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PRIMALINEA ITALIA IN SALDO?fino a 60/70 miliardi per poi trattarecon le banche». Qualora una simile letturadovesse incontrare riscontri, significherebbeil riemergere di antichi vizidel capitalismo all’italiana. Ma il condizionaleè d’obbligo. L’unico rilievo sollevatoda Zanetti riguarda il fatto che, nelcaso di Telecom, trattandosi di un’aziendadi interesse pubblico «lo Stato dovrebbeintervenire, ponendo regole e paletti».Un altro imprenditore che guardacon favore all’ingresso di capitali stranierinelle aziende italiane è Alberto Bertone,presidente e amministratore delegatodi Acqua Sant’Anna di Vinadio: «Nonè certo un bene in sé che queste aziendevengano vendute agli stranieri, ma èforse il male minore», dichiara a Tempi.Il problema con Telecom e Telefónica «èche ci sarà una sovrapposizione di risorsee strutture che potrebbe portare a deitagli al personale in Italia». Ma il mercatointernazionale è «un mercato in cuibisogna essere snelli, flessibili, veloci percombattere. È quello che ci è mancatoprima. Ormai è inevitabile».Gli errori politiciPer Bertone l’ostacolo maggiore al cambiamentodi Telecom e Alitalia è statorappresentato dalla «gestione politica,più che quella economico-finanziaria.Abbiamo visto alternarsi alla guida diqueste aziende profili di colore politico,più che manager scelti per meriti e capacità.C’è stato un susseguirsi di amministratoriil cui obiettivo era la sopravvivenzae non l’ottimizzazione, la crescita,l’investimento». Lo ha sostenuto ancheEnzo Pontarollo, anch’egli docente dellaCattolica di Milano, in una recente intervistaad Avvenire: «La privatizzazione diTelecom è stata fatta male, ma i dannipiù gravi per l’azienda sono arrivati sottola guida di Roberto Colaninno e MarcoTronchetti Provera. È in quegli anniche si scarica il debito sul gruppo telefonico,iniziando a vendere le partecipazioniall’estero». Il problema, nota GianmariaMartini, professore di Organizzazioneindustriale all’Università di Bergamo,non è costituito tanto dal fattodi avere venduto partecipazioni all’estero,quanto piuttosto dal fatto che «chi hagestito quelle privatizzazioni lo ha fattosenza grande successo». Forse perché,«non avendo grande esperienza di management,ha spinto sulla leva del debitoin modo troppo aggressivo». Così «laquota di mercato Telecom si è erosa e lasocietà non è riuscita a fare passi avanti.SPESSo i PASSAGGI di PRoPRIEtà vALoRIzzANo LE azIENde:Gucci, con LouIS Vuitton, ha RISoLLEvato LA PELLEttERIAtoscANA; Audi e VolkswAGEN RIvitALIzzato LA DucatiAnzi, in questi anni ne ha fatti addiritturaindietro».Oltre agli utenti del servizio, a pagareil prezzo di questa sconsiderata gestionemanageriale sono, ora come allora, icomuni azionisti, da sempre esclusi adarte dalla catena di comando, saldamentein mano ai «capitani di sventura». Secondol’economista Preti «a rimetterci sono ipiccoli risparmiatori che assistono impotentialla cessione di Telecom, attraversol’acquisto di azioni Telco da parte diTelefónica a un prezzo molto più convenienteche se avesse acquistato direttamenteazioni Telecom». Un giudizio condivisodall’imprenditore del vino SimonpietroFelice, amministratore delegato diFerdinando Giordano Spa: «Le privatizzazioninon sono state fatte con l’obiettivodi massimizzare il valore delle azionigrazie alla capacità degli imprenditori.Si è prefetito vendere a “pseudo imprenditori”,purché fossero italiani e purchépagassero poco le azioni. Il risultato è chele aziende finiscono comunque in manostraniera e per di più con poca o nessunasoddisfazione dei piccoli azionisti».Non solo effetti negativiÈ per questo motivo che, secondo AlbertoMingardi, direttore generale dell’IstitutoBruno Leoni, le privatizzazioni nonvanno lasciate a metà. La politica dovrebbelasciare che l’impresa privatizzata escadal perimetro d’influenza pubblica. Benvenga, in questo senso, il passaggio inmani straniere se serve a tracciare questalinea di confine. Anche se, a onor delvero, un effetto positivo la privatizzazionedi Telecom l’ha avuta: «In Italia è seguitoun formidabile sviluppo delle telecomunicazionimobili – spiega Mingardi –mentre si registrano ancora difficoltà nellaconcorrenza sulla rete fissa».In attesa di conoscere le decisioni delConsiglio di amministrazione dell’azienda(che si riunisce giovedì 3 ottobre, ndr)sul futuro di Telecom, e in attesa che ilgoverno decida su un eventuale scorporodella rete da Telecom, l’unica cosa certa èche il mercato italiano delle telecomunicazioniè ancora appetibile. Soprattutto,secondo Martini, quello della telefoniamobile «che è uno dei più attivi e vivacidel pianeta». Del resto, «se Telefónica haintenzione di rilevare Telecom Italia èperché ritiene che possa trarne profitto».Se in Italia nessuno si è mosso, è perchéevidentemente non c’erano i capitali dainvestire. E «nel mercato unico europeovige il principio della libera circolazionesia per i capitali sia per gli imprenditoriche hanno investimenti da realizzare».Pare che César Alierta, presidente di Telefónica,se ne sia accorto. E che, come hascritto Le Monde, abbia trovato una breccianei bastioni, non più così sicuri, delcapitalismo italiano. n10 | 9 ottobre 2013 | |

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