Anche Gioia Tauro rispose alla chiamata di quello che sembrava il “nuovo”. Il fascio a Gioia fu<br />

costituito tra il 1919 e il 1920. Il fondatore fu Filippo Surace che trovò soci e sostenitori in un<br />

gruppo di ex combattenti, di studenti, artigiani: Vincenzo Chiappalone, Rocco Magazzù, Giuseppe<br />

Agresta, Carmelo Genovese, Antonino Caprì, Gaetano Tomaselli, Giuseppe Ardissone, Saverio<br />

Bagalà, Francesco Fe<strong>del</strong>e, Salvatore Cavallaro, Gaetano Capri.Cui s’aggiunsero, qualche anno dopo,<br />

il Padrone Marittimo Giuseppe Vinci, Giuseppe Arlacchi, Domenico Labate. Il Surace fu il primo<br />

segretario politico <strong>del</strong> fascio gioiese ed una squadra d’azione formata dai primi aderenti, che,<br />

partecipò alla grande adunata di Napoli <strong>del</strong> 1922. I fascisti gioiesi ebbero modo di farsi notare in<br />

azione, quando manganellavano i “disfattisti socialisti” o i decadenti “liberali” o i “dormienti<br />

cattolici” o chiunque fosse loro contrario. Se non omicidi, come riportò la cronaca allora. In quegli<br />

anni le classi più abbienti, passavano le domeniche e le feste comandate, presso i circoli privati.<br />

Qui si incontravano amici, conoscenti, pensionati, giovani, a fare qualche partita a carte o a<br />

sorseggiare qualche bibita fra una battuta e l’altra o a osservare le carrozze passare o a “tagliare<br />

cappotti” su misura. Non scampava nessuno. Uno di questi circoli era chiamato “Stesicoro”.<br />

Il 13 dicembre 1924 ad un angolo <strong>del</strong> salone interno stavano giocando a briscola quattro amici:<br />

Vittorio La Capria, Rocco Zappia, Vincenzo Agresta e Totò Lo Presti. Questi giovani avevano in<br />

comune l’età, la voglia di vivere ed erano socialisti. Stavano ridendo e scherzando mentre<br />

giocavano. Ad un certo punto arrivarono alcuni fascisti, tra cui il noto Vincenzo Chiappalone. I<br />

quattro amici appena li videro si scambiarono un’occhiata d’intesa. Lo stesso fecero i fascisti. Il<br />

Chiappalone fanatico e provocatore, anche nella vita normale, apostrofò il gestore:<br />

“Ora pure i disfattisti trovano asilo in questo locale ! Allora vuol dire che non dobbiamo entrare<br />

noi, è vero Pietro ?” naturalmente il gestore <strong>del</strong> circolo, rispose timidamente:<br />

“No, è un locale per soci … e loro sono dei soci, come lo siete voi …!” e i fascisti:<br />

“Se ci sono vermi qui, non ci saremo noi !” e il La Capria abboccò:<br />

“E noi non stiamo con i topi di fogna, andate ad armare cricche, magari in dieci assalire uno solo !”<br />

Apriti cielo ! Tra gridate di topi di fogna, vermi, si presero a botte. Fu qui che il fanatico<br />

Chiappalone, avendo la peggio, estrasse una pistola, sparò ed uccise il La Capria, lo Zappia e ferito<br />

Agresta. Un’altra volta fecero allontanare dal podio l’oratore socialista On.Cefalì che doveva<br />

tenere un comizio per le elezioni. Il loro motto era questo: violenza su violenza in nome di una<br />

intolleranza becera ed un nazionalismo da quattro soldi. Il Capitano ancora lucido, capiva quanto<br />

stava accadendo, in maniera tragica, in tutta Italia, ed alzando gli occhi al cielo pregava: “Signore<br />

indica tu la strada migliore per tutti !”. Poi andava alla ricerca di nuovi clienti a cui vendere le<br />

singer. Il piccolo Ciro intanto prendeva lezioni di musica presso un maestro al piano <strong>del</strong>le fosse.<br />

Da qualche tempo il Capitano, presso il suo amico Normanno, aveva conosciuto il generale Adolfo<br />

Musco, consigliere <strong>del</strong> Banco di Napoli, sposato con la nobile Serra‐Cardinale. Questa <strong>famiglia</strong> di<br />

grandi latifondisti, aveva lungo la strada Salerno‐Reggio, nell’area di Vallamena, un mulino. Qui vi<br />

aveva costruito una centrale elettrica, da cui partivano le linee aree che alimentavano la pubblica<br />

illuminazione. La turbina era mossa dall’acqua <strong>del</strong> fiume Bu<strong>del</strong>lo. Alla turbina vi era coassialmente<br />

collegata una dinamo, che forniva energia elettrica a C.C, necessaria alla illuminazione di uffici,<br />

piazze o qualche via importante. Il comune pagava al Musco 2.000 lit. annue per lampade da 16<br />

can<strong>del</strong>e, o, se si preferiva pagamento a contatore. La distribuzione, pali, cavi, fu data in appalto<br />

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