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TERRADI NESSUNOcocciuti, desideriamo l’impoSSibileSe Lui sedesse inquella sedia vuotadi Marina Corradi«Se Cristo venisse in silenzio e si sedessesu una sedia lì vicino a costei,e tutti a un certo punto ce neaccorgessimo...». Non so perché questa ipotesidi don Giussani riportata in un libro di FrancoVentorino (Stare dove egli è) nel silenzio diuna delle ultime sere d’estate mi cade dentrocome un sasso in uno stagno.La prima reazione è affaticata e quasi dura.Qualcosa in me cigola come una macchina arrugginitae immobile da un tempo immemorabile.Dice soltanto, una parte di me: “Assurdo”;e il lavorio della macchina si spezza in unsuono di metallo secco.Già, impossibile. È da quando eri bambinache, con parole o con silenzi eloquenti, tidicono ciò che è lecito sperare e ciò che no, eciò che invece è folle attendere.Con l’ipotesi cui stai pensandoci troviamo, lo sai, nella categoriadell’impossibile.Ma, mi dico, se anche veramentelui si sedesse qui accanto,magari nemmeno lo sapreiriconoscere; come una che siaffaccia da una finestra su unorizzonte vuoto, e sa già, è certache non verrà nessuno.E però, se l’evidenza fosse taleche gli occhi vedono, e non sipuò negare? Allora forse pensereia un fantasma, o a un puro prodotto dellamia immaginazione; e mi direi che sono matta,e non avrei il coraggio di raccontarlo a nessuno– se non, con circospette parole da cuisubito prendere le distanze, a un medico, chesappia come si curano tali allucinazioni.E se poi invece fosse un sussulto del cuore– una impennata del sangue fino in gola – adirmi con certezza: è lui, veramente, allora restereicome impietrita. Resterei lì immobile aguardare, temendo che a un solo mio movimentolui se ne vada. E non avrei il coraggio didire una sola parola: troppo pesando il tempoe le incrostazioni del cuore per essere capace,soltanto, di lasciarmi abbracciare.Dunque me ne starei senza fiatare, comeun animale affamato e selvatico che incontridopo tanto tempo un uomo e ne speri unacarezza buona, e del cibo, ma anche ne abbiapaura. Come un cane randagio,col cuore sospeso tra la diffidenzae il desiderio di una casa,che finalmente lo accolga.Ma la sedia accanto alla miaqui in cucina questa sera, naturalmente,è vuota. E tu, mi diceuna parte di me severa, dovrestismetterla, all’età che hai,di desiderare l’impossibile. Nonti hanno insegnato poi che lui“è,” in noi, che è “tutto in tutti”?Non occorre dunque vedereniente, e sognare è da bambini,o da sciocchi.D’accordo. Nella penombra dell’imbrunirenella casa questa sera silenziosa mi alzo da tavola.È strano, però, mi chiedo, accadrà ancheagli altri? È sempre come se conservassi la remotamemoria di una originaria felicità totale;e, cocciuta, tornassi inutilmente davanti auna porta chiusa, che non è dato a noi uominidi aprire.50 | 9 ottobre 2013 | |

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