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di Lodovico FestaSOLO PERI VOSTRI OCCHITalora si fanno previsioni terrorizzantianche un po’ per scaramanzia. Poi lacronaca mostra come oggi in Italia ifatti catastrofici prevalgano sulle opinioni,per quanto pessimistiche. Al di là dei casiparticolarmente drammatici della politica,bastano quelli economici (da Telecom Italiaad Alitalia, da Avio a Mps, dalle manovre tedeschesu Intesa a quelle murdocchiane sulCorriere) a raccontarci di un “attacco finale”al nostro paese: dal cinquecentesco “Franzao Spagna purché se magna” si è passatia un “tutti al desco sia american o tedesco”.Il colpo finale lo ha dato Enrico Letta, completandol’opera di quel maggiordomo delleinfluenze straniere che è stato Mario Monti:il problema non sono tanto le cose dettee non fatte (qualcosa si è fatto), ma che unadelle cose essenziali – una seria pacificazionedell’Italia – per farla bisognava anche dirlaesplicitamente.Se restiamo al lato economico delle questionipiù recenti, quelle di Telecom e Alitaliasono storie che segnano tutto l’ultimo ventennio.Ci parlano del donoche Romano Prodi fecealla Fiat con il nocciolinodi Telecom, della cecità cigiellinadi fronte alla compagniadi bandiera, del velleitarismodalemiano con icapitani coraggiosi incitatima poi non sostenuti politicamente,della decadenzadi Mediobanca sotto la guidadi Alberto Nagel che affiancala resistibile ascesaTELECOM, ALITALIA, LE BANCHE, IL CORRIERELa disfatta della nostraindustria, usata comecampo di battagliaSe i VARI D’ALEMA,PRODI, BERSANI e RENziAVESSERO AVuTOun DECIMO DELLACAPACITÀ DIRICONOSCEREl’AVVERSARIO CHE c’èNEL CENTRODESTRA,NON SAREMMO INquESTE CONDIzIONIdi Marco Tronchetti Provera, dell’altro dono prodiano (stavoltaa Nanni Bazoli) che liquida Tronchetti.Se però si vuole individuare uno dei baricentri della disfattanazionale, questo va collocato nello sbandamento del sistemabancario. Mentre in tutte le grandi nazioni alcune banche rilevanticostituiscono, dopo le avvenute opportune privatizzazioni,l’ultimo presidio di difesa degli interessi strategici nazionali,da noi questo presidio si è incrinato a partire dalle tre grandi (Intesa,Unicredit e Monte dei Paschi). Si è persa – innanzitutto grazieal ruolo “impossibile” delle fondazioni – nelle tre “grandi”la capacità di essere banchieri al modo dei Cuccia, dei Mattiolima anche dei Dell’Amore, dei quadri Imi e di quell’intelligenzaindustriale che nonostante terribili eccessi di clientelismo continuavaad abbondare nella finanza di Stato. Il problema non èche “i nuovi” si occupino ancora troppo di potere: quando maiun banchiere non si occupa di potere? Alessandro Profumo, inquesto senso, il più ritrattosi dal potere inteso come condizionamentomediatico-politico, è stato tra i peggiori: così le sue divisionalizzazioni,l’Ubm, il suo maneggiare derivati. Ma altrettantopessimo nei risultati alla fine è Bazoli, incapace di averequell’attenzione all’industria che fece primeggiare i grandi banchieri,e pronto a rifugiarsi (spesso affiancato o sostituito da CorradoPassera) su reti, autostrade, aree edificabili fino alle speculazionifinanziarie di Romain Zaleski, dovunque si potesseprevedere una rendita politicamente o bancariamente protetta:e peraltro dopo il 2008 evaporata. E non parliamo di GiuseppeMussari (giustamente messo a rappresentare cotesta categoria)con il suo dissennato acquisto dell’Antonveneta.Le conseguenze della mancata pacificazioneSi dirà: anche Silvio Berlusconi ha messo molto del suo nel cucinarequesto scenario. Il che è obiettivamente vero: proprio a unleader tutto istinto e sondaggi si deve la carenza strategica che haindebolito le chance riformiste. Va peraltro ricordato come Berlusconi,ben diversamente da centrosinistra ed establishment, siastato l’unico a tenere una linea di condotta che poteva aiutare auscire dalla crisi. In tutte le partite rilevanti (con eccezioni in partenelle televisioni – e comunque consentendo l’accesso di un playerduro come Rupert Murdoch – dove erano in gioco fortune dicasa) le scelte del centrodestra sono state di apertura: non vi è stataopposizione alla cordata Colaninno pur essendo chiaramentedi sinistra né a quella Tronchetti pur ispirata da un asse Mediobanca-Montezemoloche portò al secondo governo Prodi, l’Alitaliaper risanarla (malamente ma salvando Malpensa: velenosocadeau che Prodi faceva ai francesi) è stata affidata a Roberto Colaninnoe Passera, due personalità totalmente estranee al coté berlusconiano.E così via. Se nei vari D’Alema, Prodi, Bersani, Veltronie oggi nel marcio opportunista Matteo Renzi si fosse avuto undecimo della capacità di riconoscere l’avversario che c’è stata alvertice del centrodestra, non saremmo in queste condizioni. Valeanche per i vari cavalieri super partes con il loro stemma araldicodel “coniglio bianco in campo bianco”. <strong>Alla</strong> fine la radice di tuttoquesto degrado sta nel non aver assunto apertamente l’obiettivodella pacificazione, consentendo così il prevalere dell’iniziativadi chi poneva apertamente la prospettiva di distruzione politicadi un’intera solida area della società (considerata di “sudditi”,non di cittadini). In uno Stato già ben conciato per conto suo, demolireuna fetta decisiva di consenso sociale è un suicidio di cuiapprofitta chiunque: persino gli spagnoli peggio messi di noi.| | 9 ottobre 2013 | 13

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