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Cuore e braccio a Parma (PDF) - Storia e Memoria

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appiattendo il management all'espletamento di compiti quasi esclusivamente<br />

operativi.<br />

La possibilità di reperire le materie prime necessarie anche nei momenti di crisi, la<br />

produzione slegata dal ciclo stagionale, l’accesso ai mercati extra provinciali e<br />

soprattutto l’impiego di quantità relativamente numerosa di manodopera ne<br />

facevano l’unico stabilimento quasi moderno della città. Pertanto sulla vetreria si<br />

concentrarono le attenzioni dei dirigenti politici e degli amministratori,<br />

dell’associazione degli industriali, e addirittura del sindaco e del proletariato<br />

urbano poiché erano convinti che sarebbe stato lo stabilimento vetraio a trainare<br />

la ripresa economica. Le aspettative non andarono deluse tuttavia la realtà si<br />

mostrò assai più complessa del previsto. L’esigenza di posti di lavoro si<br />

scontrarono subito contro il processo di modernizzazione della produzione.<br />

I problemi erano tanti: conversione del settore industriale, carenze di materie<br />

prime, rientri in massa di cittadini sfollati durante i mesi più duri del conflitto; di<br />

conseguenza scarsità di alloggi e forte disoccupazione, la condizione di vita di<br />

migliaia di parmigiani era precaria.<br />

La guerra aveva messo in crisi il fragile sistema economico cittadino, incentrato su<br />

poche industrie, in gran parte stagionali o comunque vincolate dalla possibilità di<br />

materie prime provenienti dall’agricoltura, sui lavori pubblici invernali,<br />

sull’artigianato e sul piccolo commercio.<br />

Per i giovani appartenenti ai ceti popolari parmensi il lavoro in fabbrica<br />

rappresentava l’unico modo per accedere a un salario relativamente sicuro e, al<br />

tempo stesso l’occasione per acquisire qualche forma di professionalità. Per i<br />

giovani operai, ma anche per i figli della piccola borghesia urbana, l’ingresso in<br />

fabbrica rappresentava un occasione per fuggire dalla precarietà. Entrare come<br />

garzone o come portantino alla Bormioli, che da sempre si era servita del lavoro<br />

minorile, poteva significare l’inizio di una lunga carriera con aspettative<br />

professionali e salariali altrimenti inimmaginabili.<br />

Il passaggio alla lavorazione semiautomatica procedette a ritmi alterni. Di fatto la<br />

ristrutturazione dell’azienda andò avanti per quasi tutti gli anni ‘30, attraverso<br />

non poche difficoltà tecniche ed economiche. Interrotta allo scoppio della guerra,<br />

l’eliminazione della produzione manuale venne completata nel secondo<br />

dopoguerra, quando le prime macchine automatiche fecero la loro apparizione<br />

nello stabilimento. La lentezza dell’ammodernamento della fabbrica contribuì ad<br />

attenuarne gli effetti sull’occupazione, che nel complesso fu maggiormente<br />

colpito dall’andamento del mercato instabile e della produzione.<br />

Una certa rilevanza ebbe la protesta causata dall’ingresso in fabbrica delle prime<br />

macchine automatiche. Inizialmente le maestranze non sembravano<br />

eccessivamente preoccupate dei possibili effetti delle innovazioni; quando però il<br />

processo di automazione divenne più massiccio, i lavoratori cominciarono a<br />

temere per il loro posto di lavoro. Umberto Guareschi ricorda l’inquietudine:<br />

“la prima e l’unica vertenza di quel periodo fu quando l’azienda decise di passare<br />

definitivamente alla lavorazione semiautomatica. Fu una vertenza lunghissima e<br />

sofferta. ... In pratica il problema era che questa gente andava a guadagnare<br />

meno perchè cessava il lavoro artistico a mano”.<br />

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